mercoledì 31 ottobre 2012

Goccia a goccia

Pioveva sulle strade di Milano, quella sera di ottobre in cui l'autunno iniziava a dare spazio ai primi freddi. Pioveva, quella sera, su un ombrello che in via del tutto eccezionale ospitava due anime in pena, una che ostentava la finta sicurezza dell'amico forte e l'altra alla ricerca di serenità dopo una caduta. Pioveva, poche ore prima, sopra la mia spalla. Pioveva, questa notte, nella prolungata solitudine del mio rifugio.

In fondo cos'è la pioggia? L'acqua evapora dal mare e si concentra fino a formare le nuvole; quando queste ultime trovano una massa d'aria ad una temperatura differente ci vanno a sbattere e scaricano la tensione accumulata nei legami chimici formando una moltitudine di gocce d'acqua che ricadono a terra; una dopo l'altra queste piccole lacrime di cielo modellano il terreno su cui scendono, erodendo le parti più fragili e rendendo scivolose quelle più dure.

Dopo la pioggia poi, di solito, le nuvole si dissolvono ed il cielo si apre, ma se la pioggia è intensa il terreno resta umido anche per giorni; ci sono piovaschi che danno da bere al terreno assetato dove ce n'è bisogno ma ci sono pure diluvi che creano allagamenti minando gli argini costruiti per contenere i fiumi e facendo franare i terreni poco solidi o già indeboliti da altri precedenti fenomeni. Ora invece le nuvole non se ne vanno e sono sempre lì, pronte a versare il loro inesauribile carico d'acqua su questo terreno già troppo impregnato e sempre più propenso a cedere.

E così, assieme alla pioggia ed alle nubi, restano e crescono nuove e vecchie paure. Paura di sbagliare nuovamente strada; paura di andare a sbattere su altri muri; paura di ricadere nei recenti baratri di parole non dette; paura di non trovare un vero ospite a cui far compagnia sotto l'ombrello, sotto la pioggia che cade, goccia a goccia.

martedì 30 ottobre 2012

Passeggero oscuro


Ci sono riflessioni che la strada tira su. Perché la strada è lì, c'è da percorrerla.
Ce ne sono meno da fare, di strade, adesso. O per lo meno, quando un amore finisce, diventano larghe e piatte, e la sensazione di non arrivare si fa sempre più forte. 
Ecco: le strade le percorro, ma non ve ne è la motivazione vera e genuina di prima.
Proprio così: quando comunque le mie storie terminano, e inizio ad avere un campione statitstico rilevante, succedono le stesse cose, inizio a viaggiare, con la macchina, per le mete conosciute, dove cammino sul terreno solido.
Viaggio, faccio chilometri a bordo della solita rossa Eroica, la rinnego. Rinnego falsamente quello in cui avevo creduto sino ad allora, davanti agli altri.
Ma dentro di me una sensazione prevale, sempre più insormontabile: è un misto di delusione, scollamento, voglia di non vivere più come adesso. A tratti, anche voglia di morire.
Ovviamente mi impaurisco e tutto si ritrae, quantomeno l'ultima sensazione. Ma nessuno lo sa, nessuno lo saprà mai.
I coprotagonisti di questo periodo, illusi dai Ray Ban a specchio, dalle giacche nuove, dai modi principeschi, dall'esser messi al centro di un mondo creato ad arte, non arriveranno mai, forse per superficialità, forse perché la pantomima che monto ad esclusivo uso e consumo del mio ego assume rivoltanti connotati di perfezione, a capire il contenuto sottostante a quella figura, mai come adesso costruita, che viaggia, cercando con la disperazione di chi stringe i denti, di avvicinarsi a quella felicità tanto agognata, per decenni. 
Ma ogni volta che percorro la strada di Lerici e del Trasimeno con qualcuno accanto, qualcuno che non vedo e non ascolto, in questi periodi, mi allontano sempre più da questa idea di felicità.
So dove risiede, quella maledetta felicità. E adesso, ho l'erronea e gradassa presunzione di sapere come fare, di poter rimettere la colla sui mille cocci della mia vita così perfetta.
Chiunque sia nella mia macchina, comunque non è a conoscenza del fatto di essere in compagnia di un passeggero oscuro. Con lui ho sempre lottato, ho tentato di annientarlo, di illuminarlo.
A tratti ho avuto la presunzione di esserci riuscito. Quando c'era Francesca lì accanto, pareva davvero che la parte oscura di me fosse stata annientata da lei.
Anzi, non da lei, ma da quella entità così inaspettatamente perfetta che eravamo.
Ma lui si piazza lì, in agguato. Sa attendere, a differenza della mia parte buona.
Esplode, e trasforma il bello in brutto, offusca momenti spettacolari rimanendo indelebile solo il nero, lo sporco che per pochi ma orribili istanti ha ricoperto la strada, la nostra strada.
Il passeggero oscuro rovina tutto. Rovina la mia vita che andava da Dio, la nostra vita che andava da Dio, quella in cui credevamo.
Non ho voglia di viaggiare, adesso. Se non verso Londra, ma questa è un'altra storia.
Non ho voglia di partire per riempire le domeniche, fiondarsi in illusori baci, così insapori nonosante la loro perfezione tecnica, non mi va.
Ma il silenzio ora si fa assordante. Mai così lo è stato, quando il passeggero oscuro ha fatto il danno e si è ritratto.
Siamo estranei ora.
Il contrario del primo appuntamento, in cui al ristorante mi dissero "...Sua moglie è là...". Ci feci una grassa risata, spaesato dall'umidità e dall'alcool e da quel qualcosa che stava prendendo forma.
Una forma incredibilmente bella e luminosa, capace di rimettere in sesto le ferite, di ridare energia a chi non ne aveva più e a chi non sperava.
Il passeggero oscuro ha fatto crollare tutto quel castello che pareva indistruttibile.
Me ne prendo la responsabilità. Citando un'amica vera, "...un 10% posso ripartirlo...", ma il 90% è mio.
Non ho saputo instaurare una relazione, vera, genuina, sincera.
So amare ma non so proseguire il percorso dopo i mesi iniziali. Tutto questo è grave. Doloroso. Urticante come la medusa sulla pelle.
Non dormo, e lentamente parte di me supera limiti che non dovrebbe e non parlo di velocità automobilistica.
Mi arrivano notizie frammentarie di colloqui con amici.
Notizie altrettanto frammentarie di felicità ostentate ma io so bene che nemmeno chi ha posto fine al tutto lo è. 
Passeggero oscuro, vattene da me. Vattene.
Non ce la faccio più a portarti dentro questo stanco corpo che vorrebbe andare su, riprendersi quel che è suo, rivivere di nuovo quello che eravamo, fortificati dal "mai più". 
E' vero. Preferisco un passeggero distratto ad uno oscuro. Preferisco una vita breve ad una lunga esistenza.
Preferisco viaggiare davvero e non per finta. Preferisco esserci e non assistere.
Manchi. Come l'aria.

domenica 28 ottobre 2012

Chi fermerà la musica



Seduta in una platea gremita di visi sconosciuti sono li, pronta per vedere un film di cui tanto mi hanno parlato...
La dreamworks inizia a proiettare le immagini di pubblicizzazione della propria casa cinematografica. Inizia il fim: popcorn alla mano e relax.
La pellicola che sto vedendo non è esattamente quella che guardano i miei occhi: davanti a me vedo una bambina, ricciolina, con una camicetta bianca dal colletto ampio e una gonnellina color ciliegia che corre, birichina come non mai, nel giardino di casa. Ha un caratterino "tutto pepe", taciturna, permalosa e lo dimostra ignorando la mamma, che preoccupata, le intima di non sporcarsi e di rientrare che è ora di cena.
Tutto è pronto per festeggiare il compleanno della sorella maggiore: parenti e amici pronti a cantare "Tanti auguri a te"; è il tipico quadro di una famiglia al completo che ride e scherza per un'occasione felice.
Poi un giorno incontra un'amica speciale che le apre un mondo nuovo: la musica.
Quella bimba schiva e fredda si fa plasmare dalle note di un pianoforte a coda, nero e lucido come quelli sui palcoscenici dei migliori teatri del mondo; quella stessa musica suonata dalle mani maestre di quella ragazza le fa crescere la voglia di diventare come lei (o quantomeno simile).
Nota dopo nota, accordo dopo accordo la nostra protagonista inizia ad aprirsi e a credere fermamente che la vita possa essere una canzone: malinconica o allegra, sincopata o moderata ma sempre una canzone.
Passano gli anni, quella bambina birichina cresce a vista d'occhio ed ora è li, davanti al portone dell'università piena di sogni, di aspettative, di voglia di imparare un mestiere e di mettersi in gioco.
In realtà non è tutto rose e fiori: la vita universitaria è fatta di alti e bassi, di ostacoli e di tensioni, ma la giovane amica sa che deve farcela, che costi quel che costi quel traguardo lo deve raggiungere: dottoressa!
Le traversie non mancano nemmeno nella vita di tutti i giorni: la famiglia al completo pronta a cantare per il compleanno ora non c'è più, la nostra protagonista allora era grande come un "soldo di formaggio" convinta che quella scena l'avrebbe vissuta in eterno, ma ora, la dura realtà la vive in prima persona e ha un sapore amaro.
La voglia di ridere, di fare baldoria con gli amici la accompagna sempre ma quando la sera scende e la porta della camera si chiude, ecco, una sensazione di smarrimento le si affianca beffarda.
Ma lei ha una certezza, piccola, ma pur sempre una certezza: la musica.
Ipod alle orecchie, le solite tracce che l' accompagnano e che ricordano momenti che nessuno mai potrà togliere dal cuore e dalla mente. "Anche stanotte sentirà questo cuore in battere e in levare"
... lo schermo nella sala sta mostrando i titoli di coda. Avrò anche perso le battute salienti di un film, ma ho ripercorso, fotogramma per fotogramma, uno scenario che vale più di mille sceneggiature.

Take the A train





Una settimana fa ero in compagnia della dolce metà, di ritorno da una pienissima giornata newyorkese. Oggi, da sola nella mia stanzetta dispersa nei suburbs del New Jersey, non sono uscita dal mio pigiama, mezza febbricitante. Ora va meglio, e domani spero in un tempo accettabile per la mia fuga settimanale nella grande mela. Chissà poi perchè la chiamano ancora così. So che è ben diverso dalle spiegazioni che dà Wikipedia sulla nascita di questa espressione, ma a me piace immaginarla come una mela succosa, da mangiare con voracità. Dolce, se superi l'impatto con la scorza un po' aspra e dura. E poi, o fuggo domani per una passeggiatona o rischio di trovarmi isolata nella mia stanzetta per qualche giorno: uragano in arrivo. La mia padrona di casa mi ha terrorizzata a sufficienza ipotizzandomi scenari apocalittici, secondo il prof che mi segue qua quelle dei giornali sono esagerazioni. Lo scenario più probabile è che mi toccherà lavorare da casa per un paio di giorni... e l'idea è abbastanza deprimente. Che poi la mia stanzetta è in un posto in teoria superYeah: alberi ovunque, scoiattoli, una distesa di casettine in legno. Solo che è un posto pensato per famigliuole motorizzate, non per dottorande in visita che fanno affidamento sui mezzi pubblici, ecco. 

Non sono ancora tornata a New York da quando dolce metà è ripartito. Si è fermato solo una settimana, una settimana qualitativamente diversa dalle altre trascorse qua. E allora ho bisogno di immergermi nuovamente nel mio caos cittadino per colmare un po' il senso di vuoto, che i libri di lavoro accatastati e le parole scritte al computer certo non bastano. Ho voglia di riprendere il mio A train, verso nord, verso Harlem o più probabilmente solo fino a Central Park, sperando di avere tempo di fare nuove foto prima che l'uragano spazzi via tutte le foglie dagli alberi, e con loro i colori di un autunno perfetto, che sarebbe in teoria perfetto se una settimana potesse durare due mesi.

mercoledì 24 ottobre 2012

Preghiera.


Non sono mai stato un buon cattolico. O meglio, lo ero, facendo servizio e insegnando dottrina ai bambini in un tempo ormai perduto e lontano in cui nemmeno mi riconosco se mi guardo allo specchio oggi.
Alla Messa ci andavo spesso, ma dentro qualcosa non andava, non mi riconoscevo più in quella Chiesa così rituale e incollata a tradizioni che per un 18enne di belle speranze, con qualche soldo in tasca ecc...erano divenute troppo strette. 
E allora mi staccai in effetti da tutto quel rito che vedevo come una pantomima strana, da tutto quel viavai di chierichetti vestiti di bianco, di preti che cambiano di continuo e non lasciano dentro di noi traccia indelebile come ai tempi andati.
Avevo la sensazione che tutto fosse avulso dalla realtà e avevo una gran voglia di scappare. 
Ciò non significa assolutamente che non credo in qualcosa.
Credo eccome, forse più di tante altre persone che si mettono in fila a prendere la Comunione. 
Credo che ci sia una vita dopo la morte, che ci sia davvero un Dio che regola tutto.
Non esattamente come dicono le Scritture, ma insomma dobbiamo sperare.
Ed è per questo che, da cattolico poco diligente, mio Signore, ti rivolgo una preghiera.
Ti premetto che so bene di non essermi comportato così bene nei tuoi confronti. 
Ti premetto inoltre che alla Messa non ho tanta voglia di tornarci, e che entro nelle piccole Chiese di campagna per metterci una candelina e tutto questo basta ad accorgermi che in quel momento, in cui il silenzio predomina ma non assorda, ci scambiamo qualche opinione che ci fa bene.
Sarà suggestione ma non credo.
Comunque so che c'è chi sta peggio, molto peggio. Me ne vergogno anche a domandartelo, un po'.
So che nel mondo la gente muore di fame, che ci sono guerre. Il mio egoismo in questo caso forse diviene imperdonabile, ma devi credermi, per una volta: perdere quello che conta è una cosa che fa male anche a uno che non dovrebbe nemmeno sognare di chiederti nulla.
Ma per favore, riportami quello che contava in questa effimera vita terrena. Poi il conto lo pago, non ti preoccupare, ho sempre pagato tutto e subito. 
La mia preghiera non si svolge nelle forme del Padre Nostro, e dell'Ave Maria. Per carità, sono dignitose pure loro, ma non ho voglia di mediazioni nei rapporti con Te, non adesso. 
Se tutto questo è possibile, fallo.
Se non lo farai è segno che non son stato così bravo con te, e magari hai pure ragione. 
Grazie mille per quello che farai per me.

martedì 23 ottobre 2012

Viali alberati

Via Senese, Grosseto, 70km/h. Il sole splendeva qualche giorno fa nella città aldobrandesca, in una giornata contraddistinta dalle forature delle gomme, dal rapido cambio gomma in cravatta, da un convegno che poco aveva di interessante se non la Collega seduta alla mia destra, con qualche anno più di me, ma conscia di avere un notevole mazzo di carte da giocare per affascinare i giovani legali provenienti da fuori e infilati come un pesce d'acqua dolce nel mare.
Comunque sia, la Senese, come la chiamano loro, è un viale alberato.
Ci sono tantissimi tigli su quella via, che si fanno spazio dopo due distributori posti all'uscita della SS223 di cui è naturale prolungamento, sormontano l'automobilista e si riflettono sulla lucida vernice delle vetture pulite.
Di notte, si riflettono ancora, unitamente al giallo dei lampioni ivi posti. I raggi di luce hanno rimbalzato così tante volte sulla vernice rossa a velocità oltre ogni limite del buon senso, oltre che imposto dal codice stradale per vie di comunicazione di categoria ben superiore ad una strada urbana.
La ragione è che questa strada era la prima "via d'uscita" da qualcosache non andava, in quel famoso viaggio di ritorno che costituisce, tranne in rare eccezioni, il preludio dell'arrivo verso casa, verso il presunto sollievo della mente e del corpo.
Fatto sta che mercoledì scorso ero ancora fidanzato, e speranzoso che le cose cambiassero a nordest.
Percorrevo questa strada a 70km/h, senza sfigurare nonostante le "briglie tirate" all'Eroica Mito causa viaggio su tre ruote e mezzo per il ruotino di scorta.
Il viaggio è lentissimo, massimo 80km/h. Il cavallo zoppo correrebbe anche, ma non ci riesce minimamente. Mi sorpassarono sui tratti pianeggianti dell'E78 pure le autocisterne, salvo riprendermi la mia gloriosa posizione in salita, in modo lento e misurato.
Proprio adesso voglio riprendermi la mia posizione.
Quella che mi spetta in amore. Voglio lottare di nuovo, riprendermi la donna che avevo accanto.
La donna con cui avevo pianificato di vivere gli altri 60 anni che mi resterebbero teoricamente su questa Terra.
Ma cosa fare adesso?
Dare segni?
E' tutto così confuso e confondibile.
E' tutto così triste ma sopportabile. E' tutto così incomprensibile.

lunedì 22 ottobre 2012

Epiloghi.


Autostrada A13, 130km/h, domenica pomeriggio. C'è traffico, in effetti, per essere un momento di crisi nera.
L'epilogo di quest'anno insieme si consuma al ritmo di una sigla iniziale, quella di lunedì film, capolavoro degli anni '80 firmato Stadio e Lucio Dalla. 
Si consuma così, in questo modo inaspettato, l'addio che da tempo tu cercavi di darmi. Forse non del tutto inaspettato.
Il viaggio di ritorno corre lento, quasi automatico. L'incidente a 10km da casa prolunga questa strana agonia.
Le battute stamani si sprecano, e faccio pure finta di riderci su. Assumono i connotati di "...disdici il contratto del Telepass...", "...prossima volta al massimo a Gracciano...", "...stavolta rimani entro i confini regionali...".
Battute innocenti che non sembrano fare breccia nel mio teso, corrucciato e strano sorriso, a mascherare quello che da mesi ormai non riesco a definire bene.
Mi trincero dietro l'ironia, dietro amici che mi urlano "...ehi cazzo muoviti...", dietro lo studio da portare avanti, dietro i pianti che non arrivano.
La realtà è diversa: vorrei tu tornassi e che fossimo noi, quelli che eravamo prima, incrociare di nuovo quei 2 occhi che mi hanno fatto innamorare, che mi avevano fatto credere che un futuro nella vita ci sarebbe stato e sarebbe stato proprio lì.
Invece tutto va a rotoli. Tutto va ai maiali feroci, per citare l'espressione, usata per definire le pallonate che tirava fuori il grande Bruce, da un mio professore di educazione fisica del Liceo.
I maiali feroci stanno grufolando sulla mia storia d'amore, quella in cui avevo creduto, investito, per cui mi ero battuto con tutto me stesso. 
Poi certi miei lati oscuri avevano preso il sopravvento.
Certo, non sono il principe azzurro su cavallo bianco. Oddio, non mi troverei nemmeno tanto bene a cavalcare un destriero, non ci sono mai montato, né tantomeno lo farei in ridicola calzamaglia azzurrina.
I miei centonovantacinque destrieri ripartiti tra milletrecentosessantotto centimetri cubi e da due turbine, supportati da duecentonovantotto newtonmetri di coppia sempre presenti sono lì, coperti del loro stesso rosso. Non c'è azzurro.
Non c'è un cuore in cielo.
Non ci sono momenti felici da ricordare. Tutto il lato oscuro, a mio parere piccolo e insignificante, ha preso il sopravvento su quello che credevo essere il bello, il buono, l'amore.
Resta un senso di vuoto, e un dolore sopportabile.
Non so ancora per quanto la mia porta sarà aperta.
Non so per quanto potrò immaginarti ancora accanto a me, girarmi nella via, trovare il tuo sguardo, e poter dire che di nuovo siamo insieme con la forza che avevamo e forse ancora più motivazioni per vivere, vincere e convincere.
Epilogo. Niente false illusioni stavolta. 
Goodbye Fra. Spero almeno tu sia felice lontano da me.

venerdì 19 ottobre 2012

Il cielo grigio

Esco di casa e guardo il cielo; solo qualche piccolo sprazzo di azzurro qua e là fa capolino in una enorme ed informe massa grigia; cerco i miei sogni ma non li vedo; ora non sono lì, non riesco a trovarli; ci sono le nuvole che mi impediscono di vedere oltre. Eppure per due giorni ho sorriso, incoscientemente, per un fardello di cui mi sono liberato, per delle parole che alla fine sono uscite, a forza, con difficoltà.

Guardo il cielo e mi viene da piangere, ma non sono triste; in fondo non sono altro che bei ricordi quelli che riaffiorano dalla memoria; in fondo cos'ho fatto di male? In fondo è una mia debolezza, questa fragilità emersa a ondate negli ultimi dodici mesi, questo mio non riuscire a trovare sicurezza dentro di me, questo mio continuo far dipendere la mia felicità da quella altrui. Un problema che mi ha portato nella situazione in cui mi trovo ora.

Navigazione a motore, vele ammainate, alla ricerca di un porto che non trovo, con la voglia di nuovo di salire su un monte e urlare, perché non è possibile portare indietro il calendario di due mesi, perché non avrei mai voluto trovarmi in queste condizioni, in questo distacco forzato per non ricadere nel baratro dei dubbi, delle parole non dette, dei sentimenti sbagliati.

E ora che sta passando l'euforia della leggerezza, ora che sta finendo l'adrenalina per l'emozione del muro superato (per quanto poi io sia caduto rovinosamente dall'altra parte), ora iniziano a bruciare le ferite, inizia ad arrivare la paura per i segni che lasceranno le cicatrici di questa rovinosa caduta, arriva il timore che, conoscendo il mio carattere, possa ricapitare in futuro; e mi sento di nuovo da solo a camminare su questo stretto e tortuoso sentiero, senza quella voce che per mesi mi ha rimesso, senza saperlo, in carreggiata.

Provo ad ascoltare Sergio Borsato mentre canta Dentro al cuore ma non riesco a trovare quella forza...
Guardati ora dentro al cuore,
troverai forza per cambiare
e per tornare a sperare...

lunedì 15 ottobre 2012

Sembra quasi la felicità (cit.)


Strada comunale delle Lellere, 110km/h in senso ascendente. Esco dalla curva a sinistra che immette sul rettilineo in salita. Il fondo è bagnato, c'è qualche goccia di pioggia ma non dà fastidio a questo indifferente ammasso di lamiere, plastiche e pensieri, che vola verso casa, senza alcuna voglia, alcuna speranza di passare avanti.
Luca Carboni canta Malinconia, e ci dice che il mondo ferito non vuol morire mai.
Questo amore ferito non vuol morire mai. O forse sono solo io che non voglio che muoia, perché chi ho ancora in linea teorica accanto non si muove, non vuole più lottare.
Si adducono motivazioni semplici e razionali, quando c'è da giustificare qualcosa che non si sa gestire. Ma l'amore non è razionalità, non è niente di tutto questo. 
Vado piano, ora. 
Piove, e la mia lacrima si confonderà con le mille gocce che bagneranno la macchina rossa. Ma non si confonderà nei miei pensieri, in quello che essa rappresenta.
Cosa vorrei per questo amore?
Innanzitutto, che l'altra persona capisse che ho sbagliato. Ho provato a dirlo in tutte le salse, con fatti. Niente sembra esser servito, purtroppo. Forse non sono stato così bravo, diligente.
Ma non sono l'Andrea brutto e cattivo, quello che con le parole sa ferire di più che con l'artiglieria pesante. Non sono quello: sono quello dolce, quello dei fiori, quello dei mille regali e dei mille dolci pensieri.
Perché io ti penso ogni secondo della mia vita e non riesco a non immaginare una permanenza su questa Terra che muore senza te accanto.
E tutto può cambiare. 
Vorrei tu sapessi che si può perdonare. So che ne sei capace, vorrei tu non gettassi la spugna, mai, nemmeno un secondo.
Vorrei ritrovarti e ritrovarci in questo universo, e tornare quelli che spaccavano il mondo, quei 2 innamorati sempre in giro che si baciavano di continuo, le cui mani si intrecciavano troppo spesso. 
Non voglio che tutto questo muoia.
Rampa del garage. Gesto automatico di apertura del cancello.
Gesto automatico della retromarcia.
Gesto ancora più automatico di girare la chiave e spegnere la macchina rossa.
Lacrima, per nulla automatica. Ancora lacrima. Il cielo si intona, per una volta, a quello che provo. Nuvole vorticose preannunciano un uragano che non si è poi nemmeno concretizzato.
Ma qualche goccia cade, e almeno tu, cielo, sei solidale con me in questo momento.
Sono stato io stavolta che ho sbagliato. Sono io che so ammettere di aver errato valutazioni ed aver ecceduto per ansia eccessiva. 
Vorrei venire lassù, abbracciarti, dirti che ti amo, dirti che sei davvero l'unica cosa che conta in questa vita, l'unica finestra che mi fa vedere il mondo ancora più bello anche se tutto il resto è orribile, se c'è il cielo grigio e se il lavoro alle volte mi distrugge.
Sei tu quella che voglio imparare ad amare. Sei tu quella che voglio ritrovare ogni sera che torno a casa, sin troppo piena ad oggi, ma sin troppo vuota quando non c'è nessuno nelle lunghe, lunghissime e sempre più fredde domeniche che non scorrono mai.
Sei tu la mia strada, quella lunga 223km che non finisce mai ma che il venerdì sera vola letteralmente.
Sei tu la speranza che da quel pullman scendano due occhi felici e sorridenti.
Piango ancora, e la segretaria mi guarda con occhi interrogativi, mascherati dalla serietà delle telefonate che fa e prende.
E non so perdonare me stesso. Ma so migliorare.
Come vorrei tu accettassi le mie scuse, sincere, vere.
Non lo leggerai mai questo post, forse. Ma ho capito, per davvero. E mi sento morire ogni momento di più, senza te.

domenica 14 ottobre 2012

Solitario notturno

Via Roccolo, 40 km/h, ore due, buio pesto, un cd con canzoni ormai già troppo note gira nel lettore; salgo con molta calma i ripidi tornanti che si arrampicano fino al passo del Roccolo sotto l'omonimo colle; ridiscendo qualche curva sul versante meridionale del passo, circondato pure di là da un fitto bosco, poi prendo la stradina che si stacca sulla destra e la seguo fino a Casa Marina; scendo nel parcheggio e spengo tutto.


Esco dalla macchina e mi dirigo verso la staccionata che dà sulla valle di Galzignano e la pianura della Bassa Padovana, fino a Monselice; mi fermo a guardare ed ascoltare. C'era il buio del panorama ad illuminare la notte; c'era il silenzio del Parco dei Colli Euganei a parlarmi; c'era la solitudine dei miei pensieri a farmi compagnia. C'era l'ennesimo muro contro cui ero appena andato a sbattere ciecamente a tutta velocità a scombinare la mia mente, mentre un refolo di vento alzava qualche foglia e mi scompigliava i capelli.

Credevo di essere riuscito a riprendere in mano la situazione, credevo di essere capace di gestirla, invece stavo solo andando dritto ad occhi chiusi verso un'altra botta. Così ora, dopo la recente tempesta, sono nuovamente fermo in mezzo al mare, questa volta con le vele ammainate; ignoro i venti e le correnti per la paura di dove mi possano portare; cerco di raccogliere i pensieri e di capire come uscire da questa situazione, capire se posso in qualche modo uscirne da solo o meno.


6th Avenue Heartache

Non importa dove o perchè, ma una bella camminata in solitaria, per delle strade nuove, perdendosi e riscoprendosi, è una di quelle poche cose alle quali non potrei mai rinunciare. Quando da passeggera divento autista, a modo mio. E non importa se ieri ho avuto una giornataccia, una di quelle imbottite di preoccupazioni e imprevisti, la camminata per NYC ancora una volta mi ha soccorso.



I had my world strapped against my back
I held my hands, never knew how to act

 
Ieri ero là con degli amici per una serata piacevole, serata che poi si è trascinata fino al primo treno della mattina tra una birra, delle patatine e un'arietta decisamente troppo gelida a tenerci compagnia. Il ritrovo era sul tardi, ma ne ho approfittato per fuggire dal New Jersey un bel po' prima degli altri, appena finito di lavorare. Il treno affollato carico di odori e colori, il cielo rosa all'imbrunire, le mille luci che ti accolgono all'arrivo, persone persone e ancora persone ovunque, a qualsiasi ora, di qualsiasi tipo, l'energia. Passeggiare per ore senza rendermene conto, ritrovermi in una piazza tra bancarelle di cibi etnici, camminare tra palazzi carichi di una storia diversa da quella nella quale sono cresciuta, il verde che appare all'improvviso e ti nasconde i palazzi in un gioco di luci che continua ad affascinarmi, le foglie autunnali che decorano persino bar e negozi, le prime persone vestite da halloween per strada, il Melting pot. Per poi ritrovarmi, qualche ora dopo, in un locale dove suonano dal vivo e, tra una chiacchera e l'altra,  sentire coverizzata una di quelle canzoni che evito come la peste da anni, e abbandonarmi tra i mille suoni di Manhattan per ricordare le palle di neve che rotolano verso la primavera senza lasciarmi sopraffare dalle domande rimaste insolute. La particolarità di un locale a Koreatown nel quale mi sarei voluta fermare un po' di più.

Now walkin' home on those streets
The river winds move my feet
Subway steam, like silhouettes in dreams

They stood like moonbeams
[...] I got my finger crossed on a shooting star

Non vedo proprio l'ora arrivi martedì, perchè ho davvero bisogno di condividere un po' di buone sensazioni e dal vivo, non solo angosce e via skype.

venerdì 12 ottobre 2012

Mute mode on

Ci sono modalità in cui i telefoni stanno zitti. A volte basta premere un tasto, e certe ansie che essi generano svaniscono in un sol colpo, salvo poi ripresentarsi dopo ore quando uno li riaccende.
Altre volte gli stessi cellulari non suonano. Magari è proprio il tuo che non ha voglia di accendersi.
O meglio suonano perché vieni contattato da chi non vuoi, e le conversazioni diventano sterili, asettiche, composte.
C'è chi non chiama né scrive. Giusto tutto in linea di principio. Ma tutto questo genera un vortice di ansia, insormontabile, che non mi fa star tranquillo.
Quando i pochi contatti arrivano, sembra quasi che siano gocce d'acqua nella bocca aperta di un assetato.  Un assetato che deve attraversare un lungo deserto senza riserve né conoscere il territorio in cui passa.
Questo sono io. Messo in pausa, con le giustificazioni vere e sincere di chi dice di amare, che "...mi vorrebbe accanto ma non con l'aura negativa che ho portato...".
Fermarsi per ripartire. La strada sarà lunga, come mi è stato detto.
E l'assetato cammina, giorno giorno, nel suo totale deserto. Il sole cuoce, l'acqua scarseggia.
Ma ogni tanto qualche cosa avviene. Ogni tanto piove. Ogni tanto ritrovo la forza per ripartire e camminare, per accumulare quell'acqua che manca.
Ma ogni chlometro superato è una piccola vittoria. E so che se anche questo deserto avrà la meglio su di me, varrà la pena di aver tentato.
Perché ti amo, mai come adesso.

Si è spento il sole



"Se rido se piango ci sarà un motivo; se penso, se canto mi sento più vivo; se vinco, se perdo rientra nel gioco; se pensi che sono appagato hai fatto un errore, non ho ancora finito..." 

No, non ho ancora finito, anzi, ho appena iniziato questo lungo percorso che mi sta portando sulle montagne russe: è nauseante, insostenibile e ingestibile questa sensazione che provo; sempre li, con la rabbia pronta a scoppiare da un momento all'altro e al pari di una bomba non sai che effetti può dare, li immagini, ma non li sai: non sai quando colpirà, chi ne pagherà le dirette conseguenze e soprattutto perchè è stata innescata proprio li, al confine tra il giusto e lo sbagliato, tra il riso e il pianto, tra il giorno e la notte, tra il presente e il futuro. 
Ora sono su quel tratto di strada pieno di gallerie, di tornanti e di ciottoli. Non vedo l'uscita, so che c'è, ma non la vedo o quantomeno non la posso vedere se queste gocce di pioggia battente continuano a irrompere sul mio parabrezza senza tergivetri. 
Continuo a viaggiare e mi chiedo: cos'ho? Quali sono i punti di forza che mi sono rimasti? Cosa voglio da me stessa? Chi voglio davvero al mio fianco ora, in questo momento di debolezza dal quale sembra così tanto difficoltoso rialzarsi? Ecco, a quest'ultima domanda so dare una risposta, è una risposta che in un primo momento volevo negare anche a me stessa ma che ora è limpida come il sole... 
Il sole.
Ho voglia di sole nella mia testa che da mesi è piena di pensieri, di sole nelle mie giornate apparentemente allegre, di sole nelle mie notti buie e di sole nei sogni, in quei sogni nel cassetto (nemmeno troppo segreti) a cui tengo tanto ma che rimangono li, a mezza via. 
Chi ha spento questo sole? Perche proprio ora, proprio in un momento in cui necessito di un bagliore, anche lieve; basta pioggia, basta rabbia, basta buio.

Dubbiose memorie


Forse stasera mi tocca dare ragione ancora una volta a Bublé... "I haven't met you, yet..."; forse ripetermi quella frase è solo un modo per cercare di non darmi la colpa di qualcosa di cui resto sempre e comunque l'unico a darmi la colpa; forse sono queste ansie che non aspettano altro che la minima debolezza per tornare in superficie; forse è questo continuo bisogno di compagnia, di riempire un vuoto, di sentire quella voce amica che ancora per un po' non sentirò.

Forse è quel confine che non so ancora se ho varcato o meno; forse sono tutte quelle telefonate che mi hanno colorato tante giornate altrimenti grigie; forse sono tutti quei cambiamenti che vedo attorno a me; forse sono quei bagliori di sole che ogni tanto accecano ancora; forse sono angoli di cielo inesplorati che cerco di non guardare; forse l'ancora brutto rapporto che ho col passato, mio ed altrui.

Forse sono i tramonti sul mare che non si sono mai colorati; forse sono queste storie che non riesco mai a raccontare a chi vorrei; forse sono le strade sbagliate di notte che non dimentico; forse sono quegli sprazzi di felicità di strade che si incrociano che cerco di ricordare mentre in sottofondo Adam Levine canta con i Maroon 5 "...it's just a feeling, it's just a feeling that I have..."; forse sono tutte quelle canzoni che ascolto cercando di dimenticare tutto quanto succede dentro la mia testa; forse sono i testi di quelle canzoni che invece non dovrei ascoltare.

Forse sono gli amici che proseguono giustamente per le loro strade; forse è questa vita che è finalmente mia, ma che è e resta solo mia; forse è questa voglia di volare con la mia incapacità ad esprimermi che mi tiene a terra...

"A soul in tension that's learning to fly
Condition grounded but determined to try
Can't keep my eyes from the circling skies
Tongue-tied and twisted just an earth-bound misfit, I"

martedì 9 ottobre 2012

Viaggio nel tempo

Attendo con pazienza un regionale Trenord, destinazione Tortona, due amici ad attendermi, mentre sul binario successivo arriva un elegante Italo; osservo con un po' di invidia i passeggeri tranquilli all'interno chiedendomi quando avrò l'occasione di salirci di nuovo; oggi non lo prenderò, oggi la mente corre lentamente, alla stregua del paesaggio visto dal piano rialzato di questo regionale che moderno non è più, all'indietro; come diverse altre volte negli ultimi giorni ripercorre alcune tappe di questi dodici mesi passati nella mia barchetta in balia dei venti.

Parte dalle propaggini sudorientali del Piemonte questo viaggio, da un pullman che correva nella notte, una voce allora ignota, curiosità, amicizie in divenire, un viaggio di rientro per buona parte alla guida della BMW dell'amico maestro pilota con i primi discorsi dettati dall'esperienza associativa dell'anno precedente che iniziavano ad uscire senza fatica dalla mia bocca.

Poi i muri contro cui ho iniziato ad andare a sbattere, le violente frenate, le prime ansie, le inutili fughe notturne ad alta velocità, i silenzi che già facevo fatica a gestire, la lucina del telefono che non si accendeva ma pure le prime flebili folate di Scirocco ed una voce ancor poco familiare che cominciava ad attraversare l'etere, bit dopo bit; tutto questo fino a due giorni trascorsi in un universo parallelo, a seguito dei quali tutto ciò sembrava dover avere un termine. Ma a quanto pare non è andata così.

Certo, non c'erano più i muri davanti a me, in fondo avevo comunque cambiato strada; eppure hanno iniziato ad arrivare, una dopo l'altra, folate di brezza leggera da sud-est che mi regalavano qualche tramonto sereno nonostante le nuvole tutt'attorno che coprivano il sole a tratti; e non si sono fermate; anche quando il sole non splendeva più mi ridavano la forza necessaria per continuare a guardare avanti. Sono passati così dei mesi finché, dopo un lampo di verde, mi sono ritrovato senza accorgermene di nuovo in mare a seguire di bolina quella che ormai non era più una brezza ma un vento teso.

Mi sono incautamente infilato nella tempesta, uscendone malmesso e disorientato, non capendo più quale fosse la rotta da seguire, pur riprendendo a risalire di bolina stretta quello Scirocco che avevo mesi prima abbandonato, ora fin troppo invitante, rischiando di scuffiare, di superare quel limite oltre cui l'equilibrio viene a mancare; fino alla bonaccia attuale. Ora, esattamente un anno dopo, come previsto dal recente bollettino del mare, quel vento soffia altrove, lasciandomi il tempo di riparare le vele e di riflettere sul da farsi.

Ora che il sole ha mostrato di nuovo qualche raggio, ora che l'Oceano non sembra più così lontano, ora che guardare indietro sembra fare meno male, ora che comunque continuo a non capirci niente, ora che diversi dubbi hanno lambito anche la sfera professionale, ora che faccio nonostante tutto ancora fatica a pensare a me stesso ed al mio futuro, ora che stanno cambiando i canoni con cui valuto quel futuro, ora che ho paura di quando lo Scirocco tornerà a soffiare, ora che questa storia, questo viaggio nel tempo, avrei voglia di raccontarla senza metafore dall'inizio e di affidare queste parole al vento.


domenica 7 ottobre 2012

E tu che sogni di fuggire via...



La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare. 
Una frase che mi frulla in testa da alcuni giorni e che, oggi più che mai, mi sono ripetuta più volte.
Sono seduta mentre aspetto il treno che mi riporti a casa dopo l'ennesimo weekend in giro per  l'Italia. 
Mille pensieri in testa, i soliti bilanci di una giornata piena di emozioni, le solite delusioni e le lacrime che scendono dal viso di una amica cara a fianco a me. 
Nel binario di fronte a noi, due nonni portano a spasso la loro piccola frugoletta con gli occhi incuriositi da questo complesso di ferro che porta in giro migliaia di persone e che scorre velocissimo davanti a lei scompigliandole i capelli biondi e ricci. Chiede al nonno di portarla a prendere un gelato e a me, automaticamente, la mente va a quando avevo la sua età: piccola, con la voglia di esplorare ogni minima cosa mi circondava, con l'unico pensiero di giocare fino a crollare sfinita e dormire ore e ore come un angioletto. Rendo partecipe di questo ricordo anche la mia compagna di viaggio e un leggero sorriso illumina, per un attimo, i nostri visi. 
Il viaggio continua e la mente corre alla stessa velocità di questo treno, fermandosi a qualche ricordo un pò come il treno alle stazioni. Il mio capolinea, quello che vorrei raggiungere, però, ancora non so dov'è, non so chi sarà là ad aspettarmi per prendere le mie valigie piene di ricordi, di pensieri, di dubbi, di lacrime, di delusioni e abbracciarmi.
Il capolinea a cui papà mi aspettava era a pochi km ma io avrei voluto viaggiare ancora, continuare a pormi quelle domande alle quali so come voglio rispondere ma che il destino, la vita o non so che altro, mi impongono di dare una risposta diversa: perche "è giusto così".
Ma in certi casi il "giusto" vorrei davvero dimenticarlo, scollegare per un attimo il cervello e "sfogliare a caso le pagine di questo libro" che è la vita, la mia vita. Voglio, per una volta tanto poter sfidare tutti e vincere, anche se il trofeo è insignificante apparentemente, per me quel trofeo vale più di tanti altri riconoscimenti. Ma la sfacciataggine di lottare in modo anche scorretto pur di avere la meglio non mi appartiene, e mai mi apparterrà; seduta in questo mio angolo di solitudine con la sensazione di un nodo allo stomaco, di un luccichio agli occhi e di avere davanti un libro che non riesco a scrivere pur avendo la penna in mano...

venerdì 5 ottobre 2012

Paused - reazioni naturali.

Via Nova, tratto discendente, 60km/h. Non ho voglia di camminare stamani, non so come mai, ma l'Eroica aiuta a districarsi nel traffico a colpi di sorpassi e di mosse un po' strane.
Non accendo nemmeno la musica, nella tipica indigestione da "situazione sotto controllo" dopo esser stato messo in pausa da chi amo.
Pausa. Come nello stereo. Pausa. E chi ripigerà il tasto "Play"?
Non ho mai concepito queste situazioni. Mai.
Nel frattempo, mentre passo accanto alla Stazione di Colle, il ruggito di un vecchio pullman Setra fa da musica, quantomai giusta, per qualche secondo, a questo scenario un po' vuoto ma, stranamente, sereno.
Certo, è un andamento sinusoidale. Questa fase la conosco. Pausa. Pausa. Pausa. La Pausa, quella con la "P" maiuscola, ti traghetta direttamente, come il pullman n.6 (autocit.), nello strano scenario infinito della singletudine. Ma ti ci traghetta piano, come uno scivolino del varo delle barche.
Ti traghetta nelle megastoppe colossali alle feste. Nei rientri controversi. Nelle nottate strane.
Nel tassello più sfrenato di poveri elementi femminili che si fidano solo dell'involucro e non sanno che l'anima è sempre a 223km di distanza. Guarda caso, proprio 223 in nome della numerologia ricorrente.
L'anno scorso era così. Lo scenario pare una bella fotocopia, però stavolta a colori, del rientro da Orbetello.
"...La tua ironia ti salva sempre. Anche se in calcio d'angolo...", diceva una persona del mio passato. E' vero, ma in questo caso devo anche comprare un portiere di quelli bravi.
E allora perché strane coincidenze prendono forma coneffetti reali  in quello che  mi circonda?
Evviva la singletudine e la libertà. Degli altri. 

giovedì 4 ottobre 2012

Avanti a tutto vapore!

"...Full steam ahead...", ovvero avanti a tutto vapore. Potrebbe essere una dicitura di navale memoria, ed in effetti lo è: a me personalmente fa venire in testa eroiche e lussuose traversate oceaniche di navi di ferro spinte dal vapore a velocità non tanto distante dalle nostre moderne veloci imbarcazioni che fanno anche il canale di Piombino.
Al di là della vena romantica, "...Avanti a tutto vapore..." era anche la locuzione che usavo quando ero in difficoltà in una situazione analoga a questa, quando qualcuno aveva appena lasciato la mia vita dalla porta principale.
Così è, se vi pare.
Ovviamente, avanti non sono mai andato. Forse ci va l'involucro che mi avvolge, trincerato dietro i Ray Ban, dietro il finto sorriso, maschera la tensione della pelle, e ostenta la falsa ed effimera saggezza dettata dalla rabbia.
L'anima, il "ripieno", rimane al palo. Distante. Le lacrime restano dentro l'involucro esterno, ributtate dentro.
Oppure estremamente presente, ma altrove.
E' un terribile silenzio quello di questi giorni: sentirsi dire che uno si deve "disintossicare" da te farebbe comunque male. Fa male anche il mancato riconoscimento di responsabilità da parte di chi dovrebbe in modo maturo prendere in mano la situazione e dire "ripartiamo".
Non si riparte, ovviamente.
Non lo sanno in casa mia che quando rientro sorridendoche dentro qualcosa muore, e che quando canto tiro a mascherare qualcosa che fa tanto male, per non vivere in quel silenzio che sembra del tutto presente.
Non lo sanno gli adepti di La forza della rabbia, in corsa, che quando sto davvero male la lucida follia rimane dentro, a compensare quello che causò tutto un tempo, andando piano, e l'anima da pilota professionista non reclama quasi più il suo piccolo spazio.
Non lo so nemmeno io, cosa sento adesso.
Forse sì. Delusione, mancanza. Ma anche consapevolezza che quello che eravamo non tornerà.

martedì 2 ottobre 2012

Freddo dentro


Inizia l'autunno con i suoi splendidi colori. Inizia nelle menti degli altri, perché nella mia è sempre estate, in quanto fatico a riprendermi da quelle che sono state vacanze durissime e ricche di tensione. Per il secondo giorno consecutivo vado a Firenze e mi avvicino ai binari. Faccio finta di nulla, qualcuno sale e scende dal treno ormai con la normalità che contraddistingue il pendolare distratto e sin troppo abitudinario. Mi ci rivedo, in quella studentessa universitaria che si crede affannata in tutto e per tutto: a 24 anni forse anche io ero così, da neolaureato che aveva tirato come una bestia negli anni precedenti e, in modo del tutto oggettivo, "...non se l'era goduta..." per tanti fattori.
Italo, tecnicamente denominato Automotrice a Gran Vitesse e acronimato AGV per i trenaioli più incalliti, unica ventata di modernità nel nichilismo ferroviario esistente in questo Paese, sferza l'aria con la sua linea elegante e il suo splendido rosso metallizzato, e giustamente non va dove devo andare, anzi ci va ma va troppo oltre, a testimonianza che l'amore tra me e i treni, di durata ultraventennale, è finito. Ma è una di quelle storie che si custodiscono nel cuore, che balza alla mente e ti ha dato un'impronta di conoscenza delle cose che magari oggi divengono inutili.
Il cielo minaccia di scatenarsi sopra Firenze e sopra di noi, riflette categoricamente anche l'umore che abbiamo dentro nonostante fuori diamo l'impressione che siamo solidi.
E invece così non è: la considerazione reciproca ha fatto una picchiata che nemmeno gli Spitfire della guerra mondiale erano in grado di fare.
Le risposte arrivano con un tono carico di tensione, le ovvietà tardano ad affiorare anche per spregio. Le distanze, un tempo invisibili e quasi nulle, iniziano a pesare.
E' la fine di cui non vogliamo renderci conto.
Non serve nemmeno guardarsi indietro: vecchie fotografie dentro di noi ingialliscono, certi visi non fanno più effetto.
"...One way ticket to the runaway train...", come la canzone, e forse davvero sarebbe la cosa migliore separarsi, non vedersi.
E' come prolungare l'agonia di un malato terminale.
Troppe distanze, troppe visibili incompatibilità.
Riparto. La mia mano abbraccia la leva del cambio, duretta nel mettere la prima marcia. Il passato è morto, e vive sotto forma di ricordi belli. Il presente non esiste.
Il futuro chissà come e dove prenderà forma. Almeno per me.
Esco dalla via della stazione e le prime gocce di pioggia si infrangono sul vetro. Tic. Tac. Plic. Ploc. L'uragano si scatena, la gente corre, dietro ai fari delle auto, dietro alle vetrine, al riparo sottoi balconi e i cornicioni che costituiscono una protezione effimera. I fari illuminano il nero delle gocce.
Il treno è ripartito con te dentro. Non so nemmeno se tornerai qui, 200km a sud rispetto a casa tua, dove le cose sono diverse, gli accenti
Ho freddo dentro, nonostante i 24 gradi Celisius che impattano contro il mio radiatore. Ho freddo perché, pur essendo stata qui finora, non ci sei più ormai.
Non ci sei più a scaldare l'inverno come a Bolzano. Sei una figura distante, sbiadita, burbera e intrattabile. Se ripenso a quella donna dolce, forte, intelligente di cui mi sono innamorato, non la rivedo nel tuo volto scavato dalle urla, dai continui strepiti soffocati nel nome del quieto vivere.
La tua felicità è lontana da quest'uomo così difficile, così particolare, così fragile. 
Sarà strano e faticoso ripartire di nuovo. 
Tuttavia, è un copione già visto, secondo il quale per i primi giorni dimostrerò la forza, l'ostentazione di quel che non sono mai stato, e mai sarò, quindi un pericolo per me e per tutti.
Tornano in mente fotogrammi di una situazione analoga ormai di tempo fa, già descritta. Penso a quegli occhi del colore identico a quello dei miei. Film già visto.
Un po' come Fantozzi per tutti noi, che ne conosciamo a memoria ogni scena. 
Rivoglio la felicità ma forse non riesco a conquistarmela.

lunedì 1 ottobre 2012

Rotolando verso sud


Una foto. Una semplice a banale foto di un paesaggio visto per la prima volta esattamente un anno fa. Era un sabato pomeriggio di fine settembre, ero in compagnia delle mie amiche di sempre con la voglia di trascorrere un weekend all'insegna del relax e del divertimento. Dopo una serata in compagnia, tra un centinaio di persone, conosciute e non, ci ritroviamo nel nostro hotel 4 stelle con "gli ultimi sopravvissuti". 
Le 6 del mattino. Una luce artificiale bianca e accecante per quell'ora e per me, che avevo il sonno che mi si leggeva negli occhi; eppure la voglia di stare in compagnia di quella persona, conosciuta pochi mesi prima, mi faceva dimenticare la voglia di dormire e tutto ciò che mi circondava. 
Sentire quella strana sensazione di essere un abbraccio col mondo e invece quell'abbraccio era solo mio. I miei occhi, quegli stessi occhi assonnati che avrebbero voluto comandarmi di andare a dormire immediatamente, si erano persi in quegli occhi scuri che in quel momento mi sembravano un angolo di paradiso. 
L'autunno, con i suoi profumi, i suoi colori caldi e l'aria umida che ti avvolge, che sembra dire: "Goditi questi attimi di tepore prima del letargo invernale!"  Ecco, ora come non mai mi torna alla mente quel momento vissuto un anno fa, lui, il mio autunno, quello che ora sembra essere l'unico sole che vorrei splendesse e illuminasse i miei occhi dal colore azzurro, freddo come l'inverno. 
Come l'inverno sa essere rigido, austero, "contro tutti", così io. Sono decisa e contro tutti. Contro i pregiudizi, le esortazioni a farmi cambiare rotta, ma la rotta, almeno per ora, è verso Sud. 
Sbaglierò, ma i miei occhi cercano quel sole, quell'angolo di paradiso.

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