venerdì 29 luglio 2011

Intermezzo retrospettivo



Mi concedo un intermezzo restrospettivo, sulle zone inesplorate, di un anno e mezzo fa. Che tempi!
"...Mattina: pullman, casa, pranzo. Il paesaggio dal finestrino è trafitto dal sole, il mio viso lambito da qualche riflesso, le mie orecchie allietate dal rombo del 6 cilindri Iveco che sembra spingere come una Ferrari...
Il pomeriggio, con scarsa voglia, sono andato a Grosseto: territorio inesplorato. Come il tour a Quarrata, il rischio di perdermi è massimo, ma non importa. Chiedo informazioni a destra e a sinistra telefonicamente nel lungo viaggio di andata, terrorizzato dall'autovelox: infatti non vado così forte proprio per evitarlo. Ma l'andata è sempre utilizzata come ricognizione: una vita di corsa, anche quando non ce n'è bisogno, ti fa sentire vivo. Al ritmo di "I like Chopin" di Gazebo affronto la Siena-Grosseto, direzione mare degli altri, in un tratto di buio mentale, inesplorato. Ponte di Petriolo, 140km/h, nessun autovelox in giro, acquetta in terra, mani salde sul volante, un filino di stanchezza accumulata, una camionata di voglia di cambiamento.
A Grosseto ci sono stato un paio di volte a fare lezione nel 2009, un'altra volta a vedere i treni con un amico e a prendere le partacce dai ferrovieri e stop. Questa è la mia modesta esperienza della città.
Ho una missione da compiere: rendere allegra una serata pallosa a dei ragazzi che dovrebbero sorbirsi una lezione sull'etica lionistica di persone che conosco. Questo è il mio ruolo: rendere goliardico qualcosa che non lo è per stimolare le adesioni.
Paganico, 150km/h, tratto a quattro corsie nuovo: sfanalo al pullman della Rama che è davanti e si muove a miseri 110km/h...pronto ad arrivare, e anche a ripartire dopo un'ora se la situazione si fa pesante. Hotel Granduca, freccia, Lostprophets che cantano sui tetti e sembrano voler spostare il raccoglitore delle fatture passive che si trova sul sedile posteriore, e una tremenda sensazione di abbandono e solitudine. Tipica della domenica pomeriggio invernali.
In fondo, dei miei amici, quelli veri del nucleo originario, siamo rimasti in pochi: io, Giacomo e Federico. Loro sono a Milano e a Biella e mi hanno lasciato qui a mantenere alta la bandiera di Colle...
L'incontro inizia: un gioco di sguardi, due chiacchiere, tre battute, qualche altro sguardo, frainteso. Un aperitivo con i giovani...mescolo lo spritz con la bile dell'incazzatura dei commenti altrui.
Un finale a sorpresa, ma da 110 e lode.
Iniziano i pensieri del post, come sempre, nel viaggio di ritorno: mi perdo per Grosseto, per davvero. Ho bisogno di tornare a casa e dare da mangiare agli animali che altrimenti protestano!
Mi ci vuole il cd senza nome, ovvero quello che contiene musica rock seria e, come dice Richard Benson, "senza alcuna attitudine al consumo". Roba per pochi, da ascoltare quando serve. E allora via, "Shadowplay" dei Joy Division, "Astronomy" dei Blue Oyster Cult, ad accompagnare questo viaggio a velocità aeronautca di ritorno dalle zone inesplorate.
Ponte di Petriolo, curvone di ingresso: la strada scorre. Sul ponte do tutto, ma quel tutto non c'è. Sono uscito da quel curvone a 175km/h e sul rettilineo arriva la punta massima. Mi sono sentito di nuovo pilota.
Tutto questo accompagnato da un pensiero fisso e piacevolissimo, travolgente ed enigmatico allo stesso tempo: si può incrociare uno sguardo ed avere la sensazione di conoscere una persona da sempre? Credevo di no. Ma nella vita bisogna andare oltre le apparenze, oltre alle sensazioni semplici che ci vengono fornite di primo acchito. Bisogna analizzarle e trarne qualcosa di positivo. E ora avrò un capitolo 1 di una storia da custodire dentro di me..."

mercoledì 27 luglio 2011

Prospettiva inusuale


E guardo la finestra romboidale, contornata da quel legno duro e impervio, fatto per resistere alle intemperie, di qualsiasi sorta, forse. Dietro al vetro risplende un cielo color Inghilterra, perlaceo, appena azzurro, appena plumbeo. Un cielo variegato come le idee di chi non si decide, perché non sa, non perché non vuole.

Mi alzo. Osservo da dentro a questa stanza i fiori violacei cresciuti, ormai grandi, dentro al giardino. Non li avevo mai visti così belli, non li avevo mai visti da qui. Sopra di essi spicca una rosa, solitaria, che svolazza appesa ad un ramo sottile e ricurvo, come la testa di chi non riesce più ad andare avanti.

Rosso, viola, grigio.
La sovrapposizione mi da’ da pensare.

Non è malinconia, tantomeno nostalgica mancanza. Mentre scrivo il cielo si schiarisce e lascia il posto ad un azzurro diamantino, molto più consono e pertinente alla flora circostante.

Passa un autobus.

La poesia svanisce. Ciononostante a volte è bello semplicemente osservare le solite insignificanti forme da una prospettiva insolita, emotiva, naturale.

lunedì 25 luglio 2011

Bentornata in Inghilterra...


Era destino che quel giorno andassi in aereoporto, qualche settimana fa mai avrei pensato che il motivo di quel viaggio sarebbe stato il mio ritorno, dopo due anni sulle scene inglesi.
Sedile lato passeggero di fianco a mio padre, che mi fa delle raccomandazioni come se fossi una studentessa alla prima vacanza studio, ma lo apprezzo. Delle volte odio il fatto che mi considerino una bambina, delle altre lo adoro, mi fa sentire protetta, e messa al centro della loro attenzione. Non troviamo parcheggio in areoporto quindi scendo al volo, e lo saluto di fretta, raccomandandoglio di riposarsi. Due minuti dopo, mentre sto con i genitori dei ragazzi che accompagno, spunta alla mie spalle. Il nostro rapporto sembra essere cambiato da qualche settimana, e la cosa mi piace.
Mentre facciamo il ceck-in mi sento parlare e mi piaccio, e' quella la chiara che voglio sentirmi, e che ultimamente non e' stata presente.
L'arrivo a Milano come al solito non mi piace, anche solo dall'areoporto questa citta' non mi da nulla, sbagliero' ma per me e' priva di fascino.
Areoporto di Heatrow, un balzo al cuore, se penso a quanto tempo e' passato, devo mascherare la commozione ai ragazzi, quindi preferisco respirare e cercare il nostro autista.
Ed ecco che dopo tanto tempo mi ritrovo a fare la passeggera, da un'altra prospettiva. A sinistra, salgo in auto e mi viene quasi voglia di prendere in mano un volante, ma non c'e', e tutto cambia. La prima volta e' un'esperienza tramumatizzante perche' sembra che tutte le macchine ti vengano addosso, ma poi impari a capire come funziona. Il viaggio e' abbastanza lungo, e le verdi colline inglesi sembrano sorridermi e dirmi che staranno li a darmi il conforto che cerco.
Un paio di occhiali da sole schermano il mio volto, e una lacrime scende timida sulla guancia sinistra. Mi fanno sorridere i cartelli inglesi, specialmente quello di "attenti alle oche", piccoli segnali che mi chiedono di ridere, di sorridere ed essere la persona solare che sono. Non mi rivedo a far vedere la mia sofferenza. L'ho mai fatto? No, nei vari periodi bui della mia vita, ne' il volto ne' l'inflessione di voce hanno mai lasciato trasparire quello che mi succedeva. Penso a questo, mentre percorriamo le 140 miglia che ci separano dal Campus. Tutto in pochi giorni e' cambiato ed ha preso forme continuamente diverse, ma io? Io non ho colpe, forse il mio non volere fare giochini, il mio non voler essere misteriosa, e la repulsione che ho nel fare la vamp, fin da quando sono adolescente. Non ho mai fatto giochetti con gli uomini, perche'? Mi e' sempre sembrata un'idiozia, se a me va di fare una cos la faccio a costo di risultare poco affascinante. Il fascino risiede nella menzogna? Per molti si, io ho sempre rifiutato questa teoria. Quando qualcuno mi diceva "fatti desiderare, non lo chiamare", io rispondevo "ma io ho voglia di sentirlo, che mi frega a chi tocca chiamare?", o in alternativa "Io cosi' sono, prendere o lasciare". Ricordo il commento di Stefania ogni volta "si poi ti lamenti pero' " A quel tempo eravamo bambine, e adesso che siamo grandi il mio modo di fare le cose e' cambiato poco. Penso a questo ed alla prima volta che l' ho incontrata, e l'ho scelta come compagna di vita. Questo stesso tipo di esperienza ci ha unito, e mi chiedo se le tre ragazzine sedute in fondo al taxi avranno la stessa fortuna. Quanto mi manchi, amica mia, in questi giorni senza te, a Roma e adesso qui. Il turbine dei pensieri, durante queste miglia si ferma solo quando inizia a piovere, finemente, come le solite piogge inglesi. Ormai e' sera sono le 23, e siamo appena entrati in college, avrei dovuto fare altro....
Faccio una riunione e do le delucidazioni per la mattina seguente, e poi distrutti anche loro decidono di andare a letto. Dopo 12 ore finalmente un attimo da sola con me. la mia stanzetta, con una vecchia moquette ed un duvet dalle tinte chiare, mi da un senso di familiarita', sono tutte uguali le stanze dei college, non importa se ne hai vista una o 18... Poggio la testa sul mio cuscino e lascio la luce accesa, e ritornano i pensieri, solo che per la stanchezza, questa volta, mi portano stremata ad addormentarmi...

giovedì 21 luglio 2011

Chiusura per ferie!

Il Direttore ringrazia il suo team. Qualcosa verrà scritto, a regime ridotto, quello sì. Verrà linkato su Fb al momento opportuno.
Saluti a tutti! E ci vediamo prestissimo!

mercoledì 20 luglio 2011

The sound of silence

Che suono ha il silenzio? Alle volte un suono troppo forte. Alle volte è pacifico. Alle volte ha un rumore di sottofondo, quando la nave va. Un silenzio che alle volte veniva riempito da una telefonata, all'ora di pranzo, quando venivo via da qua e...adesso è diverso.
Oggi spira un vento da nord, un maestrale bello teso. Un maestrale di quelli che ti fanno uscire di poppa con la barca a vela, che ti fanno rientrare con una perentoria bolina a vele cazzate in corsia. Bello, questo maestrale.
Traversa maremmana, 115 km/h. Nella Mito suonano i New Order. Laggiù c'è la via di Grosseto, ma girerò prima, fortunatamente. Quella musica è stata la colonna sonora di un viaggio a Milano di gennaio 2009, ove successe qualcosa di strano, magico, crollato subito ma, la soddifazione, seppur effimera, fu tanto. Giocare a fare la coppia di lungo corso per 2 giorni, riprendere il pullman e...tornare come prima non fu così facile.
La strada scorre, ormai, i miei pensieri sono in fila. Strane telefonate, inguastite dal fatto che nella mia vita non c'è più, forzatamente, una protagonista femminile. In questi romanzi non c'è più, appunto, alcuna protagonista femminile. Non c'è più niente, se non qualche apparizione di un nome di 4 lettere sul telefono, c'è solo questo vento che irrita gli occhi e li fa lacrimare, c'è "True Faith" con il suo gasante assolo che mi fa premere questo acceleratore nel vano tentativo di uscire da tutto questo. La macchina corre, adesso, velocissima. I castelli accanto e i campi lontani passano veloci, come immagini di una amara vita passata.
E' vero, alla fine non eri più tu quella che mi stava accanto. Forse ho vissuto nella speranza che tu tornassi la ragazza che eri, che tu fossi davvero quella che dava il 100%, e non quella che, nel momento in cui si riscopriva capace di dare tutto, si impauriva e si sentiva indifesa,
Quella che eri, appunto, e che l'ambiente che frequenti, le vicende della vita, e forse anche un po' di volontà, hanno fatto diventare una lontana e cinica figura vendicativa. Non esiste più la donna speranzosa e tenace, sicura di vincere questa battaglia contro un passato scomodo, del tutto risolto. E forse, l'ho uccisa io. 150km/h, traversa maremmana. I cartelli Grosseto ci sono sempre ma non posso espiantarli. I ricordi non possiamo espiantarli. Ma non dobbiamo vivere di ricordi di un passato, di speranza di tornare "quello che eravamo". Ho ragione in questo, che adesso so essere la verità, che prima negavo a me stesso con ogni mezzo. Non saresti mai tornata. Il dolore per te è stato troppo, e nemmeno infliggerne una quantità industriale al sottoscritto è servito. Mi dedico a scappare, adesso. Ma tanto non te ne importa nulla.

Titoli di coda che prendono una piega imprevista...


L'aria era umida stasera, dopo una bella giornata di mare, un gelato con le amiche, di ritorno a casa pensavo solo a continuare con quella spensieratezza. Qualche minuto di angoscia, dovuto ad una brutta notizia che però era rientrata, il conforto di una persona, e il confortare, il prepararsi per una serata tra amici, mi avevano messo il buonumore. Raccontarsi con le amiche, anche se ancora non riesco a raccontare tutto il mio malessere, davanti ad un panino ed una birra, scherzare e fare un'pò di taglio e cucito, e vedevo lontane le mi angosce.
Il compleanno di una persona speciale, che d'improvviso per orgoglio non avevo voluto più nella mia vita, persona che prepotentemente, per fortuna, si è ripresa quello che ci spettava. Quel sorriso semplice, di animo sensibile e nobile come pochi, che ha voluto restare al mio fianco, anche quando l'ho tagliato fuori. Avevo sofferto il mio capriccio all'epoca, ma ne andavo fiera, l'avevo trattato come meritava, e mai quanto in questi giorni avevo capito quanto fosse importante avere una persona che ti ripete quanto tu sia speciale, e lo fa senza volere nulla in cambio, solo la tua amicizia. E l'aprirsi diventa facile, un abbraccio diventa rasserenante, e uno sguardo complice ti fa sentire importante. Oggi volevo essere io a regalargli un sorriso...
La musica al locale è alta, non è pienissimo ma si balla, e anche se l'umido non aiuta, qualche passettino lo faccio. Così giusto per scaricare, accenniamo piccoli balletti. Forse colpa delle bollicine, della musica, dei sorrisi sinceri dei miei amici più cari, e della tua allegria mascherata, mi lascio andare. Libero quel peso e decido di lasciar fare a chi lo merita, io forse no. Ma non ci penso, accendo la prima sigaretta della serata più per darmi un tono che per esigenza/dipendenza, stasera finalmente godo nel vedere sorrisi, la prima volta da quando ho lasciato Roma.
Ma proprio in quel momento, mi giro e i miei occhi diventano fessure, riconosco quella figura che riconoscerei tra miliardi. Sono passati tre anni...
Mi giro rigida verso Stefania, le dico chi ho visto, e lei si allarma vedendo il mio viso. L'ultima volta l'avevo visto per una sua "autocelebrazione", come sempre del resto. Amavo vederlo lì su quel piedistallo, anche se io ero il quinto piede di quel piedistallo, pronta a sorreggerlo anche dove non ce n'era di bisogno. Quel quinto piede che non serviva a portarlo in alto, e che anzi poteva farlo traballare, e per questo fu rimosso, con un colpo secchissimo. Un minuto e ritorno quella di tanti anni fa, indifesa, insicura, brutta dentro e fuori. Spengo la sigaretta e ne accendo subito un'altra, un altro bicchiere di bollicine sparisce in 2 secondi.
Se dovessi seguire l'istinto dovrei salutarlo, anzicchè ritrovarmi nascosta in un divanetto che adesso sembra troppo piccolo. Dovrei andare fiera sui miei tacchi e sorridere mostrandomi al meglio, poi magari dovrei sferrare un colpo...
Mi guardo intorno e penso però che non avrà mai quello che ho io, e non avrà mai me.
Non riesco ad odiarlo, a provare rancore, servirebbe? No, servirebbe solo a farmi stare male come un tempo e ad avere comunque, un sentimento che in qualche modo mi legherebbe a lui. Mi giro con indifferenza, vedo che guarda nella mia direzione, ho la certezza che mi abbia visto, e che giocoforza, sono rientrata nella sua vita per qualche secondo. Pochi minuti e andiamo via, chiedo a Stefania di farmi da scudo, ed esco dal locale. Le ginocchia tremano, se questo è un segno mi piacerebbe saperne il significato, ma angosciarmi a cosa mi porterebbe? Ad essere ancora stesa su quel campo di battaglia, col cuore sanguinante, straziato, dove neanche la morte arriva a portare sollievo, per usarla con le parole della nostra Ilaria.
Lascio Stefania a casa, si è messo a piovere da qualche minuto, goccioloni estivi che non lavano via nulla, e non servono a portare via il caldo, ma solo a far si che l'umidità salga. Insieme a quei goccioloni piango anche io,non poche lacrime ma profondi singhiozzi. Quanto tempo non piangevo così per te? Forse 5 anni o poco meno, all'epoca della grande umiliazione.
Mentre sto scrivendo arriva mia madre, in camera mia, sono rientrata da 10 minuti, e scrivo su questo blog. Mia madre dice "Papà sta male, andiamo al Pronto Soccorso". Mio padre è di un pallore spettrale, gli allaccio le scarpe e gli metto una polo. Ha mal di testa fortissimo, che gli arriva a comprimere lo stomaco. Svegliamo mio fratello ma lo convinciamo a restare in casa. Guido verso l'ospedale che per fortuna dista davvero poco da casa mia, 5 minuti in cui mi sento stupida.
Stupida perchè ho pensato che la mia fobia più grande fosse lui, ed invece è un'altra. Guido veloce ma molto attenta, mia madre mi dice" piano", mio padre mi dice" no vai veloce". Che paura folle, ma tocca a me restare calma. Sudo ma non lo do a vedere, mentre aspetto quel dannatissimo semaforo, tengo la gamba di mio padre, la stringo forte e lui mette una mano sulla mia. Quante volte ho desiderato da lui questi piccoli gesti che non sono mai arrivati? Un nodo alla gola che non posso sfogare, non devo. Arrivo dentro il Pronto Soccorso e li faccio scendere, esco dalla zona ambulanze e parcheggio nel parcheggio disabili, ma sono le due di notte, e non c'è nessuno, e decido di essere incivile. I tacchetti delle mie ballerine messe di fretta e furia, fanno eco nel lungo corridoio pedonale, il mio cuore penso abbia smesso di battere, i miei sono fermi in sala di aspetto. Mio padre per la prima volta dimostra tutti i suoi anni. Ho sempre visto mio padre come un trentenne, e anche se brizzolato, l'ho sempre visto più giovane di certi miei coetani. Adesso vedo tutti i suoi anni, non sono moltissimi ma stanotte li dimostra tutti. Ha la testa tra le mani e mi dice, "Chiara mi sento meglio", rispondo che l'ho notato. Ha ripreso colore ed una volta entrati in astanteria, tutti i valori sono buoni, "colpa dell'aria condizionata", esordisce il medico di guardia, "si che ha preso qui qualche ora fa" dico io con la mia aria da saccente, mia madre mi fulmina con lo sguardo. Un infermiere lo riconosce, e pensa sia di nuovo con mia nonna, l'antidolorifico fa effetto, e ritorniamo a casa. Sta meglio, ma io non mi sono calmata. Come ho fatto a pensare che la mia felicità potesse dipendere da qualcuno che mi ha disprezzato? Ci sei stato non ci sei più! Come faccio ancora oggi a rattristarmi se ho una delusione sentimentale?
Nella vita abbiamo bisogno di amare, e di essere amati, io ne ho un bisogno viscerale. Un mio ex mi disse, "mi hai insegnato che si ama col cuore prima di tutto, ma non devono mancare le parole, i gesti e le dimostrazioni, si ama anche con le parole". Io ho questo bisogno, il mio stare sola per tanto tempo è arrivato al capolinea, ma stanotte ho imparato che troppe cose cambiano in pochi minuti per stare lì a meditare troppo sul passato, il passato ci insegna a comportarci nel futuro, ma non ci governa. Dopo 14 lunghi anni so che mai più cambierai il mio umore... Quello di te che mi resta è il ricordo di un bambino grassoccio, con un completino da calcio, quella sera di fine giugno... Nessun uomo cambierà più il mio stato d'animo, vivrà con me se lo vorrà ma non vivrà di me...
ps la foto è volutamente sfocata...

martedì 19 luglio 2011

Lourdes

ci sono viaggi e viaggi, detta così non significa nulla ma è chiaro che ci sono diversi tipi di viaggio che si possono o devono fare; ci sono i noiosi viaggi di lavoro, i tanto attesi viaggi delle vacanze, i viaggi alla scoperta di un luogo che da sensazioni forti, spirituali, i viaggi inaspettati organizzati all'ultimo minuto e a me è toccato fare anche un viaggio traumatico, una domenica mattina dello scorso novembre... di sicuro rimarrà indimenticabile nei miei ricordi.


Vorrei parlare di un viaggio anzi di più viaggi nello stesso luogo che ormai faccio dal 2005 con cadenza annuale. La prima volta fu assolutamente non programmato, mi sono trovata casualmente a partire per questo luogo magico, fuori dal tempo, mi era stato chiesto di dare un aiuto nella gestione della preparazione visto che le persone coinvolte variano - anno più, anno meno - tra le 600 e le 750 e mai avrei immaginato di partire come volontaria per un pellegrinaggio, non perché lo considerassi sbagliato ma solo perché semplicemente "non ci pensavo affatto". Spesso le cose non si fanno solo perché non ci si ferma un attimo a prestarci la giusta attenzione.


E' diventata poi una bellissima consuetudine, un'esperienza indimenticabile, al di là del fatto di essere cattolica; ogni volta che quella settimana finisce e ci si saluta alla stazione resta l'amaro in bocca per l'attesa del prossimo viaggio. Si parte in treno e per arrivare ci vogliono 23-24 ore (salvo imprevisti, come è capitato, per arrivare a 30 ore di viaggio), su un treno pieno di speranze e di dolore, lì ho conosciuto tante madri coraggio, quelle a cui Dio ha donato delle creature speciali, donne con una riserva d'amore infinito. Lì ho conosciuto bambini stupendi ed ho visto così tanti sorrisi, così tanta gratitudine quasi da riuscire a coprire quanto dolore è invece presente.

Il panorama poi è mozzafiato: siamo ai piedi dei Pirenei, alzi gli occhi e vedi cime innevate e un fiume di montagna con acqua trasparente che attraversa il Santuario.


Quest'anno è stato il primo senza la mia mamma, lei che ci è venuta per tre anni ed era così felice ogni volta di tornarci, è stato diverso dagli altri proprio perché me la vedevo lì in ogni luogo in cui era passata. E questa volta ero anche io tra le tante, troppe persone che portano un dolore, si... ognuno ha il suo.

Nonostante ciò tutti mi sono stati vicini, tutti mi hanno dato una parola di conforto anche se il loro dolore è più grande del mio; ricordo ancora il pomeriggio che abbiamo accompagnato i nostri Amici assistiti lungo il fiume per la via crucis e... osservare chi ogni giorno porta davvero la sua croce. Per la prima volta non sono riuscita a stare lì in mezzo a loro, mi allontanavo di qualche passo, giusto per arrivare sulla riva del fiume Gave, a fissare il silenzioso movimento poetico delle sue acque nonostante una notevole corrente e... un pianto dirotto, senza fine, disperato si è concretizzato! era impossibile fermarlo ed ero così imbarazzata, in mezzo a tutti e pur voltando le spalle al gruppo, tutti hanno visto. Benedetta, una ragazza con cui fino a quel momento non avevo scambiato una parola, con una sensibilità profonda quanto inaspettata, si avvicina sorridente e mi posa in testa una coroncina fatta da lei con le margherite raccolte. Questa ragazza ha fatto un piccolo miracolo, mi ha fatto sorridere e placare l'anima ed ho smesso di piangere.

In questi anni ho conosciuto tante persone meravigliose, io che al primo viaggio ero smarrita e impaurita, pensavo di non farcela e invece ho scoperto che bastano la semplicità, una parola, un sorriso, una carezza per tirar fuori il meglio dalle persone, me in primis che ancora non sapevo cosa avrei trovato e cosa comportava quel primo viaggio così lungo... dentro e fuori: portava persone così diverse per cultura e ceto sociale in un contesto in cui tutte diventano inevitabilmente uguali.

Probabilmente la vita è un viaggio che dovrebbe portarmi all'unico vero punto di arrivo: conoscere me stessa e trovare la pace interiore.


Piccole conclusioni quotidiane - Parte seconda



Seconda conclusione: bisogna tagliare delle teste.
Non prendetemi alla lettera. Quel che intendo dire è che la vita non è facile, è come gettarsi in una guerra con una spada tra le mani: il colpo va sferrato. Per quanto l’avversario ci somigli o quella guerra sia ingiusta, non sempre è possibile rifugiarsi sull’Aventino. A volte per proseguire dobbiamo effettuare delle scelte o passeremo interi anni a compiere l’unico e misero atto di difendersi dalle spade nemiche. Tattica assai ottimale per chi non vuol macchiarsi le mani del sangue altrui, ma che non permette di avanzare. Si può certo temporeggiare e, a seconda della bravura dello spadaccino, lo si può fare anche per un tempo piuttosto lungo, ma non per sempre. Il soldato coraggioso va avanti, perché conosce la meta. Non è certo di arrivarci, ma ci prova. Morire di vecchiaia sul campo di battaglia sarebbe abbastanza sconfortante.

Traduzione: quando si vive, per davvero, non è possibile esimersi dai sensi di colpa. La differenza tra la giovane età e quella più matura sta proprio in questo: prima o poi si diventa consci del fatto che non è possibile accontentare tutti, per quanto lo si desideri.

Certe scelte portano con sé immani sacrifici, morali, economici e così via. E ad ogni scelta consegue una responsabilità, con il suo inscindibile elefantiaco peso. Così, cerco conforto in un bicchiere vuoto, in qualche foto, nella Speranza.
Non si può avere tutto. Questo è ciò che mi ripeto mentre il senso di colpa diventa talmente grande da provocarmi la nausea. Ho sempre pensato che questa sensazione fosse un’espressione figurativa, invece no, è reale. Inizialmente è il cuore; i suoi battiti aumentano pian piano, come se una mano lo stesse virtualmente comprimendo contro il petto a tempi aritmici. Poi è il respiro, che inciampa nell’arte di venir su dai polmoni annodandosi alla gola, come se volesse fermare delle eventuali parole inopportune. Infine è la nausea, simbolo di malessere diffuso.

Ad ognuno le sue responsabilità e ad ognuno il suo dolore. Il dispiacere di un altro non vale, a volte semplicemente non si può essere capiti, tantomeno perdonati da chi è giunto a disdegnarci. Eppure cerco ancora conforto ed ancora mi dispero. Sento l’amara sensazione di aver agito contro un alleato, in questa guerra troppo caotica per poterci capir qualcosa. E, nel fumo delle armature e degli zoccoli dei cavalli, vedo questa figura a terra, con un dolore stampato sul volto, che soleva esser mio.
Non avrei mai voluto liberarmene in questo modo, purtroppo l’unica altra soluzione era la ritirata, ma anche io, come un soldato, conosco la meta e, per quanto cerchi di non sferrare colpi non necessari, ho lasciato che le circostanze mi portassero a sferrare il più grande, verso qualcuno di così degno e vicino.

Credimi, ho avuto colpa, non dolo, anche se con il trascorrere del tempo la prima si sfuma nel secondo. Adesso la condanna più grande è quella di non poter porre rimedio, ma di esser, al contrario, creduta nemica in una guerra ormai conclusa. Con il male nel cuore si prosegue, consci del fatto che la vita tolta in campo non può giustificare la distruzione della pace appena conquistata. Ma il sangue rimane sulle mani, come su quelle di ogni “buon” soldato che, apparentemente, ha fatto il suo dovere.
C’erano forse altre strade, o, al tempo, altre soluzioni, ma non sempre si può calcolare il rischio, ci sono rischi che vanno corsi, teste che vanno tagliate e battaglie che non possono essere perse.

Tutto questo nell’immensa, ingiusta, incoerente, imprevedibile e spietata long long road to happiness, to my happiness. In fondo, nessuno ha mai ciò che merita.

Streefeeling - il neologismo



Ora che ci ripenso, qualche neologismo l'ho inventato anche io. Ma non erano in italiano. E forse erano crasi di parole inglesi. In ogni caso, eccola qua:
- Streetfeeling: la sensazione di avere la strada sotto di te. Di avere qualcosa o qualcuno accanto che ti fa sentire la strada e di avere una meta. Streetfeeling è una sensazione che si prova quando hai la macchina che va verso un obiettivo. Non importa se in solitaria o meno. La luce filtra. Il tempo passa. La strada scorre ma non importa se arrivi in ritardo. Sai che ti porterà da qualche parte. Dentro e fuori di te.
Streetfeeling si sente anche senza guidare, anche sugli autobus per Milano. Anche sui treni a lunga percorrenza. E' dentro di te. Ecco perché la vita è un viaggio per guardarsi dentro e guardare fuori.
Alla faccia dei narcisisti a cui importa di qualcosa solo nel momento in cui l'hanno perduto e non si soffermano a guardare fuori.
Alla fine della strada, c'è sempre qualcosa. Anche una transenna, ma qualcosa c'è.

Fuggire, per sempre

Ho sempre dato dei cretini a coloro che, dopo una storia d'amore franata, scappano via, da qualche parte, a rifarsi una vita, a ritentare un qualcosa di nuovo altrove. Forse che, come dice la nostra Conservativa, non hanno un motivo per restare. Io sono parecchio legato alla mia terra, Colle di Val d'Elsa, e di motivi ne avrei milioni per restare. Ho un bel lavoro, con prospettive nonostante qualcuno dica il contrario.
Ho una bella possibilità di entrare nel tessuto sociale. E allora rimango qui, ma in momenti come questi so che avrei davvero voglia di riciclarmi, avere un'occasione nuova, una città nuova, una vita nuova.
Il piede fa male. Ho un dito fratturato, tutto nero e non ingessabile. Ho una scusa per piangere davanti a tutti, il "dolore", quando in realtà piango per altro e lo so benissimo.
E allora deduco che mi manca il coraggio: il coraggio di cambiare, di svoltare, di dare impulso alla mia vita. Ancora una volta.

Direzione?

Che fare quando il peso delle cose da fare copre fino a schiacciare anche le piccole cose fatte durante la giornata? ...quando ti rendi conto di non aver neanche più voglia di trovar compagnia perché senti che stai buttando via ogni singolo minuto della tua vita? ...solo perché, dovendo rendere conto a qualcuno di ciò che faccio (o sentendomi di doverlo fare), mi sento sempre inadeguato e pronto a deludere chi mi ha dato fiducia, come già successo tante volte...
Questi ed altri pensieri inondavano la mie mente nei giorni precedenti un weekend in cui sentivo il peso di una solitudine cercata anche contro una spinta interiore, mosso da un assurdo quanto forte ed incontrollabile spirito di libertà; quella libertà che, nei primi di gennaio di tre anni fa, mi ha portato da solo in cima allo Snjerak, ad una temperatura percepita probabilmente inferiore ai -30°, ammirando quello spicchio di sole che per pochissimi minuti si è rivelato all'orizzonte, pensando, una delle pochissime volte (e nuovamente in cima ad una montagna), di essere nel posto giusto al momento giusto.


Quant'è difficile sentirsi liberi? E cosa vuol dire? Paradossalmente, quando penso di scappare da tutto e tutti, non penso di andare in chissà quale tempio buddista (oddio... non che sarebbe una brutta cosa...) del Nepal, ma a lavorare in un bar del Tennessee, nelle apparentemente inutili terre cantate dal Country e invase da quella musica. Forse perché la mia libertà la percepisco anche come libertà di non essere nessuno e di credere che la felicità si possa raggiungere; che non sia una ricerca vana ed infinita, ma che stia nell'essere soddisfatti di sé stessi, non dovendo raggiungere chissà quali risultati, ma nell'arrivare a sera e andare a letto con un sorriso, come non mi capita da parecchio tempo ormai.
Forse per questo cerco di trarre giovamento interiore dalla felicità altrui, non invidiando chi sorride compiaciuto per un risultato raggiunto, ma anzi, sentendomi compiaciuto insieme a loro, per riuscire a provare dentro di me, forse in parte egoisticamente, un po' di quella felicità e soddisfazione che in questo periodo della mia vita non sembro riuscire ad avere.
Ieri sera, dopo parecchio tempo, ho fatto il passeggero; ovviamente il guidatore era uno di quei pochissimi amici a cui so di tenere molto senza forse averglielo mai detto; una cosa però curiosa del viaggio di ieri è che, nonostante la méta molto particolare (unica tappa italiana di un particolare quanto probabilmente singolare tour di reunion degli ormai pochi Toto originali rimasti), una delle cose che più mi è rimasta in testa di ieri sono quei minuti passati al buio sul sedile posteriore ad osservare l'alone della luna apparire e scomparire dietro le nuvole; in silenzio. Silenzio forse per la bocca, ma non per le orecchie, gli occhi ed il cuore, eivdentemente impegnati. in quei momenti, a fantasticare sogni di cui non sapevo capacitarmi.

lunedì 18 luglio 2011

Piccole conclusioni quotidiane - Prima parte


Non sono stata molto proficua in questo ultimo periodo, saranno gli impegni e l’agenda brulicante di note per le prossime settimane, che mi hanno tenuta lontana, eppure in ogni istante sento l’insistente esigenza di prendere in mano una penna ed iniziare a scrivere. Già, non sono una persona che ama digitare al computer qualche pensiero sconnesso, modestamente preferisco farlo personalmente e nel modo più intimo che conosca. Tecnologica sì, ma fino ad un certo punto.

Al contrario il qui presente rimane uno strumento assai prezioso per entrare in contatto con le emozioni dei miei compagni (e compagne, senza connotazione politica) di viaggio. È incredibile poter vedere dentro la testa delle persone che, per qualche uomo seduto su un treno, sono solo “alieni”, se non nel senso fisico, perlomeno in quello metaforico. Conosco così i pensieri di Chiara che dice di avere solo mal di testa e capisco il senso delle lacrime di Paola su un treno.
Ebbene oggi verrete a conoscenza delle MIE sensazioni.

Ho pensato diverse cose negli ultimi giorni, a partire dalla felicità, passando per le partenze e finendo, dulcis in fundo (ma mica tanto), con i sensi di colpa odierni.
Prima conclusione: parte solo chi non ha niente per cui restare.
Penso che l’uomo, così come anche la donna, tenda per natura a vagare, come un nomade per queste terre lasciate troppo spesso inesplorate. Questo pensavo leggendo i post della nostra passeggera petulante. Nella mia vita ho sempre voluto partire, ogni azione è stata volta a tal fine: lingue, risparmi, studi, esperienze. E per un certo periodo ce l’ho anche fatta, ma poi si torna a rimirare il recente passato ed a sognare un prossimo ed altrettanto improvviso viaggio. Nella vita si sogna sempre di andare lontano e non solo allegoricamente.
Ci si siede, si attende. Un treno, un aereo, a volte basta anche la semplice macchina, o moto, anche se operativa su tratte definitivamente più brevi. Ma è dopo esser partiti che ci si accorge di non avere argomenti per restare, neppure in quel nuovo luogo di esilio, volontario.

E si trascorre così: una vita in viaggio. Posso affermare con relativa certezza che è proprio vero: si parte quando siamo soli, con noi stessi principalmente. Il viaggio è una ricerca continua, una speranza di poter mettere radici, stavolta più forti e solide. Si passa una vita a sognare di arginarci in qualche secca all’interno del mare smisurato dei nostri anni, che pian piano si fa più prevedibile, più circoscritto. Ed ecco che ci si ferma, incagliati in una sabbia sporca e grigia di un color simil fanghiglia. Alla fine, non importa dove si arriva, ma non si hanno più i mezzi per andare avanti. L’acqua è vita, la vita non è perenne.

Ecco perché viaggiamo, per assicurarci di gettare l'ancora in un bel luogo prima che un, troppo spesso scomodo, destino ci releghi in un terreno spoglio e non nostro. E, al contrario di chi, almeno inizialmente, esorta a rimanere (ma tu che vai ma tu rimani, vedrai la neve se ne andrà domani, rifioriranno le gioie passate col vento caldo di un'altra estate) credo che partire faccia bene: rinvigorisce e dona nuovo spirito ad un corpo stanco di camminare.
Beato chi non sa fermarsi, chi non si accontenta! Fa bene vedere nuove città alla ricerca di una singola sensazione, pensiero, aroma di passione, anche se spesso le zone più inesplorate sono quelle che si estendono sotto ai nostri piedi, ciechi dinanzi ad esse. Ma non sempre l’oro sta nel luogo di partenza, quel che dovremmo fare è semplicemente assicurarsi di aver battuto il terreno prima di proseguire, come in ogni cosa.

E per quanto riguarda gli altri pensieri, temo che dovranno attendere o incorrerei nel rischio di tediarvi.

Cosa farò da grande?

quanti di noi si alzano al mattino e sono veramente contenti del lavoro che fanno? io non credo che siano molti, sarebbe bellissimo poter fare un lavoro di cui siamo appassionati... e io per passione sarei voluta essere una ballerina classica oppure un'archeologa.

Mi torna in mente il periodo alla fine delle scuole medie, quando si doveva decidere quale indirizzo di studi prendere e il mio grande sogno (oltre a quello, che sapevo impossibile, di fare l’astronauta perché ero innamorata degli uomini che andavano sulla luna) era quello di diventare un’archeologa.

Volevo fare il liceo classico e poi all’università studiare antropologia. NO! perché si deve dar retta ai consigli dei genitori, tu sei piccola per avere le idee chiare e la loro decisione di tutt'altro genere vince… bla bla bla e morale della favola mi tocca fare l’Istituto Tecnico Commerciale. Che delusione, io che adoro l’arte antica, la storia antica, già mi vedevo in mezzo a un deserto a pulire delicatamente una mummia, io che non ho voglia di parlare con le persone perché la maggior parte delle volte ci si fraintende mentre con i defunti non c’è questo problema… come diceva spesso mia madre: “bisogna aver paura dei vivi, non dei morti”.

Questa è stata davvero la prima grande delusione, non l'ho proprio digerita perché se ripenso a come sarebbe potuta andare la mia vita prendendo quella strada ho ancora una certa rabbia, ma indietro non si può tornare.

Sarà per questo che sono affascinata dai documentari di storia, ho scaffali pieni di libri sulle antiche civiltà e mi capita anche di fantasticarci su; e quante volte mi sono chiesta: "ma perché quel personaggio, proprio quello, è riuscito in quell’impresa e resterà per sempre nella storia? Perché proprio lui e non un altro? Fortuna? Intuito e bravura?” e perché poi invece un’infinità di persone conducono una vita semplice, mediocre, nascono e muoiono senza che nessuno se ne accorga?

Un mistero per me. Ora che ci penso, nel mio solito traffico di pensieri, è tanto tempo, troppo, che non leggo un libro. Ci ho provato, ma è come leggere un libro dalle pagine bianche, non riesco a memorizzare nulla, la concentrazione è svanita, lo so che niente sarà più come prima ma perché è così doloroso? in ogni azione quotidiana mi rendo conto che un dolore ti può spezzare il cuore e ti cambia la visione di tutto il resto. Apatica, pasticciona e disordinata, questo sono diventata e non mi importa niente di che ora è, che giorno è... è tutto così uguale e poco importante; a volte la sensazione è quella di attendere che succeda qualcosa, niente di che, ma qualcosa di inaspettato, di carino che strappi un sorriso e un momento rilassato. Ma a chi può interessare come mi sento io? a volte non interessa neanche a me stessa.

La cosa che mi fa più male di tutte è il dover evitare di pensare a lei perché ogni pensiero, ogni ricordo, sono talmente dolorosi che bruciano come lo spirito su una ferita aperta... e so per certo che questa ferita rimarrà aperta, invece io vorrei pensarci ogni minuto perché ho paura che prima o poi i ricordi possano sbiadirsi e questo sarebbe irrimediabile. Non ci sono state più cene tutti insieme, ormai ognuno va e viene solo per l'esigenza di mangiare, prima no, lei era il fulcro della famiglia, lei che ti accoglieva col suo sguardo indulgente e sempre dolce e io non ho saputo apprezzarla fino in fondo, quante volte le ho detto che era petulante solo perché si preoccupava per me? troppe! ed allora è giusto che io soffra pensando a lei e non riuscendo più a ricordare la sua voce, che sensazione terribile.

Perché ogni mio intervento finisce così? perché probabilmente questo è il mio lungo lungo lungo viaggio? Devo farcela, mi ripeto continuamente, smetti di piangere e vai avanti perché la vita è bella... anche se a volte è ingiusta.

Auto Review: Mini Coupè

Quella in oggetto è una vettura che sto seguendo da diverso tempo, un paio d’anni or sono ricordo di aver pubblicato alcuni schizzi relativi al progetto su OGTC tratti da infomotori; tale indiscrezione prende oggi forma (sebbene con leggere modifiche rispetto al progetto “trafugato” dal web).

Dopo il successo commerciale del restyling di casa Mini-BMW, oltre alle celebri alternative rielaborate in chiave moderna come ad esempio Van e SUV, questa nuova proposta dal carattere sportivo sembra rivoluzionare per l’ennesima volta la mitica compatta by J.Cooper.

Il Design

Rispetto alle precedenti, Coupè tende ad allargare il suo profilo perdendo inoltre alcuni cm in altezza, il risultato minuto e bombato la rende appetibile ad un pubblico più vasto, dando origine ad una vettura sportiva dalla compattezza unica.

Le varie colorazioni brillanti, oltre alle innumerevoli personalizzazioni sono un vero e proprio “cult” a cui il marchio ci ha oramai abituati, è facile dunque congetturare che anche Coupè avrà la sua gamma di gradite alternative.

“Tutto ciò si riflette in un'auto dall'intenso gokart-feeling che non manca di emozionare tutti coloro amino il divertimento alla guida.” (infomotori.com)

Il Design – Occhio allo spoiler!

Prendendo spunto da tendenze generalmente applicate su sportive di grossa cilindrata (Porsche in primis), Mini-C implementa il classico spoiler a comparsa che ottimizza il flusso d’aria, questo farà capolino automaticamente quando la vettura supererà gli 80 Km\h.

Interni & abitabilità

Anche dalla prospettiva dell’abitacolo Mini-C non tradisce le aspettative, non dimenticando che le precedenti versioni sono rinomate per l’estrema cura del dettaglio.

Ricco di cromature adornate da una maniacale fusione delle scocche colorate, l’abitacolo di Mini-C stupisce per i minuziosi dettagli di cui è caratterizzato.

Gli interni adottano inoltre un’impostazione decisamente più sportiva rispetto alle precedenti, mantenendo inalterato lo stile e l’eleganza.

Per quanto riguarda l’abitabilità non posso dirvi molto, ad una prima occhiata l’abitacolo (stando agli ingombri ufficiali) sembra leggermente più spazioso in larghezza, il fattore “due posti” lascerà più spazio ai passeggeri.

Il bagagliaio offrirà una capienza generosa, se confrontato con la ver. standard.

Motore & prestazioni

Parlando di Mini, immagino che le motorizzazioni e le versioni disponibili in futuro spazieranno su di un’ampia gamma, attualmente:

“ […] i potenti propulsori benzina e diesel consistono nel 211 CV della Mini John Cooper Works Coupè, nel 184 CV della Cooper S Coupè, nel 122 CV della Cooper Coupè, ed infine nel 143 CV della Cooper SD Coupè. Il cambio è manuale a sei rapporti, ma per Cooper S Coupè, Cooper Coupè e Cooper SD Coupè si può avere come optional anche un automatico a sei rapporti. […]”

Stando ai dati ufficiali, Mini-C raggiungerà una velocità massima di 240 km/h, con la versione più prestante J.Cooper Works da 211 puledri.

Considerando l’aerodinamica decisamente produttiva delle versioni precedenti, l’effetto Kart (come suggerito da infomotori) non potrà che essere amplificato da un profilo più basso ed esteso in larghezza.

Il listino del mezzo parte da € 23.400 della Cooper sino alla soglia di € 33.150 necessari per aggiudicarsi una J.C.Works.

Per ulteriori informazioni su listini e modelli attualmente disponibili, consultare il seguente link:

http://listino.infomotori.com/mini/mini-3porte-coupe-2011

Il parere del redattore:

Devo ammettere che questo modello mi ha particolarmente colpito sin dai suoi remoti ed “improbabili” schizzi su carta, pensare inoltre ad una futura versione roadster rende l’attesa non poco appetibile. La cura delle linee e degli interni sono stupefacenti, ma la vera innovazione consiste a mio avviso, nell’aver concepito una supercar in soli 373 cm di lunghezza con 280 litri di bagagliaio.

Mini-C possiede senza dubbio un carattere brillante, ed un portamento che ben sa come catturare l’attenzione di chi la osserva, oltre ad un fattore sportivo incredibilmente amplificato dal pianale ribassato.

Quello che incide negativamente è rappresentato dal fattore economico, con questo non voglio svalorizzare in alcun modo quello che è un discreto rapporto qualitativo del prodotto, ma proporre alcune alternative concorrenziali che potrebbero in qualche modo deviare potenziali acquirenti, ad esempio:

il listino del Coupè base (122CV) parte da 23.400 EURO, con 18.000 EURO ca. si può optare per una 500 Abarth da 135 CV, il TOP della gamma (e di medesima categoria commerciale) non considerando la “folle” serie limitata “Tributo Ferrari”.

Se si analizza invece il caposaldo della Mini-C da 211 CV, un amatore di vetture sportive con tale disponibilità, potrebbe optare per molteplici alternative (anche di categoria superiore) offerte dal mercato.

Resta comunque da dire, che Mini-C è un’auto che sa farsi amare, e come è noto:

“all’amor non si comanda!”.

Che ne pensate?

The break of dawn

Alba. Nave delle 5:10. Il nostro fine settimana all'Elba è finito. Sonno, tanto. Ma alle 4:54 di stamani mi appare davanti Aethalia. Nave della Toremar, molto bella. Con lei abbiamo diviso tutti o quasi i viaggi all'Elba. Eccolo, il mio pensatoio preferito.
Il sole non è ancora sorto, ma salgo sulla murata di dritta e....sopra cavo ecco i primi riflessi dell'Alba. E che alba. A quest'ora tutto tace. Tranne il sincopato e regolare rombo del motore diesel della nave. I peschereccini rientrano e il rosso, l'arancione, e il giallo vogliono fare capolino dietro Punta dei Ripalti, dietro il faro di Palmaiola che ancora lampeggia, quasi ad indicare romanticamente una via che radar, GPS e altre novità tecnologiche tracciano con asettica precisione.
C'è pace, quando Aethalia si lascia alla sinistra la fortezza medicea di Portoferraio. C'è pace a bordo, quasi tutti dormono. C'è pace fuori, quando le luci delle lampare a poco a poco si affievoliscono e rientrano. C'è pace in questo tratto di mare, adesso calmissimo. Mentre un giorno si schiude e sale alla ribalta, come un segno di rinascita imprescindibile.
Guardo avanti e mi accorgo che sto lottando. Sto lottando con la mia voglia di essere maturo, ma al contempo di essere anche giovane. Sto lottando con qualcosa che fa piangere sul serio, ovvero il rendermi conto che forse dovevo muovermi prima ed accettare la realtà.
Non so più che pesci prendere. Ma Aethalia mi indica la via, in questo giorno. C'è la via del parcheggio dell'Avis. Il riprendere la macchina e il fare 120km verso casa.
Ma quello che penso io non conta adesso. Conta il fatto che Aethalia va, imperterrita, veloce, forse segna una ripartenza.
Ma la realtà è diversa. Il viaggio dura troppo poco, come sempre, per farmi partorire un pensiero giusto, una reazione giusta per rinascere.
In macchina, serie di canzoni dolorose.
C'è un dolore che non se ne va contrapposto alla voglia di separarsene. C'è qualcosa, sempre.
La strada è ancora lunga. Lunga. Lunga. E non so se ce la faccio ad arrivare in fondo, stavolta.

L' afa va via...


A19 Palermo-Catania, direzione Catania ed Acireale. Appuntamento allo svincolo, tutti e tre modalità cerimonia, e una persona ci chiede "matrimonio?", noi sorridiamo ed evitiamo di raccontare il motivo per il quale alle 18,00 ci troviamo imbellettati pronti a fare 180 km all'andata e 180 (forse di più) al ritorno...
Stavolta ritorno passeggera, addirittura vado sul sedile posteriore, ma non mi lamento, non ho molta voglia di osservare oggi, nè di parlare, quindi va benissimo. L'autostrada inizia a scorrere, e ci ritroviamo nelle campagne ennesi dopo poco. La guida di Benny è sicura, non va troppo veloce, non esagera nei sorpassi, ha solo il brutto vizio di camminare a sinistra anche se non deve superare, ma del resto l'autostrada in quei tratti è deserta. Parlicchiamo un pò tutto, qualche battuta e qualche ricordo di Distrettuali, ma io guardo fuori, e quell'infinito niente, che vedo attorno a me, mi stringe il cuore e mi fa diventare gli occhi lucidi. Sono persa tra quelle colline aride e secche, sono Io, ogni tanto una casetta o qualche chiazza verde ma per il resto è tutto vuoto. Intanto la radio suona qualche canzonetta, e preferisco iniziare a cantare. Poi Benny propone Ennio Morricone, e quelle strade se è possibile diventano ancora più struggenti, non vedo l'ora di uscire da questa autostrada ed arrivati a gelso bianco quando ci mancheranno circa 30 Km chiedo a Benny di accellerare, la risposta di Totò è, chiaramente, " tu hai sempre premura". Il Navigatore ci inizia a guidare per una frazione di Acireale, e quasi senza intoppi arriviamo alla meta. La cerimonia lunghissima, 2h30, riesce ad interessarmi di nuovo, vedo volti di amici sorridenti per il lavoro svolto, ed altri propositivi per quello che andranno a fare. Ed ecco che il Leo ritorna ad emozionarmi, a perdermi in quei discorsi, in quelle emozioni, che sento di aver vissuto, e mi ritrovo a sorridere finalmente!
All'una di notte ci mettiamo in macchina per tornare indietro, io mi addormento al casello autostradale, non dormo mai in macchina la notte, anzi tendo a parlare e a tenere sveglio il guidatore, ma non voglio rischiare di perdermi in quei pensieri angosciosi, voglio godermi il momento di serenità che questa serata mi ha dato. Mi risveglio in un'autogrill qualche km dopo e sento che c'è qualcosa che non va, ma non capisco cosa, ripartiamo e 10 km dopo un urlo... Abbiamo sbagliato direzione... A questo punto le scene diventano tragicomiche, svoltiamo per strade stali chiuse, Benny, ormai fuma una sigaretta dietro l'altra, ci siamo praticamente persi... A quel punto mi sveglio e faccio ritornare la "tom tom" che c'è in me. Totò continua a dire "ma io l'uscita non l'ho vista", in tutto questo sono le 2,30 di notte e noi dobbiamo ancora fare 150 Km!!!
Riusciamo a rientrare in autostrada, e dopo questi 60 Km in più ci sentiamo sollevati! Forse bisogna perdersi per ritrovarsi come dicono in molti. Io dal canto mio non ho idea, come oggi non ho idea di molte cose. Del resto ogni persona è un soggetto a sè, non c'è una regola od un codice comportamentario, io sono dell'idea che se una cosa la si vuole la si deve prendere, che pensare e non agire è da codardi, ma quante volte io ho agito invece che pensato? Poche forse, alcune scelte mi sono state imposte, in altre mi ci sono deliberatamente persa. Arrivo a casa ed il sonno è passato, arriva dopo una 30ina di minuti per essere turbato dagli operai fuori casa mia qualche ora dopo, forse meglio restare svegli e fare qualcosa in questa splendida giornata di Luglio dove l'afa sembra sparita... E che non sia sparito anche altro dentro di me?

Crederci e arrivare

SS1, Variante Aurelia, 235km/h. Sì, avete capito bene. 235km/h, il motore urla, quasi disperato, oltre 6000giri, il consumo medio si aggira sui 5km/l, quasi da Maserati. La piccola Mito percorre la superstrada a velocità pressoché aeronautica. Dopo le modifiche, "mura" a 240km/h, che per una piccola sono parecchini oggettivamente.
Comunque, Silvia accanto a me guarda il panorama che le scorre velocissimo accanto. Velocissimo per davvero. Silvia è interessantissima, una delle donne più interessanti che conosco. Una che ai suoi obiettivi in fondo ci arriva. Una che ascolta e osserva ma non si fa notare. Una che, se volesse, rigirerebbe gli sbandieratori come me come calzini, ma non lo fa perché è dotata di una rara prerogativa: la morale.
E allora è qui, a subire 235km/h del "principe azzurro (sbiadito) su cavallo rosso Alfa". Ma c'è un motivo. Alle 20:50 abbiamo la nave. Abbiamo fatto 42km di coda, la FI-PI-LI a 100km/h. Dovevamo partire da Colle e invece siamo partiti da Firenze. Ecco, ce la stiamo facendo, forse. Abbiamo l'alternativa pronta, in effetti. Gli altri traghettano la macchina, noi prendiamo un aliscafino dopo. Ma stiamo lottando quando ogni speranza appare perduta, ci affidiamo alla cavalleria della "donna sbagliata", ora con 192 puledri che galoppano. Dynamic dentro, scalata tattica di quinta che imparai al ritorno da Asti (grazie Anna Laura).
Stavamo perdendo la nave. Quella che ci portava in un fine settimana con altri amici. Mi sono generato un'alternativa in caso di intoppi, è vero. Ma ci sto credendo fino in fondo, ci STIAMO credendo fino in fondo ad arrivare. SS1, tratto San Vincenzo-Venturina, 240km/h: la bestia sobbalza un po', giustamente, ma anche lei è ansiosa di arrivare.
Tratto Venturina-Piombino, cartello di lato "limite 50", 200km/h. Inizio a frenare e a tentare di arrivare davvero alla nave.
Parcheggio. Nave. Ce l'abbiamo fatta. Io e Silvia ce l'abbiamo fatta. La Lancia stavolta avrebbe fallito, anche se avrebbe vinto su mille altri fronti.
Ho imparato un'altra lezione: nelle cose dobbiamo crederci fino in fondo. C'ho creduto, ho tirato come un dannato, ho dato tutto me stesso, ma alla fine ce l'ho fatta.
Così come in amore dovrebbe sempre essere: crederci e lottare fino in fondo. E stavolta non mi sono sdato. Ho fatto la cosa che so fare meglio: guidare. Correre per vincere, mettendo dietro tutti ed arrivando alla nave quando tutto sembrava irrimediabilmente perduto. Livorno-Piombino, oltre 200km/h. 185 di media. Pazzi, vero? Silvia mi lancia uno sguardo complice e sorride. Ce l'abbiamo fatta e tutti andiamo al mare, con le nostre speranze di cuori spezzati, ferite sanguinanti, amori ormai svaniti e col carico di tristezza che tentiamo di cacciare.
Mi sento in balia della corrente, di un rollio improvviso, di un'ondata non vista. Questo Silvia, accanto a me, non lo sa. Non lo sa Federico e non lo sa Angela. Non sanno che dentro di me c'è una forza inaspettata che mi fa venire stranissime idee malsane. Guardo la schiuma fatta dall'elica della nave. Lasciamo Piombino. Vado a prua e inizio a ricordare dove ero l'anno scorso a quell'ora. Avevo prenotato un albergo. Già, un albergo sulla Baia Blu, lato Golfo dei Poeti. C'erano bastoni tra le ruote, quello sì. C'era l'invincibilità. Ora ho tanta fragilità, e un silenzio che non riesco a riempire, che urla dentro di me, che nessuna maschera da indistruttibile può fermare. Nessuno può fermare questa lacrima, quando mi concedo il momento introspettivo a prua. Nessuno sa quanto carattere sto dimostrando a reggere tutto questo, a sentirmi dare del fallito quando penso che non lo sia, quando tento di contrastare la mia immaturità, il mio bisogno di conferme che, adesso, nessuno mi dà più, oppure che rifiuto da chi vuole darmelo....
No, devo smettere davvero di piangere. In fondo gli obiettivi si raggiungono, come il traghetto. Oppure, c'è sempre una nave dopo. Ma vale la pena di aver comunque tentato. Vale sempre la pena. Stavolta sono arrivato in fondo. Per primo. Velocissimo ma non inconcludente.

domenica 17 luglio 2011

Domenica al mare

stamattina, dopo una notte stranamente di sonno, io che ormai convivo con l'insonnia da qualche mese, raggiungo in treno mia cugina al mare. Alla stazione scopro che è in piedi una diatriba su quale sia il binario giusto, ogni persona da una versione diversa e addirittura un ferroviere ci comunica che la domenica quel treno è soppresso ma per fortuna non è cosi. Trovo un posto a sedere su un treno che è straripante di gente e in attesa della partenza guardo fuori e... un groppo sale in gola quando vedo una madre abbracciare la figlia arrivata in stazione, scendono le lacrime che provo goffamente a nascondere con gli occhiali scuri, il signore di fronte a me mi osserva come se fossi un'aliena, e forse lo sono.
Tornano in mente ricordi che fanno male, quando papà veniva a prendermi alla stazione, 40 km. dal minuscolo paese dove abbiamo la casetta, quella che era dei nonni, lei solitamente restava a casa a preparare qualcosa di buono da mangiare e io le dicevo sempre: "mamma, vieni anche tu a prendermi alla stazione, non ti preoccupare di preparare il pranzo" e le ultime volte, dandomi ascolto, veniva anche lei ed ero così felice ma non so neanche perché quel semplice gesto mi faceva tanto piacere, adoravo abbracciarla sorridente alla stazione, e la beffa della vita è che non ho avuto la possibilità di abbracciarla un'ultima volta...
Oggi ero seduta accanto ad un signore che aveva un libretto con gli orari dei treni e tutto il tempo controllava l'esattezza dell'orario al passaggio delle stazioni e questo mi ha fatto sorridere per un attimo, il mio cuore non si placava e le lacrime neanche e non vedevo l'ora di arrivare perché stare con mia cugina mi fa star bene e sono riuscita a sciogliere il mio groviglio di emozioni salito in gola soltanto 10 minuti prima di arrivare ed ho pensato che tanto mia cugina non mi dice nulla se mi vede con gli occhi gonfi.
Arrivata alla stazione una marea di gente si butta ad attraversare il binario nell'unico modo che non si dovrebbe fare, mi chiedo se sono in India e ordinatamente mi avvio al sottopassaggio, io che seguo sempre le regole e quando incrocio lo sguardo di mia cugina ci facciamo una grassa risata per quello che abbiamo visto: ecco qua è già terapeutica!
Nel tragitto prima di arrivare in spiaggia si fa colazione poi si passa al cimitero da zio e a prendere la frutta e la pizza bianca che ci piace tanto; con mia cugina si parla di tutto, dai libri da leggere alla nostra infanzia e alla fine mi sento libera di parlarle di come sto dentro e so che lei mi può capire. La giornata passa poi in ottima compagnia, per fortuna, sorrido e sto bene, riesco a dormire sul lettino e a rilassarmi e nei silenzi il traffico dei miei pensieri torna inesorabilmente... mi rendo conto che ho smesso di sognare, io che ho sempre sognato tanto, anche ad occhi aperti... ora gli unici sogni che raramente faccio hanno sempre un finale da incubo.
Vorrei un po' di felicità, solo un po'. Vorrei un biglietto aereo per andare lontano. Vorrei una persona accanto con cui condividere tutto. Vorrei non dover mettere la maschera ogni giorno e sembrare una persona diversa. Vorrei poterle parlare un'ultima volta, vorrei che mi leggesse nel mio cuore. Vorrei poter riuscire ad aprire i suoi cassetti, il suo armadio, poter riuscire a toccare qualcosa di suo. Vorrei non piangere ma è una debolezza a cui non mi oppongo.
Si torna a casa al tramonto, uno spettacolo stupendo che si ripete da sempre ed ogni giorno è diverso. Si torna a chiacchierare con mia cugina degli argomenti più diversi, mentre ascoltiamo musica degli anni '80, '90, di oggi... ad ogni canzone associamo un ricordo e infine sorridiamo, cantando a squarciagola una canzone di Raffaella Carrà...

Alla fine quel che conta è la qualità del tempo che si trascorre con le persone più care...
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