lunedì 15 ottobre 2012

Sembra quasi la felicità (cit.)


Strada comunale delle Lellere, 110km/h in senso ascendente. Esco dalla curva a sinistra che immette sul rettilineo in salita. Il fondo è bagnato, c'è qualche goccia di pioggia ma non dà fastidio a questo indifferente ammasso di lamiere, plastiche e pensieri, che vola verso casa, senza alcuna voglia, alcuna speranza di passare avanti.
Luca Carboni canta Malinconia, e ci dice che il mondo ferito non vuol morire mai.
Questo amore ferito non vuol morire mai. O forse sono solo io che non voglio che muoia, perché chi ho ancora in linea teorica accanto non si muove, non vuole più lottare.
Si adducono motivazioni semplici e razionali, quando c'è da giustificare qualcosa che non si sa gestire. Ma l'amore non è razionalità, non è niente di tutto questo. 
Vado piano, ora. 
Piove, e la mia lacrima si confonderà con le mille gocce che bagneranno la macchina rossa. Ma non si confonderà nei miei pensieri, in quello che essa rappresenta.
Cosa vorrei per questo amore?
Innanzitutto, che l'altra persona capisse che ho sbagliato. Ho provato a dirlo in tutte le salse, con fatti. Niente sembra esser servito, purtroppo. Forse non sono stato così bravo, diligente.
Ma non sono l'Andrea brutto e cattivo, quello che con le parole sa ferire di più che con l'artiglieria pesante. Non sono quello: sono quello dolce, quello dei fiori, quello dei mille regali e dei mille dolci pensieri.
Perché io ti penso ogni secondo della mia vita e non riesco a non immaginare una permanenza su questa Terra che muore senza te accanto.
E tutto può cambiare. 
Vorrei tu sapessi che si può perdonare. So che ne sei capace, vorrei tu non gettassi la spugna, mai, nemmeno un secondo.
Vorrei ritrovarti e ritrovarci in questo universo, e tornare quelli che spaccavano il mondo, quei 2 innamorati sempre in giro che si baciavano di continuo, le cui mani si intrecciavano troppo spesso. 
Non voglio che tutto questo muoia.
Rampa del garage. Gesto automatico di apertura del cancello.
Gesto automatico della retromarcia.
Gesto ancora più automatico di girare la chiave e spegnere la macchina rossa.
Lacrima, per nulla automatica. Ancora lacrima. Il cielo si intona, per una volta, a quello che provo. Nuvole vorticose preannunciano un uragano che non si è poi nemmeno concretizzato.
Ma qualche goccia cade, e almeno tu, cielo, sei solidale con me in questo momento.
Sono stato io stavolta che ho sbagliato. Sono io che so ammettere di aver errato valutazioni ed aver ecceduto per ansia eccessiva. 
Vorrei venire lassù, abbracciarti, dirti che ti amo, dirti che sei davvero l'unica cosa che conta in questa vita, l'unica finestra che mi fa vedere il mondo ancora più bello anche se tutto il resto è orribile, se c'è il cielo grigio e se il lavoro alle volte mi distrugge.
Sei tu quella che voglio imparare ad amare. Sei tu quella che voglio ritrovare ogni sera che torno a casa, sin troppo piena ad oggi, ma sin troppo vuota quando non c'è nessuno nelle lunghe, lunghissime e sempre più fredde domeniche che non scorrono mai.
Sei tu la mia strada, quella lunga 223km che non finisce mai ma che il venerdì sera vola letteralmente.
Sei tu la speranza che da quel pullman scendano due occhi felici e sorridenti.
Piango ancora, e la segretaria mi guarda con occhi interrogativi, mascherati dalla serietà delle telefonate che fa e prende.
E non so perdonare me stesso. Ma so migliorare.
Come vorrei tu accettassi le mie scuse, sincere, vere.
Non lo leggerai mai questo post, forse. Ma ho capito, per davvero. E mi sento morire ogni momento di più, senza te.

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