domenica 30 dicembre 2012

Nebbie localizzate


Quanto tempo mentale ho dedicato a persone che sembrano non averlo meritato?

Condivido questo pensiero, da passeggero, con la dolce e ferma pilota di un sabato mattina prenatalizio tra una cantata e l'altra sulle note di Baroni, Santana, Joe Cocker e chi più ne ha più ne metta, mentre la nebbia che fin della partenza ci aveva accompagnati, sembra diradarsi, salvo ripresentarsi più avanti tra Vicenza e Padova.

Penso che devo cercare di riprendermi la libertà di gestire il mio tempo ed il mio spazio senza condizionamenti. Inevitabilmente il pensiero corre alla fantastica storia del Gabbiano Jonathan Livingston che ha trovato una sua dimensione lontano dal mondo degli altri concentrandosi sulle proprie capacità. Poi però trova altri gabbiani come lui e prosegue nel suo percorso fino a diventare un maestro. Certo, non posso e non voglio pretendere di diventare un maestro (e credo che mai lo farei) ma ora vorrei trovare quegli altri gabbiani, quelle altre anime libere da condizionamenti.

Allora dico di sì ad una scarpinata non meglio precisata su monti di una zona che avevo già visto in occasioni ben diverse. Parto da casa, nuovamente con la nebbia, mi faccio guidare dal navigatore lungo stradine dell'Alta Padovana che non conoscevo, quasi in regime di guida strumentale, per passare a prendere un compagno di viaggio; seconda sosta a Vedelago e poi su verso le montagne, dove, passata l'area di Feltre, le nebbie iniziavano a diradarsi definitivamente.

Ed a quel punto non importa se abbiamo seguito una strada che non portava da nessuna parte, preso un sentiero che non esisteva, risalito un ripido pendio senza alcuna indicazione e senza nemmeno un'idea precisa di dove fossimo ed abortito i nostri intenti iniziali; eravamo liberi, di pensare e vedere quello che volevamo, di decidere del nostro immediato futuro, liberi di scegliere ognuno la propria strada verso una meta non meglio precisata.

E non c'era la nebbia.

La lunga attesa senza momentanee interruzioni (ah, ultimo post del 2012, auguri!)


Parti e torna vincitore, Boss.
Pare un tifo da stadio che proviene da tante regioni italiane.
Parte dalla Campania, centra in pieno la città Eterna, la Toscana, Modena (grazie Silvia per la pazienza), l'Emilia (quasi) intera: nella città dove a suo tempo we found love in the hopeless place ho pure un sostenitore, amico comune che scatena un tifo indiavolato. 
Da Padova, uguale, anche se è molto cauto.
In effetti queste principeazzurrate mi son sempre riuscite bene in passato. Ma qui è dura.
Da Poggibonsi i brothers iniziano a sospettare che la mia testa sia disabitata e che io abbia fatto un procedimento di convalida di sfratto ad un cervello che funziona a tratti.
Le parole Gentleman, Signore, Principe, si susseguono come ritornelli carini, ed esilaranti per me: nessuno conosce il vecchio lato oscuro che con un bel calcio nel sedere ho buttato fuori. 
Così era, in effetti.
Comunque sia, avevo la strana sensazione di trovare un terreno fertile, e una speranza da coltivare.
Perché sono un broccione che parte bene, combina casini, li reitera, rimette a posto le cose quando è troppo tardi, impara la lezione.
Ricordo che all'inizio dovetti insistere parecchio.
In ogni caso, sappiamo tutti l'esito. 
A tutti ho detto che va bene uguale, mal che vada si riparte da zero.
Ho tentato di dirlo pure a me stesso, ma non mi sono ascoltato, ed è un difetto grave che ho.
Non ascoltavo mai nessuno, avevo iniziato, ma mi sa che stavolta sono ricaduto nell'errore. 

Posso dire quello che mi pare, anche stamani mi sono alzato con un magone che faceva invidia a quelli andati. 
Mi domando perché, in fondo sono una persona che in certi campi è così forte, che ha obiettivi di una forza indicibile, faccia questo casino come faccio io.  
E' così. Si piange, poi ci si riveste del sorriso, si affronta la giornata (ho da fare pure oggi) mentre gli altri partono per chissà dove e la voglia di scrivere un messaggio mi pervade in modo terribile.
La testa disabitata frena ancora questo entusiasmo e questa voglia. 
La testa disabitata (ganza definizione, ragazzi) che mi trascina in giro per il nord Italia, ripensa al 2012.
E' andato da Dio, fino a un certo punto preciso di cui non ricordiamo volutamente quello che è avvenuto. 
Il 2013 sta arrivando: si azzera tutto, si fanno le chiusure. L'amore è sempre lì, la vita non è un film.
Tu non ci sei.
E allora buon 2013 a chi ama come me, non corrisposto. E a chi, come me, crede nella lunga attesa.
Senza speranza, saremmo solo sassi. 

sabato 29 dicembre 2012

Vola solo chi osa farlo (post sperimentale costruito in più momenti)

Ho scritto questo post e l'ho messo lì, in attesa di scriverne il finale. Bello o brutto che sia, lo vedremo venerdì sera, al mio ritorno da quei luoghi che ho amato e che amo ancora.
Lo ammetto, ci sono tornato sotto mentite spoglie, per vedere un fantomatico Z4 a Padova. Forse lo sapevi anche tu che sarei saltato in macchina comunque.
E l'avrei fatto per amore. 
Ci si rimette in gioco o si tenta tale strada perché come sai la vita è questo, il credere sino in fondo, anche se certi viaggi finiscono, nella convinzione che si possa ripartire con i propri sentimenti.
Il fine ultimo è tornare a volare.
Sto cercando di decollare. Di prendere il lancio giusto dopo il rullaggio, tirare a me la cloche e librare me stesso nell'aria, insieme a te.
Voleremmo sopra i muri che sono stati alzati, sopra i 223km che al solito ci separano, sopra le nostre paure di amaree di amarsi che mai come adesso si sono consolidate.
Per volare bisogna osare. Come gli uccelli, buttarsi dal nido rischiando di morire, se qualcosa va storto, nell'impatto al suolo.
Vola solo chi osa farlo, come dice Luis Sepulveda. 
Sento che sto osando, in modo del tutto forte. Sento che davvero butto tutta la manetta in fondo, conscio che il mio aereo può non avere l'ala destra e schiantarsi al suolo. Eppure do tutto senza paura.
Per questo, bisogna prendersi per mano e volare. Di nuovo. 
Probabilmente cadrò. E tu sceglierai di rimanere a terra.
Mi consolo, se dovesse andar male, col fatto che dai rottami fumanti ne uscirò rafforzato, conscio che la cosa deve essere chiusa in via definitiva, con una nuova consapevolezza che aiuta a svoltare.

La mattina stessa, alle 7 mi sono alzato. Ho preso il caffè, ho iniziato a scaricare musica per la sera fatidica, rimanendo sorpreso dalla velocità con cui il mulo scarica i troiai a me alieni, ma che danno idea di quanto me ne importi di lei, e di quanto rispetti le sue idee anche musicali.
Ogni missione ha comunque la sua colonna sonora, che si autodetermina e si appalesa, di norma, nel curvone in salita prima di Barberino del Mugello.
A tratti la colonna sonora di una qualche missione fa dei voli allucinanti in tempi sospetti (si veda un CD che per me è ancora nel botro della traversa maremmana).
A tratti la ricordi col cuore.
Tant'è che ho pulito l'Eroica Mito dentro, fatto il pieno e rifatto la pressione delle gomme.
Ho pure preso la red bull per il viaggio di ritorno, sai che risate? Io quel troiaio non lo bevo mai ma non posso schiantarmi. Per amore, non ci si schianta.

Giustmente, in un giorno la rumorosa macchina da rally trasformata in silenzionsa passista autostradale deve sciropparsi questi sani 500km.
Ho parlato con un'amica comune ieri. Il suo commento è stato complimenti, Andrea, sei migliorato tanto.
Parto sperando che tu lo veda, e che sia così. Parto sapendo che ogni volta guardarti negli occhi è un brivido che nessuna teoria negazionista può togliermi.
Nelle Missioni Eroiche ho avuto sempre il punteggio 100%. E' chiaro che questa percentuale è destinata a scendere. Ma speriamo non oggi.

E invece è andata così: l'aereo non è decollato. L'ala destra non c'era.
Il musetto dell'Eroica Mito fende la nebbia con visibilità 40m a 130km/h, come la prua di un rompighiaccio sfonda il pack, e passa imperturbabile.
Ne sono uscito ugualmente a testa alta, ho capito alla perfezione che ormai i sentimenti sono solo da parte mia.
Anche se certi atteggiamenti duri, del tutto giustificati dalla paura di non soffrire, fanno trasparire qualche corrente negazionista.
Mi dispiace molto. Ci speravo, non lo nego. Speravo andasse in modo diverso, che qualcuno capisse le differenze.
Ma probabilmente, i tempi non sono maturi.
Ho visto il cambiamento in lei, lei non l'ha visto in me. 
Ci sono serate per cui però vale la pena di vivere una vita intera, perché arrivano e comunque ti fanno capire che cosa conta realmente. E ieri è stata una di queste.
La natura ha assegnato a tutti ali squisite secondo necessità, ma sono davvero pochissimi coloro che sanno dispiegarle per solcare e battere quell'aria che invita e si presta a essere battuta per volare non meno di quanto sembri opporsi a essere solcata: infatti dopo che con fatica l'avrai smossa solcandola, questa, non ingrata, ti spingerà avanti sostenendoti.

giovedì 27 dicembre 2012

C'è un dopo? (Reprise dal 2011)


Superstrada E78, 120km/h. Federico dorme, ancora una volta. E ancora una volta si procede verso casa, nella nebbia che contraddistingue questo posto.
La solitudine, il sonno, la serie infinita di pensieri che si susseguono, mi portano a riflettere, a distanza ormai di un anno e nove mesi da quelle riflessioni, sull'esistenza di un "dopo".
C'è un dopo?
Ero convinto ci fosse, quando ero su Italo per Milano. Ero convinto ci fosse quando, sulla due Mari, volavo verso Cento.
Ma soprattutto, il dopo è ora.
Semplicemente perché ho iniziato a fare autocritica seria.
Ho capito che il mio primo nemico sono io. 

E' da qui che deve ripartire la fase di questo "dopo". Ha ragione chi mi dice (grazie Zetaquattro, tu sai), la seguente frase.
L'amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te...
L'amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo.
Centro.
La freccia ha colpito il bersaglio.
E' in questo stadio che cerco la maturazione, che è insita nel passaggio tra le due schieramenti.
Forse è proprio qui la chiave dei miei errori.
E vorrei davvero vederti per fartelo capire.  

mercoledì 26 dicembre 2012

So this is Christmas




"All the lights are shining
So brightly everywere
And the sound of children's 
Laughter fills the air 
And everyone is singing 
I hear those sleigh bells ringing 
Santa won't you bring me the one I really need 
Won't you please bring my baby to me [...]"

Non so ben definire che Natale sia stato questo appena trascorso, di certo so che non mi è piaciuto e che tutto quello che di solito portavo nel cuore durante questa festa quest'anno non c'era; non c'era voglia di correre incontro alla gente durante la Notte Santa per augurare pace e serenità, non c'era  quella sensazione di un nuovo inizio, di voglia di cantare... 
Tutto quello che vorrei a Natale sei tu!

Soliti mega pranzi che accompagnano i giorni come questi mentre fuori quella piogerellina che ti penetra dentro continua a scendere. Il camino acceso crea un'atmosfera da casolare. Avrei bisogno di un camino caldo anche nel mio cuore. 
Tanti auguri fanno squillare continuamente il cellulare e il messaggio è sempre quello, unico e semplice. Ringrazio, e lo faccio col cuore, ma qualcosa non è più come prima in quelle mie risposte.
Tutto quello che vorrei per Natale sei tu, una rosa rossa contornata di brillantini dorati accanto a te è quello che ci lega per Natale. 
E intanto la vita continua, il Natale volge al termine e un nuovo anno ci aspetta al varco. 
Auguri a tutti voi!





Come riprendere i comandi (post semi delirante con finale serio e comprensibile)


Ridatemi i comandi, per favore. Ridatemi i comandi. 
Non importa di cosa, ma ridatemi i comandi. 
Notte, discoteca. 100km da casa.
Le conversazioni più profonde sono piene di bugie. Luci. Pioggia battente. 
Sequela di negazione delle evoluzioni richieste. 
Gioello e Champagne millesimato, Buon Natale. Gira di là. Guarda che casino di gente. Il curvone di Monterchi lo tollero poco, in effetti. Sex on fire dei Kings of  Leon, bella davvero.  
Al ritmo di questa ci facevo qualcosa come 150 sulla statale quattroeventinove, ai tempi bui di Castelfiorentino. 
Sex? Non mi ricordo manco come si fa più. 
Risate cronicamente dolorose e  un Vodka Lemon che non sa di nulla, ma veramente di nulla. 
Come quella di Filippo Tommaso Marinetti, la mia macchina fa brum brum. Forse pure troppo, considerato che ai tempi d'oro qualcuno mi sentiva da due vie di distanza.
Profondissima, ma forse solo apparente, negazione del tutto, pure dell'abbadono subito.
Luci dolorose, l'inferno è qui.
Cattivo odore di freni surriscaldati sulla strada, per gli altri, di casa (cit.).
Oh, sì, è qui, ad Arezzo in questa discoteca.
Entro in progressione tardi, verso le 2:30, cosicché diventa quasi ora di andar via perché ci sono qualcosa come cento assonnati chilometri per arrivare a casa.
Baci. Abbracci. Stretta troppo forte per i miei gusti e per il mio nuovo, stupendo cappotto grigio.

Rientro, accanto all'amico vero, quello che da quasi 20 anni mi sopporta e mi tollera, con tutte le mie caratteristiche strane e particolari.
Mi incita a riprendere i comandi della mia vita. Ha perfettamente ragione: è sorprendente come lui riesca come pochi altri a centrare i problemi che ho, a darmi la soluzione, e soprattutto a farmela attuare.
Grazie, Federico. Se non ci fossi te non so dove sarei.
E allora si parte dall'idea di star tranquillo, di evitare i contatti superflui, del fidarsi che serve ad eliminare l'ansia.
Ha perfettamente ragione. Ora mi fiderò, 100%. Poche paranoie. Poca "droga da telefono" e poche manie di controllo. In fondo, se una persona vuol stare con te ci sta e scappa quando vuole. 
E soprattutto, ascolto. 
Ora si ascolta. Priorità assoluta.
Mi sono pure sentito dire: Non potrai mai riprendertela e soprattutto starci bene se non stai bene con te stesso. Perché te, una donna sai renderla felice. Tanto è intelligente e lo capisce.
E la frase più bella di tutte l'ho sentita ieri: dire "mi manchi" non è un'ammissione di debolezza, ma espressione dell'immenso coraggio di tornare sui propri passi.


Sette ore


Siedo nel primo pomeriggio di una fredda giornata di fine autunno nel solito Frecciabianca verso Padova, nella direzione di marcia; il sonno del vicino è fonte di un fugace sorriso scambiato con la dirimpettaia; diversamente dal solito ho passato il tempo fin lì guardando alcuni TED talks preventivamente scaricati sul portatile, non nascondendo qualche sommessa risata di fronte ad alcune battute degli esperti relatori, forieri di esperienze fuori dal comune e di ispirazione.

Nevicava forte a Verona, contrariamente alla città meneghina dove, almeno all'ora a cui ero partito, della neve non si era ancora vista traccia; era la prima neve della stagione fredda, che tecnicamente non era ancora iniziata; nevicava sul lago di Garda alla mia sinistra, mentre qualcuno al telefono, poco lontano, raccontava la scena ad un ignoto interlocutore.

Un po' alla volta i tre sconosciuti compagni di viaggio scendono e resto solo nel mio scompartimento, finché senza alcun motivo apparente due occhi stanchi si sono palesati sul sedile di fronte al mio, due occhi affaticati che avevano una storia da raccontare e forse non aspettavano altro che due orecchie a cui raccontarla; una storia lunga sette ore e tre treni, iniziata fuori dall'Italia, per amore.

Il treno si ferma a Padova ed il racconto finisce, anche se per un altro paio di minuti ho avuto il piacere di accompagnare verso il penultimo mezzo di trasporto di quel viaggio l'anonima viaggiatrice. Chissà se incontrerò mai più quegli occhi; chissà quando ne incontrerò altri che avranno una storia da raccontare ed un viaggio da condividere ed a cui ripensare con un sorriso.

martedì 25 dicembre 2012

"...Era molto meglio il Natale scorso..." (cit.)


Via Casolese, 90 km/h. Di ritorno dal pranzo di Natale, in un ristorante a cui peraltro ho fatto anche causa.
Mangiato da Dio, scherzato con la deficienza che mi contraddistingue.
Si riparte, discutendo di rotatorie, di punti di corda, del fatto che "qui il punto di corda te lo sbattono sul muso "...e il babbo ex pilota di Stratos e Abarth, quando erano nei loro cenci di vetture vittoriose ti dice "...sei sempre meglio: ricomincia...".
L'anno scorso andò diversamente: avevo un treno, che persi in maniera bestiale causa lunghissimo pranzo alla Fattoria di Mugnano. Ma non ci fu problema: montai sulla oggettivamente Eroica Mito e arrivai.
Ricordo candele poste in una splendida posizione, un viaggio a Londra e la sensazione che il Natale fosse davvero felice.
Ora invece, quei giorni sono stati dimenticati. Non da me, in effetti. Ma devo, perché la strada è ancora lunga.
Days are forgotten, cantavano i Kasabian in modo rock e potente. 
Fossimo ancora insieme, sarei partito. 
Invece parto per Arezzo, dandomi una semi parvenza di normalità, per andare a ballare, per consegnare un regalo alla sorella conclamata che ci spera in una evoluzione, forse.
Ma io chiudo le porte, amo ancora chi sa bene che sono una persona diversa ma non vuole dirlo a se stessa.
Cosciente di aver abbandonato la nave, il Comandante paziente attende sulla scogliera. Col binocolo guarda la sua creatura sferzata dal mare in tempesta, con una lacrima agli occhi.
Pur ridendo spera un giorno che il mare si calmi, che la marea si alzi, di risalire sulla sua navona, di riaccenderla e riprendere il largo.
Per ora devo accontentarmi, forse, di traghetti di linea da cui guardo la mia nave, divenuta res nullius su cui chiunque può salire e portarsela via.

Ero quello che i ritardi fisici li recuperava per strada. Ero quello che i casini li recuperava e rimetteva tutto a posto. Ora no. Non mi riesce più, e forse è dovuto al fatto che nessuno mi perdona, o almeno non stavolta. 
E' proprio vero che "...Era molto meglio il Natale scorso..." (cit.).
E allora, Buon Natale, amore mio.  Il cuore ha sempre ragione.

Bittersweet Symphony

 ... I need to hear some sounds that recognize the pain in me, yeah
I let the melody shine, let it cleanse my mind, I feel free now
But the airways are clean and there's nobody singing to me now

No change, I can change
I can change, I can change
But I'm here in my mould
I am here in my mould
And I'm a million different people
from one day to the next
I can't change my mould
No, no, no, no, no
I can't change...


Impacchetta, inforna, ma il forno non funziona, quando avrò un forno ventilato? - quando avremo un posto nostro? - "il regalo deve piacere a chi lo fa"- ma anche un po' a chi lo riceve - "niente albero quest'anno è una perdita di tempo", "il presepe che almeno è simbolico sì", burp, "le calze della befana", "bla bla bla l'ipocrisia delle feste bla bla bla", oddio dovrei mandare quella email, oddio non mi hanno ancora risposto a quella email, ricordi di una chiarastella, buon compleanno Gesù, il Natale è per gli occhi spalancati e le guance paffute dei cuccioli - a due o a quattro zampe - mi manca il mio cane che adorava aprire i pacchetti sotto l'albero, quello che quest'anno non c'è. Ma è già il 25 dicembre? E se partivo davvero per l'Australia e festeggiavo su una spiaggia con un drink in mano? Una fuga dall'inverno in grande stile! Aspettative, aspettative mancate, aspettative superate, ho voglia di Gospel, mi manca sentirmi a casa come mi sentivo a casa... là, mi manca l'odore delle piante la mattina, arriverà il giorno in cui... ?, evviva le lucine sbarluccicose, io amo il Natale ma di più quello che esiste nella mia testa, forse troppi libri fanno male davvero, no non mi sento Mary Poppins ma ho sempre sognato di incontrarla, che male c'è a sognare un mondo Disney? Il ventisettesimo Natale da passeggera, ancora in attesa di festeggiare da pilota.






... I'll take you down the only road I've ever been down
I'll take you down the only road I've ever been down
Been down
Ever been down...


Buoni pasteggiamenti a tutti i compagni di viaggio.

Paura di sé


E’ tutto qui il dolore?

Con queste ennesime parole di una vecchia canzone mi pongo una delle mie innumerevoli domande: perché la mia sofferenza non dura mai più di tre giorni? Escludiamo riferimenti religiosi, a prescindere.
Dentro di me il vuoto fa eco, ma non riesco ad avvertire altro. E’ forse un gioco di abitudine che fin troppo si è prolungato nel tempo? In fondo i cambiamenti radicali sono stati il mio pane quotidiano: l’esagerazione, gli estremi.

 Terapia d’urto…

Sarà che in fondo non credo poi così molto in una relazione in cui tuttora mi sento coinvolta? Sarà che so che l’allontanarsi è un bluff per rivivere un nuovo roseo e poetico ritorno?
In realtà l’idea di un ritorno desta in me una certa ansia che non mi spiego. Anche la scrittura non fluisce più… e mi lascia pensare che forse sto davvero reprimendo ogni sensazione, positiva o negativa che sia. Io, conservativa che tanto in fondo non c’è arrivata, non sono in grado di giudicare cosa provo. Sto forse soffrendo? L’unica cosa certa è che provo impotenza ed in questa impotenza lascio fluire le forze spontanee della natura: il corso degli eventi. Ma non è certo un lasciar scorrere, quanto più un controllo superiore che, attraverso una serie di “sentieri nel bosco”, ho creato sulla mia vita.

Piani B…

Perché quando le cose vanno secondo i piani c’è sempre una salvezza e c’è sempre un piano che dipenda interamente da noi.

Codardia…

O forse riconosco di aver fondato la mia relazione su basi non solide e sono felice di demolirla con la speranza di una ricostruzione futura. Chi può dirlo? Chi può davvero sapere le ragioni sottese al mio sentire?

Di questo dovrei gioire, se non fosse che la mia apatia, ossimoricamente mista ad entusiasmo, mi spaventa.
Sono ancora in grado di provare dolore? O sono una bastarda egocentrica troppo innamorata di sé stessa per cederne una parte durevole ad altri?

Stavolta nemmeno la profonda riflessione imposta dalla scrittura mi offre soluzione.

“Un giorno ti sveglierai e avrai la soluzione” –cit.

Vedremo.

lunedì 24 dicembre 2012

Le cose semplici


C'è stato un tempo, nemmeno poi così lontano, della mia vita, in cui tutto pareva più facile. Era un tempo in cui le difficoltà parevano insormontabili, ma paragonate a quelle di oggi posso dire che erano veramente di portata minore.
C'era un tempo in cui forse le difficoltà c'erano ma la soluzione era a portata di mano.
In quel tempo, la mia capacità di creazione dei problemi, oggi incredibilmente azzeratasi, era veramente a livelli record.
Ma la soluzione, come sopra detto, era del tutto semplice.
Si saliva sulla macchina, sulla Mito non ancora Eroica, e si faceva un viaggetto in terre piuttosto lontane.
Seguiva una serie di stratagemmi sul modello "ruota di pavone"  e tutto tornava momentaneamente a posto.
Tuttavia, il pavone, nello specifico il sottoscritto, era alla ricera di qualcosa che sapeva di non poter avere e ottenere agevolmente.
L'ego del pavone tornava riempito, gonfio degli occhi a cuore riportando a casa la vittoria giustamente agognata.
Passano gli anni, quella strada c'è solo qualche volta per andare in un Tribunale lontano, quella ragazza c'è solo per gli auguri di Natale.
Passano gli anni e la macchina corre, veloce come il vento, quando non dovrebbe. Passano gli anni e la ruota di pavone ho smesso di farla, mostrando la vena fallibile che ho.
E i risultati si vedono.
Il nordest non c'è più.
Le difficoltà sono insormontabili.
L'autostrada è lunga, sempre più lunga, e inaffrontabile.
La ruota di pavone è una figura sbiadita nei ricordi di colpo invecchiati come una foto degli anni '70. Ma allora cosa fare? E' proprio vero che ho abbandonato ogni speranza, come chi entra nella dantesca porta dell'inferno?
Sì, il raziocinio ha detto di sì. Non ci sei più dentro di me.
Ma il cuore? Lui sì, che ha sempre ragione.
E alle volte va contro ogni convinzione. Come vorrei ritrovare me stesso, ritrovarci. Chissà dove e chissà come, lo faremo.

domenica 23 dicembre 2012

"...L'abbandono nave viene dichiarato a voce dal comandante..." (cit.)


"...L'abbandono nave viene dichiarato a voce dal comandante...". Questa frase veniva tuonata, ormai dal lontano 1990, dagli altoparlanti dei traghetti che prendevo a cadenza ciclica verso i mari elbani, unitamente ad altre gracchiate relative all'emergenza generale (coi suoi sette fischi brevi e i campanelli in concerto) che in 23 anni mai ho cagato.
Tuttavia, il post precedente ha fatto un putiferio.
E' stato del tutto male interpretato, perché il significato è "ehi cavolo ti amo ancora e perché non vedi il buono che c'è in me?". Ecco, nel miglior berlusconiano stile posso affermare di essere stato frainteso.
Ebbene, ne nascono putiferi, litigi che vanno oltre l'umana immaginazione.
Certo, non esser corrisposto fa male. Molto male. 
E allora, il comandante, così la destinataria a cui non frega un emerita cippa del sottoscritto tira un sospiro di sollievo, dichiara l'abbandono della nave.

Per questo, per un periodo, saluto i lettori ed evito di farmi vedere e sentire su questa mia amata creatura. 
Abbandono la nave a malincuore, perché non ha capito cosa realmente sono, quello che potevo essere, dicendo che le possibilità sono esaurite.
Chiedo scusa ai lettori. Chiedo scusa a Francesca, anche se non ho fatto niente di male.
Ma ad esclusivo scanso di equivoci è bene terminare tutto qui, arenare la nave su un fondale sabbioso, abbandonarla (per ultimo, ovviamente), e non arrecare alcun danno.
Peccato, ci tenevo. A differenza di altre persone.

Là dove le strade si dividono


Ci sono serate in cui parti, con gli amici di sempre, quelli trasferiti in Piemonte e in Lombardia, che a cadenza regolarissima rientrano per vederti.
Capita che vi avviate, con la prima BMW delle nostre tre che saranno, verso Firenze, avvolti da una nebbia che pare quella dei tempi d'oro delle mie fallimentari permanenze padane recenti. 
Boss, sono stanco, guida te.
E allora capita che prendi i comandi di quel transatlantico fatto di bella pelle beige e di vernice blu, ragionando di cose serie, di chi ce l'ha fatta, di chi ha vinto qualcosa che si è meritata con il sacrificio.
Certo che te lo meriteresti pure te, Boss.
Grazie della fiducia, amici. Ma la realtà è quella che vi raccontano i miei occhi, non le mie parole. Il mio cuore vorrebbe cantare Ancora tu di Battisti, la mia mente adesso ragiona bene.
Non voglio fuggire da codardo, nel mio cuore ci sei tu, mentre la birra Red Stripe entra nel mio stomaco in uno dei posti a me preferiti.
Ma giustamente sei andata via, non affronti quello che ti si pone davanti rifugiandoti nell'abitudine e nelle convizioni. Saggia strada per fuggire, con tanto di alibi e giustificazioni.

E' proprio dopo questa grande serata, nella sua semplicità, che sono partito per quel posto là, dove la strade si dividono. Si dividono ogni giorno, da anni. Da quando esiste la strada, e il bivio. 
Si dividono, e non è detto che non si ricongiungano di nuovo, in futuro, ma di km se ne devono fare.
In tante condizioni. Ma si ricongiungono.
Ti ho pensato troppo in questi giorni, ma è il caso che smetta. Eh sì. Perché le cose non corrisposte, o comunque non ricevute non vanno coltivate.

Non ho trovato nessuno, ma la divisione delle strade è opportuna ora. E chissà quanti chilometri sei avanti a me, adesso. Ho trovato stimoli e convinzioni. Una violenza identica a quella che ti sei fatta tempo fa. Ora tocca a me, giustamente.
A questo bivio, giro. Lascio il posto a chi evidentemente se lo merita di più. Lascio il posto a chi è lì in zona, verso cui per anni la gente spasima.
Lascio il posto a chi farà di nuovo brillare quegli occhi che non molto tempo fa erano splendidi, a chi costituisce il tuo tipo ideale. In effetti, questo malvestito, brutto, troppo brillante (cit.) legale di provincia ha prospettive molto più articolate della media della gente che certe persone frequentano.
Questioni di punti di vista, visto che per la maggioranza degli altri sono benvestito, bello, con una intelligenza e un fascino superiore alla media (ri-cit., ovviamente di un'altra persona).
E' la cruda verità, purtroppo. Non posso correre dietro a chi non mi ha mai voluto per come sono, a chi non mi vuole ora.

Non so se vedrai cosa hai perso, ma giustamente ne avevi le tue buone ragioni. Non so se ti accontenterai di chi è meno brillante.  Non so niente. E, autocitandomi non è roba di mia competenza. 
Ma è vita tenersi tutto dentro? Tenersi un "ti penso" o un "mi manchi" nelle dita delle mani e non scriverlo?
Lo sto facendo pure io purtroppo.
So che questo sentimento forte rimane immutato, e forse si rafforza. Ma so anche che, adesso, devo vivere senza di te, senza alcuna speranza di recupero al momento.
E' tempo di fuggire, adesso. Girando dalla parte opposta a quel bivio.
Non posso sperare, adesso.

sabato 22 dicembre 2012

Geometrie


Dovrei andare all'Elba. Sia per lavoro, causa controversie ivi pendenti, che per altri motivi che adesso tralascio. Rinvio, per carità, affidandomi a discutibili domiciliatari ivi presenti.
Mi piace molto andare in quella casa, vedere il mare nelle limpide giornate d'inverno. E' una delle poche cose che adoro, dopo il Trasimeno.
Una parte di me partirebbe anche oggi, abbandonando la normalità, la routine. 
L'altra invece ha paura del giudizio degli altri, del silenzio.
Comunque una volta partii, ero giovane. Andai a Piombino e il porto aveva quella geometria stupenda con le navi attraccate. Era una splendida e calmissima giornata invernale, e tutto sembrava costruire un equilibrio a dir poco perfetto. 
Le navi attraccate con i loro colori erano perfettamente incastrate con la zona del porto mercantile, dove un mega cargo veniva riempito di non so cosa, e la locomotivetta delle acciaierie spingeva una teoria di carri sotto la gru, dandomi la sensazione di essere protagonista di un plastico stupendo.
L'equilibrio si dimostrò provvisorio, quando fu scardinato da Marmorica che mollò gli ormeggi e si diresse, col suo fare nobile da regina del Canale di Piombino, verso il porto di destinazione.
Mi dispiacque quasi turbare quella quiete, che quel luogo, ancorché brutto, trasmetteva.

Quella volta ebbi coraggio. Sembra una cazzata, per uno come me, ma vinsi le paure di giustificarmi e di rimaner solo.
Quel coraggio che adesso a parole ho, che nei fatti più volte si è confermato. Però adesso passo il tempo, fermo a pensare a strategie, pensando a cosa fare per rimettere in sento e reincollare questi cocci rotti che sono in terra. La risposta è semplice: dovemmo parlare chiaro, e dimostrare che le cose si vogliono in due. Ho imparato che in amore non servono strategie, ma solo sincerità, in primis con se stessi, e coraggio di rimettersi in gioco accettando anche i rischi che la ripresa di una storia inevitabilmente riporta alla luce.
Ma l'inerzia, l'egoismo, l'accontentarsi di poco, il rifugiarsi in convinzioni che tutto andrebbe di nuovo a rotoli non sono elementi salutari.
Devo ritrovare quel coraggio, quella voglia di ripartire, quel self control che ad oggi sembra essere tornato. Non voglio convincere nessuno: cerco solo segni, aperture, modi di essere.
E soprattutto sincerità.
L'amore SAREBBE una cosa semplice. Non buttiamolo via, non stavolta.

venerdì 21 dicembre 2012

Broken Hopes


Ci sono speranze che nascono in modo del tutto naturale, si sviluppano su basi solide, ti fanno credere che probabilmente la vita cambierà e che smetterai di soffrire. 
Ci sono speranze, esattamente le stesse, che si infrangono nella medesima maniera del tutto naturale contro chissà che scogli affioranti.
E sono scogli miei, personali, che comunque sto tentando di abbattere.
Nessuna draga, nessuna trivella però toglie quello che credo essere il più grande errore che ho fatto. Perderti.
E in quegli scogli ancora ci batto: la mia personalità malpensante prende sempre il sopravvento. E forse tu lo sai, perché mi conosci come le tue tasche e devi solo e soltanto far capire a te stessa, ribadendotelo in continuazione, che siamo incompatibili.
Lo ribadisci pure a me, giustamente. Hai paura di una Missione che comunque non farei, perché adesso credo che la forzatura sia la cosa più dannosa in assoluto per noi, e per chiunque.
Forse hai la massima paura di amare di nuovo. O forse di amarmi di nuovo, che è ben diverso.
Non so dove tu sia, con chi tu sia. A tratti fa male, ed è segno che il percorso è ancora in divenire. Ma so che ti cerco in ogni mia azione, in ogni mio gesto, quando la strada inizia a salire e inevitabilmente mi vieni in mente tu, quando mi sveglio a metà notte e non ci sei, quando negli occhi di ogni altra donna che incontro vedo i tuoi.
Inizio a dire a me stesso che è sbagliato. Me lo ripeto, come tu ripeti a te stessa che siamo incompatibili. Se sei arrivata tu a credere alla tua autocostruita verità. perché non dovrei farlo io?
E allora pedalo questa bicicletta, lavoro, perdo ore di sonno importanti. Non pesano, anche se avevo ricominciato a dormire e stavo di nuovo bene.
Perché ora queste speranze si infrangono sugli scogli dell'autoconvincimento quando so che potremmo esser felici? 

giovedì 20 dicembre 2012

Trasformazioni: da piloti in autisti passisti


Un tempo nemmeno così lontano ero un pilota. Proprio di quelli veri, con tuta e casco, con la macchina con gli sponsor, con il navigatore e con tutto il carico di stronzate che l'adrenalina ti fa fare su fondi non tanto facili.
Poi venne il tempo buio successivo, che durò questi sani 3 anni, fatti di strepiti, urla, dolori, di vita rubata in nome della paura di perdere il sottoscritto: riemergere da quegli anni bui fu come riprendere a respirare dopo ua lunga apnea, lo ricordo come fosse ieri.
Ero annichilito da chi mi era accanto. Era vicina lei. Fin troppo a dire il vero, visto che la mia anima ferreamente traditrice nacque in quegli anni, sospinta dalla voglia di fuggire da quel recinto strettissimo posto da chi non capiva.
Però ero un inerte, di quelli veri. Inerte e fermo su posizioni che non andavano bene, tentando di svicolare da quella vita come un pilota che si districa tra le macchine girate al primo curvone di Spa. 
E allora ci si trasforma. Si impara, col tempo, a migliorarsi.
Ho imparato ad essere preciso passista autostradale, da pilota vero che ero. 
E il percorso che sto facendo, che sto portando in fondo, e sto vincendo questa battaglia. La vinco eccome.Contro me stesso.

Nel 2010/2011 sono diventato un lottatore, di quelli veri. Di quelli che a bordo dell'Eroica Mito, che corre e si riprende la sua vita in mano.
Sparita del tutto la tendenza al tradimento.
Più volte ho lottato per quello che contava. 
Sì, sono così ormai. Lotterò fino in fondo per dimostrare che il "tiro" è aggiustato, che non sarà mai e dico mai più come prima.
A fine 2012 divendo un uomo fiducioso. Un uomo che ha ora la consapevolezza che tutto si può perdonare, cambiare, rimettere a posto.
Ma dovrebbe davvero esserci modo per far vedere a chi mi ha amato, e, ne sono convinto, qualcosa conserva, che la figura cattiva, fonte di tensione che era così per mesi non c'è più.
Vedere che potremmo essere felici, di nuovo, così come quel giorno in cui i miei occhi ripresero a vedere a colori il mondo.
Sarebbe bello.
Non conta altro. Perché sono libero con te e non senza te.

Se il mondo finisse domani (post semiserio, semi ironico, semi quello che vi pare)

I Maya hanno previsto che il mondo finisca domani: bella prospettiva, in effetti. Se fosse vero, sarebbe un immenso casino. 
In primis, perché il mondo finirebbe proprio mentre sono alla cena dell'Ordine degli Avvocati. Immagino una bella voragine piena di lava che fagocita tutta la concorrenza...beh in effetti non sarebbe nemmeno così male come prospettiva, a parte il sopravviviere per poco tempo senza concorrenti! 
La cosa non mi esalterebbe più di tanto, a dire il vero, perché mi ero segnato ironicamente all'evento "Orgia di fine mondo" e mi tocca saltarlo. Eh vabbè: faremo questo sacrificio.
Speriamo almeno che l'Apocalisse avvenga dopo mangiato. 
Comunque in ogni caso, se il mondo finisse domani sarebbe un immenso problema.
In prims perché di strada ancora devo farne. Devo comprare la Z4, devo comprare la casa. Devo riprendermi la fidanzata che ho perduto.
Devo andare a Londra. Devo tornare felice.
Priorità. Bellissime notizie altrui. Ma non mie.
Se il mondo finisse domani sarei senza l'amore della mia vita. Quindi no, non va bene. Tanti credono sia una "picca" (detto alla senese di Sienacentro, qualcosa su cui mi sono impuntato e che, una volta raggiunto l'obiettivo vada tutto a rotoli) questa storia della Reconqista.
Invece no. Tanto il mondo finisce. Quindi non c'è da porsi il problema.
Finisce con un'Italia ai maiali, con un debito pubblico esagerato.

Tuttavia, in questo rigurgito di fine mondo, ci sono telefonate che fanno piacere, che ti ricordano i vecchi tempi. Quelle belle telefonate che ti fanno davvero assaporare la complicità con una persona che ti è stata vicina. 
Tutte le telefonate dovrebbero essere così, non quelle brutte degli ultimi tempi.
Chiusa questa parentesi, e senza farsi illusioni, torniamo alla sagra della stronzata. 
Zetaquattro contro monopattino. Questa è la guerra totale in cui si inseriscono paracaduti, Maserati Gran Cabrio, aeroplanini appesi al tetto del ristorante.
Ok, ho detto una frase senza senso, ma che il lettore attento (in particolare qualcuna che conosco parecchio bene e che in tempi recenti ha passato del tempo con me, oltre ai brothers) sa ben capire.
Se il mondo finisse domani, quindi, non sarei niente. O non avrei combinato niente. No, forse no.

Il mondo finisce domani e non ho più te. Cavolo. Quindi non ho niente.
Rientrando in zona seria: la palla ora passa a chi sa bene cosa provo. Sempre che se la voglia giocare. E se il mondo non finisce domani.

mercoledì 19 dicembre 2012

I would like....


Superstrada Siena-Bettolle, 120km/h. C'era nebbia, ieri sera, di ritorno dalla gara di Social Cooking, dove si fanno esperienze ganzissime, le vecchie accanto a te ti parlano di infarti e diabete in strettissimo dialetto aretino, e tu spieghi loro che non sei un medico, dicendo il medico è lei, tentando di scaricare la responsabilità sulla tua amica più cara, con la nonchalance che compete a chi sa che ci sono pesi che non ci si tolgono facilmente di dosso, vecchina chiacchierona compresa.
Eh vabbè, si prosegue, a tutto gas, nel nebbione che credevo infestasse la Valdichiana e basta, e che invece mi accompagna fino a Colle.
Poco male: sono sempre la solita freccia di sempre. 
Mi viene da scherzare sugli appellativi che mi davo quando raggiungevo destinazioni ricorrenti in macchina: dapprima sono stato la Freccia della Laguna; poi divenni la Freccia dell'Argentario; per un breve periodo pure la Freccia del Valdarno (inferiore); per lungo e indimenticato, nonché indimenticabile tempo, la Freccia del Polesine.
Ora sono la Freccia della Valdichiana, anche se i presupposti sono diversi, visto che gli appellativi precedenti erano dovuti a distanze percorse per amore. 
Mi viene da ridere, mentre lo sbarramento di nebbia si pianta davanti e le macchine diventano puntini che ne sbucano fuori quasi a tradimento.
C'è la solita strada da fare (104km). E' la stessa distanza dell'altro capoluogo lontano, solo che qui ci mettiamo 10 minuti di più causa tornanti di Lucignano.
E allora si pensa.
E si formula la wishlist dei regali di Natale che si vogliono.
Ho bisogno di un cappotto nuovo, per coprirmi da queste nebbie e dall'umidità. Ho bisogno di una Z4, ma per carità me la compro da solo. 
Ma il regalo più bello sarebbe davvero questo che sto immaginando, che mi fa fantasticare con la mente verso scenari improbabili.
Il Natale sarebbe bello, se in regalo ricevessi qualcosa di inaspettato.
Non riesco a smettere di pensare a quanto mi sono sentito a casa di nuovo venerdì. Non è la persona per te, tuona mezzo mondo. Dimentica, tuona l'altra metà. No, mi dispiace. Stavolta do retta a me stesso.
Forse sarà anche vero quello che dicono gli altri: ma non esiste la persona ideale e se esiste magari fa finta di esserlo. 
L'inerte Andrea che ero in passato è ormai una figura archiviata.
Ora lotto, anche se alle volte ho bisogno di indicazioni precise.
Ecco, per Natale forse avrei bisogno di quelle indicazioni di cui sopra, ben precise, su dove agire, come agire, cosa fare.
Sarebbe molto semplice.
Tutto questo non vuol dire che io mi creo false illusioni.
Vorrebbe dire solo che la sincerità, l'apertura, la dolcezza, caratteristiche che, nonostante in passato siano state offuscate dai lati oscuri del carattere ora rimessi a tacere, mi contraddistinguono da sempre, pagano sempre.
E allora per Natale, tu che sei lassù così distante e lo sai, regalami la speranza, la sincerità, l'apertura e la dolcezza, se vuoi, che la BMW me la compro da solo.

martedì 18 dicembre 2012

Immaturi propositi


SS223, 120km/h. L'Eroica Mito scorreva liscia, silenziosa, imperturbabile nella discesa nuova che va da Civitella a Paganico Nord. Nevischiava, ma non me ne importava niente, perché ci sono percorsi alternativi da fare.
C'è sempre un'alternativa a questa immersione a capofitto nel lavoro, tale da togliere ogni senso al resto, ogni tempo per tutto quello che c'è da fare extra lavoro.
O meglio, ci sarebbe, usando il condizionale a me tanto caro e tipico di questo periodo.
In quel silenzioso e grigio giovedì, mentre il mondo procedeva veloce, io me la prendevo con calma, avendo detto per tagliar corto "Vo a Grosseto alle 9". Invece dovevo esserci alle 10:30, avrei potuto pure fare 100km/h se avessi voluto ma star fermo proprio non mi piace.
Il lungo viaggio in macchina ins solitaria era accompagnato dalla versione di Born To be Alive di Paolo Kessisoglu, della colonna sonora del film Immaturi. 
Tralascio il fatto che associo a tale film un ricordo magico della mia vita. 
Dirò che con la sua sonorità molto velluata, quella canzone spingeva l'Eroica Mito, che per l'occasione si era trasformata in silenziosissima passista autostradale, verso la meta temporanea, fornendo il solito carico di imperturbabilità alla nostra galoppata trionfale.
Questa strada non finisce mai. Larga e piatta. Non come domenica, in cui volevo che l'Appennino non finisse, che i discorsi di chi mi comprende e accetta a pieno, dell'ironia naturale, dell'amicizia vera.

Questa è musica che a nordest non sarebbe piaciuta, che ad Arezzo piace, a Colle idem, a e poi cavolo quella è la macchina mia e ci fo quello che mi pare, tento di giustificare le bugie che dico a me stesso. Bugie cautelative e propositi si susseguivano, rapidissimi, su questa strada. Ad esempio, faccio cavolo di propositi sull'inizio di nuove vite dopo il decorso del termine di cui al post precedente.

Adesso penso che a Ferrara avrei voluto chiacchierare senza terze persone. Anche se la presenza di Diletta, amica di sempre, fida e sincera, ci ha impedito di parlare liberamente.
Forse avrei davvero dovuto andare da solo a Pordenone.
Ci sarà occasione. Ma non dipende da me.

lunedì 17 dicembre 2012

Deadlines


Autostrada A1, 130km/h. La fida Diletta lotta col Cruise Control dell'Eroica Mito nel lungo, lunghissimo viaggio verso casa, ma se la cava benissimo nell'ascoltare il sottoscritto che dice "Vai Dile, ci passi" mentre siamo in mezzo ai camion padroni assoluti di questo tratto.
 E ci passa, attribuendo una fiducia pressoché cieca ad Andrea, la cui autostima cresce. 
La neve dell'andata ha lasciato il posto alla pioggia battente e costante, alle barriere di nebbia a Rovigo, messe apposta dagli accidenti altrui.
Ma gli eventi atmosferici non rallentano nemmeno la nostra rapida andatura verso casa. Un'andatura allegra in effetti, come allegri e sereni siamo noi.
Già, perché la nostra vicinanza,  autocitandomi, "...ha dato significato ad un sorriso che prima era solo una facciata e luce a due occhi spenti da troppo, troppo tempo...".
Non solo. 
Sto capendo che non mi manca la componente abitudinaria di un  rapporto, che si concretizza in uscite, vetrine, giri natalizi. Quella c'è adesso. Sempre e comunque. 
Fa ridere il sembrare quel che non si è, a tratti mi sento attore protagonista, ben supportato, di una commedia delle beffe, forse ai danni proprio di me stesso. 
Ci accettiamo per come siamo, in effetti, pure negli acidi momenti di tensione. Forse nessuna fidanzata l'ha fatto mai, e il non essere legati in alcun modo è forse il presupposto per rendere i nostri difetti solo caratteristiche peculiari di cui si ride.
Forse lo facevo un tempo anche a nordest, ma non me lo ricordo. O non me lo voglio ricordare. Oppure me lo ricordo e taccio. Oppure sono rincoglionito tutto insieme e tutto questo non va bene, perché contavo di farlo per gradi.
Quello che mi manca come l'aria è la componente sentimentale, ad oggi tabula rasa, in questi "inbetween days".

Noi 2 amici di sempre ci siamo dati un termine, per dirla in modo moderno, una deadline.
In ogni caso questo termine non è lontano, ma è capitale. Una volta decorso, non ci si guarda più indietro e si vola, veloci come il vento, con notevole autoforzatura, andando verso scenari indefiniti.
Manca quella dose di emozioni che solo l'amore sa dare, mancano quegli sguardi che inevitabilmente venerdì mi hanno intrappolato di nuovo mentre la SS16 scorreva sotto di noi, in un inaspettato viaggio verso una città a me conosciuta, parecchio nebbiosa. 
Come uno che nuota in apnea ho ripreso ossigeno in effetti. Non molto ma sopravviverò ancora per qualche tempo. Fino alla scadenza del termine.
In questo interludio strano, così prossimo alla deadline, inizio pure a capire che La razionalità nell'amore è una scusa per fuggire da cordardi. Non l'ho detta io, ma una persona del mio passato che sapeva scrivere bene.
Che bella frase, in effetti non è nemmeno tanto campata in aria.
Sembra quasi calzante alla situazione attuale che ho.
Forse percepisco le cose in maniera distorta, ma adesso sono tranquillo e sereno. E vedo che scappare, in questa situazione, come qualcuno ha fatto, è stato per la paura di ricadere nei vortici che io stesso subisco.
Avanti, non siamo robot, guardiamoci in faccia.

Io amo e non fuggo adesso. Non fuggo dalle mie responsabilità, non fuggo da quello che vorrei che so essere ben preciso e delineato.
Perché l'ho visto e uno sguardo conta molto più che mille parole e battute.


domenica 16 dicembre 2012

Why can't I be you?


Ci sono mattine in cui ti alzi e sai che devi partire. Soprattutto ne hai voglia, perché la tua settimana ha rasentato l'infernale girone di coloro che sono costretti a fare le trottole per l'Italia.
In queste mattine non ti aspetti niente, ma qualcosa arriva, nel tuo cellulare mai muto. Nello specifico un messaggio.
E allora la tua seconda pilota sale, rivoluziona la tabella di marcia della tua macchina e ti manda, letteralmente "...a calci nel culo..." dove tu sei riluttante ad andare, dove tutto ebbe inizio, ad uscire dall'autostrada in corrispondenza della città estense, peraltro innevata e sopporta tutte le tue paturnie, dicendomi però che ho ritrovato la sicurezza, quella che mancava.
Alla fine le cose vengono naturali, per chi si è amato davvero.

Vengono naturali le battute, i sorrisi. Niente più. Niente illusioni. Niente brutti pensieri. Solo una lacrima liberatoria di tensione una volta ripartiti, ma era una lacrima quasi di gioia, mista ad amarezza perché per una volta, citando qualcuno "...mi sono sentito a casa...".
Casa, in effetti.
L'Eroica Mito procede per l'A27 a 150km/h verso Pordenone, sospinta dai Cure, da una serie di canzoni belle scaricate apposta per l'occasione, ma soprattutto dalla voglia di arrivare presto perché del nubifragio e dei sedili duri ci si stufa presto.

E nei pensieri ci sei tu: c'è quella donna sorridente, quella di cui più di un anno fa mi innamorati perdutamente.
Si riparte, per carità, senza illusioni. In questo mettiamo le mani avanti.

Tuttavia, ho la serenità di chi sa che alla fine non cambierà nulla.
Magari i tuoi inbetween days sono sicuramente diversi dai miei, avendo preso coscienza di quello che fai senza rimorsi.
Invece le mie fasi inaspettatamente simili a una tabula rasa sono ancora presenti. La cura c'è ma non la posso avere.
Me ne accorgo. Passo le giornate con la mia copilota, facendo tutte le cose pubbliche che le persone amiche e forse più che tali fanno: tanti ci scambiano per ciò che non siamo. 
Lo faccio per amicizia e per sopperire a quel bisogno di routine che tanto mancava.
E tutto questo mi aiuta a prendere coscienza di quel che manca.
Ha un nome e un cognome.
Ora, in effetti, in fondo al tunnel si vede la luce.
Speriamo non sia il treno. O che almeno vada piano così ci si scansa.

martedì 11 dicembre 2012

Wild days


Autostrada A11, 150km/h. Reduce da esperienze particolari, strane. 
La data odierna affonda le radici nella più importante tra le mie Missioni Eroiche degli anni scorsi, quella che vide un bello svenimento e due occhi riempirsi di nuovo d'amore. Affonda le radici anche in continui rinvii e in  un tempo che non avrebbe dovuto mai arrivare.

Eroismo inutile? Mai! 
E così oggi dovrebbe essere stato un giorno felice, penso.
Invece no, diventa un'altra giornata stancante come le altre, in cui non ho nemmeno il tempo di respirare, di mangiare come si deve, di ridere.
Domani sarà peggio, ma la magra consolazione di partire venerdì per Pordenone campeggia in me. In effetti vivo aspettando venerdì, alle 10 in cui la mia navigatrice di fiducia si presenterà da me, e salirà sulla rossa Eroica Mito verso i 500km che ci separano da quelle estreme lande orientali.
Già perché nessuno lassù vuol vedermi, perché l'equilibrio si è ristabilito, ormai. Gli amici si evolvono, ritornano amici con vantaggi, si continua ad anelare a chi non ne vuol sapere.
Peccato non far soste come la prima volta in cui andai a Pordenone. Peccato non ricevere chiamate dolci, ora.
Ci pensavo domenica nel tratto Arezzo-Colle, quando i Cure rivoltavano la loro violenza contro le mie casse con Wrong Number, e io buttavo fuori la rabbia di non averti accanto ancora.
Peccato tutto, ma sopravvivo, esisto: non vivo, non sono felice. 

E allora prendo coraggio, smetto di aspettare segni. 
E scrivo: Buonanotte, A. Dove l'ultima lettera non è la mia firma, ma una cavolo di parola di 5 lettere che sento sin troppo nelle mie orecchie da chi non ha titolo per dirmela.
Ebbene sì. Si prosegue. Senza le 2 cose che adesso mancano. 
Una è lo Z4.
L'altra ha un nome ben preciso. 

L'ultima volta


“Sembrava durasse per sempre, quell’amore assoluto e violento, quando è stato che è finito in niente? Perché è stato che tutto si è spento. Non ha visto nemmeno settembre”


Mi ritrovo, così, a rispecchiarmi, più di quanto vorrei, in questo brandello di canzone, che sembra, più di ogni altro, riassumere l’essenza dell’intero testo musicato.

E ora mi domando, davvero, “Quando è stato che è finito in niente?”

Perché sento di non sentire più niente, sento che tutto ci è scivolato dalle mani come una saponetta troppo bagnata, in modo fugace, senza darci il tempo di reagire. Ed è stata stare lontani la soluzione? Se così poteva sembrare, adesso mi accorgo, con maggior coscienza, che è stata solo una nuova consapevolezza, di esser soli; un processo di ridefinizione, da due a uno.

E pensare a chi eri prima di tutto questo… la persona dalla quale non mi sarei mai separata. La tua macchina sembrava così naturale davanti alla mia casa, così come il tuo corpo accanto al mio, se non fosse che quest’ultima cosa, naturale lo sembra ancora e forse mi trattiene.

Sembrava naturale il vedersi, il cercarsi, l’esserci, il vedere ben chiaro avanti.
Adesso sono qua da sola che non riesco a ricordare quell’ultima volta in cui siamo stati ancora noi. Ed ho in mente una scena, sulle scale mobili di qualche metropolitana parigina. Mi voltai e, per quanto odi parlare di romanticherie, tu mi baciasti, come quel bacio significasse il mondo in quel momento. Lì ho capito che c’eri, o meglio, c’eravamo. Ed allora mi domando, non quando, ma come… come è stato che è finito in niente?

Non trovo risposta ed è forse per questo che continuiamo a ravvivare questa piccola fiamma ormai mesta e sbiadita. Lavora, riprova, aggiusta, un giro di vite e siamo sempre più distanti.
Ho l’impressione di esserti accanto per l’amore che provo verso quei ricordi, ancora così vivi. Vorrei con tutta me stessa ritrovare quell’essenza di vita nascosta in uno sfregarsi di mani, in un vedersi da lontano, in un salutarsi da un finestrino. E trovo il freddo, il ghiaccio: la consapevolezza di non essere più.

E sì, il lasciarti forse è davvero come “sparare ad un uomo morto”, ma io mi ritrovo qui, bloccata tra i miei istinti di fuggire dall’altra parte dell’oceano ed un freno che mi trattiene, illudendomi di un futuro che rassomigli al passato. Vorrei, vorrei, ma l’unica cosa che posso ottenere è forse quella che interamente sta nelle mie mani, se non fosse che ciò talvolta mi sembra una codardia.
Ed altre volte ancora, mi dico che l’ho sempre saputo, come pensai in quel parco di San Casciano, una notte d’estate: “prima o poi ripenserò a questo giorno felice e mi domanderò come abbiamo fatto a perdere tutto”. Così è successo. Sono sola in questa notte d’inverno, col tuo ricordo che riaffiora e mi riscalda, ma con la speranza che un giorno arrivi la neve a spegnere anche questa fiamma e medicare, riappacificare, coccolare ogni amara sofferenza col suo manto assoluto e senza tempo.


venerdì 7 dicembre 2012

Ricordi. Voglia di piangere


Oggi nevica, in tutto il nostro bel Paese. Tranne che qui a Colle, dove piove forte, e sono felice che ciò sia avvenuto. C'è chi ama la coltre bianca, e io no. Non sono compatibile assolutamente con quella massa che si appoggia lenta e dolce.
Si appoggia sulle colline, sui prati, sui rami. Rende viscida la strada, creando quel fondo scivoloso che ho sempre amato, in corsa.
Nevica sui tetti e sui muri delle case, aiutata dal vento, silenziosissimo.
Cade lenta, annichilisce le mani. 
Si posa sui muri, del tutto figurati, che ci separano dall'essere due persone che parlano, in modo dolce.
Mi manca quel dialogo, molto. Perché in effetti se c'era un pregio che avevamo era quello di riuscire a parlare di tutto, di essere ironici, di riuscire a scherzare su tutto e di divertirsi anche stando tra noi. 
Tutto questo per te è un ricordo lontanissimo, lo so. E per me una croce da portare, ma anche uno stimolo allo stesso tempo.
Quanto vorrei riparlare, in modo tranquillo, senza muri, senza paure.
Perché parlare fa bene, tanto, ai cuori infranti.
Io lo so che non è finito il sentimento dentro di me. Terribile lo stato di innamorato non corrisposto.

Ripenso al film Acqua e sapone di Carlo Verdone. 
Bellissimo, dotato di una fantastica colonna sonora di Fabio Liberatori e degli Stadio. Un inno all'amore impossibile.
La scena in cui lei se ne va, per tornare alla sua vita di sempre, non cedendo all'emozione e a un salto nel buio, è commovente.
E Verdone che guarda gli aerei dell'Alitalia costituisce il degno corollario.
Forse quel Verdone sono io. 
In ogni caso, tutto il film mi riporta la voglia di andare a Roma d'inverno e godermela sotto Natale con una persona che non c'è mai stata. Non è possibile.
Ho voglia di piangere, e dico a me stesso che è una cosa senza motivo.
Invece lo so: posso sbandierare quello che voglio, dire di aver svoltato. E man mano che il percorso di fortificazione del sottoscritto prosegue, inarrestabile come un treno a vapore lanciato con il regolatore aperto, la consapevolezza di quello che ho perso.
Sarebbe bello usare il plurale.
A Roma ci andrò, di nuovo, a coltivare una secca pianta che si nutre di sbiaditi ricordi. 

Colpo di teatro e risposte non ricevute.


La telefonata arrivò strana, mentre l'Eroica Mito percorreva la ghiacciatissima strada di casa nella giornata di ieri. Le solite gomme da pista sdrucciolano in maniera bestiale, riportandomi indietro ai bei tempi andati che alla fine non erano così tanto belli. 
Mi accingo ad effettuare la trasferta di Pordenone, ancora una volta.
La voce familiare, voce che sento quasi tutti i giorni, di chi sa in ogni modo sopportare le mie paturnie, i miei eccessivi moti di spirito, la mia eccessiva insicurezza che si manifesta quando non faccio qualcosa da solo, rimbalza nei 12 altoparlanti del Bose Sound System dell'Alfa rossa.
Ovviamente mi lamento: stavolta del fatto che devo andare a Pordenone da solo.
Ma d'improvviso, il colpo di teatro: "...Vengo io con te, ci tengo troppo a vederti sulla cattedra...".
Di colpo la prospettiva del viaggio diventa stranamente positiva, un percorso di 500km che prende forma con due persone che ridono, e la temporanea provvisoria felicità prende forma.
Immagino la sosta a Ferrara, il pranzo, il rimontare in macchina e rifarsi la piatta autostrada al ritmo della musica che ho nella chiavina di legno del Leo Club.
E' l'assuefazione alla realtà che mi porta a capire che transiteremo dalla mia piattissima Bologna-Padova, strada larga e piatta che, grazie alla compagnia si trasformerà in lunga e stretta, come voglio io. E terribilmente veloce.
Fine del colpo di teatro.


La telefonata si chiude: Home dei Goo Goo Dolls ricomincia a rimbombare a tradimento mentre cerco nella maniera più disperata di darmi un contegno e di rigenerare, muscolo per muscolo, quell'apparente sorriso che cerco di ripristinare all'ingresso dentro casa, per mantenere la veste di uomo forte e indistruttibile che tento disperatamente e terribilmente di avere.
 
Alle volte non abbiamo scelta. Dobbiamo farci aiutare. Quest'anno non ce l'avrei fatta ad andar lassù senza qualcuno accanto, una persona amica.
Alle volte ti trovi in stanze piene di gente, e diventi per un lungo, muto minuto, osservatore di tutte queste conversazioni e immagini un ripieno di bugie intrinseco, la scelta dell'apparenza.
E provi una sensazione di schifo.

E allora ogni tanto si lancia un messaggio, che contiene quello che uno realmente sente. E la risposta non arriva. E allora maturo la mia pia illusione che magari abbia fatto effetto.
Evito di pensare che qualcuno potrebbe svegliarsi accanto a un altro uomo, accanto ad altre persone. Eivito pure di pensare cose brutte. Non so perché, ma sorrido e la mia testa si alza al cielo, con la massima voglia di urlare "ci sono" a chi potrebbe sentirmi.
Ho voglia di rimettermi in gioco: e forse questo è il primo, claudicante passo verso la fine del percorso di Securing. 
Sì, la mia testa ancora vaga per le nebbiose zone che affronteremo.
Ma tu, amica mia di una vita, sei sempre lì a subirmi e a supportarmi come solo le persone speciali san fare.
Già, senza te non vado da nessuna parte.

giovedì 6 dicembre 2012

The best of you


Freddo. Terribile. La macchina corre velocissima sul fondo gelato. Ho tardato a montare le gomme termiche, tanto sull'altra ci sono quattro coperture nuove e se nevica si prende quella macchina là, quella alimentata col poco nobile carburante chiamato nafta.
Eh vabbè ci adatteremo, non sono questi i problemi.
Il 14 si parte. Partenza mattutina per Pordenone, un anno e coda dopo.
Forse mi sparacchio una trasferta triestina, chissà.
Sarebbe un bel viaggione da fare in compagnia. Purtroppo però, la mia compagnia sarà una musica nuova, ovviamente.
Perché amo i viaggi lunghi in compagnia. Odio quelli da solo. Semplice, no?
E allora ci sarà la sequela di strade  che si alterneranno: Raccordo autostradale fino a Certosa (ora si chiama Impruneta ma io lo chiamo come prima), A1 fino a Bologna, tratto iniziale dell'A14 fino ad Arcoveggio, e poi la mia A13.
Terribilmente lenta e soporifera. Bologna Fiera, Bologna Interporto, Altedo, Ferrara Sud, Ferrara Nord, Occhiobello, Villamarzana Rovigo Sud (vade retro, Satana!!), Rovigo, Boara Rovigo Nord (perché dal 2007 le uscite Rovigo si sono moltiplicate da una a ben tre), Monselice, Terme Euganee, Padova Sud. L'ho scritta tutta a memoria: è indelebile in me. 
Maledetto emozionante passato.
Poi si prosegue, nella bretella che porta all'A4. A27 fino a Conegliano, dopo il passante col cruise a 150km/h perché la strada non scorre. 
A28: Pordenone. 
Ma il problema è: dove mi fermo stavolta a mangiare?
Sembra che scriva delle banalità, ma la cosa ha un significato ben preciso.
Ci sono tanti autogrill ma voglio con tutto me stesso uscire dall'autostrada. Uscire, rilassarmi. L'anno scorso fu diverso.
Davo il meglio di me.
Eh già, quel giorno mi hai tirato fuori il meglio, quando mi fermai nelle viuzze di Ferrara (Via Palmieri ribattezzata mesi dopo via dell'Eroismo per motivi spettacolari), e mangiai i tortellini più buoni del mondo.
Bene: una volta appurato che mangio da solo, stavolta, e che non c'è cosa più triste che mangiar da soli in effetti.
Anche se, in effetti, non voglio compagnia in questo lungo lungo viaggio, da un lato.

Mi viene da domandarmi se riuscirei adesso, a dare il meglio di me con qualcuno. La risposta è sì. Però è chiaro che quel qualcuno non vuole, non ne vuol sapere.
Il viaggio è un percorso.
Lungo e palloso, ma se il risultato merita ci mettiamo in viaggio.
Nessuna data, nessun momento giusto. Nessuna chiamata. Il telefono suona per il lavoro, per gli amici, per le spasimanti che cago poco o nulla.
Non suona mai perché mi cerca chi vorrei.
Ma citando Brian May: "...Life goes on, without you...".
 

mercoledì 5 dicembre 2012

Scars


Probabilmente so parlare d'amore. Probablimente so parlare in generale.
Quello che non mi riesce è forse essere perfetto in tale ambito, portare i fatti e soprattutto la fiducia. Ma la strada aiuta a pensare di nuovo, come si deve.

Raccordo Autostradale Firenze-Siena, 110km/h col Cruise Control messo lì a contenere la mia innata e insana scattosità automobilistica dei tratti a quattro corsie. 
"...Ti sei evoluto, guidi meglio...", tuona prepotente il mio passeggero distratto seduto alla destra mentre siamo diretti a mangiare fuori.
In realtà non mi sono evoluto, sono solo invecchiato. E ho maturato un qualcosa che definiscesi cervello. Perché non sembra ma le crisi aiutano ad evolversi. A mio parere aiuta molto di più un giorno di sofferenza che ti fa riflettere che un anno di felicità.
Ma avevo promesso di non parlare d'amore, causa muri alzati da chi non vuol sentirmi parlare.
E allora, tornando alla guida, dirò ironicamente che ho fatto una bella trasformazione, potrei guidare il pullman, altro che rally come ai bei tempi andati. 

Ok, non posso non parlar di come sto. Tant'è che la mattina il pianto rimane in gola. Le parole rimangono in gola, mascherate da un terribile sorriso la cui falsità è riconoscibile anche ai passeggeri distratti che si soffermano a guardare la contrazione del viso.
Ma ci sono ferite che difficilmente si rimarginano per me. Faccio fatica, in effetti, a ripartire, una volta ricevuto il solito, ormai a cadenza annuale, spintone nel mondo dei single.
Mi viene da ridere al pensiero di cosa butto via, delle persone sulla carta migliori che si affacciano a questa porta, su questa vita. Mi viene da ridere pensando al fatto che il mio sedere ora non lo muovo, che faccio milioni di propositi, e che prontissimamente li disattendo tutti.
Succede che Diletta, la persona che mi sopporta di più su questo pianeta che muore, mi propone di deviare domenica al ritorno da Cento verso chissà dove nella bassa Padana e io rispondo con un NO secco e asciutto, perché non sono ancora pronto. 
Non sono matto. Se qualcuno accanto a me si azzardasse a fare l'inaspettato non sarei pronto ora.Ma ci sto provando.

E le conversazioni profonde, ora, sono piene di bugie.

martedì 4 dicembre 2012

Bandiera a scacchi.

Non si può più parlar d'amore su questo blog, o per lo meno non io.
Inizio questo post con la tranciante affermazione di cui sopra, alla luce del fatto che il post precedente ha fatto scatenare i carri armati della destinataria all'indirizzo del povero sottoscritto.. A questo punto credo sia il caso di cambiare argomento.
La vecchia diatriba tra autisti e piloti torna in perfetta auge. Ne riparleremo presto, visto che almeno questa tematica di conversazione non solleva polveroni, non alza muri, non fa casino ed è un argomento neutro. Certo, è meno pregnante dell'amore. Molto meno.
Ma è bello raccontare in un blog sul viaggio come uno lo vede, forse sono molto più in tema a raccontare sta cosa.
E' bello dire che adesso ha sventolato un'enorme bandiera a scacchi, come quando finiscono le gare di durata, magari massacrantissime e di 24 ore.
E' finita questa gara. The race is over, caro  ex pilota trasformato in autista. The race is over, cara macchina rossa da rally trasformata in passista autostradale.
Anche lei lo sa che la gara è finta e nonostante tutto avevamo continuato a girare speranzosi in quel circuito maledetto che si chiama amore.
Già, pure tu cara Eroica che ho sotto il sedere in modo costante e che non te ne vuoi proprio andare dalla mia vita. Adesso so che abbiamo una cosa in comune.
Sei nata per le curve e hai fatto tutta la tua strada a velocità autostradale costante, verso una serie di sogni che giustamente, come è tipico della mia persona, si sono infranti o dissolti lentamente.
E come te anche io ero un inerte che a fine 2010 si trasformò in lottatore, e che a lottare si divertiva tanto. Eccomi qui. Lottatore contro i fantasmi, e pure perdente. 
"To the Moon and back" era l'imperativo a gennaio scorso, quando volavi nel tuo splendido rosso con noi verso l'Alto Adige.
Andata anche questa pagina: possiamo ripartire.
Pensavo di riuscire ad andare a Pordenone, il 14 dicembre prossimo per la presentazione del mio libro, con una macchina nuova. E invece niente. Forse davvero mi vuoi ancora bene, piccola Alfa rossa.
Ma non è questo il punto.
Sembra quasi di ripercorrere la strada, apposta, dei luoghi "dove tutto ebbe inizio". Lo ebbe in effetti.
Ma stavolta non ci sarà nessuna sosta intermedia all'andata, nessuna fermata definitiva al ritorno. Sarà un lungo e amaro viaggio.
Ma la bandiera a scacchi è stata agitata ed ha vinto qualcun altro, che magari sarà lì accanto a te e che prenderà i frutti del tuo sorriso quando ti sveglierai accanto a lui.
Sarai la stella che brilla in quel cielo, con tutti i tuoi difetti e i tuoi tanti pregi.
Non c'è problema, il 14 e il 15 non mi fermo, tiro dritto, tanto la strada la conosco. Tanto è così e nulla posso farci.
C'è comunque un misto di rassegnazione e amarezza in quel che dico, in quel viaggio che devo fare in cui vorrei tanto davvero vedere due occhi in platea che giustamente non ci saranno.
Di sicuro hai fatto tante cose di cui rincrescerti, solo che non sai quali sono. È quando alla fine le scopri, quando vedi l'assurdità di qualcosa che hai fatto, e desidereresti tornare indietro, cancellarlo, ma sai di non potere, perché è troppo tardi. Quindi quella cosa non puoi che prenderla e portarla con te, perché ti ricordi che la vita va avanti, il mondo girerà anche senza di te. Alla fine tu non conti. È allora che acquisterai il carattere. Perché l'onestà emergerà da dentro di te, e come un tatuaggio ti resterà impressa sulla faccia.
Esatto. Alla fine io non conto dopo la bandiera a scacchi.
Perché la corsa era lunga, e alla fine era solo con me stesso. Lo era.
Ma è finita. La gara è finita.

lunedì 3 dicembre 2012

A Fuocolento. Wish you were here.


Autostrada A1, 110km/h. Il solito pullman della SENA, che all'andata ho disertato in favore di una ben più fastosa carrozza Cinema di Italo, procede verso casa. Arrivo previsto alle 22:40. 
Reduce da un fine settimana in cui gli amici fraterni, quelli veri, di sempre e acquisiti, ti fanno sentire vivo, mettono in luce le tue migliori caratteristiche, non posso che sorridere adesso.
Questo pullman ha la fama di favorire l'introspezione, di ritorno da weekend romani/milanesi. Il buio, la velocità, l'Appennino a cui sono profondissimamente legato, fanno il resto.
Dipende dai periodi, ma la tipologia dei pensieri che favorisce è quella buona, adesso.
Il pullman procede e mi ritrovo davvero davanti a Modena, Bologna e altre città che scorrono come puntini alla mia destra e sinistra.
Non importa: su questo pullman si ha la sensazione di salvezza, di ritorno a casa.
E' stato un fine settimana di quelli di svolta: il secondo nella vita, che mi ha fattocapire che davvero devo disancorarmi da un relitto affiorante.
Tanto il rimorchiatore (nello specifico io), può trainare quanto vuole, se la nave non accende i motori non si arriva a nulla (autocit.). E tu non li hai voluti accendere, quando il mare non era più mosso.
Ma questa è un'altra storia.

Il ricordo che mi assale sul pullman dell'introspezione, e lo fa prepotentemente, furiosamente, è quello che si verificò precisamente un anno fa da oggi. 3 dicembre 2011: un ricordo bello, bellissimo.
Magari non ricordi nemmeno che oggi sarebbe teoricamente il nostro anniversario.
Non lo descrivo pienamente quanto avvenne quel giorno, in fondo è roba nostra e solo nostra.
Dirò solo che nella mia anima, per tutta la vita, rimarranno impresse la birra scura da 13 gradi ad alta gradazione, il ristorante Fuocolento, gli occhi che avevo accanto, i 160km/h nella Statale 16 e il "...per cortesia facciamo 160..."; lo sguardo di chi sa che sta nascendo qualcosa; il bacio che dirime ogni controversia e ti dice "ce l'hai fatta"; la canzone We found love in the hopeless place; il nebbioso rientro.
Ma soprattutto non scorderò mai, e dico mai, la sensazione del tutto immediata di avere un cuore solo, un anima sola, un corpo solo, pur essendo in 2. Ricordo quella strana parola: felicità. Quella parola che cerchiamo, con corrispondenti sensazioni precise, con sintomi strani, che trasforma gli inerti in lottatori, le rumorose macchine da rally in silenziose passiste autostradali, tramuta i piloti in bravi autisti, fa prendere i treni a chi non li ha mai presi per le lunghe percorrenze, ma soprattutto fa capire che vale la pena di vivere per qualcuno.
Eh già.
Siamo alla resa dei conti, nel nostro anniversario, del tutto presunto e inesistente. Purtroppo.
Non ribadisco che di strada ne avremmo potuta fare.
Mi chiedo solo cosa rimane un anno dopo di quel momento, e di tutto ciò che per il quasi completo anno successivo è stato.

Rimane una serie di stupendi ricordi da custodire, una lezione imparata, e un carico di errori da non rifare, un sonno ricostruito e una vita essenzialmente di merda. Sono consapevole di non essere riuscito ad amarti per come sei, in effetti.
Perché io lo so bene che in un'altra situazione avremmo potuto vincere e convincere, arrivare in quel postaccio malefico insieme che si chiama fine dei nostri giorni.
Ma la realtà è diversa.
Rimane la mia paura di cercarti, di vivere di nuovo, di essere molesto. Rimane quel muro che mi hai costruito, anima e corpo, che rifiuta ogni minima idea di felicità al fianco del sottoscritto e non ti fa dire le cose che realmente pensi.
Forse in te rimane la sensazione che siamo diversi, incompatibili, una battaglia cuore contro cervello che inevitabilmente il secondo ha vinto tempo fa. Ma non importa, non è niente adesso.
Però in questo giorno non posso fare a meno di ricordare cosa successe e cosa avrei davvero voluto che si concretizzasse in quella vita sperata.
Cosa vorrei ora?
Sicuramente che quei muri si abbattessero in modo naturale, ma basterebbe solo volerlo.
E un nuovo fuocolento.

Chiamatemi irresponsabile, ma io ti amo ancora. Forse più di prima. 
E tu non sei qui.

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