martedì 31 gennaio 2012

Scarsa abitudine alla strada buona (e alla sicurezza)


Via Nova, tratto discendente: la macchina è fredda e allora sfrutto tutta la coppia dei bassi per sorpassare un vecchio fuoristrada guidato da un vecchio lentissimo, e pure insultereccio quando l'ho appena messo negli specchietti. Mi aspetta un lungo viaggio, fino a Rovigo, bella città, un po' nebbiosa.
E' un periodo strano, questo, molto positivo. Sembra quasi che io stia camminando, per la prima volta, su un terreno solido e credibile, per il quale vale la pena di esistere.
Apprezzo l'amicizia, in cui quella storica e quelle nuove si commistionano continuamente tra loro ed è come aver sempre avuto accanto quelle persone nella vita.
L'Eroica sfida il pericolo della neve e inanella traiettorie perfette, divenendo un leprotto transappenninico che si trascina dietro un codazzo di BMW e Audi che seguono le traiettorie in modo pedissequo, non senza difficoltà, per arrivare prima possibile a destinazione.
Non sfida solo il pericolo neve: sfida le paure, le convinzioni altrui, e porta il mio carico di fondamenta solide a destinazione, su cui costruire un giovane ma saldo edificio che si spera duri nel tempo.
Provo una sensazione strana, come se avessi guidato sinora la mia macchina, con tutte le sue gomme da pista, le sue caratteristiche da mezzo veloce, su un terreno innevato, sul quale ogni piccola sterzata poteva davvero compromettere la stabilità di ciò che avevo costruito, pressoché da solo.
Ora cammino sul terreno solido, forte, liscio, adatto a me. Ed è una sensazione nuova, perché ho sempre lottato per ogni goccia, ogni travaso d'amore, ogni momento bello me lo sono dovuto guadagnare, con sudore, sangue e tante lacrime.
Adesso no, c'è emozione e ragione. E non finirà.

domenica 29 gennaio 2012

Intersezione di piani (alias Mondi paralleli reloaded)

SS516, 70km/h, notte fonda; è tutto dritto e non c'è nessuno per strada ma non ho voglia di correre, non ho fretta, non ho voglia di arrivare a casa, anche se l'ora e la stanchezza consigliano di arrivare alla meta il prima possibile, prima che possano comparire eventuali colpi di sonno. Continuo a guidare, guardando avanti, in diversi sensi, con Waze che mi indica dove sono e quanto manca per arrivare a casa; ma non lo guardo, non mi interessa sapere dove io sia e dove stia fisicamente andando; nessun GPS, nessun navigatore satellitare ti da le indicazioni per la vita.


La memoria torna ai tramonti del Fulufjällets Nationalpark, al tour fotografico a caccia di alci e orsi (non visti - la stagione non era quella giusta). Lì le strade erano ignote, lontane, sterrate, acerbe; mi facevo trasportare su un mezzo non mio senza una meta, ma già quei tramonti mi avevano fatto provare qualcosa di simile. Nemmeno ora la meta è precisa, ma sul percorso sto trovando dei fantastici compagni di viaggio, passeggeri, autisti, piloti che mi stanno facendo crescere giorno dopo giorno, riempiendomi di sorrisi e dandomi quella fiducia che spesso non riesco a trovare né dentro di me né altrove.

La meta resta imprecisa e ignota, ma sto calibrando la bussola, sto cercando di capire cosa voglio, cosa mi fa star bene e chi mi fa star bene. E quando me ne accorgo arriva quella voglia di non tornare a casa, quella voglia di credere che un momento ed un giorno possano non finire, la voglia di riunire nuovamente il prima possibile quegli amici che riescono a farmi smettere di pensare ai problemi di ogni giorno, che riescono a farmi domande a cui mi fa piacere rispondere, che riescono a creare mondi paralleli anche a due passi da casa; riescono a ridarmi la serenità che mi mancava.

Verso queste persone la gratitudine non sarà mai abbastanza...

giovedì 26 gennaio 2012

Chicanes



Circuito di Magione, o meglio, autodromo dell'Umbria "Borzacchini", la fine del rettilineo lungo prima del Curvone si avvicina. I cartelli a sinistra si susseguono dandomi le metrature, dapprima 150m, poi 100, poi 50.
Era il triste, tristissimo mese di luglio 2011, e al track day, nell'illusoria idea di scacciare, anche solo per un attimo, i fantasmi che ancora si traducevano in lacrime, sangue, e pensieri sbagliati, avevo noleggiato una Porsche Cayman S alleggerita.
I suoi 320cv qui sembrano più che sufficienti, pensai quel caldo giorno, avvolto nella tuta dell'Ape Maia che da tanto tempo risiedeva in naftalina nell'armadio del dimenticatoio, da quando, ancora acerbo ragazzo impaurito, dissi addio a tutto quel controverso mondo delle quattro ruote.
Avevo voglia di riprendere da mesi: ero pressato dalla solitudine, dalla forza che questa stava avendo su di me, come il timoniere sulla barca a vela.
Il 6 cilindri della "mezza Porsche" urlava regolare, sin troppo, sopra i 7000 giri, quasi nel rosso che qui inizia a 7500. Il mio cuore, all'epoca, urlava all'unisono, ma in modo molto più assordante. Nelle chicanes giravo, cattivissimo, il volante, tentando di aggredire i cordoli con la forza della rabbia che non avevo perché moderata dalla rassegnazioe.
Rettilineo lungo, di nuovo, 250km/h, il cartello dei 150m inizia a stagliarsi sulla sinistra. Il mio piede destro si attacca al pedale del freno, via 2 marce, dentro il Curvone. Inevitabilmente entro troppo veloce, ma la macchina mi perdona, come si fa con i bambini ingenuotti che ritornano in pista dopo tanto tempo.
La macchina nera è lì, piantata nel mezzo del brevissimo rettilineo tra il Curvone e la Monte Sperello.
Un paio di Mini, di cui una con due scarichi immensi e un alettone a biplano, passano accanto a me e mi sfilano. Do loro vantaggio.
Mi rigiro e rientro. Prima-Sesta. Fondo. I cordoli scorrono, come il tempo di questo turno di guida di mezz'ora, sulla via del miglior tempo.
Una mezz'ora guadagnata della mia vita, di nuovo, pensai mentre uscivo come un proiettile tra la Curva Zampini e la seconda esse.
Adesso ricomincio a correre. Di nuovo. E non da solo.
Ricomincio a vivere, perché il 2011 è finito nel modo migliore, e il 2012 è iniziato ancora meglio, con la consapevolezza che quello che c'è adesso durerà.

mercoledì 25 gennaio 2012

Dancing

Resto fermo ad una scrivania che conosco poco mentre, all'interno delle cuffie che uso per creare un mio mondo isolatamente fantastico, Elisa canta Dancing; penso ai viaggi che erano da fare ma non verranno fatti; quei viaggi di cui in un giorno sono stati demoliti tutti i programmi facendo sparire le speranze; e parlo di speranze perché quei viaggi significavano molto più che due giorni fuori da casa.


Così continuo a far finta di nascondere la delusione di anni di esperienze non vissute, di sogni rimasti tali e di strade non percorse che continuano ad accumularsi rendendo sempre più difficile guardare avanti con serenità, in tutti i campi; guardare avanti verso nuove strade, nuovi pezzi di asfalto da percorrere cercando nuove mete, nuove professioni, nuove convinzioni, nuovi stimoli e nuovi amori. Qui non ne trovo più. Ma manca il coraggio, come sempre, di andarsene, anche se, qui e ora, l'impressione è quella di sprecare (amicizie a parte), minuto dopo minuto, questa preziosa esistenza.

Cerco di controllare le emozioni ma so di non riuscirci quando necessario e di riuscirci troppo bene quando non dovrei; la strada si accorcia, così come diminuiscono le occasioni (sull'asfalto come nella vita) di contare qualcosa e di non doversi semplicemente accodare ai tanti anonimi guidatori di ogni giorno. Manca la forza, non c'è proprio; vorrei quasi dire che non c'è mai stata e che tutto ciò che ho mi è stato, impunemente, regalato. Ora che tocca a me tirare fuori i numeri i numeri non escono; è sempre più facile sedersi e aspettare, senza un vero stimolo; è facile riempirsi di belle parole e di bei concetti e pensare solo alla teoria.

Sto facendo i conti con me stesso, ma i conti non tornano...

martedì 24 gennaio 2012

A desert road from Vegas to Nowhere

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A desert road, from Vegas to Nowhere...e la strada deserta oggi è la SP324, a 80km/h, nel tratto discendente tra Fanano e Lizzano in Belvedere.
La temperatura è alta, tanto alta, a tal punto che la neve non c'è, qui sul Cimone.
La coltre bianca dovrebbe essere la protagonista indiscussa di questi mesi, su queste montagne, la neve.
E invece all'ora di pranzo c'erano 12 gradi e la pista da sci del Lago delle Ninfe di Sestola era comunque costellata da tratti di sterrato, da tamarri che sciavano con i jeans e da persone avvolte nelle loro tute, con il caldo forte che non dovrebbe esserci adesso.
Pure il mondo si ribella all'uomo, mi viene da pensare, mentre i due amici di sempre sono a sciare e mi fanno da maestri, e quelli nuovi sono a mangiare e a godersi l'ozio a poca distanza.
La SS64 Porrettana, naturale prosecuzione di questo percorso, sale e si inerpica per gli Appennini Tosco-Emiliani: da qui per me c'è un mondo nuovo, una strada inesplorata e bella all'inverosimile, fatta di appoggi sui curvoni veloci, del fischio sempre più forte delle turbine che spingono il pilota, il secondo pilota ormai consacrato quale ufficiale, e l'amico di sempre che dorme beatamente dietro.
Per un attimo ho voglia di rifare questa strada da solo. Per un attimo metterei davanti l'introspezione senza accantonare nessuno, per il puro gusto di fare queste curve, al ritmo, magari, di una musica mia, che sento SOLO mia.
Anzi, nostra.
E allora un fallimento non è sempre uno sbaglio, potrebbe semplicemente essere il meglio che uno possa fare in certe circostanze. Il vero sbaglio è smettere di provare.

E così è stato, in effetti. La felicità ci attende. E la strada deserta non fa più paura, adesso che accanto a me c'è chi può prendere il volante di questa vita.

domenica 22 gennaio 2012

La dura realtà dei sogni

SP47 Valsugana, 70km/h, nebbia fitta a notte non troppo fonda (era da poco passata la mezzanotte), seguo le auto che mi precedono senza alcuna velleità competitiva, senza fretta; non ne varrebbe la pena visto che la strada attraversa tutti i paesi possibili ed immaginabili e la nebbia stessa non permetterebbe andature più sostenute.

Ci sono ancora nell'aria e negli occhi i sorrisi sinceri di una breve ma allegra ed inaspettata serata, dove ho iniziato a provare a demolire alcune convinzioni per tentare, non tanto di costruire una nuova strada, ma di capire dove e come costruirla; perché sono cambiato io, perché mi accorgo di non conoscere ancora il mondo che mi circonda, perché voglio anche solo provarci ad essere più spensierato.

Ma, mi chiedo mentre continuo a farmi spazio nella nebbia assieme agli ignari compagni di avventura che mi aprono la strada, come faccio a trovare la spensieratezza senza perdere quelle sensazioni forti che mi fanno venir voglia di innamorarmi di nuovo, magari sulle note così malinconicamente anni '80 di "Is this Love" dei Whitesnake, quelle sensazioni che mi fanno sobbalzare sulla sedia con il cuore a mille dopo il sogno di un innocente abbraccio, quelle sensazioni che mi fanno sbattere la testa contro dei muri anche quando magari potrebbe non valerne la pena?

Is This Love by Whitesnake on Grooveshark

...o forse è solo un'altra delle mie paure che i weekend normali non fanno altro che sottolineare? Forse a 30 anni diventa legittimo aver paura della solitudine? No, forse è troppo presto, forse sono solo, ancora, gli strascichi degli sbalzi emotivi degli ultimi mesi, forse la spensieratezza e la felicità sono dietro l'angolo ma non riesco a vederle.

Quello che è certo è che, salvo i momenti in cui le amicizie riescono a curare le ferite, tutti i dubbi sono ancora lì e nulla è cambiato in nulla come sempre.

giovedì 19 gennaio 2012

Il senso ingiustificato di libertà


SS77, Foligno, 50km/h, non meglio precisato fine settimana di giugno 2010. Qui finisce la superstrada, nella direzione in cui devo andare. Ho sfidato i miei compagni di viaggio che sono passati da Roma e dalla comoda A24 in direzione Pescara. Da qui sono 50km meno, ma più curvilinei, più belli, più vissuti.
Mi scoltellavo con una 500 turbodiesel nuovissima, da 95 cavalli, ben guidata, che non cedeva un centimetro alla mia guida, e che forse conosceva la strada.
Cambiava serratamente a 4000 giri, lo si intuiva dall'interruzione breve dell'accelerazione, e quei 60km sono stati sicuramente, da Foligno a Colfiorito, dopo Muccia, e fino a Camerino, dove la sciapa SS77 diventa un lato a 4 corsie del quadrilatero Umbro-Marchigiano, i più emozionanti in assoluto. Erano emozionanti per il senso di libertà che provavo in quei precisi istanti, per i motivi che vedremo.
Era uno stranissimo periodo della mia vita: un nuovo amore premeva, da 4 mesi, i muscoli del mio cuore facendoli battere, e sembrava, all'inizio, che quella parola "Andrea" che veniva pronunciata da chi diceva di essere accanto avesse una valenza ed un suono del tutto particolare, musicale nelle mie orecchie. Ancora credo sia stato così, all'epoca. Non era un tempo così distante da adesso, contando i giorni e le date che i nostri sistemi di misura offrono.
Ma in realtà, tantissimi treni sono passati sotto i ponti da quei giorni.
Ora la mia vita è bellissima, è quella che ogni uomo vorrebbe, con un angelo accanto.
ma mi torna in mente la canzone Philadelphia di Neil Young, che in quel periodo sentivo spessissimo. Insoddisfatto dell'amore che avevo accanto, queste parole rimbalzavano nella mia mente continuamente:

City of brotherly love
Place I call home
Don't turn your back on me
I don't want to be alone
Love lasts forever.

Someone is talking to me,
Calling my name
Tell me I'm not to blame
I won't be ashamed of love.

Già: le mie mani, in precedenza, prima di quella folle danza nei tornanti, anelavano verso casa, in quella telefonata triste e piena di urla, fatta con l'auricolare Bluetooth, perché la bellissima Ammiraglia non aveva il vivavoce.
Forse ero, per citare sempre Neil Young, out of the blue and into the black, già così presto. Non volevo aprirmi in quel periodo, non volevo niente.
Le luci di Perugia passavano alla mia destra, mentre il raccordo proseguiva sotto di me, e le sue uscite, Perugia Olmo, Ferro di cavallo, Madonna Alta - Stadio, San Faustino, Prepo, Piscille e infine Ponte San Giovanni si susseguivano con un ritmo serratissimo dato il ruolo di questa superstrada come Tangenziale.
La mia macchina, silenziosissima a 100km/h proseguiva in modalità automatica, mentre tentavo, in ogni modo, di giustificare quello che avevo scritto sul mio primitivo blog, così bello, emozionante, permeato di sapori, sudore, e cattivo odore di freni surriscaldati sulla strada del mare.
Cercavo in ogni modo di negare l'evidenza a chi aveva capito che ero insoddisfatto ma non lo volevo dire.
La telefonata durò, appunto, fino all'ingresso della SS3bis che mi portava dritto a Foligno.
Fu lì che capii cosa volevo. Maturai un senso di libertà, dentro di me. Mi sentivo solo, e per combattere quella solitudine necessitavo di vivere quei periodi solitari che non avevo mai avuto se non per poco tempo.
Era una sentenza che avevo scritto a Civitanova Marche, mentre entravo sull'A14, stanco morto, diretto alla famosa e famigerata Multidistrettuale di Pescara del 2010.
La macchina correva e il mio grido silenzioso di libertà si estendeva tra i monti alla mia destra e il mare alla mia sinistra.
Gridavo la libertà di chi non si sentiva compreso.
E sbagliai.
Fu lì che nacque, alla fine, la tristezza che ebbi in tutto l'anno successivo.
Avevo visto male, inevitabilmente.
Quel giorno, il senso di libertà che provavo era del tutto ingiustificato, era quasi una ripicca in primis contro me stesso.
Si matura, e si pensa alle conseguenze di tale condotta. Sbagliai, nei confronti di tutti.
E adesso sono sicuro che ripensando alle mie azioni non posso che darmi di bischero.
La vita è bellissima, da vivere continuamente, con quei due occhi che inaspettatamente sono diventati una cosa sola con i miei.
Non voglio più viaggiare da solo. Ma il treno della felicità sembra passato anche per me. Adesso sono vivo, vegeto e so dire "mai più" a quella sofferenza.
Devo ringraziare amici sinceri, e una persona in particolare per aver messo il ventilatorone sull'appennino e mandato via le nuvole.
E farò di nuovo 60km in battaglia con qualche macchina, ma con un navigatore.

I viaggi da fare

Corso 13 giugno, 110km/h, nebbia che si condensa in nevischio; "neve chimica" l'hanno chiamata; so già che tra qualche centinaio di metri dovrò accostare a destra per seguire la fila di auto in coda (in corsia di emergenza!) per uscire verso la SR308, sapendo che praticamente tutti si dirigeranno poi assieme a me verso il tratto anomalo in direzione opposta e contraria; appena il serpentone di auto riesce ad immettersi sulla strada, in questo tratto sopraelevata, le corsie diventano 3 e si buttano sul ponte creato per bypassare il casello di Padova Est, ponte bello, sicuramente utile, ma bello per finta, visto che l'arco che lo percorre da una parte all'altra non ha alcuna funzione di sostegno (altrimenti qualcuno mi spieghi come hanno fatto fare il ponte prima dell'arco...). Oggi.


Il futuro, invece, è ancora lì nascosto ed etereo, dietro una pesante tenda di indeterminazione; ma non per questo significa che non possa provare a fare qualche programma a breve scadenza, cercando di tirar fuori qualche sogno da quel mio cassetto che più che essere un cassetto ormai è come il mitico gonnellino di Eta Beta (o il Regno delle cose perdute di Eriadan, per chi lo conoscesse) per quanti ne contiene. Tiro nuovamente fuori sogni di Mondi paralleli e di passeggeri pedemontani e dei viaggi più e meno lunghi da compiere, sempre verso la luce, anche se quella luce è ancora solo nella mia immaginazione.

In barba alle coincidenze continuo a sperare che qualcosa, magari partendo da un nord-est ancora più a nord-est di qua, inizi a muoversi. Speranze soltanto, si, ma per cercare almeno di non perderle la settimana prossima una visitina a nord-est del nord-est la faccio, per capire se possa valer la pena ricominciare quasi da zero per rimettersi in gioco, illudendomi nel frattempo che questo sia solo l'inizio e che altre pedine, passata la bufera sul campo di battaglia, si muovano.

E mi consolo con una piccola sfida musicale contro me stesso per imparare Butterfly di Jason Mraz (sorvolando sul testo...).

Il Blocco del Direttore


Via nova, tratto discendente, 60 km/h, le macchine passano in salita e, in questo freddo, sembrano puntini di calore in una ipotetica distesa di ghiaccio. I freni ancora non sono in temperatura e mi regalano spazi di arresto lunghi ma calcolati.
Mi guardo intorno: non so trovare ispirazione in questi giorni: non scrivo altro che qualche cannonata sull'altro blog, sul progetto controvento, per tirare su quella nuova idea e poi lasciarla in mano ai bravissimi co-edtors.
Forse è vero che la forza della rabbia e della tristezza aiuta ad avere una visione più profonda della vita, forse adesso sono felice e quindi meno artisticamente ispirato. Non so ricreare le stesse sensazioni, adesso, perché sto vivendo un momento positivo.
Nel frattempo, risuona Philadelphia di Neil Young.
Sembra quasi che in altri periodi questa canzone avrebbe ispirato lunghe e lunghe pagine intrise di una speciale forza che aiuta le persone a sollevarsi. E adesso no. E' bello sentirsi amato, rispettato, supportato.
E allora è giunto il momento di cedere il passo ai bravissimi co-editors per qualche giorno. Ma tornerò più ispirato di prima, dalla forza delle sensazioni positive che ci sono adesso.
Alla fine, questo è anche un blocco piacevole. Nel frattempo mi dedicherò all'ironia, che non scappa mai dalla mia persona.
Scusatemi, tornerò. E anche presto.

martedì 17 gennaio 2012

Il sole tramonta sul mare tra gli ulivi

La strada dopo i bivi presi a caso riprende a salire; i mondi paralleli restano temporanei e confinati; i venti non soffiano più ed i tramonti, anche quelli visti verso il mare tra gli ulivi, sembrano non avere più i colori che avevano prima. Solo l'asfalto continua a correre sotto le ruote, e non solo quello; terra, sassi, fango, erba... avanti comunque, stando attento a non rovinare il mezzo, anche se qualche sasso è impossibile da evitare e qualche volta ho toccato, causa anche i grandi pesi trasportati.


La strada riprende a salire già di suo, quando, nonostante le barriere, nonostante le dimenticanze, arrivano notizie con tempismo perfetto, quasi calcolato (anche se in mezzo a tutti quei sassi non me n'ero accorto), che distraggono il pensiero e lo sguardo; ma non devo fermarmi a farmi ingarbugliare la mente da eventi che non mi riguardano più, eventi che, pur incarnando la natura dei cambiamenti che provo ad impormi, non fanno più parte della mia vita.

Ora non ci devono essere distrazioni, lo specchietto retrovisore va pulito bene per non avere più dubbi su quanto mi sono lasciato alle spalle; la musica è leggermente cambiata, c'è più ritmo ora, a tratti spensieratezza; le voci sono cambiate, quelle voci che mi tengono compagnia durante i miei viaggi; la strada è cambiata: non ci sono più le dritte A4 ed A57, al loro posto sono arrivate la tangenziale nord e poche centinaia di metri sulla SR308, numerazione fin troppo conosciuta, ma un tratto atipico in direzione opposta e contraria, tre corsie sopraelevate per raggiungere in un unico balzo, dal bivio verso la meta dolorosa (bivio dove ora invece mi tengo sulla corsia di sinistra), la scolorita zona industriale, sinonimo di produzione per i più, ma di costante improduttività per me.

domenica 15 gennaio 2012

Lettera triste ad un amico perduto


Mi dispiace Andrea, mi dispiace perché non c’è più niente che mi ricordi te. Non c’è più lei a sostenermi gentilmente il braccio camminando per strada il sabato pomeriggio. Non c’è più la serata nel consueto posto in cui ci trovavamo. Non passo più dai giardini dove a volte parlavamo, o ti vedevo con lei. Non c’è il tuo nome sul mio telefono, non c’è la tua mail nel mio indirizzario.

Mi dispiace perché non c’è più assolutamente niente che mi faccia pensare a te. E lei ha un altro, come aveva un altro il giorno che te ne sei andato. Non parliamo più di te Andrea. Non ci vediamo più poi così spesso, forse perché penseremmo ancora a te. La nostra esistenza è irrimediabilmente legata alla tua presenza, che ha lasciato un vuoto così grande.
Non avrei mai capito fino in fondo perché le persone si dividono quando perdono qualcuno, non lo avrei mai capito se questo non fosse successo.
Ora capisco tutto. Ma sappi che a volte ti ripenso, quando passo dal luogo in cui giaci, che da quel giorno non ho più visitato. E mi fa paura pensare di rivederti, perché quella foto non è più te. Come la ricordo bene…

Con questo vorrei riportarti nella mia memoria, nelle mie parole, vorrei che tu vivessi ancora. I miei problemi mi spingono a pensare che dovrei lasciarti andare, ma non posso farlo. La tua sorte è stata così crudele, così reale, che mi riesce difficile pensare che non possa accadere a nessun altro. Quando una statistica diventa realtà per le persone a noi vicine, purtroppo non sarà mai più solo una statistica, ma una concreta possibilità, e spaventa.

La morte è così beffarda! Ti vantavi tanto di essere l’unico a possedere quel cognome… ora non ce l’ha più nessuno, nel tuo piccolo sei riuscito a privare l’Italia intera di qualcosa.

Sono tutti andati avanti, e forse anche io, ma quel panico è il mio modo per non lasciarti andare, per non farti un torto, come a dire “avrei dovuto saperlo”. Avrei dovuto sapere che era possibile, avrei dovuto ogni volta salutarti come fosse stata l’ultima. Ma non prendiamoci in giro, la vita non potrebbe essere realmente vissuta con l’ottica del memento moris. Non sbagliavo prima, sbaglio adesso. Ad ogni modo mi dispiace desiderare di perdere totalmente il sentore della tua presenza. Dispiace ancora di più non credere in un aldilà in cui tu possa sentirmi. E se mai esistesse, spero gradirai questa carta straccia.

La mia festa


Sono contro la mania dell’apparire, dell’esser belli.
Non c’è cosa al mondo che disprezzi più dell’ostentazione.
Se mai dovessi avere una festa, per la circostanza voglio esser nascosta.
Come può essere “tuo” qualcosa di cui sei protagonista? E’ tuo il figlio che fai e che poi ti sfugge, è tua la vita che vivi un po’ per caso, un po’ per voglia.

Non è tuo lo spettacolo, in cui reciti, ma scritto da altri.
Non è tua la festa in cui compari, se dettata da una tradizione.
Come può esser tuo il palco sul quale impersoni qualcosa di precostituito? Una sposa, un neonato, un diplomato, un laureato...
Niente di questo è nostro.

Come può esser del burattino lo spettacolo in cui l’artista tira i fili?
Tuo è il quadro che dipingi e che non ti raffigura, la canzone che componi ma non canti, il testo che scrivi ma non leggi...

Se mai avrò una festa non voglio stare in piena vista, ma in disparte; voglio scomparire ed osservare quei manichini pilotati, come macchine, da assurdi precetti.

Per la mia festa non vorrei un bel vestito, ma l’invisibilità.
In effetti, non gradirei alcuna festa.

giovedì 12 gennaio 2012

Svolte incontrollate

Semaforo verde... strada dritta e libera... prima... zona rossa... seconda... zona rossa... terza... zona rossa... quinta-sesta veloce per abbassare i giri con un filo di gas e alzo del tutto il piede lasciando l'auto rallentare autonomamente; cerco di scaricare così sul mio povero mezzo le inutili ed ingiustificate tensioni che continuo ad accumulare di cui non riesco mai a liberarmi veramente; e se da un lato ho paura di non riuscire mai a farlo da solo, dall'altro continuo a disperare del fatto di trovare qualcuno che mi prenda per mano e mi aiuti a farlo. Eppure le svolte arrivano, anche se lontano de me ed indipendentemente da me. E allora è tempo di guardare veramente avanti, volgersi al sole di una nuova alba lasciandosi alle spalle le ombre del passato.


O almeno è quello che cerco di convincermi di dover fare.

Cerco di convincermi ma resta troppo forte la paura di ferire altre persone, la paura di provare di nuovo la sensazione di fare tutto solo per senso del dovere, di sentir sparire la voglia di andare avanti, le convinzioni, sentirsi svuotare giorno dopo giorno e constatare gli effetti negativi di tutto ciò su chi non si merita di soffrire, chi, nonostante tutto, nonostante i dubbi, a voltare pagina ci riesce.

Avanti, dunque, contro il maremoto professionale presente, contro la cronica voglia di fuggire, contro l'incertezza, controvento, con la grandine che batte sulla schiena scoperta, con l'orizzonte che ormai non si misura più in mesi e neppure in settimane ma in giorni, avanti in questo mio grigio mondo dove ormai l'unica certezza, oltre agli amici, sono i dubbi.

mercoledì 11 gennaio 2012

Rotture del silenzio per espressioni del disappunto ma quando meno te lo aspetti.....


SS223, 140km/h, 2 ottobre 2010. La prima fine delle cose (allora) più importanti aveva fatto il suo corso a 100km da casa mia. L'Ammiraglia procedeva con la calma di chi sa che è perfettamente conscio di aver perso tutto, nell'obbligatorio viaggio di ritorno verso casa. La mia guida non era rabbiosa quella sera, tentavo semplicemente di contenere gli stimoli che il cervello, nella sua immensa razionalità determinata dall'eccesso di adrenalina, inviava al mio piede destro, che l'altra parte di me faceva alzare, in un impeto di razionalità, di fredda razionalità. Non ricordo se pioveva quel giorno, ma credo di no. Forse piovvero lacrime, ma non per strada, a casa, in estremo silenzio.
"...Ragazzi, tranquilli, divertitevi..." dissi ai due fratelli di sempre che volevano intraprendere un'impresa eroica e venirmi a riprendere laggiù.
"...Chiamaci quando arrivi e non fa cazzate per strada, per favore...".
L'Ammiraglia proseguiva la sua corsa e pareva sentirsi molto a suo agio nel tenere quel passo medio-veloce tipico delle galoppate sull'A13, anche se la strada era diversa, le curve lì c'erano, e la voglia di arrivare, forse, era tanta.
Ero conscio della situazione di rischio che si stava creando e che poi avrebbe permeato "ogni stato e grado del procedimento" della mia vita di quel periodo.
Mi ritrovai un'Audi A3 1900 turbodiesel davanti, forse è un 105cv. Lo risorpassai con la freddezza che il cambio sequenziale rilogicizzato, il piccolo motore nato con 70cv ma con manicotteria maggiorata, rimappatura "...cattiva ma conservativa..." e altri aggeggi vari, sprigionava qualcosa come 98 puledri, toccava effettivi 185km/h.
All'epoca facevo di necessità virtù e avevo imparato a lanciarla, quella macchina rossa inizialmente restìa ad assecondare le mie velleità sportiveggianti, ma una volta presa strada, entrata in coppia, data la marcia giusta, faceva la sua porchissima figura, anche se preferiva le galoppate sulla Bologna-Padova. Quel giorno l'Ammiraglia mi assecondò alla perfezione nelle mie velleità galoppatorie, dando il meglio di sé, in effetti, quando era necessario.
Tangenziale ovest di Siena (se mai ce ne fosse stata una est), 150km/h.
Arrivai a casa, in quell'oscura, grigia serata di ottobre, avvolto dal buio e dalle telefonate degli amici.
Iniziai il percorso quella sera stessa: mi guardai dentro dicendo, per 5 minuti, che non avevo perso niente. In realtà avevo perso tutto.
Nei giorni successivi cercai un punto di rottura, con me stesso e con le mie convinzioni, mentre cercavo di obbligarmi a star male e non ci stavo quanto dicevo agli altri, anzi, forse dovevo in una qualche maniera reprimere la voglia di scappare da tutto quello che stavo costruendo.
Insomma, da lì iniziarono a balenare i propositi di recupero di quanto avevo perso. Feci di tutto, e come sappiamo ho rimesso a posto un coccio rotto per mesi, fino alla debacle conclusiva.
Già, ma da tutto questo riuscii solo ad avere emozioni forti, paura di essere costantemente in bilico ecc. Il resto lo sanno gli amici, lo sa Francesco.
E allora, arrivi a un punto in cui scollini, e ciò avviene esclusivamente per forza di cose, quando le speranze sono distrutte dalla conoscenza che qualcosa avviene a distanza, quando meno te lo aspetti.
E allora raccatti i cocci, tiri la macchina a tutto gas, e scendi dalla collina. Niente tratti di deserto: semplice sensazione di libertà forte, fortissima.
Quando meno te lo aspetti succede l'inaspettato, quello piacevole. Così come è successo a me, si ritorna a sperare, guardandosi a destra mentre percorriamo strade nuove, oscure superstrade in mezzo al nulla, e la sensazione di bilico sparisce, anche se le insicurezze traspaiono, e tu ti senti di nuovo su un piedistallo e, quando capita (rarissimamente) di ripensare ai fatti indietro, capisci che ora stai bene e prima eri una figura sbiadita che si arrabattava per un senso del dovere in primis nei confronti di se stesso.
Sono tornato a vivere, e a quell'epoca mai avrei pensato di poterlo rifare da zero.
Tornerai a sperare, amico mio. Tornerai a farlo quando meno te lo aspetti e prima di quanto tu creda.
E ora, concediti una bella tirata. E del tempo per te, solo per te.

martedì 10 gennaio 2012

Mondi paralleli

SS51bis, 60km/h, un sottile strato di neve ai bordi della strada, appena visibile quando viene illuminata dai fari in un tardo pomeriggio invernale cadorino; il bis dopo il nome significa che sono sulla variante della mia amata Alemagna che da Pieve di Cadore si distacca e corre verso Lozzo di Cadore, seguendo ancora per qualche chilometro il corso del Piave, prima di unirsi alla SS52, prenderne il nome e proseguire nuovamente lungo il Piave salvo poi abbandonarlo a Santo Stefano di Cadore.

Faccio scendere alla stazione di Calalzo la simpatica ed inaspettata passeggera con cui ho serenamente condiviso la strada fin lì, dopo un veloce tour di Pieve in attesa del DolomitiBus che l'avrebbe portata verso più note e mondane mete, e riprendo la SS51bis verso nuove conferme, nuove smentite, nuove amicizie e nuove strade, ma soprattutto verso quello che per due giorni sarebbe divenuto un mondo parallelo, un mio temporaneo mondo parallelo.


Una volta abbandonate le più frequentate statali la strada, ora sconosciuta, inizia a stringersi ed inerpicarsi fra tornanti, doppie e mezze curve, con la neve ai bordi più insistente; la salita, le gomme invernali e i distinguibili pali per lo spazzaneve ai lati mi fanno osare qualche divertente accelerazione (sempre senza strafare) dove si intuisce il percorso; poi le prime luci del paese mi fanno rallentare, trovo la via e chiamo la padrona di casa ..."Sono qui!". Cinque minuti e arriva il resto della comitiva, capitanata da un nuovo amico autista (e passeggero); il mio contatto con il mondo esterno si chiude lì, non fosse altro per quello squarcio tra le nuvole che la mattina dopo mi ha fatto vedere il mio Antelao, certamente non vicino, da una prospettiva da cui non l'avevo mai visto.

A questo punto diventa quasi irrilevante dire che i giorni sono diventati due quando avrebbe dovuto essere solo uno, dire quanto l'allegria, l'amicizia, la spensieratezza e la sincerità di quei giorni mi siano rimaste nel cuore, dire quanto la neve che cadeva non facesse altro che aiutare ad attutire qualsiasi influenza esterna, dire quanto le telefonate che ci siamo scambiati sulla via del ritorno, ancora con il sorriso in faccia, restino tra le più belle che io ricordi... e ancor per me risulta difficile, come mio solito, comunicare tutto ciò alle persone che assieme a me hanno vissuto quest'esperienza, lasciandomi anche questa volta con il dubbio di esser riuscito a far capire quanto bene stessi, quanto importanti siano state per me quelle ore ...o se il mio usuale muro abbia nascosto anche questa volta quelle sensazioni.

lunedì 9 gennaio 2012

La traiettoria sicura non è mai quella ideale.

SS12, 80km/h: il serpentone di macchine si muove pacioso lungo la Statale che parte da Pisa, scolletta cattivissima gli Appennini, attraversa la Pianura Padana, arriva a Modena, corre parallela alla ferrovia fino a Verona, Trento, Bolzano, Brennero, fino al confine con l'Austria, moderna e civilizzata.
L'Eroica sembra consumare meno, tra le mani esperte del pilota attento al dettaglio della traiettoria e a non esagerare con la chiamata in causa della turbina grande, quella che fa entrare la benzina nelle farfalle, mentre la piccola aiuta il motore a venir fuori dall'impaccio dei giri bassi. Il pilota impartisce lezioni di guida all'acerbo navigatore su come si imposta l'ingresso in chicane e su come si impostano i curvoni in due tempi.
Rhythm is a dancer, classico dance di rottura della mia infanzia, appare a cadenza regolare nella radio e accompagna la cavalcata lenta, ma regolarissima, della rossa carrozza con sopra un equipaggio affiatato, forte, solido, che gioca ad un tennis di battute, che tenta in tutti i modi di sfuggire ad una A22 completamente bloccata fino a Verona. L'Eroica diviene una culla dei pensieri e della soddisfazione.
Sono fuggito 3 giorni da nugoli di seccatori, tra battute, risa, un volto teso per un minuto soltanto, la Transpolesana a 120km/h nel silenzio totale, spezzato solo da musica tamarrissima, dalla frase "...qui ci sono più zirri che a Grosseto...", dalla nebbia che non è nel nord ma a Poggibonsi, dal sonnolento Appennino e dalla chiamata successiva che scalda il cuore.
L'equipaggio c'è.
Si imparano, col tempo, traiettorie fuori dagli schemi dei libri della scuola di pilotaggio. Si imparano cose che non si credeva di acquisire, si corre di nuovo su strade che si erano lette solo nella compulsiva ricerca infantile sull'atlante stradale, ci si rimette in gioco e si riprovano tutte le nuove sensazioni, si ripetono le prime volte e si inizia a sperare che stavolta sia quella buona.
Si corre di nuovo, velocemente, con la forza di chi si è stufato di perdere ma che comunque conosce le conseguenze e sa dove andare.
Il "to the moon and back tour" si conclude, purtroppo. Ha avuto luogo in Paesi che adesso amo, civilizzati al massimo, dove il bus passa, la gente non ostenta,
Ripartirò, ne sono certo, per un altro viaggio. In macchina, treno o aereo non importa. Ma l'importante è sentirmi vivo, e sereno come adesso.
E a chi vive di ideali, io replico che la traiettoria più sicura non è mai quella ideale. E la percorro, adesso, senza guardarmi indietro.

mercoledì 4 gennaio 2012

Controvento forza 8


Era l'inverno 2006-2007. Gennaio era iniziato con un freddo pungente, di quelli che però ti fanno apprezzare il caldo della casa, del caminetto, della cena calda da assaporare con la calma delle ferie.
Traghetto Piombino-Portoferraio, 14 nodi di crociera. Marmorica beccheggiava, infilando in modo regolare la sua prua tra onda e onda, e gli spruzzi arrivavano sin sul ponte di comando. Soffiava un fortissimo vento di scirocco, quella mattina.
Lo si capì nettamente a Piombino che non sarebbe stata facile come traversata: imbarcai l'Ammiraglia su Marmorica con gesti leggeri e precisi, premendo il tasto "city" per alleggerire lo sterzo, e il marinaio, dopo avermi fatto manovrare anche piuttosto distante dalle altre vetture, mi chiese gentilmente di mettere la prima e tenere il freno a mano tirato.
"Bene, grazie" - risposi, e a me bastava spegnere la piccola Ammiraglia e automaticamente l'accrocchio annaspante frizione-cambio-circuito elettroidraulico faceva tutto da sé e la ancorava alla panciona del traghetto della Toremar.
A poppa le motociclette venivano saldamente legate alla murata della nave, fatto che indica che il mare sarebbe stato molto mosso.
Partii da solo, quel fine settimana, con la consapevolezza di chi aveva fatto tabula rasa di quei soggetti che lo circondavano e lo bombardavano ancora di messaggi sul cellulare, come un copione già visto quattro anni e mezzo dopo.
Partii con la scusa di chi deve portare da troppo tempo delle cose alla casa al mare, ma forse a casa mia sapevano benissimo che non sarebbe stato così. Avevo un tremendo bisogno di riposo, anche se il mio cuore non era minimamente infranto.
Ero un ventiseienne pervaso dalla paura di chi era stato costretto, da tempo, a subire qualcosa di cui era in balia più totale. I sentimenti si erano oscurati come il sole eclissato, e quella luce non tornava mai, in quel periodo. C'era freddo, anche dentro di me, e pure tanto buio, e la costrizione netta nel dare l'apparenza voluta non solo da me che tutto andasse bene.
Mi liberai non senza difficoltà della paura di quelle persone, che ancora oggi, a 5 anni sonati dalla fine del gioco, ce l'hanno con me.
Comunque sia, quella mattina Marmorica affrontò il mare da vera Signora. Si faceva sballottare dalle onde, e gli spruzzi le accarezzavano la vernice bianca, in quella danza simile a quella del toro meccanico.
Andava controvento, Marmorica. Affrontava la mareggiata, mentre i suoi passeggeri faticavano bestialmente a stare in piedi e mentre io cercavo di seguire, con leggeri movimenti del collo, la prua e pensavo che non saremmo mai arrivati. Non volevo arrivare, quel giorno. Volevo che quel viaggio si prolungasse col mio carico di tristezza, col fardello di pianti che fanno male alla gola, alle ossa, alla testa, che mi portavo dietro in quel periodo.
Mi volevo crogiolare su quella sofferenza che giustificava tutto, ogni azione, utilizzata come valvola di sfogo per non affrontare una realtà che mi avrebbe messo di nuovo alla prova.
Tra un'ondata e l'altra vi era un susseguirsi di forze centrifughe che riportavano alla mente i ricordi che stavano sotto.
C'era la voglia di star solo e passeggiare sul mare con le giornate limpide, di riflettere su quello che ero stato e quello che avrei voluto essere.
La nave ha un'anima. Chissà quante mareggiate ha affrontato questa nave nei suoi 27 anni di vita, pensavo. Chissà quanta gente si è amata qui, ha riso, pianto, vissuto, ha sofferto il mal di mare.
Ma chissà quanti si sono incantati a guardare il mare stupendo da questi finestrini.
Passai 2 giorni a guardarmi dentro poco e a guardare parecchio il mare dalle scogliere e dalle montagne. Il mare il sabato si calmò, come mi calmai io. E direttamente proporzionale alla calma del mare saliva la mia voglia di fuggire dalla maturazione che incombeva come una spada di damocle da tempo e che non sarebbe ancora arrivata, forse oggi.
Ripresi la nave con gesti meccanici, tornai a casa e non capii. O non volli capire cosa stava succedendo.
Lo feci per anni. E non arrivai mai in porto. L'ho fatto fino a poco tempo fa, ho avuto questo viziaccio di trasformarmi in colui che fa finta di star bene con se stesso.
Non ci sono mai stato, in effetti, nemmeno per un minuto, se non coadiuvato, negli anni successivi, da obiettivi che prontamente si presentavano più lontani, sorpassato dai "primi che vedevo andare via"...
Partii in quei giorni, cercando qualcosa di magico, che puntualmente non trovai. E arrivai vuoto al capolinea. Come sempre succedeva ed è successo per anni.
E allora credo che dobbiamo star bene con noi stessi per poi stare con gli altri. E' la stolta, solita, banale verità che rimbalza in diecimila telefonate, discorsi tra amici, quando la notte avvolge tutto e dopo di lei non c'è il sole, quando la tua macchina va troppo piano, nonostante i lampioni scorrano sin troppo veloci accanto a te, e il contakm segna velocità astronomiche del tutto inutili e del tutto commisurate alla tua tristezza di fondo. Il problema è che nonostante tutto, il percorso non lo dividevo e non volevo far sapere a nessuno come realmente stavo. Un brutto carattere, una brutta pantomima tenuta per anni. E l'attore sin troppo permeato dal suo ruolo che difficilmente riusciva a staccarsene.
C'è la necessità di dividere, allora, qualunque passo si fa. E' la soluzione.
Per lo meno, ne ho la necessità.
Questo viaggio, col mare mosso, non voglio più farlo da solo. Non mi nasconderò più dietro mezze verità, dietro giustificazioni assurde. Sarò per sempre quello che realmente sono.

martedì 3 gennaio 2012

Fondamenta


Via Nova da lungo tempo riaperta, 60km/h. Discendo stamani con la lentezza di chi ha tempo e non vuole tirare per i pochi km che mi separano da casa all'ufficio.
La mattina è di quelle particolari: in Piano c'è la nebbia, che si attacca ai vestiti e rende le mani appiccicose come la bocca, e lascia quel fondo limaccioso in terra che così poco piace alla mia Alfa, adesso nuda e cruda, con la sua potenza che non ha tanta voglia di essere domata.
Lo sanno le mie mani esperte (cit.) che abbracciano il volante di pelle, mani vogliose di un prepotente ritorno sulle scene in tutti i campi.
Ho sbagliato, a smettere di correre, in nome delle lamentele altrui. Ho sbagliato a sottomettermi e a sottomettere. Ho sbagliato ad insistere e chiedo scusa a chi ha subito la mia petulanza, ma sono terribilmente insicuro e molto spesso ho tentato di mascherare le frittate fatte con l'apparenza dell'indistruttibilità e con il totale rifiuto di condivisione di un percorso.
C'era la mia strada, o quella imposta da chi c'era accanto.
La mia strada però c'è sempre. Solo che è sensibilmente cambiata.
Ma è un sinuoso susseguirsi di cambi di traiettoria, nelle nostre vite.
Inevitabilmente, anche se le persone si separano, lasciano dentro di noi un ricordo di quanto il mondo era tutto bello, e appariva come indistruttibile.
“...Più non s’incateneranno i miei occhi nei tuoi occhi, più non s’addolcirà vicino a te il mio dolore. Ma dove andrà porterà il tuo sguardo e dove camminerai porterai il mio dolore. Fui tuo, fosti mia. Che più? Insieme facemmo un angolo nella strada dove l’amore passò....”.
Neruda testimonia il fatto che le persone che abbiamo amato rimangono dentro di noi, che i percorsi, le strade, quelle fatte per amore, rimangono nel cuore e non se ne vanno.
Forse chi abbiamo amato ci rimane sempre accanto, e gli amori veri si dissolvono ma restano a farti capire che non devi sbagliare più e nel loro ricordo, pur avendo svoltato, si vive e ci si crogiola.
Ci sono strade, sentieri, luoghi da cui non passi, ma di cui sei sicuro che ti saluteranno quando ci rientrerai. Così è avvenuto mille volte.
E alla fine da tutto questo, dalle esperienze di vita vissuta, inizi ad imparare che un edificio costruito sulla sabbia, ancorché esteticamente bellissimo, frana. Ti puoi arrabattare per renderlo solido ma non ce la fai, nonostante gli sforzi e i puntelli.
Allora dobbiamo tutti imparare, come ho fatto io, che si parte dalle fondamenta e il bell'edificio viene su dopo, con calma. Senza fondamenta solide, meglio non costruire niente.

lunedì 2 gennaio 2012

Quando mi addormento



Quando mi addormento...
quando mi addormento, non è tutto silenzio
a volte voci lontane d'infanzia trattengono i miei sogni dal dispiegarsi.
a volte la stanza concentra il suo impercettibile peso sulla mia testa, leggera sopra al cuscino.
Per dormire bisogna sentirsi bene
Per sognare è necessario stare bene

e si fanno di quei sogni intensi che trasportano via lontano in mondi diversi.
Nel mio mondo non c'è silenzio, si parla in continuazione, si pongono domande e accennano risposte distratte
Da sola non c'è silenzio
Dormire è sottovalutato, dormire ha piu' significati, si può dormire ad occhi aperti una vita intera, o non dormire mai.

Io non dormo mai, quando non ci sei.

Benvenuto 2012 (al passato remoto)


Il 2012 arrivò, al ritmo di scoppi di botti, e di una spensieratezza forzata che il mondo deve condividere.
Secondo i Maya ci avanzano ancora 353 giorni da vivere, ma io non credo a queste dicerie.
Arrivò l'anno nuovo, con il suo carico di speranze per tanti, con i bilanci e i propositi di chi è rimasto insoddisfatto, forse in modo inevitabile, dal 2011.
Fuochi, troppo alcool, troppi dolci: finisce così questo controverso anno.
Un 2011 particolare, il mio. Non sono solito fare bilanci ma, adesso un resocontino e una serie di propositi credo che appaia opportuno.
Partito bene, benissimo. Finito meglio. Ma nel mezzo parecchi bassi e un finale al fulmicotone. Partiamo dal presupposto che il lavoro è andato bene, benissimo, anche se ho sempre voglia di migliorarmi.
All'inizio si camminava piano, ma il tutto ha avuto, attorno alla prima metà dell'anno, una brusca accelerazione, pressoché contemporanea con la fine dei sogni cotivati e forse sin troppo ostinatamente nelle zone maremmane.
E ora ci rido, sin troppo, di quello che era quel sogno incanalato sui binari dell'ostinazione eccessiva e della paura di perdere una persona.
Iniziò una serie di momentanee interruzioni della lunga attesa, di cuoi infranti, di ricerca di felicità forzate.
Tutto sbagliato. Ma dagli errori si impara. Ancora una volta.
Di questo 2011 c'è una cosa che voglio sottolineare, al di là del finale al fulmicotone.
Ho trovato un amico, vero, lontano ma vicino. Uno che scrive qui, e che sopporta ogni mio errore, arrosto, broccionaggine. E' vero, gli amici ti prendono per come sei, e ti stimola a cambiare.
Ecco, ora sono stimolato a cambiare e a migliorare.
Il 2012 sarà il mio anno. E spero sia anche il suo.
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