lunedì 8 novembre 2021

Panchine

Superstrada FI-PI-LI, 120km/h, direzione Pontedera, poi Castelfalfi, poi San Gimignano, poi casa. C'è un'altra strada, c'è un'altra Luna, mentre con il solito aiuto dell'Enterprise, rientro zoppicando per il traffico altalenante da una giornata mortale.
Gli Oasis mi sparano "Supersonic" nelle casse della mia stupenda macchina blu, e io ne rido, perché qui di supersonico non c'è nulla, nel traffico caotico e schizzato del secondo anno pandemico.
Il silenzio nei rapporti prosegue, e  il buio della notte inghiotte negli specchietti tutte le luci della superstrada, nelle mie solite giornate di cui non vedo, mai, la fine. Sono stanco, e dormo male. Non è una novità, e lo sappiamo bene.
Il telefono mi ricorda, da stupido computer quale è, che un anno fa esatto ero lì, a prendere una nave alle 17:10 a bordo della nuovissima Enterprise, ultima nave utile per evitare il coprifuoco che c'era l'anno scorso, e mi ricorda l'ultima foto con le facce tristi perché non ci saremmo visti per lungo tempo. Il giorno dopo, infatti, la regione Toscana sarebbe entrata in zona arancione.
Non sapevo che sarebbe stata la fine del gioco, salvo messaggi che, una volta ricomposto faticosamente il puzzle della nostra storia, si sarebbero rivelati da un lato "di routine", dall'altro sintomo di una difficile arrampicata fatta di ansie, di poca naturalezza, di sguardi che probabilmente non si incrociavano più.
Già, perché poche ore prima parcheggiavamo l'Enterprise accanto ai sassi a Pomonte, per mangiare insieme sulla spiaggia.
Lo percepivo, che qualcosa non andava. Percepivo anche dal lato mio un forte disagio, derivante dal fatto che certi atteggiamenti non li avevo mai tollerati.
Non avemmo il coraggio di pronunciare la famigerata frase: "Ti devo parlare" in quelle circostanze, che sicuramente non avrebbero salvato la nostra storia, ma almeno avrebbero alleggerito una fine silenziosa, e non avrebbero buttato me in una picchiata, con annesso avvitamento, da cui mi sono ripreso dopo molto tempo.
Per chi avevo accanto forse fu una liberazione, perché avrebbe potuto correre libera verso chi, sicuramente, avrebbe meritato attenzione.
Il resto è cronaca, fatta di un anello che avrebbe dovuto essere consegnato la settimana dopo, della quattordicesima Missione Eroica che vinse la palma di essere stata la prima andata male, dei tentativi andati bene di riavvicinamento, delle ansie tornate, della nuova fine di ogni rapporto, stavolta brutale.
Per fare un sorpasso scalo in settima marcia: è una mossa inutile, se non a darmi, ogni tanto, l'illusione di avere il controllo del mezzo manuale e non automatico. Infatti l'Enterprise si riattiva e mi rimette l'ottava da sola, quasi a brontolarmi per quell'uscita dal silenzio e dal piattume dei 120km/h impostati.
Dopo un anno ci sono ancora tante domande che mi pongo, e che onestamente non dovrei nemmeno concepire.
E' stata tutta una farsa la nostra favola nata e cresciuta in un periodo sfavorevole? E' stato davvero amore? Ce ne sono mille che ritornano come dei vortici, ogni volta che sbarco da quella cavolo di nave, verso quella cavolo di isola che amavo, da morire, e che ora mi fa parecchio girare le scatole, nella sua bellezza e nella sua, a tratti, stupidità.
Eppure ricordo quella Panchina a Le Ghiaie, dove ci siamo baciati quando nemmeno lo potevamo dire in giro. Ed è lì, e non se ne va, quel ricordo di quasi 2 anni fa. Ricordo ogni dettaglio di quel giorno, a partire dalla freschezza dell'aria che permeava i nostri polmoni, la macchina piccola e quella grande, il pranzo al bar del Porto.
Nei silenzi dell'Enterprise mi domando dove spesso sia finito il mio cuore, a cui nego sin troppo spesso  le emozioni che vorrebbe provare, in favore di una sin troppo eccessiva razionalità. Spesso è lì, su quella panchina erosa dagli agenti atmosferici, che resiste alle mareggiate, al tempo e all'incuria di una pessima amministrazione comunale.
E non dovrebbe essere per niente così, alla luce dei recentissimi sviluppi della mia vita.
Riguardo avanti, a quello che ho adesso e che avrò in futuro. Strappo via il cuore da quella panchina dove vorrebbe rimanere aggrappato e lo rimetto al suo posto, vinco le sue resistenze con la forza della razionalità, per fare quello che è giusto.
Ma alle volte mi domando: "Perché non sei qui con me, stasera?". E continuerò a farlo.



martedì 2 novembre 2021

La favola bella di Paolo e Chiara



 

Autostrada A11, 150km/h. L'Enterprise come sempre procede veloce come il vento, nel suo teutonico silenzio. Piove, e le bacchettate del tergicristallo si coordinano, quasi all'unisono con i giunti metallici dei viadotti, che creano una quasi piacevole combinazione di suoni.
E' stato un fine settimana lungo piuttosto strano, o meglio, nel suo ordinario svolgersi ho conosciuto, con chi ho accanto, la fidanzata di un amico. Magari il lettore poco attento riterrà tale circostanza una banalità, ma la storia che c'è alle spalle è una favola bella, a lieto fine, commovente come poche. O forse sono io che sono particolarmente sensibile ai lieti fini, visto che non ne ho mai avuto uno.
Tant'è che Paolo, amico ormai da oltre vent'anni, da sempre visto single, persona di una levatura mentale notevole, di un'intelligenza e di un'ironia assolute, ci ha presentato la sua Chiara. Non ha più una famiglia, lui: i genitori sono scomparsi e noi amici eravamo tutto quello che aveva.
Andò così, in breve. Paolo è campano e viene a studiare a Siena, come tanti universitari, e purtroppo, per la distanza, è costretto ad abbandonare la sua Chiara. Lei inizia ad odiare la Toscana, perché le ha portato via il suo amore.
In tanti, me compreso, avrebbero rubricato l'amore di quinta Liceo come una cosa giovanile.
Passano gli anni, ma i due non smettono di sentirsi per periodi lunghi, anche se ognuno porta avanti la sua vita.
E dopo vent'anni Paolo torna per un periodo piuttosto lungo a casa, e ritrova la sua Chiara. Quello che era sotto la cenere riprende vigore, addirittura maggiore rispetto a prima, con la consapevolezza che solo i 40 anni ti danno.
Paolo tornerà giù, lasciandoci un vuoto nel cuore. Ma la cosa che conta è che dopo vent'anni, Chiara si sia ripresa quello che era suo, con gli interessi.
Sono felici ed è un finale stupendo, che nessuno avrebbe mai creduto che avvenisse. I miracoli succedono, e loro si meritano la favola bella dopo tanto attendersi reciprocamente.
L'Enterprise prosegue nella pioggia, imperturbabile e inarrestabile. Le gocce si spiaccicano sul parabrezza e sul cofano blu Portimao, e il vento le porta verso la parte posteriore per poi disperdersi in una corsa così effimera.
Mi viene in mente D'Annunzio, quando mi ricorda che "Piove, su la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude", e guarda caso quest'Autostrada porta a quella pineta, vicino a Marina di Pietrasanta, dove D'Annunzio vive con l'amata Ermione la giornata di pioggia di quell'opera che conoscono tutti (capre a parte).
Ecco, vorrei anche io una favola del genere, con la reciproca tenacia di aspettarsi, qualunque cosa accada.
In vent'anni le persone cambiano: lo fanno anche in un anno, lo fanno anche in due.
Permettetemi, Amici, di provare un po' di invidia bonaria.
La vorrei perché ho la presunzione, forse erronea, di meritarmela, e perché non merito il silenzio in cui da oltre un mese siamo piombati con colei che conobbi al di là del mare.
"L’amore non si dimostra per come saprai amare la persona cara, ma da come la saprai perdonare…", diceva ieri il Pieraccioni in televisione. E' vero, ma io non devo essere perdonato stavolta. Probabilmente, come un coglione, farei muro di nuovo alla richiesta di perdono, che ogni giorno spero mi sia formulata.
E allora credo nella favola di Paolo e Chiara, nel loro lieto fine, nel "vissero felici e contenti" che potrebbe farli sopravvivere a ogni scossa di terremoto perché sono soggetti saldi e forti.
Ci credo, perché ognuno si può ritrovare dopo anni di lontananza.
Sono sicuro che una favola bella toccherà anche a me. Ci voglio credere con tutto me stesso. Per un altro minuto ancora.


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