martedì 19 aprile 2022

Hearts on fire.

 


Via Montegrappa a Poggibonsi, 50km/h. L'espressione ebete sul mio viso, per l'ennesima cazzata che sto per fare, mi fa gongolare di gioia.
E' una mattina di quelle in cui, sotto il cielo della dirompente primavera del terzo anno di pandemia, può accadere tutto.
Sto andando a compiere la quindicesima Missione Eroica della mia vita. Avevo detto che dopo l'ultima avrei smesso. L'ho detto a tutti.
Per chi non lo sapesse, la Missione Eroica è un tour  con una destinazione ben precisa che organizzo, normalmente, per recuperare qualche cazzata che ho fatto con l'esponente di turno del sesso femminile che disgraziatamente mi ha accanto.
Presuppone il calcolo militarmente strategico della mia apparizione inaspettata davanti alla arrabbiata malcapitata, dopo un viaggio di qualche ora di macchina.
Porta con sé le emozioni forti dell'incerto, una colonna sonora che mi entra in testa e non se ne va finché non arrivo a destinazione.
In questo caso, Hearts on Fire di Bryan Adams.
Ma soprattutto, la Missione Eroica genera ricordi, spesso indelebili.
Dopo il primo fallimento, che presumevo essere tale, ho sbandierato ai quattro venti "ho chiuso con codeste stronzate delle Missioni Eroiche".
Inizialmente, infatti, avevo pensato che la quattordicesima avesse avuto un esito negativo, ma non lo ebbe. Ha avuto un effetto positivo ritardato, così ritardato da causare un ritorno tardivo e non più voluto della destinataria della Missione medesima.
Quel giorno avevo studiato la parte, ma dovetti improvvisare, con l'aiuto di Virginia, di una colonna sonora che mi caricava, di una camionata di spaghetti al Batti Batti (aragostina), e di un po' di vermentino dell'Elba.
Sulla nave del ritorno dichiarai a Virginia che mai avrei fatto ulteriori bischerate. Avevo detto a me stesso che avrei fatto la persona seria, che avevo quarant'anni (come se uno a 40 anni dovesse rinunciare alle emozioni per chissà quale raggiunto limite di età). Insomma, ne avevo dette tante, ma non ne ho mantenuta una.
Tant'è che ci voleva un motivo.
Tant'è che stamani l'Enterprise vola rasoterra verso l'arrivo della quindicesima missione, la prima dopo "aver chiuso con le Missioni Eroiche". E' la seconda che compie, nella sua breve vita passata accanto a me, ma in queste circostanze sfoggia una grande simpatia, dismettendo le sue doti di Governante tedesca, e mettendo i panni della "sorniona complice appariscente" che mi porta a destinazione. 
Sembra anche lei euforica in attesa dell'esito della Missione, che è sempre incerto.
Tuttavia, stavolta non è come tutte le altre quattordici, perché il margine di incertezza è poco. Questa è una missione molto particolare, il cui obiettivo minimo è scontato, ovvero il vedere una faccia attonita. Soprattuto la Missione ha una lunghezza di 15km, a differenza delle altre che avevano una percorrenza media di tre ore.  L'obiettivo finale è grande, troppo grande e molto difficile da raggiungere.
L'obiettivo è far capire qualcosa a qualcuno, cagionare una reazione positiva. E' molto di più che recuperare la fiducia, è far togliere un po' di paletti. E non sono sicuro che l'impegno costante che ci metto funzioni.
Nonostante la breve distanza fisica, la strada è lunga lo stesso e il tempo si dilata, perché, come scrissi anni fa, Le strade degli innamorati sono lunghe e strette, e non si arriva mai.
Qui, addirittura, abbiamo concordato di vederci prima, e non ho nulla da farmi perdonare (stranamente, aggiungerei). L'effetto sorpresa per la presenza decade di colpo.
Insomma, è una Missione atipica. L'Eroismo, a questo giro, è dovuto all'azzardo del "carico bellico" che mi porto dietro.
Non è niente di che, ma vista la delicatezza dei valori in gioco, della paura in cui vive lei costantemente per le reazioni degli altri, la rosa rossa a gambo lungo che è appoggiata sul pavimento lato guida davanti al sedile posteriore dell'Enterprise, potrebbe cagionare l'esplosione di una forza pari a quella di un missile da crociera americano.
Chiaramente, una deflagrazione è proprio quello che non voglio. Vorrei solo far capire quello che realmente provo per colei che non ho accanto di diritto, ma che nei fatti è sempre più vicina. La più vicina in assoluto.
Ma ripeto, questa volta non ho da farmi perdonare niente. Ho solo da consegnare un "oggetto che presuppone un sentimento", che potenzialmente potrebbe abbattere tutti i paletti, ma ovviamente non lo farà. Ci saranno anche dei "bassi" tra noi, ma per ora ci godiamo gli "alti".
Parcheggio l'Enterprise mentre la band di Bryan Adams termina il suo assolo di chitarra. Non scendo fino a che la canzone non finisce, perché è sempre brutto fermare le cose belle a metà.
Sbarco dall'Enterprise, vestito con il mio trench blu, retaggio di un'altra epoca in cui il vento di scirocco sferzava il mio viso abbronzato, e l'ansia era padrona di tutto il mio corpo. Un'epoca non lontana nel calendario, ma fortunatamente distante nei miei nei modi di pensare e di vivere le cose difficili.
Ho la presunzione che l'espressione del viso di lei, alla vista del sottoscritto, acquisisca colore, dalla scala di grigi che assume quando non ci sono, ad un arcobaleno quando si veste del sorriso più bello del mondo. Lei non lo sa che per me il suo viso è quanto di più celestiale esista su questo Pianeta. Lei non sa tante cose, in primis che potrebbe essere molto più felice se volesse bene a se stessa.
Finché avrò la forza di stare lì, glielo spiegherò a gran voce.
Era questo il senso della Missione appena compiuta.
Mi guardo nello specchio prima di ripartire, dopo il poco tempo trascorso, ed ho una stupida espressione sin troppo compiaciuta sul volto. Sono un idiota, ma non ho mai respirato la libertà di scegliere che sento adesso, se così si può dire.
E' per questo che vorrei dare di più.
L'Enterprise riprende vita col suo solito ronzio metallico del motore biturbo, verso il tuffo nella vita quotidiana.
Vorrei solo che quella rosa facesse capire che sono disposto anche ad aspettare. E non sono il tipo che l'ha mai fatto nella vita. Mi dà noia persino aspettare la nave, figuriamoci una persona. Ma stavolta è diverso.
Perché, nonostante i ritornelli, le ripetizioni, le "Tirate indietro", i paletti, il mio non chiedere, e tutto quello che faccio e subisco, questo è un amore di quelli che, comunque vada, non scorderò e forse non scorderemo mai tutti e due.
Due persone assolutamente compatibili si trovano in un momento della vita,  e si vedono, forse, costretti a fare delle scelte. Eccomi qua, io le ho fatte, ma le ho fatte per me e per nessun altro. E aspetto spasmodicamente gli sviluppi, accontentandomi di quello che mi viene dato, che comunque è veramente tanto.
E comunque andrà, sarà uno di quegli amori che, in caso negativo, ci ricorderemo tutta la vita, e se ci incontreremo per strada, tra trent'anni, avremo la stessa voglia di darci la mano di ora, lo stesso sguardo affamato e gli stessi cuori che bruciano, nonostante le scelte, gli obblighi, le paure che non ci hanno fatto spiccare il volo. E forse, avremo lo stesso pianto nel cuore del giorno dell'addio, che oggi spero sia il più lontano possibile. Perché non so stare senza di lei, già oggi, nonostante io cammini con le mie gambe.
E' davvero un bel viaggio, genuino, vero e concreto, quello che abbiamo intrapreso. E questo mi basta. Me lo ripeto costantemente, e non è solo un'autodifesa. Ho imparato a non avere aspettative ulteriori.
Tuttavia, sono legittimato ad avere dei desideri, ogni tanto.
Desidererei che questo amore divenisse per entrambi semplicemente tutto.
Ovvero, quello che abbiamo sempre voluto dalla vita, ovvero essere liberi, tranquilli e felici, finalmente arrivati a destinazione dopo tanto penare. Forse lo desidero in generale perché non ho mai avuto la fortuna o il privilegio di essere felice, ma la candidata che vorrei accanto è una sola, e non posso averla oggi. Pace.
Non chiedo e faccio la mia vita, che probabilmente è anche un po' la sua, e non penso a tutto quello che ho scritto oggi.
Tutto questo vorrei che semplicemente lei lo capisse, e tanto mi ritroverò nel telefono un messaggio chilometrico che, razionalmente, mi ripropone il solito catalogo di Self-excuses, che conosco a memoria. O probabilmente mi ritroverò abbandonato, ancora una volta, a me stesso, ma stavolta con la consapevolezza che posso accendere il motore e dirigere la mia nave dove voglio.
Il passaggio da "#Loversintimeovcovid19" a "#Driversintimeofcovid19" è un attimo.
So a memoria che la realtà è anche un'altra. La realtà è che sto "in panchina", ma forse gioco molto meglio e molto di più del titolare.
E i giorni in cui sono costretto a stare "in panchina" (nei fatti, non nel cuore, ne sono sicuro), prima facevano male, poi, come in tutte le cose, ho dovuto imparare a conviverci e le ansie, piano piano, sono sparite. Con esse non sono svaniti i desideri, ovviamente.
Via di Spugna, Parcheggio Arnolfo Multipiano.
L'Enterprise mi ricorda che sono arrivato sotto il mio ufficio. 
Mi soffermo a guardare il bellissimo palazzo che ospita le mie stanze.
E' ora di rientrare nella mia vita, nonostante l'espressione da idiota interurbano degli anni '80.
Rientro nella stazione con una speranza in più, ogni giorno che passa, sempre cosciente che le illusioni non fanno bene, ma che viviamo per il cuore e non per il cervello.
Scuoto la testa, abbandono i pensieri per cui vale la pena di vivere per tornare all'universo di rompicoglioni che mi circonda e mi attanaglia impedendomi di fare quello che vorrei in questa vita.
Potrei fare tante cose, ma le lascio fare al tempo. E mi godo il viaggio.

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