lunedì 31 ottobre 2011

Rientri tra testarde speranze

SS14 Triestina, 110km/h, ore 2.07 (con l'ora solare ristabilita da 7 minuti, quindi come se fossero le 3.07); rientro da una serata Leo piacevole, tra buon cibo, buona musica, labari che continuano a sparire (stavolta in grande stile) e ottimi amici ...ma, al di fuori di lì, ancora attese.

Attese che sembro testardamente a continuare a cercarmi da solo, guidato sempre da quell'idea, che non voglio chiamare in altri modi (anche per paura di farlo), irrazionale ed un po' folle; pazza e curiosa idea che continua ad inseguirmi nonostante tutto, pur essendo ormai conscio della probabilità di trovare altri muri per strada, anche se forse oramai procedo in modo più guardingo e spero di riuscire ad attutire eventuali altre botte.

Attese autoinflitte, come un pugnale piantato, che finché sta fermo non fa male ma che, ad ogni movimento, mi ricorda che è lì e che prima o poi, in un modo o in un altro, dovrò riuscire a togliere; idealmente con l'aiuto di un medico che rimargini la ferita piuttosto che da solo, lasciando una ferita aperta che cicatrizzerebbe male e non a breve; ma in fondo sono solo, sempre, e ancora, sogni.

Attese dovute a speranze un po' dolorosamente rinate; speranze testarde ed incomplete. Sogni che vanno e vengono a metà tra il possibile e l'impossibile, ancora legati al desiderio di vedere quel sedile da passeggero occupato, di fare da autista ad un passeggero che è al di là del muro che non riesco ad abbattere; quel muro che continuo a non capire se ho costruito io o meno.

E intanto continuo a rientrare lungo strade dritte e buie a notte fonda, solo con i miei sogni e le mie testarde speranze.

giovedì 27 ottobre 2011

Prove Speciali


Salita di Montemiccioli, 140km/h di quarta marcia. L'Eroica, col nuovo assetto, con la quindicina di cavalli ulteriormente aggiunti, pare non sentire le sconnessioni dell'asfalto che ci sono, pare non sentire niente, nemmeno la salita che ripida si inerpica su per questa collina.
Si appoggia negli interni delle chicane e sale su, sempre più forte, con qualche seghettamento sullo sterzo di troppo.
Mi butto in picchiata, la macchina decide di colpo di intraversarsi e lo fa, in effetti. Ma lo fa in modo leggero, riprendibile, e la colpa è del maledetto autobloccante che interviene troppo tardi, quando il pilota bravo ci ha già messo del suo raddrizzandola come si deve, come da corso di pilotaggio.
Si appoggia di nuovo all'esterno, come una donna che ti implora di continuare a sbatterla, e dà tutto in uscita di curva.
Ora sul rettilineo successivo, di 1,5km, siamo quasi a 200km/h e i cartelli "limite di 50". Mi sento di nuovo pilota.
Sembra quasi che mi stia chiedendo di esagerare, sempre più. E le mani avvolgono, saldamente alle 9:15, il volante di pelle come se fossi in Prova Speciale, mentre il piede destro scarica tutta la pressione sul pedale del freno, affidando all'impianto frenante tutta la maestria di rallentare un mezzo che sta percorrendo in due secondi la distanza di un campo di calcio. Ozzy Osbourne schitarra a cattivo verso il saltino di Castel San Gimignano.
La rossa lo sa che deve stare inchiodata lì. I led delle turbine rimappate sono lì che soffiano, corposi e paciosi, tutti belli pieni di quel rosso che fa tanto auto da corsa.
La macchia si alza, sbanda dritta verso la zanella. L'acceleratore sta giù e l'autobloccante sbadiglia, come sempre, e si sveglia tardi, tagliando la trazione quando non serve, quando le PzeroCorsa, efficientissime, ultraperformanti, trasmettono sull'asfalto il moto cattivo delle ruote, dei cavalli che vogliono galoppare.
A cosa serve tutto questo? Semplicemente, per un attimo, a sentirsi vivi. E realizzati.
Stupido? Non direi. Semplicemente, pilota.

Sogni smarriti lungo strade piovose

A27, 120 km/h, pioggia forte tra una galleria e l'altra; le Continental TS830 M+S appena rimontate compiono egregiamente il loro lavoro, alzando un nuvolone di acqua alle mie spalle, annebbiando un po' la vista a chi mi segue, così come nella vita do sempre un'immagine incompleta e sfuocata di chi io sia veramente; mi accompagnano, come sempre ultimamente, i passeggeri che non ho e le risposte che non ho, in questo solitario viaggio di ritorno alla realtà.


Tengo le mani saldamente sul volante per non farmi tradire dalle numerose pozze d'acqua sul manto stradale e dalle sporadiche raffiche di vento (oggi non prepotenti come altre volte) sugli alti viadotti la cui vista sul suolo sottostante è saggiamente coperta da alte barriere; la vita, in fondo, vale la pena viverla, anche da depressi; e mi rendo conto di quanto, in quei momenti, io abbia la mia vita, così come quella degli altri, nelle mie mani; una pistola carica a quattro ruote, pronta a sparare, con cui ogni tanto giochiamo ad un'ovattata ed indorata roulette russa per scaricare i nostri problemi nell'adrenalina del momento.

Mi lascio alle spalle (per il minor tempo possibile) il mio rifugio e mi rituffo, a mala voglia, nella vita e nelle delusioni di tutti i giorni, sempre ostentando un orientamento geografico che nulla ha a che vedere con l'ormai cronico disorientamento personale, figlio dei troppi obbiettivi mai raggiunti e di troppe mancate sorprese. Sempre in attesa di qualcosa che non accade e che sembro non aver più voglia di far accadere, non sapendo più da chi dipenda cosa; conto le ore e le giornate che mancano a qualsiasi cosa, pur di guardare avanti e di avere dei finti obbiettivi, visto che per quelli veri non riesco a porre neppure le basi per raggiungerli.

Forse continuo a scappare sempre e solo dalle mie responsabilità.

Sereno lontano ma visibile

Autostrada A12, 150km/h. La storia qualcuno la sa. Altri no, ma va bene lo stesso. Ci sono giorni in cui non riesco a smettere di pensare a domenica e mentre guido riesco a immaginare la mia immagine al volante, come fosse stata riflessa su uno specchio posto sul sedile di destra. La mia immagine sorridente mentre guido, mentre la strada scorre velocissima, le luci di Carrara svettano sulle Apuane e mi fanno pensare di nuovo ad un territorio inesplorato.
Sono stati giorni particolarissimi questi. Giorni in cui ho pressoché totalmente smesso di pensare al passato sinora così presente e pressante.
Ho pensato che un futuro esisteva, quando la macchina riprendeva, 2 giorni dopo, la via di casa e la prima goccia di pioggia si apriva a ventaglio, come fosse stata un fioricino sul parabrezza. Il vento la faceva dissolvere, salire verso l'alto, mentre percorrevo la SS2, a 100km/h.
Seven Nation Army accompagna l'Eroica verso la Valdelsa, nell'appoggio quasi sovrasterzante sotto Monteriggioni, pieno di forza, di voglia di correre a casa, di mettersi sotto le coperte sorridendo.
La superstrada non ho più voglia di farla.
Quando torno dal Tribunale di Siena spero sempre sia interrotta per passare dalla storica, panoramica Cassia.
Questo avviene perché adesso ho voglia di vivere col cuore e non più col cervello. Sì, vivere col cuore, finché la razionalità non interverà come un ESP a raddrizzarmi quando vado fuori strada.
Sembra quasi che le rivoluzioni arrivino quando meno te lo aspetti. Arrivano in una domenica in cui dovevi stare a casa. E sorprendentemente rimangono, e quantomeno ti lasciano un sapore buono, di futuro, e ti rendono, fortunatamente, consapevole dell'esistenza del famoso "dopo" che più e più volte avevo percepito ma mai come adesso. Un "dopo" in cui non si sente più silenzio. Un "dopo" in cui la vita sorride e che grazie agli amici, quelli che ci sono sempre, e che ti dispensano dalle incombenze quanto mai tristi, che guardare indietro ti impone.
Sono rivoluzioni che ti dispensano dal ricercare un passato che non verrà, o che, se tornerà, ne diverrà una fotocopia sbiadita solo per esclusiva mia responsabilità.
C'è aria di futuro, di obiettivi impensati, adesso. C'è la consapevolezza, in quest'ufficio, in questo motore, in questo abitacolo di meritare, forse, un navigatore come si deve.
Inizio a comprendere ciò che voglio e spero solo che questa serenità non sia dovuta ad uno stato variabile o ad un umore altalenante. Ma questa volta no. Sembra una serenità permanente. E' bastato parlarne. E dividere una strada insieme. Ora, sono libero e mi sento tale.
E non ho più voglia di sparare nel mucchio.
E non ho più voglia di esistere. Ma, banalmente, di vivere.
Sembra quasi che il tunnel si a giunto al termine, che conosca, adesso, la direzione, che sappia cosa dire e cosa fare. Ora sono pervaso dalla paura di rimettersi in gioco che è intrinseca nella mia natura, nella costante ricerca di conferme e, perché no, tento di combatterla e, forse sconfiggerla.
Sono pervaso dalla diffidenza tipica di chi, quelle conferme, le cerca sempre, di chi ha costruito un palazzo splendido su un terreno che regge poco ma non lo sapeva, e ora si ritrova a volere e chiedere un terreno solido ma col panorama stupendo, per riprendere mattone per mattone a costruire quel palazzo e a migliorarlo.
Spero che tutto questo duri, che la via che sto percorrendo in modo imperterrito dia i frutti sperati. Non ho fretta, stavolta. Non ho paura di sbagliare, stavolta.

martedì 25 ottobre 2011

Le domande di un autista solitario tra i suoi monti

Solo, nel mio eremo montano, in compagnia di una buona grappa dopo due giorni con altrettanti cari amici; nel pomeriggio iniziavo a sentire una sensazione di relax che da tempo non mi pervadeva; di certo la notte tranquilla, la cena impegnativa della sera prima e la buona compagnia hanno aiutato a sedare la confusione che monopolizzava la mia mente.

Bastano però poche ore di solitudine per tornare ai vecchi pensieri; forse la distanza non è abbastanza, questi 170km di strada che, tra gallerie nuove e nuove varianti, diventa sempre più dritta e veloce; forse non ho il coraggio di pulire veramente la testa perché in fondo ci credo ancora ...perché la mia vita è così piena di forse e di domande non risposte? Me le faccio solo io queste domande? O sono l'unico a pretendere delle risposte, qualunque esse siano?

Intanto rabbocco il bicchierino con la grappa, che oltre a scaldare il corpo (visto il periodo ci sono solo io nell'intero condominio - e qui è quasi inverno!) aiuta i pensieri confusi a prendere forma; in altri tempi avrei preso la macchina e sarei andato in cerca di un posto solitario e tranquillo, nel buio della notte (solitamente Passo Cibiana), ad ascoltare il lieve rumore del tempo che passa, fatto di fronde agitate dal vento e torrenti lontani, nel freddo (relativamente) pungente della prima neve, non distante da dove proprio ieri ho visto cervi e caprioli, discreti padroni del silenzio di questi boschi.

Per un attimo accarezzo l'idea di chiedere a qualcun altro cosa ci sia dietro al muro che da un paio di settimane mi accompagna, poi penso che forse è il caso di aspettare ancora. Provo allora a cercare un po' di conforto chiacchierando con chi ha dimostrato affinità di pensiero precedentemente ignote ...ed in tutto ciò trovo ancora un gran disorientamento; mi vedo incapace di seguire una direzione, probabilmente per la paura di trovare altri muri. E di sbatterci nuovamente contro.

lunedì 24 ottobre 2011

The journey is long and I feel (not) so bad

Autostrada A12, tratto costiero, 140km/h. L'autostrada, a quest'ora di domenica sera, è trafficatissima. Le macchine, con il loro sfanalìo lungo, ricordano che domani si lavora.
La Mito ha smesso di camminare sui tacchi a spillo, così scomodi, per mettersi degli stupendi stivali bassi, con un'impronta a terra favolosa. Sembra quasi una giornata perfetta. Un pomeriggio da spendere in due senza pensieri, con l'obiettivo di eliminare con la semplicità che ci contraddistingue (ma mai ostentata da entrambi).
E così nasce, cresce, si evolve, un pomeriggio in cui il sole splende, stranamente a fine ottobre, il mare è calmo anche se fa freddino, le barchette da lontano rientrano alle 17 nel porticciolo nascosto, così lontano da casa, così distante dai pensieri, e, per qualche ora, i cupi pensieri, le risposte non ricevute, i pianti che per mesi abbiamo fatto, sembrano un ricordo lontano di cui fare solo tesoro.
In lontananza, i residui di un temporale lontano sullaInserisci link Corsica (almeno credo), contrastano con i bassi raggi dell'ultimo sole che si infrangono, a quest'epoca pressoché innocui e non cattivi come d'estate, sulle rocce della costa ovest dell'isola di Palmaria.
Sguardi, risate, occhi azzurri, arancione dello spritz e il grigio scuro delle mie ruote nuove, così ostentate e poco sobrie.
Al ritorno gli Zero7 cantano "Destiny" e la strada è ancora lunga. A fine viaggio, il parziale segnava 211 km solo nel viaggio di ritorno.
C'è un'evoluzione dentro di noi, così uguali, così diversi, così feriti alla stessa maniera. C'è un'evoluzione del modo di pensare, di vedersi reciprocamente, dell'amicizia che diventa forte e vicina, dei cuori infranti che tra una risata e l'altra alla fine recepiscono la propria terapia del dolore.
C'è un nastro d'asfalto, una strada veloce, un pilota attento e una macchina ultraperformante.
Alzo gli occhi al cielo, prima della Bretella dietro Lucca ci sono cartelli che indicano, verso sud, una città ben conosciuta distante, da qui, 220km. Città ben conosciuta, ecco. A sud c'è anche Roma. Molto a sud, in questo mondo che non vuol saperne di morire, in quest'Italia che non vuole smettere di sognare, c'è qualcosa.
C'è qualcosa che ancora dentro di me prepotentemente irrompe nel viaggio solitario del ritorno, nell'ultima tappa senza qualcuno su cui sfogare l'eccessivo quantitativo di parole dietro cui si trincera la mia insicurezza, la ricerca costante di conferme e risposte.
Qualcuno l'ha capito. Qualcun altro no.
Dietro quella costante paura di rimanere solo nel deserto c'è una persona che spera ancora di arrivare in fondo, di vincere, di sorridere senza pensieri. C'è una pace di una inaspettatamente piacevole domenica. Una pace che ho avuto paura a confessare, un attimo di brivido che ho voluto occultare perché dico a me stesso che "...la strada è una...".
Ci sono risposte che non ho, come il nostro Costante ma Improduttivo, risposte che uno cerca ma non trova.
Come due persone sulla scogliera che, ormai distanti, si dicono "Se mi ami, buttati. Se mi ami, spingimi", e nessuno fa niente.
Conosco vie tracciate troppo facili, in effetti. Sono una persona che intende rinnovarsi, vivere di nuovo, ridere ancora. Ma non voglio farlo da solo. La felicità non esiste se non condivisa.
La felicità è lontana, adesso. Ma arriverà.

Le risposte che non ho

Cos'è che ci porta inevitabilmente ad andare a sbattere contro dei muri?

Inesperienza, istinti incontrollati... Magari con il tempo si può imparare a riconoscerli (così mi dice una cara amica - e ora come non mai voglio fidarmi dei miei amici), a curvare prima di andarci a sbattere o a frenare e attutire il colpo; di certo non come me che ci sono andato a sbattere di muso in piena velocità.


Imparare, imparare... come si fa ad imparare quando, ad un'immagine esterna che do di me fredda e controllata, corrisponde una volontà interiore altamente istintiva e libera, prigioniera del corpo stesso di cui fa parte. Lotta per venire fuori e farmi fare cose che non credevo possibili; pazzie... forse.

...e poi restano i dubbi! Era veramente un muro? C'erano una porta o una finestra che non ho visto e ho solo sbagliato a centrare l'obiettivo? Le certezze, per quanto crude siano, restano e vanno accettate; ma le domande senza risposta restano lì sospese in aria, senza un si, senza un no, senza neanche un forse, e la paura (perché la mia più grande certezza sembrano sempre essere le mie paure) è quella di tornare in futuro a sbattere la testa sullo stesso muro cercando una risposta.

A nulla quindi sembra servire, isolarsi nel mio eremo di tranquillità a cercare una pace che richiede dare una risposta a domande a cui doveva rispondere un'altra persona. A nulla serve chiedere le risposte a mille altre persone amiche che danno mille risposte diverse e che non placano, se non temporaneamente, l'agitazione per quelle risposte originali mai arrivate. Non serve la prima neve a Passo Cibiana affrontata con gli pneumatici invernali previdentemente montati, non serve una magnifica cena in una rusticissima trattoria della val zoldana... il pensiero la mattina dopo torna a quel muro e poi alla baita sullo Snjerak ed al vento del Sarek come possibile medicina.

Forse ora serve tornare a vivere come ho fatto a Settembre? O forse pensare ai cambiamenti che devo fare? A queste domande posso provare a rispondere io, ma credo che le risposte che non ho, come i passeggeri che non ho, continueranno a rimanermi a fianco, finché qualcosa non cambierà veramente.

giovedì 20 ottobre 2011

Risposte perse nel vento dei pensieri

Perdo le risposte e perdo le speranze... ciò che resta è quest'inquietudine che non vuole saperne di lasciarmi andare, di lasciarmi tranquillo, di lasciarmi vivere come stavo riuscendo, forse, a fare ultimamente. Neppure il vento forte di oggi riusciva a pulire la mente dai pensieri opprimenti di delusione ed insoddisfazione per un'anelata felicità mai raggiunta e sempre un passo oltre il visibile, come gli interminati spazi al di là della siepe del noto poeta di Recanati.

Perdo la voglia di cambiare, di credere che qualcosa possa veramente cambiare e soprattutto che io sia capace di cambiare veramente. Dov'è il vento dello Snjerak che portava veramente via qualsiasi pensiero? Quel vento che portava via la neve leggera dai laghi ghiacciati attorno a Kvikkjokk lasciando libera la poca luce dell'inverno lappone di creare riflessi a cui le foto non rendono giustizia; il vento che puliva giacca, rocce e cervello. Forse avrebbe pulito anche il cuore? Questo oggi non lo so. So però che avrei voglia di tornarci e di rimanere di nuovo da solo in silenzio nella baita sotto la cima ad ascoltare quel vento fischiare, gemere e lamentarsi dolcemente, protetto da quattro solide pareti di tronchi e dalla neve alta appena fuori.

Troppi pensieri mi intasano il normale flusso mentale mandando in overflow qualsiasi cosa cerchi di aggiungersi e disturbando tutto il resto, impedendomi di pensare razionalmente e con la calma adeguata a qualsiasi cosa abbia il diritto di essere pensata. Continuo a passare il tempo aspettando che accadano cose che da sole non accadranno mai; aspettando la forza di fare qualcosa che forse non avrei comunque il coraggio di fare; aspettando che amici e parenti capiscano che anche il Francesco degli ultimi tempi in realtà nascondeva un grido disperato di aiuto, rimasto represso, taciuto, oppure espresso in una lingua nota solo a me.

Si, qualcuno il grido di aiuto lo sente e lo capisce, ma a questo punto della discesa, forse, poco può fare se non continuare a dirmi di stare attento e cercare di convincermi a invertire la rotta, a voce, da lontano; ma ora non riesco ad ascoltarlo e questa mia incapacità fa ancora più male.

Domenica rivedrò le mie montagne dopo quasi due mesi; vedremo se la cosa sortirà qualche effetto, ma anche per quello ormai le speranze sono poche... rivoglio la baita sullo Snjerak ed il suo vento!

martedì 18 ottobre 2011

I passeggeri che non ho

Rampa del casello di Mirano-Dolo, 60 km/h, il sole appena alto sull'orizzonte porta un po' di luce sul mondo circostante, sulle campagne del Veneto centro-orientale. Ma dietro le lenti polarizzate attaccate agli occhiali del guidatore Costante ma Improduttivo la situazione è diversa; la calda luce del sole non arriva e quegli occhi stamattina sono continuamente sull'orlo di un pianto disperato, quasi desiderosi di buttare fuori con le lacrime una serie di delusioni che continuano invece a rimanere chiuse dentro.

Spesso capita di guardare il sedile di destra, vuoto; in macchina come nella vita. Capita, in mattine come queste, di provare a seguire con la voce una canzone alla radio, ma di dovermi bloccare per evitare di sentire la voce che si rompe e che scatena una di quelle reazioni che non si confanno ad un ragazzo-ormai-uomo-che-non-vuole-esserlo di 30 anni. E capita così di scaricare la propria frustrazione su quelle povere quattro ruote che per fortuna continuano a darmi fiducia e a sopportare le mie scariche momentanee di rabbia.

Ci sono sempre i passeggeri che non ho, su quel sedile; ma ci sono solo nella mia testa, la mia fottuta testa da sognatore, che in momenti come questi odio fortemente perché non mi lascia vedere il mondo in modo razionale e pragmatico. Ci sono i passeggeri che non ho, nei momenti che passo fermo in macchina in giardino da solo quando torno a casa la sera, sotto la luna. Ci sono i passeggeri che non ho, nelle poesie in cui si riversano i miei conati di depressione creativa. Ci sono i passeggeri che non ho, in quella cazzo di lucina del telefono che non si accende e che continuo a guardare nonostante tutto. Ci sono i passeggeri che non ho, nella voglia di salire in cima ad una montagna e urlare forte.

Si, quel posto è stato occupato per diverso tempo, ma non ero quello che sono ora e forse non sapevo cosa io volessi veramente; non è stato un errore, ma era il passato. Ora quel posto vuoto pesa come non mai, ora che mi accorgo che il tempo non è infinito e che le questioni aperte da risolvere sono ancora troppe e, forse, ho iniziato a voler risolvere quelle sbagliate; forse devo rassegnarmi almeno per un po' a continuare a vedere quel posto vuoto finché altri problemi verranno risolti e mi lasceranno pensare più serenamente al futuro. Ho paura e so che soffrirò ogni volta che mi volterò, ma forse, ora, è la cosa giusta da fare.

domenica 16 ottobre 2011

Segnali ignorati e prospettive future

Via Nova di Colle di Val d'Elsa, riaperta a doppio senso, notte. Con la vecchia ammiraglia si tirava, in effetti, con scarsi risultati dovuti alla bassa potenza del mezzo, in senso ascendente.
Ma adesso no, visti i 120cv in più che ha questa. Il motore urla nella sua mai assordante tonalità, è un T-jet antenato di quei trabiccoli dei Multiair e quindi è rabbioso, e ti ritrovi in cima, in poche centinaia di metri, di quarta a 5800 giri, indicati 150km/h. In una stretta e tortuosa strada di città. Nemmeno al Rally di Montecarlo.
Phil Collins amplifica, o forse giustifica, la sensazione di pazzia che si respira in questa notte, che so essere lunga. Arrivo in cima, alle due chicane, sempre col piede giù. Il mio senso della traiettoria, l'infinitesimo di buio che vedo davanti che mi indica che non ci sono macchine in senso discendente, mi fa tagliare la "S", entrare di cattiveria negli avvallamenti.
L'Eroica Alfa sobbalza e si appoggia dall'altro lato della strada. Colpo di freno, l'ultima chicane, di terza piena, con la massima cattiveria del piede, con i led dell'overboost tutti accesi, con il motore sotto sforzo, al limite della caduta di potenza.
In quest'anno ho imparato a lottare con il forte, marcato, brutale, sottosterzo senza preavviso dell'Eroica Mito. Contrasto con le braccia tutta la forza della ribellione delle sospensioni elettroniche, del fallimentare differenziale autobloccante, con lo sterzo indurito dall'elettronica di potenza.
Sento dentro di me la voglia di tornare il pilota che ero qualche anno fa, e non la figura sbiadita attuale.
La macchina, però, si punta all'interno. Alzo per un attimo il piede dall'acceleratore, così come da scuola di pilotaggio. La macchina scoda, prepotentemente. Molto prepotentemente. Lo fa in modo leggero ma inaspettato. Subito controsterzo per contrastare, tengo giù, e lei si raddrizza paciosamente, un metro più in là di dove la volevo in uscita di curva.
Sarebbe un segnale che dovrei interpretare, questa scodata. Forse la macchina vuol dirmi che che le gomme sono a fine carriera e che è l'ora di darci un taglio.
Ma io seguito, ancora, a correre, a sottosterzare, ignorando i segnali.
Arrivo sano, nonostante tutti i tentativi in senso contrario.
Troppe volte ho ignorato i segnali. Non di questa macchina, che prossima settimana vola in officina a cambiare cerchi, gomme e tutto quanto possibile e immaginabile. Un mio difetto è quello di non VOLER ascoltare.
E ora basta. Inizio dall'Eroica.
Voglio crearmi prospettive e atmosfere particolari.
Ma, forse, per tutti, è più semplice ignorare i segnali che dar loro ascolto. Cosa rimane, allora, delle nostre vite passate?
Cenere fredda. Adesso c'è solo il cattivo odore del fuoco spento. E un vento sin troppo freddo.La strada è ancora lunga e il tratto di mare è in tempesta.

Traghetti solitari e anime gemelle


Superstrada Siena-Bettolle, 130km/h, direzione est. La musica contenuta nella chiavetta "True love way", il cui titolo poi convertii in "Four-twenty-nine", in memoria dell'effimera quanto spettacolare esperienza sulla SS429, fa il suo prepotente ingresso nell'abitacolo.
E ci rimane,
Sono diretto chissà dove, in fondo. Non ho meta, anche se ostento la falsissima sicurezza di chi ha sempre avuto idea di dove andava, coadiuvato dall'Eroica.
Abbiamo una nave da prendere, verso l'ignoto, verso un esperimento reiterato e ripetuto più e più volte e che solo una ha avuto il risultato sperato. Era un mese di settembre assolato, dolce, e pieno profumi inebrianti, ma ormai è passato e lo lasciamo lì.
Il traghetto solitario arriva, nella enorme pace di un anacronistico e sin troppo forte vento da nord, spezzato dal sole che lo contrasta, in modo tale che l'impattio con l'inverno, apparentemente brusco e doloroso, sia addolcito da due fattori in contrasto.
La nave attracca. Le due navi gemelle si guardano, attraccate a due lati diversi del molo. Faranno un viaggio solitario, come sempre, verso i loro porticcioli di destinazione.
Gemelle, uguali. Come le anime. Le anime gemelle esistono? Sono domande che ci si pongono, per chi ancora non l'ha trovata. O per chi l'ha trovata e l'ha persa.
C'è un vento fortissimo da nord, mentre i motori diesel della nave borbottano sotto quello strano spoiler che ha a poppa, in attesa del solito rituale giro, nauseabondo adesso.
E al ritorno mi accorgo come con l'overboost questo motore non ne voglia sapere di smettere di tirare, di finire. Metto a dura prova le gomme sottodimensionate e piuttosto alla fine, che sembrano chiedermi di essere sollevate dal loro pesante incarico di responsabilità a cui è affidata tutta la macchina intera.
Tratto verso casa, Via Nova riaperta a doppio senso. Malinconia. Mancanza. Serie di pensieri tirata su da una canzone di The Fray.
E ci domandiamo perché le anime gemelle ronzano lontane.
Non sono mai stato un amante della matematica, ma in questo caso, forse, siamo due rette parallele che non si incontrano mai.
O forse non c'è bisogno dell'anima gemella, ma di quella complementare. Complementare, ecco la parola giusta.
E dov'è? Continuo a domandarmelo e non ho risposta, non ho segni, non ho notizie. Arriverà, ne sono certo. Cosicché le nostre anime si toccheranno, si prenderanno per mano e voleranno insieme.

Fughe notturne

SP 40 nuova, 170 km/h, fuggo.

Fuggo sicuramente più dalle mie paure che non da un incontro non avvenuto, in cui avevo posto più speranze e aspettative di quanto fosse razionale porre; fuggo dalla paura di dare un nome a questa irrazionalità, dalla paura di una solitudine che mai come ora pesa; fuggo buttandomi in picchiata in un'instabilità emotiva che non riesco a controllare se non occupando il mio tempo con gli ignari amici a cui in questo momento voglio sempre più bene e che mi accorgo volermene nonostante le mie assenze ed i miei silenzi.

Fuggo fin quando arriva un segnale di vita a frenare la discesa, a farmi tornare, quel tanto che basta per arrivare a casa, lucido e razionale; resta un segnale debole che non sana la situazione e non rende meno vano il mio girovagare verso una meta troppo poco precisa, per ora poco più che un sogno. Non vengono meno le attese, non si è spostato il muro contro cui continuo testardamente a sbattere la testa, non trova pace questa spasmodica ricerca.

Inutili e sterili sofferenze che mi rovinano la vita; di questo sembra che si tratti. Perché non riesco a stare in pace con me stesso? Perché ho continuamente bisogno di un contatto o di una risposta che non si palesano? È colpa del passato o del futuro? ...o solo mia?

giovedì 13 ottobre 2011

Bivi superati

C'è qualcosa che mi va stretto, adesso. Molto stretto. Ripenso alla mia vita professionale e pure sentimentale.
La macchina corre, vogliosa di arrivare, nel suo silenzio assordante, solito ritornello da tempo. Nemmeno Adele, con Rolling in the deep, spezza questa silenziosa catena. Ma la via è brevissima stavolta. Non ci sto a sufficienza, in macchina, per pensare. Sono viaggi troppo brevi, adesso.
Il motore in Dynamic è esuberante e l'assetto, nonostante i tentativi di modifica da me effettuati, finché non arriveranno quei maledetti cerchi da 18 pollici e le gomme da 215/40, non asseconda ancora le velleità esuberantissime del motore
Ripenso ai lunghi viaggi in macchina con gli amici. Quelle urla spensierate, quei discorsi volgari e mai sopiti, che, per un solo attimo, anche prolungato, ti sollevano l'anima da ogni dolore.
Il brevissimo viaggio è finito. E allora mi viene da pensare a qualcosa di serio, a qualcosa che sarebbe successo se avessi accettato davvero nel 2008 quel lavoro a Montreal, in Canada....
Sarebbe così strano sapere che la mia vita dal 2008 in poi si sarebbe svolta altrove. Non avrei conosciuto la persona più importante della mia vita. Non avrei vissuto anni magici, ma forse è tutto così aleatorio.
Ormai è un bivio superato.
L'importante è non mangiarsi le mani per le proprie scelte.
"Quando perdi, non perdere la lezione".
Ma mi sento male, ogni giorno, e ho voglia di migliorarmi da una posizione annichilita. E soprattutto ho voglia di qualcuno che mi prenda, di nuovo, per mano, e mi porti davvero con sé. Nel cuore.
Manca questo. E non è poco, in effetti.


La rottura del silenzio (piccola replica a Francesco)

Ed eccomi qua, nell'ennesimo viaggio di ritorno, col Blackberry che fa finta di non esserci e taglia piacevolmente (per il primo giorno, poi viene a noia) ogni contatto con il monto tecnologico esterno.
Autostrada A11, 140km/h: un serpentone di macchine pressoché insorpassabile rende sostenuta persino la velocità "quasi codice", che l'Eroica Alfa sostiene con la sua solita fierezza e imperturbabilità, nel silenzio più totale. Nel passo veloce autostradale non è l'Ammiraglia, ma forse inizia a cavarsela decentemente.
Silenzio, ancora. Nonostante la musica anni '80 che manifesta la propria frivolezza nei miei altoparlanti, non riesco ancora a palesare quell'equilibro che si regge "con i fili", come lo è in molte fasi della vita.
E' un equilibrio razionale e sofferto, questo. E' quell'equilibrio di chi non è mai stato in piedi da solo, se non sorretto da qualcuno in cui riponeva la massima fiducia.
Quel qualcuno, poi, ha lasciato andare di colpo quel braccio, quella mano intrecciata così forte, e mi sono trovato a cascare. A non potermi rialzare, nonostante mille tentativi di rimettermi a camminare, non ce l'ho fatta mai da solo. Nella vita, più e più volte così è successo.
Mi è capitato di lottare, così come adesso, ogni giorno, per ricamminare da solo.
E' un gioco a somma zero, alla fine, che esclude adesso un ritorno di chi speriamo che lo faccia, un prepotente ingresso sulla scena di nuovi soggetti.
Francesco, dobbiamo imparare a camminare da soli e farci bastare questo silenzio: per un attimo tutto questo farà male.
Non dobbiamo cercare distrazioni, il movimento continuo dell'essere per star bene. Certo, lo si può fare questo, per un periodo più o meno prolungato.
Lo si può fare per non sentire la mancanza di chi c'era accanto, la sensazione brusca di vuoto.
Ho attraversato un tratto di deserto anche io, ci ho pure finito la benzina. Poi qualcuno è venuto a ripescarmi, e a farmi guardare in faccia la realtà. La realtà è che ancora di strada dobbiamo farne, tutti. Non solo io. Tu sei partito a velocità aeronautica, con la logica del "tutto e subito". La vita è una 24 ore di Le Mans, non mi scorderò mai di dirlo che chi parte velocissimo nelle prime fasi, dopo inevitabilmente patisce.
A fine marzo/aprile, sono partito anche io in testa, illuso che, presto tutto sarebbe stato dimenticato, che il sole che vedevo fosse quello giusto e buono. E invece, ero semplicemente nell'occhio del ciclone, dentro cui sono ripiombato. Eppure ho continuato a camminarci dentro, di nuovo illuso che tutta la tempesta si sarebbe diradata.
E' un andamento sinusoidale, il nostro.
E allora, dopo il tratto di deserto, di vuoto, di paura di star soli, di bilanci, è giunto il momento di fermarci alla prima area di sosta.
Fare il pieno, riposarsi e ripartire.
Non è facile. Per niente. Sono d'accordo con te in questo. Non sono ancora ripartito come volevo, ad oggi. Non sono ripartito all'andatura che potevo tenere, e certe "frenate" le tiro di continuo, anche, forse, in modo immotivato.
Tutta l'irrequietezza che hai, che abbiamo entrambi, è normale in queste situazioni.
Di fatto entrambi credevamo in due cose importanti, radicate da tempo nella vita.
E i silenzi sono duri da riempire, con la musica che inevitabilmente ti riporta una sensazione di ricordo e vuoto, anche retrospettiva.
Si reagisce, però, come mi hai detto per tanto tempo.
Riforme, ecco l'imperativo, al di là di quanto sbandierato dal Governo. Riforme in noi. Manca qualcosa? Sempre mancherà.
Non siamo soddisfatti della professione? Il lavoro ce lo creiamo noi: anche io vorrei una evoluzione particolare e sto cercando di farla, magari anche stravolgendo le nostre convinzioni.
Tutto questo non preclude che in amore ci siano novità. Il ritorno aspettato, oppure una nuova coppia di fari che ti illumina la via, che è stata sin troppo buia e vuota sinora.
E' vero, è un andamento, per usare un termine a me matematico, sinusoidale. Alti e bassi. Punti di minimo e di massimo.
Ma adesso è ora di riformare tutto. Lavoro, amore, idee. In nome della libertà che ci fa camminare di nuovo da soli. E che, magari, ci ridà essa stessa la forza di rimetterci in gioco.
Da un amico.

Regressione nonlineare

Forse il Francesco delle ultime settimane era solo un'illusione; forse l'equilibrio era troppo precario; forse sono state solo una serie di botte in testa che, assorbendosi man mano, mi stanno facendo regredire ad uno stato precedente, al vecchio me.


Sono veramente bastati tre giorni di silenzi e di solitudine di riflesso per annullare tutta l'euforia (a questo punto veramente anomala) e la voglia di vivere delle ultime settimane?

Sta tornando a farsi predominante la paura, per un futuro incerto, fatto di aspettative non raggiunte e di delusioni, di bicchieri mezzi vuoti e di navigazione a vista, di muri e di spazi non riempiti. Sembra tutto già così lontano, sembra non esser successo niente; l'iniezione di fiducia è durata quello che è durata ed ora devo tornare a fare i conti con la vita così com'è, cercando di restare a galla. Forse è stato solo un sogno e ora mi sono svegliato, rintontito e con la stessa poca voglia di andare avanti di prima, rendendomi conto che veramente sono io a non aver più voglia di andare avanti e di migliorare.

O forse è solo il mio umore che continua a prendersi gioco di me, tra un tramonto e l'altro visti dalla noiosa e trafficata A4, ormai unico luogo di riflessione e di, vana, speranza, in costante attesa di qualcosa che non succede.

mercoledì 12 ottobre 2011

Silenzi di ritorno

Lo so, sono sempre stato io l'orso, l'uomo dei silenzi, delle solitudini e delle grandi attese; ora non so dire se sia veramente avvenuto un cambiamento, certo è che quei silenzi, quelle solitudini e quelle attese, ora, sento il bisogno di riempirle; e i silenzi, anche se so di dover essere io ad aspettare, ad avere pazienza (e quella per fortuna non mi è mai mancata), fanno male.


Rimango in questa condizione di equilibrio instabile, in cui devo continuamente stare attento a non cadere, aggrappandomi momento dopo momento a quegli amici che mi danno ascolto e che sopportano le mie sparate confuse di questi ultimi giorni, sopportando questo strano Francesco in cerca di comunicare non so neanche io cosa ...forse qualcosa che ho solo paura di dire, ma forse no; forse dopo tanti cambiamenti inizio solo a sentire il bisogno di un po' di tranquillità, per quanto strano questo possa sembrare a chi mi conosce ed è ormai abituato a sentirsi raccontare i miei castelli in aria ed i miei sogni.

Nel giro di un paio di settimane, con i primi freddi che si avvicinano, sarà ora di mettere gli pneumatici invernali, ma soprattutto di buttare via dopo quattro estati (per quanto due siano state molto brevi) le vecchie Continental su cui il caro Trattore 2.0 ha mosso i suoi primi passi; un cambiamento piccolo ed apparentemente insignificante, ma un'ulteriore rottura col passato recente che avverrà in questo periodo. Quanto ancora di me stesso dovrò lasciarmi alle spalle per iniziare a guardare veramente avanti? Quando riuscirò veramente a vivere il presente volgendo lo sguardo al futuro e non al passato?

Si, forse sto iniziando, ma capisco che è solo un inizio e che non basta.

martedì 11 ottobre 2011

Atmosfere e sensazioni

Strana sensazione ebbi, in quel preciso istante. Il sole stava sorgendo su quel mattino di settembre inoltrato, quasi freddo. Il termometro segnava 9 gradi, e l'umidità rimaneva ancora ben salda nella vallata sottostante, quasi a non volersi scontrare con quel rosa che limpido rimaneva ed iniziava a prender campo nella giornata. E salii nuovamente per quella vecchia strada, con la calma di chi ormai non ha più voglia di attendere nulla, con la calma, sgomenta, di chi non vive più da tempo una sensazione forte se non negativa e se non costretto. Da quando vi era stata quella svolta nelle nostre vite, avevo proprio la sensazione che vivessimo in apnea, con la consapevolezza della fine del gioco imminente. In realtà non fu così. Feci dei bei tentativi di salvare la baracca, più volte. E ci riuscii. Fino all'inspiegabile momento in cui mi resi conto che il sacrificio era compiuto, non per colpa mia. E allora fui pervaso dalla sensazione che niente sarebbe mai stato così forte come quello che avevamo costruito. Sono ripetitivo, ma non fu così. A 100km/h, senza fretta, i raggi di sole filtravano dentro la cara vecchia macchina, compagna di mille avventure, vituperata per una minima defaillance...ma in fondo con quell'aura che non si confà esclusivamente ad un mezzo meccanico, bensì ad un essere animato. E sotto quella pelle rossa metallizzata, batte un cuore. Alle volte con la Lancia ci parlavo e lei sembrava annuire e dire la sua su quel che succedeva. Quel giorno anche lei era piuttosto svogliata, ma ascoltava paciosa i miei discorsi filosofici sulla fine dell'essere umano e della sensazione di essere sperduti che si prova alle volte.
Cercai di sorpassare i pochi camion che c'erano a quell'ora: lo ricordo come fosse ieri, c'era spazio e quindi in salita da 80km/h in su facevo un bel quarta-quinta e rientravo alla velocità di crociera di 110km/h, quasi da codice. Il motore, quando si avvicinava ai 3000, si concedeva un rombo velato ma pieno, quasi sportivo, quasi appagante, quasi come a ricordare che aveva ancora 1500 giri per farci divertire e dare sensazioni, limitatamente al fatto che fosse un 1300, e quindi non eccessivamente potente.
In quel momento il sole iniziava a spazzare via le ultime stelle sopra la mia testa: scollettate le 7 il mondo inizia ad animarsi, pensai. E così fu. Verso Siena trovai qualche macchina in fila, ma nulla di che, e alle 7:50 ero a casa, pronto per una giornata di lavoro.
Cercai di togliermi quella brutta sensazione di dosso, durante tutta la giornata che non fu granché produttiva.
Oggi tutto è cambiato. Le strade si sono divise, bruscamente. Ma ho mautrato una convinzione: certe cose si sentono. Quella mattina c'erano due macchine che si separavano idealmente, una verso sud, l'altra verso nord. C'era una sentenza che sapevo esserci non ancora esecutiva dentro di me.
Erano segnali che percepivo, nell'imminenza di un inizio della fine. Percepivo una serie di ostacoli che aggiravo magistralmente come i birilli dei corsi di pilotaggio.
Ma oggi, stranamente, percepisco sensazioni diametralmente opposte: dicono che tutto questo sia una prerogativa esclusivamente femminile, ma io non credo.
Ne parlavamo con una nuova amica di queste sensazioni. Vere, tremendamente vere.
Alle volte, le persone, inaspettatamente, anche dopo pochissimo tempo, si trovano legate a doppio filo con delle cime navali.
Non so se devo seguirle o meno, queste sensazioni che percepisco. Ma l'importante è percepire. E vivere.

lunedì 10 ottobre 2011

Cammini paralleli

Altro weekend a tappe; altro weekend a corrente alternata (questa volta con pochi picchi in basso); altro weekend tra amici vecchi e nuovi, Leo e non (anche se ultimamente sempre più Leo), a cui tengo sempre di più e da cui faccio sempre più fatica a staccarmi; altro weekend di imprese di goliardia leonistica epiche, da tramandare ai posteri; altro weekend di gioventù, ormai al limite, che non voglio ancora abbandonare.


Di nuovo mi ha accompagnato la confusione euforica di queste ultime settimane, fomentata da presenze e messaggi di cui, come mia odiata usanza, ho, per quanto possibile, mascherato la gioia e gli eventuali turbamenti che mi hanno provocato. Tante comunque le emozioni, pur con qualche delusione dovuta alla mia solita incapacità organizzativa (quando si tratta della mia stessa vita); tante le amicizie, molta anche la nostalgia di un'esperienza che, per quanto pesante e complessa, mi ha sicuramente fatto crescere.

Weekend da pilota, questa volta; pilota prima, poi autista; un autista che cerca di nascondere, forse a malo modo, la gioia di avere quei passeggeri a bordo, dietro un muro di discorsi seri e contestuali, senza riuscire ad affrontare veramente discorsi che precluderebbero domande a cui evidentemente ha paura di avere una risposta.

C'era però in ogni caso la felicità di vedere un gruppo di amici che lavorano insieme, che lo fanno seriamente ma divertendosi; anche se ora so di far parte solo marginalmente del gruppo, come uno "zio" (o il simpatico rompiscatole di turno, secondo la mia interpretazione), ho scoperto con piacere che questo non ha cambiato le emozioni e l'altruistica soddisfazione che provo nel vederli operare e raggiungere i risultati che si pongono. Come se fossero un pochino figli miei e delle difficoltà dello scorso anno sociale. E sento di doverli ringraziare per questa gioia che mi stanno restituendo ora.

E nuovamente è difficile tornare a casa, alla vita di tutti i giorni dopo l'ennesimo appassionante weekend di vita e di amicizia; riprendere la ricerca di un futuro incerto, seppur con qualche bagliore di speranza da approfondire, tra coincidenze che iniziano ad accumularsi da una parte, domande ancora senza risposte da un'altra e nuove, sorprendenti, affinità altrove.

Attese e ritorni

Superstrada Firenze-Siena, 130km/h. L'autunno pare finalmente arrivato, col suo carico di sciarpine carine, camicie bianche, con la voglia di comprarsi le scarpe invernale. Le auto davanti a me con le ruote posteriori tirano su mulinelli di foglie morte, mentre il cielo a pecorrelle effettua vani tentativi vani di spruzzare un po' d'acqua, da tempo richiesta dai terreni riarsi e pieni di cicatrici a causa del caldo che si è prolungato oltre ogni limite della natura delle zone temperate.
Il motore è silenzioso, come sempre.
Bryan Adams vuole (ma lo vuole dal 1984 con "Run to you") correre da lei e me lo ricorda nelle casse dell'impianto stereo. Rumore di rotolamento di penumatici, e la strada deserta mi ricordano un rientro fantastico sull'Aurelia, quando guidavo veramente, quando la speranza era viva, forse più di adesso. L'autostrada costiera con i suoi olivi e i suoi profili verdi facevada cornice alla mia guida rinnovata e piacevolmente conservativa, a differenza del solito.
Adesso la mia guida è quella rabbiosa da pistard di sempre, quando sono in solitaria. C'è qualcosa che, ancora, devo smaltire per essere realmente libero, anche se gestisco la situazione e i pensieri vanno, nel 99% dei casi, esattamente dove voglio e non combatto più battaglie contro la voglia di tornare dove non dovrei essere.
Già tutto questo porta a chiederci come possiamo evolverci, come possiamo davvero uscire da questo stato malinconico.
E' una melanconia che mi è propria, un composto di molti elementi, estratti da molti oggetti, e più precisamente la visione complessiva dei miei viaggi che, per la frequente meditazione, mi avvolge in una capricciosa tristezza.
Shakespeare ci disegna l'essenza del viaggio in solitaria.
Capriccioso, ecco come sono. Ma so cosa voglio. E la speranza in me non muore. Guardo avanti, al futuro. Con la convinzione che solo quello, con i protagonisti giusti, sia la cosa che può contare adesso. In attesa di un ritorno. O forse, di un'andata.

sabato 8 ottobre 2011

Quello che le persone non vedono


Cosa vedono gli altri quando mi guardano? La domanda è ricorrente, di recente. Nel percorso introspettivo questo appare come un passaggio pressoché obbligato, una tappa che ho sempre voluto evitare, cercando strade traverse per non imbattermi in questo conto da pagare.
Forse, sono stato sin troppo superficiale a non domandarmi prima quali fossero gli aspetti che devo migliorare, ma non per gli altri: semplicemente per me stesso, per eliminare quel silenzio che dentro urla sempre più forte e non mi fa né dormire né vivere tranquillo.
Bene, adesso è possibile andare contro a questo muricciolo di mattoni che mi si piomba davanti, e gli vado incontro in sesta piena, overboost al massimo.
Cosa si nasconde dietro questo sorriso, dietro questa superficialità ostentata? Cosa si nasconde dietro l'indistruttibile costruita figura del sorridente legale che scherza con tutte?
Ad un primo sguardo, so bene cosa appare. Qualcosa di volatile, inaffidabile, qualcosa di strano e che non incute fiducia, forse indecifrabile.
I superficiali passeggeri distratti non vedono un volto i cui muscoli sono allenatissimi a trattenere fermo il pianto, quando non ci vorrebbe altro, che un urlo liberatorio da tutto questo annichilito periodo che, ogni tanto, ribussa a questa porta. E la profondità.
Sta a voi capire cosa c'è dietro questi occhi. Solo una persona nella mia vita sembra averlo capito, sorprendendomi, in un quarto d'ora di tempo.
E allora, in modo volutamente ermetico, invito tutti ad andare oltre le apparenze.

Two - twenty - three. Chilometro settantuno.

Superstrada Due Mari, 150km/h impostati di Cruise control, ore 2:30. Ho appena fatto 36km da casa di un amico, dopo una serata fantastica fatta di risate, cuori sollevati. Qualche timida, solitaria goccia di pioggia si spiaccica sul parabrezza, ma sembra che il tempo non abbia voglia di fare il suo dovere tipico dell'autunno, e magari della fine dell'estate. Le gomme Goodyear montate sull'Eroica Mito, ormai giunte al termine della loro carriera che ha fatto loro calpestare 28.000km di strade di varie regioni, forse sono troppo gonfie e restituiscono contraccolpi piuttosto inaspettati. O forse, sono io che sto correndo troppo. Forse sono Come sempre. Come nella vita.
I fari delle sparute macchine che incrocio bucano la pazienza dell'aria e fanno male, molto male, agli occhi.
Non devo più guidare da solo. I brutti pensieri iniziano a correre accanto alla rossa Mito e non se ne vanno.
Dopo quel curvone che a 150km/h ti sbatte fuori traiettoria, l'E78 si biforca in modo brusco, quasi inaspettato, a dritto vero Siena centro, a destra verso "Tangenziale ovest, Firenze, Grosseto". Rampa, asfalto ferito dai camion sovraccarichi e la sensazione di solitudine fanno da cornice a gesti automatici e spenti.
Sotto il cartello del settantunesimo chilometro campeggia la scritta "SS223". Sì, sei sulla tua strada. O per lo meno, questa è l'interlocutoria piccola bugia che dico a me stesso, adesso, mentre Tracy Spencer canta "Run to me" a tutto volume, come a richiedermi di correre da lei.
Cerco di costruirmi alibi credibili per girare, dopo 4km, a destra verso casa e non proseguire dritto per altri 71km.
E infatti, giro. Per il semplice fatto che so cosa voglio, adesso, forse in modo sgomento, anche se i binari della mente vanno, nei momenti di solitudine, indietro nel tempo.
O, se preferite, avanti.
Sesta marcia dentro. Il motore è esuberante, sin troppo, come me. O meglio, come l'immagine che do adesso.
E allora inizierei anche a chiedermi dove posso trovare una soluzione credibile a tutta questa solitudine che non voglio mostrare, a questo stare male non in compagnia.
Una soluzione che, però, non deve avere i compromessi quale essenza base.
Quello che sto cercando da mesi sembra non arrivare, nonostante milioni di tentativi di ogni tipo, di illusioni mie ed altrui, di risa, pianti, nottate d'amore forti, sudore, sangue, occhi chiusi per il sonno.
Ma non perderò mai la speranza di percorrere questa strada di nuovo nella sua lunghezza. Anzi, non perderò la speranza di percorrere nuove strade. Ancora una volta, percorrerle col cuore e non solo con il rosso involucro dell'Eroica Mito. Aspetto, di nuovo, che qualcuno venga a salvarmi. Ma adesso non so chi.

venerdì 7 ottobre 2011

Fuori, pioggia

Pioveva forte, quel giorno di fine novembre. C'era una strana, stranissima euforia nell'aria, di quelle euforie che mi hanno fatto, negli anni, o sbatacchiare le macchine o rompere le ossa. Roba pericolosa, insomma.
Una sensazione di apnea e di attesa pervadeva l'ambiente circostante, come se dovesse accadere qualcosa di speciale. E doveva accadere, in effetti. Avevo la sensazione di chi ricominciava a respirare dopo un'interminabile immersione.
Fuori dalla mia macchina, pioggia ininterrotta, freddo pungente. Dentro, sospiri, baci, un abbraccio strettissimo come mai ho provato, e un pianto all'unisono, rotto solo dalla voglia di stare insieme, nonostante tutto.
SS223, direzione Siena: pioggia torrenziale, 120km/h al ritorno e una colonna d'acqua altissima dietro la mia macchina, allora nuova davvero.
Avevo la sensazione interlocutoria tipica di chi ha vinto ma ancora non lo sa, del pilota di Rally che va dall'ultima Prova Speciale al riordino per vedere le classifiche.
La sensazione di attesa veniva ritmata dallo sbacchettare del tergicristallo, dal più o meno regolare sbattere delle gocce sulla vernice rossa e sul vetro, dallo scivolare delle gomme nelle pozze, in "All weather Mode", con cui l'autobloccante azzera l'aquaplaning, in teoria.
In teoria avevo vinto, in effetti. Avevo riportato, con uno strattone, all'interno della mia vita, la persona che amavo, costringendola con dimostrazioni eclatanti a tornare, forzando in modo bestiale la mano. Avevo vinto una battaglia. Dura, sofferta, con tante perdite. Di quelle che ti fanno ribattere il cuore dopo mesi e ti fanno sentire un duro, uno che ce l'ha fatta. Avevo spento la radio per godermi quel rientro che sembrava lento piovoso, accodato dietro ai maranza che vanno forte quando non posso permetterselo.
E invece no. Mesi dopo avevo perso la guerra dopo lungo tribolare. Sarebbe stata una trappola dove mi ero infilato, pur sapendolo bene. Ma lo sanno tutti i lettori.
E Alex Baroni, eroe del Giannino dei miei vent'anni così fugaci, quasi un anno dopo, canta, nella radio del pullman:
perchè non vivo più
perchè mi manchi tu

e questo cielo blu

non lo posso sopportare.

E mi fa sorridere. Perché adesso, la distanza non fa così male come le costole rotte, come le mille lacrime versate, come i mille muri che ho costruito e che ora voglio abbattere. Pioggia o non pioggia. Pioggia, arriva. Ridacci qualcosa che ci manca. Ci manca l'acqua, ci manca la vita.
Ma non la speranza di essere felici in futuro.
No, questo tardivissimo cielo blu di ottobre non lo posso sopportare.

mercoledì 5 ottobre 2011

In direzione opposta e contraria


SS223, tratto "atipico", così da me definito, quello che va da Siena Sud a Ruffolo, direzione E78, direzione Arezzo/Perugia. Congiunge la Superstrada Firenze Siena alla Siena-Bettolle, tratto di pochi km, ma vissuto. Procedo a 140km/h, un po' troppo per la morfologia della strada, per le sue due sole corsie e per il curvone coperto su viadotto, per le buche e per i dolori che affrontarle mi fa sentire alla povera costola tronca, per il limite che qui è di 70km/h, così come il cartello accanto al Tiger Bar ci ricorda: ma ho un piede destro che vuole affondare e una Mito che all'invito a correre non risponde mai "no", una sesta marcia che non voglio togliere e un motore con un fiato pazzesco, costante e, in alto, pure cattivo.
Procedo in direzione opposta e contraria a quella che, all'altro capo di questa strada, 77km più a sud, ha costituito, per diverso tempo, l'occasione della ripresa a vivere, del sangue che circola di nuovo, dell'idea della totale condivisione, idee ormai, per lo meno da quel lato della strada, gettate chissà dove, chissà quando, in fondo al cassetto dei ricordi, con poca voglia di ripescarla.
A meno di eventi straordinari e impensabili, non arriverò in orario. Sono in direzione opposta e contraria. Scappo verso la mia meta. Ma, in fondo, mi chiedo quale possa essere, in un tripudio di sorpassi nemmeno così "scolastici". Pure questa strada si ribella alla sua naturale direzione. E inizio a farlo anche io. Inizio a ribellarmi alla vecchia assenza di sogni, perché SO che si può essere felici qui e ora, senza nemmeno accontentarsi.
Ma questo treno di emozioni nuove chissà dove era, quando ero protagonista di quel palcoscenico costruito da me a mia misura e oltre il quale non riuscivo a guardare?
Me lo domando di nuovo. Trattengo tutto questo dentro di me. Per un attimo.
Supertrada Siena-Bettolle, 220km/h. Il ritardo è recuperato, almeno per oggi.

Le cose nel cuore

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SS2 Cassia Nord, 80km/h: percorro la strada più bella del mondo, in un nuovissimo pullman, adesso grigio metallizzato con fascette rosse ad imitare gli ETR 500, che ci fa anche guardare il panorama di posti da cui passo sempre molto volentieri. C'è il mercato a Siena e andare in Tribunale con la macchina appare un'impresa improponibile.
A destra si staglia il bellissimo abitato di Santa Colomba, appena passato Monteriggioni, arroccato su un cocuzzolino, il cui verde intenso viene nettamente contrastato dal rosso dei mattoni. Era un contrasto già visto in un giorno più grigio, di fine novembre, ma i mattoni erano altri, il cielo era un altro, il verde era un altro.
Rolling in the deep di Adele fa da corollario e sembra quasi dare il ritmo al quasi metallico suono del 6 cilindri Iveco che fa beccheggiare questo anonimo pullman sui saliscendi della Cassia, con un fare sinuoso, sbarazzino ed equilibrato.
Quell'equilibrio che mi è mancato in questi giorni, a sprazzi. La mente spaziava, sin troppe volte, su campi e ricordi dove non credevo andasse. Ma una volta arrivata, a differenza di prima, ha avuto voglia di svoltare e di ripartire. Credo sia una differenza notevole rispetto al passato in cui sembrava inesorabile il viaggio costante in un tunnel vuoto, giorno dopo giorno.
Adesso no: il sole splende. Il verde c'è ed è un verde buono, profumato e non così ansioso come quello che ricordavo prima. Non c'è bisogno di correre, adesso, se non per lavoro. Non c'è bisogno di andare a tutto gas e troncarsi costole per gli eccessi. Alessandria inzia ad essere uno dei ricordi più belli della mia vita recente, quel "colpo di timone per virare" che, nella bolina della vita, ti dà una conferma quasi definitiva che questo mare lo sai domare,
C'erano dei sogni rimasti accantonati, e, per un attimo dimenticati. In tutti questi anni sono rimasto fermo a guardarmi da fuori, spettatore di esistenze a tratti sciape, a tratti vivibili.
Adesso no, quei sogni vengono a chiedere lo spazio che meritano. Vengono a chiedere di essere realizzati. Ma quali sono?
Sono quelli dei 20 anni che non ho avuto e che mi sto concedendo ora, 10 anni dopo, quando è forse troppo tardi, sono quei sogni di felicità che ho assaporato e che rivoglio e che mi impongono il "non accontentarsi" di un compromesso, perché quando l'ho fatto è andato tutto ai maiali, detto alla toscana. Sono quei sogni che voglio quanto mai realizzare adesso, senza limiti. E proprio vero che certe cose, nel cuore, non finiscono mai. Basta solo ritrovarle.

Viaggio a tappe

Lunedì, il giorno dopo, torno a pensare a quest'ultimo weekend, nuovamente passato tra amici, autostrade, emozioni, luci ed ombre.
Partito da secondo pilota assieme al maestro pilota, passando per una serata in cui mi sono reso conto ancora una volta di volermi aggrappare con i denti e con le unghie a questa gioventù che un po' alla volta se ne va, arriviamo alla prima tappa del viaggio, punto di riposo per la mente ed il corpo, luogo involontario di espiazione dalle fatiche della settimana.


È iniziata così una nuova giornata, nuova non solo perché cronologicamente diversa dalla precedente, ma anche perché incredibilmente ricca di episodi e di persone a corrente alternata (tendente comunque al positivo); una costante c'era, però: l'amicizia. Quante amicizie sto scoprendo? Cos'è cambiato? ...o forse sono cambiato io?

I ricordi spaziano da un bar del centro di Alessandria alle colline del basso piemonte, alle domande a bruciapelo ed all'affetto di quegli amici che hanno saputo rimarginare in men che non si dica una ferita superficiale; poi la musica, forte ed inconsistente, ma che lasciandosi andare fa comunque emergere un Francesco che si diverte, senza condizionamenti e a cuore aperto; continuano ancora i ricordi tra chiacchiere notturne, una colazione frugale, un errore di valutazione dell'autocontrollo altrui, una difficile ma a tratti divertente organizzazione.

Eppure qualcosa stava cambiando e avevo paura di accorgermene; qualcosa iniziava a fare un po' di chiarezza in questo periodo così felicemente confuso; parole che non mi aspettavo e che hanno iniziato ad aiutarmi a mettere a fuoco le mie emozioni ed a orientarmi verso una strada che, seppur avessi già visto, mai prima avevo considerato come percorribile. Poi il ritorno; un centinaio di chilometri ancora al posto del navigatore e poi ai comandi, sostituendo da bravo secondo pilota il comandante, fino a casa. Con nuovi obiettivi, forse più profondi, forse più precisi ...restano ancora i forse, ma anche la curiosità rimane!

lunedì 3 ottobre 2011

Broken Land

Autostrada A12, altezza Lavagna, 140km/h. Nel viaggio appena trascorso ho notato che i compagni di viaggio hanno apprezzato la mia conoscenza pedissequa delle strade, degli autovelox, e del mio senso della traiettoria, frutto di un decennio di galoppate interregionali dovute ai più disparati motivi.
E così fu, in effetti, innalzato il piacere di sentirmi utile per gli altri.
E' quello che ti danno gli amici, in attesa che l'amore arrivi o ritorni, che ti fa sentire vivo, vegeto, che ti fa capire che puoi farcela nonostante mesi di pianti, urla, strepiti e singhiozzi rimandati dentro, che qualcuno per un braccio ti ci riprende quando stai male.
Il bello di non essere soli è questo.
Il mio cuore è vivo e lo so. Me ne accorgo quando salgo in macchina, da solo, e so benissimo dove guardare, cosa sentire, cosa ricordare e dove dirigermi.
Il sorriso è lì, grazie a loro: mesi fa credevo che non ce l'avrei fatta, in un susseguirsi troppo serrato di emozioni forti, ansie, speranze poi, poco alla volta, accantonate.
Sono libero da ogni condizionamento, adesso.
Lunedì mattina, superstrada Firenze-Siena, 120km/h. Traffico convulso, verso il Tribunale di Siena, verso sud.
Le casse sono invase da Broken Land degli Adventures, grandissimo successo degli anni '80, di un'epoca diversa in cui andavo, piccino, al mare con i miei al Forte. Ricordi della bretella di Lucca in discesa, del Lago di Massaciuccoli che si apriva a sinistra.
Sono uscito dalla tempesta, dalle bordate sparate vicendevolmente con una precisione da bomba intelligente tese a colpire e a fare male, e sono entrato nel famoso "tratto di deserto da attraversare", ma so di avere il pieno e di essere ben sveglio per attraversarlo, anche se a bassa velocità.
Mi domando cosa ci sarà dopo questo deserto, dopo questo tratto di vuoto notturno e diurno. La strada era lunga, forse ci sarà la meta, la scossa arriverà. Il brivido provato girandomi per un attimo, nonostante mi abbia fatto una certa paura e sia stato piuttosto effimero, mi ha ricordato che posso ancora dare tutto di nuovo.
SS223, tratto "atipico" direzione E78, 110km/h, i raggi di sole lambiscono il mio viso, di nuovo, e non smetto di sorridere. Posso chiedermi il perché, ma alle volte fa paura.
E allora stavolta evito e continuo a sorridere. Continuando dritto per il mio "deserto". In attesa di chissà cosa.

Passaggio a nordovest


Autostrada A7, tratto discendente, 90km/h. La strada è tortuosissima, impraticabile a velocità che rasentano la decenza. Le luci di Genova iniziano a farsi vedere, a trafiggere il rosso tramonto ligure dopo una giornata calda di uno strano 2 ottobre. 2 ottobre, data strana del passato, ma è un'altra storia, un altro periodo, un'altra macchina, un altro modo di pensare.
L'Honda CR-V scende per questo nastro di asfalto, come fosse trainata da un flusso magico, sotto le mani acerbe e sicure del nostro pilota, grande chioccia del pulcino 500 che ci precede.
Siamo tornati, amici, complici, da un evento lungo, che rinsalda con forza i rapporti già esistenti e ne crea di nuovi.
Crea complicità la vicinanza dello stesso obiettivo, le battute tra amici, le pacche sulle spalle e le notevoli prese per i fondelli che certi soggetti attirano.
Gli amici ti prendono con le tue debolezze, con i tuoi difetti. Lo sto imparando ancora, a 30 anni suonati da tempo. Questi amici mi prendono ancora di più, con i miei difetti. So bene di essere, nell'ordine: 1) Molesto 2) Finto spavaldo, ma insicuro .....l'elenco sarebbe troppo lungo.
Ma loro no, mi fanno sentire come voglio. Mi fanno sentire accettato, apprezzato, pieno di voglia di fare.
Lo sanno che sono finto farfallone ma in realtà la profondità alle volte fa soffrire, in modo, alle volte, di solitudine lancinante.
Mentre le luci dei palazzoni di Bolzaneto si avvicinano, e i primi lampioni accesi, come fulmini, lambiscono il parabrezza il mio sguardo indugia fuori dalla macchina.
Dopo due tornanti Radio 105 ci delizia con Heaven di Bryan Adams, capolavoro di un uomo innamorato. Ricordi riaffiorano, di quando quella canzone risuonava 11 anni fa nello stereo di un diciannovenne innamorato pazzo per la prima volta, e che ora di quella storia ama solo ricordare i saliscendi di una via e di una vita che adesso non esistono più.
Battute che alleviano ogni dolore, che fanno del settimo mese del resto della mia vita il più piacevole, quello in cui si ricomincia a sperare e a vivere, a sorridere e ad essere brillante senza avere l'obbligo morale di fingere di farlo.
Non dimenticherò quegli occhi. Sia quelli di chi mi sedeva accanto a cena, che quelli, sorridenti, dei compagni di viaggio. Amici, adesso. Sempre più veri.
Sono cosciente che esiste una fase di rinascita con i tempi più o meno lunghi.
Queste serate accorciano i tempi, e ti fanno sentire vivo, anche se hai una costola rotta, se hai ruzzolato sul pullman di ritorno dalla discoteca, anche se la mattina dopo hai un mal di testa agghiacciante.
E ora i miei pensieri, inevitabilmente, non possono che andare a nordovest: sono fuori quota, come l'amico sempre più sincero che viene da nordest.
Ma essere lì, saldare amicizie, fare il giullare sul pullman minacciando perquisizioni personali, guardare da lontano due occhi color smeraldo...beh, mi fa capire che nel cuore, le cose come queste, non finiscono mai.
Raccordo autostradale, domenica, ore 22:30, 120km/h. Sono stanco. Stanchissimo. Ma sorridente. Ed è grazie a tutti voi che sapete guardare oltre la maschera che porto.
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