mercoledì 29 febbraio 2012

Gloriose posizioni effimere ed equilibri che ritornano

Ci sorpassarono in fondo al rettilineo più lungo, e ci toccò pure lasciar loro strada, noi tre che eravamo in furiosa lotta col coltello tra i denti. Ci passarono con quell'arroganza di chi sa che è nettamente superiore su tutti i fronti, con la sicurezza del doppio dei cavalli che tu ti ritrovi sotto il sedere. Si recuperava nel curvone, grazie alla trazione integrale, ma loro andavano via, con 500 e passa cavalli, per le ombrose curve successive, sapendo di avere un fiato pressoché infinito.
Quello che non sapevano loro, però, è che noi piccini che ci stavamo letteralmente scoltellando avevamo dalla nostra la bravura, la forza della rabbia e l'adrenalina della competizione.
E infatti, così fu. Eravamo tutti del nostro passo, sui 2:12 bassi, addirittura superiore a quello delle categorie superiori in determinati tratti del circuito.
Eravamo veloci, veramente veloci, in quello Speed day, nell'anno 2004 a Monza, noi tre del gruppetto di testa del turno pomeridiano.
Eravamo i più veloci delle "piccole", quelle Subaru noleggiate e Lancer che avevano qualcosa come 265cv, o 280 a seconda del modello. Fatto sta che comunque questi arnesi su strada sono quelli che vincono tutto, e le varie Porsche se le mangiano a colazione, con le Lamborghini ci fanno l'aperitivo e con le Ferrari il pranzo, ma su un circuito veloce come Monza ci ritrovammo tutti col fiato corto in uscita dalla parabolica, a 240 km/h sul rettilineo, i motori pressoché al limitatore, e niente più da dare.
Non ce n'era per nessuno con noi 3 con gli antinebbia accesi a chiedere strada senza alcuna paura a gente più forte, più cattiva, più spocchiosa.
Eravamo giovani, giovanissimi, io non avevo nemmeno 23 anni in quel magico giorno di febbraio.
E capitò che due BMW M3, con un'ottantina di cavalli più di noi, si provassero a sorpassare. Attimi lunghi, lunghissimi: commissari con le bandiere in mano, da destra mi infilano, io momentaneamente in testa al trio di giapponesi azzurro/oro e nere. L'M3 sbaglia la staccata, però, e va larga. Mi riprendo la mia gloriosa posizione e non c'è spazio per altri, non c'è spazio per chi non è capace, oggi.
Per un giro tirammo come dei forsennati, come in fila, come se ci fosse stato il tacito accordo di tenere dietro quella bestia da 343 cavalli, e di non intralciarci a vicenda. Così facemmo, fino a che non rientrò ai box, e noi continuammo a divertirci per un altro paio di giri.
Avevamo lottato contro qualcosa di più grande e, sulla carta, più forte di noi.
E' una lotta che riflette alcuni aspetti della mia vita passata e, forse, anche presente. Ci sono equilibri che si consolidano nel lungo periodo. Acquisiscono forza, naturalezza, col passare degli anni.
E' la storica battaglia di Davide contro Golia (ringrazio qualche padovano a caso per il contributo e la riaccensione dell'ispirazione).
Divengono un involucro imprescindibile svuotato di una reale essenza, ma da fuori sono un castello forte, una fortezza inespugnabile.
Chi si presenta per scardinarli, molto spesso viene respinto al mittente. Tuttavia, chi ha un'essenza migliore da inserire nell'involucro può davvero vincere contro questi Golia.
Ci sono equilibri esterni, che si generano con l'abitudine, e che rimangono difficili da ricostituire.
Allora diventa una operazione alquanto dura ritrovare la sicurezza nello scontro con i mostri sacri del passato, con equilibri consolidati e forti.
Un tempo ritenevo che, alzando gli occhi al cielo, le stelle non fossero nella loro giusta posizione, quando tutto andava male. Ma c'erano invece, erano nel loro equilibrio storico, e io con tutte le mie forze le spingevo via.
Oggi, da Davide moderno, tenterò di rivincere la battaglia con Golia.
E sono sulla buona strada per trionfare.

I colori della vita

Autostrada A4, 130km/h di tachimetro fissi in cruise-control, tratto indefinito, in direzione indefinita; orario indefinito. Il tempo scorre veloce, molto più veloce del solito, forse come non mai, mentre i chilometri continuano a passare uno dopo l'altro sotto le ruote e la meta appare inaspettatamente vicina. Qualche telefonata, voci di amicizie vecchie e nuove che si alternano nell'auricolare, amicizie che, spuntate apparentemente dal nulla o cresciute nel tempo, negli ultimi mesi mi hanno cambiato la vita, dipingendola con nuovi e splendenti colori.


Ci sono quei colori adesso nelle mie giornate, anche se ogni tanto, ciecamente, non li vedo; ci sono i riflessi di quei colori nelle pieghe che la mia vita sta prendendo e nelle novità in cui continuo a non voler credere; si riflettono, quei colori, nel mare albeggiante che la mia barchetta sta attraversando di bolina stretta, verso quell'isola ancora lontana di cui però la sagoma sembra palesarsi debolmente all'orizzonte.

Ora l'autostrada è alle mie spalle, ma c'è musica nell'aria; musica ascoltata e riascoltata che torna a darmi quei brividi che non provavo da troppo tempo, vecchia musica inesplorata che si affaccia a sorpresa alla finestra, musica nuova che propone insoliti e allegri spunti di riflessione entrando con simpatica prepotenza nella mia vita.

E questa musica e questi colori voglio riuscire a tenerli con me, questa volta.

martedì 28 febbraio 2012

Cattivo odore di freni surriscaldati


Un tempo che oggi appare lontanissimo scrissi "...cattivo odore di freni surriscaldati, sulla strada, per gli altri, del mare...". Nacque, da quella frase, una polemica storica.
I freni surriscaldati erano quelli della piccola Ammiraglia marchiata Lancia.
E invece, l'asticella temporale si sposta a qualche giorno fa, sulla SS222 Chiantigiana, tratto discendente: 35km di letterale e totale delirio in discesa con quattro malsane puntate a limitatore.
E un tratto in cui i miei freni, alla fine della loro seconda vita in soli 40.000km, sono stati sollecitati da 4 pestoni allucinanti. Troppa esuberanza, in effetti, nei confronti del buon senso ostentato di recente.
Qualcuno dice che con uno stile di guida conservativo si risparmia, anche a parità di tempi di percorrenza, il 20% di carburante: è vero.
Qualcun altro afferma che la pressione delle gomme corretta consente anche il 10% di fuel efficiency: altrettanto vero.
Non posso fare a meno di rilevare che le mie gomme sono perfette, ma che il mio stile di guida su questa strada assume dei connotati che non si avvicinano minimamente all'essere conservativo.
Divengo un conservativo perfetto in autostrada, nelle lunghe percorrenze recenti.
Stavolta i freni non fanno alcun cattivo odore, in effetti. Forse perché sono migliori di quelli vecchi, e i pensieri non seguono che la loro naturale destinazione verso il nord.
L'intensità dell'ultima frenata sferza il mio collo.
Ora questa vita profuma di pane fresco e di Chance di Chanel: e non ho più bisogno di correre così allo spasimo, né di frenare in modo brusco.

sabato 25 febbraio 2012

Dimenticanze


Sento questo silenzio che mi opprime; schiacciandosi da ogni lato sul mio corpo, sembra volermi forzare nella posizione eretta in cui mi trovo.
E' un silenzio pesante, perché non c'è traccia di te.
Mi schiaccia gli occhi, corrode la vista, logora il respiro. E ancora non ti sento.

Il ricordo fa male, riporta alla mente note di un tempo trascorso, finito. Cerco e ricerco quei momenti, con la paura che ha l'anziano, di dimenticare ciò che ha permeato la sua vita.

Perdere dei dettagli, dimenticare una sensazione, avvertire la lontananza. Questo fa male.

La mia esistenza è stata così affollata che ogni cosa mi scaraventa in un momento precedente, in cui tutto era al posto giusto.
Adesso, invece, viaggio come colui che è partito dimenticandosi qualcosa a casa. Ogni tanto tocco le tasche, per rifocillare la mia incredulità.
Quell'assenza mi parla. Così, allontano la mano e proseguo il viaggio con quella sensazione di dimenticanza, non di vuoto.

Lascia un vuoto solo chi se ne va non essendoci mai veramente stato.
Non è il mio caso e non è abitudine, tantomeno spiritualità: è purezza.
In questo silenzio tossico, in questo segmento spezzato, io, sento ancora la tua tiepida presenza accanto

giovedì 23 febbraio 2012

Vecchie e nuove strade, in amicizia

Torno per qualche chilometro sulla mia A4 per una breve trasferta lavorativa senza troppe speranze per una professione ancora non meglio definita, ancora alla ricerca di un futuro e di qualche certezza dopo tante, troppe domande. Ecco che la mia cara e noiosa A4, per un paio d'ore (così come già a fine gennaio), si trasforma da vecchia via di espiazione a via di speranza; speranza forse anche di percorrerla in altre direzioni prima o poi, magari all'alba di una nuova giornata.


Il presente però è ancora fermo sulla sedia da cui scrivo, fortunatamente pieno di bellissime amicizie, anche se in queste settimane meno presenti fisicamente; però so che ora gli amici ci sono, so che quando voglio prendo il telefono in mano e chiamo, rimpiangendo di averlo fatto troppo poco in passato. Amici, che mi spronano insistendo perché sanno che è l'unico modo per farmi fare cose in cui non eccello; amici, che mi insegnano; amici, che mi fanno ridere; amici, di cui ammiro i sogni e rispetto i successi; amici, di birre e chiacchiere a tarda notte; amici, di numerosi e pieni di memorie viaggi in auto.

Ora la bussola è calibrata, ed anche quando vacilla ci sono gli amici pronti a rimetterla a posto; il viaggio è quantomai lungo, ma forse è ora di rimettere in acqua la barchetta e partire, uscire dal porto, prendere di bolina questa brezza di Ponente che si sta alzando e risalire bordo dopo bordo, con il vento in faccia e questo pallido sole che inizia a scaldare le giornate a tenermi compagnia.

La meta è lì... la via è da tracciare strada facendo.

martedì 21 febbraio 2012

We both know the change is coming


Notte non meglio precisata, 140km/h. Autovettura non meglio precisata, epoca non meglio precisata.
Sono dieci km/h oltre al limite, i pochi consentiti dalle tolleranze del tutor, della vettura e che ti fanno sentire un po' lestofante ma non spezzano la monotonia dell'essenza della guida in autostrada.
Capisco perché amo le curve di Volterra, adesso.
Non ho più un posto in cui scrivere da solo, inosservato, e questo manca, in effetti. Lo ripristinerò presto.
Sarò criptico, forse, ma oggi è un giorno come un altro, in effetti: ma non la dimentico quella strada di notte, non dimentico il gatto e il cane che avevano fame, quella grattata allo sportello di destra che mi fece trasalire. Ricordo tutto, ogni singola parola e gesto che, di lì a poco, avrebbero dato una di quelle svolte prepotenti a un bianco e nero che divenne colore.
Ormai tutto questo si perde nelle nebbie del tempo, nella lunga lunga strada della vita che ho percorso.
Ricordo tutto, nitidamente e distintamente come la canzone che suonava nella radio, quei maledetti Joy Division con Shadowplay.
Stordito dalla serie di eventi, dalla mia vita precedente smontata mattone per mattone e rimontata da un'altra parte così, all'improvviso e senza avvertimenti né termini perentori per agire.
Da lì a "La forza della rabbia, in corsa", nel mezzo c'è stato di tutto. Si correva, tanto. Al limite dell'eccesso, direi.
Si correva sin troppo alla ricerca della perfezione che, una volta trovata, diveniva asettica e non aveva sapore. E il tempo trascorse, passarono mesi, anni, pieni di tentativi di sentirsi vivi, di rigettare una sciacquata di colore pressoché indefinito a quelle grigie colline e gallerie che passavano sempre più veloci e tristi alla mia destra.

E venne il presente, bellissimo e inaspettato e dirompente presente.
La strada prosegue. I colori esistono, oggi, sempre più forti. La mia vita è un quadro del periodo di Arles di Van Gogh, da quanto sono caldi i colori. Ed è stupendo. C'è una vita nuova per me, e tutto il resto si è dissolto, inghiottito dagli anni che passano e che diventano tantissimi in modo lento e inesorabile. E' giusto così. Sono cicli della vita, breve o lunga che la si consideri.
Ma non posso fare a meno di ricordare, almeno oggi.
Non posso fare a meno di riportare per un attimo a galla quello che è affondato, e che prese il largo molto tempo fa. Vecchie vite, trasfigurazioni tentate e mai riuscite.
Adesso ho la fortuna di sentirmi me stesso, di nuovo. E so chi ringraziare.

L'isola che non c'è

Questa volta sono seduto sul sedile di destra, mentre la Punto nera del mio amico autista imbocca l'A13 verso sud; questa volta provo a rimescolare le carte, a cambiare qualcosa che non sia io, dopo aver riportato anche i capelli all'antico stato. Ho portato con me un raccoglitore con le mie vecchie compilation, cd dai titoli enigmatici (chi mi conosce non si dovrebbe sorprendere...) e dai contenuti molto vari; così, tra una canzone e l'altra, la mente inizia a liberarsi delle preoccupazioni di questo imperscrutabile periodo di transizione e di attese della mia vita.

La musica continua ad accompagnarci e a diventare parte integrante del Viaggio, finché, quasi senza accorgercene, ci troviamo a cantare a squarciagola The Show Must Go On; quant'era che non mi capitava? Tanto, troppo tempo... musica, musica, ancora musica, e qualche parola, mentre ai lati della strada si inizia a vedere quella neve che copiosamente aveva coperto l'Emilia (e più avanti la Romagna) le settimane precedenti; ma l'autostrada è pulita e proseguiamo senza nessun problema, verso una meta nuova e ignota per entrambi, con la voglia di lasciare i problemi e le paranoie alle spalle.


Ormai la destinazione poteva essere qualsiasi, tanta era la sensazione di distacco dal mondo rimasto dietro di noi, al punto che sembrava quasi ironico andare ad una festa "...sull'isola che non c'è".
Guidato da alcune già allegramente note amicizie mi sono volontariamente buttato in un mondo che non conoscevo, un distretto che, nonostante la visita di giugno 2010 a Pescara, non avevo mai veramente conosciuto, ricaricando le batterie e riprendendo a guardare avanti.

Ora ci sono nuove luci, nuove amicizie, nuove strade da percorrere; lo specchietto retrovisore è pulito e la visuale è libera e neppure il cielo grigio che ha accompagnato il rientro ha spento il sorriso apparentemente ritrovato. E forse non a caso la trasferta era iniziata sulle note di Christopher Cross, cantando
Well, it's not far down to paradise, at least it's not for me
And if the wind is right you can sail away and find tranquility...
Magari non è una nuova guarigione, ma il sole di stamattina aveva una luce diversa.

lunedì 20 febbraio 2012

Tram n.27


Il tram, se non erro il n.27, arrivò scarrellando, sui binari di Piazza VI febbraio a Milano. Assomigliava ad un oggetto spigoloso, dalla forma molto anni '80, che si muoveva in modo serpentesco tra le vie milanesi, e non feci a meno di notare che il tram, in approccio alla fermata, mette comunque la freccia. Strano anacronismo, visto che è vincolato dalle rotaie, pensai.
C'era un po' di neve quel giorno, residuo di una innocua spruzzata avvenuta nei giorni precedenti in tutto il nord Italia. Il cielo era grigio, e faceva pendant con i palazzi della periferia sud di Milano che avevo guardato fino a pochi minuti prima dal finestrino.
Avevo preso, per arrivare a Piazzale Cadorna, il fido e comodissimo pullman della Sena che da Poggibonsi in modo liscio e preciso mi aveva portato fino al monumento alla produttività a quell'ago e filo simbolo di un boom economico trainato dalla stupenda, per me, città del nord. E' un boom che oggi costituisce un lontanissimo ricordo, purtroppo.
Fatto sta che lei scese, bella come il sole, col suo capello rosso divenuto castano per l'occasione, dalla Volvo C70 di un amico. Scese e venne a prendere me, sotto quel variopinto aggeggio che sta davanti alla stazione Cadorna di Milano.
Rimbalzava, da quella macchina blu, nella fredda atmosfera esterna, ogni singola nota di I like Chopin di Gazebo. Non so come mai ricordo ogni singolo particolare di quel lontanissimo fine settimana di oltre tre anni fa.
Ricordo che fui impressionato da ogni mossa, ogni movimento che quella brulicante grande città provocava in me, sperduto giovane di campagna che era fagocitato dalla grande città.
Fatto sta che quel tram 19 e poi il 27 mi fecero sentire a casa. Ero stato qualche volta a Milano, ma non avevo percepito quel senso di immensità, di opportunità che mi permeava quel giorno.
Ero giovane, forse. Ero pieno di speranze, tre anni fa.
Ma quel tram col suo ronzio in accelerazione mi faceva sentire parte di una città, di una vita che forse all'epoca anelavo.
E così quel fine settimana, così breve e così lungo allo stesso tempo, trascorse in modo strano, ingenerando speranze in me.
Ecco, fu lì che mi resi conto cosa voleva dire sentirsi parte del tutto, e nel comodissimo pullman del ritorno sentirsi come niente.
Il viaggio nella notte, su quel pullman Sena che presi per la prima volta, svuotava lentamente la clessidra dei miei giorni tristi, ma la sostituiva con altri dal sapore oscuro, anche se con sprazzi di felicità.
Ero in cerca di chissà cosa, forse di me stesso, forse di qualcuno, non ne ho idea ad oggi, ancora. Non avevo ancora imparato a rinnovarmi esclusivamente usando le mie forze.
Passarono gli anni, e tante vicende si sono susseguite. Sono successe tante cose, e ho preso pullman, treni e macchine in diverse direzioni.
Ma la coscienza di essere una persona nuova, dopo tanto buio, adesso, mi pervade. La sento quando guido, la sento quando cammino, quando faccio quel numero che ormai conosco a memoria.
Guardo avanti e vedo un futuro radioso e piacevole, pieno di tutto quello che voglio.
Ora, ogni volta in cui riprendo un tram, non posso non pensare a quel periodo e ad oggi. E non posso che essere felice di essermi evoluto.

domenica 19 febbraio 2012

Silenzi distanti


Raccordo autostradale Firenze-Siena, 110 km/h. E' domenica sera e ho appena accompagnato nel bronx di Rifredi la pendolare che torna verso nord, verso le nebbie.
Si è portata dietro tutto il carico della felicità che reca nella sua valigia, col suo sorriso dirompente e la sua parlata strana, un po' emiliana e non troppo veneta.
Se n'è andata così, sotto il peso degli impegni del lunedì, su un anonimo bianco Intercity partito da una stazione decentrata in direzione nordest.
Così è, e la marcia prosegue, sotto una pioggia tipica del giorno successivo a quello in cui ho lavato la macchina, come sempre. Proseguo la marcia in direzione sud, direzione casa, in un silenzio che era tipico dei tempi andati, un silenzio che, allora, non riuscivo a riepmire. La Mito procede in modo imperterrito, e nella direzione opposta e contraria al flusso di traffico costante che viene da Siena, da Grosseto, dalle zone sud della Toscana, tutti verso la direzione di Firenze, anch'essi pendolari della settimana.
Pendolari anche loro, per lavoro, mentre lei e io lo facciamo per un motivo ulteriore, che è il costruirci le speranze di un qualcosa di grande insieme, tentando quotidianamente di lottare per abbattere le barriere che ci separano, solo fisiche, e dovute al fatto che siamo nati in posti diversi.
Spengo la radio, anche se Iris dei Goo Goo Dolls mi riporta alla mente un tratto di vita spensierata, che era tipico dei miei anni del liceo: ricordi scorrono veloci, mentre una Fiesta targata Grosseto si riprende la sua gloriosa posizione avanti a me credendo di aver vinto un duello e il cruise Control rimane sempre sui moderatissimi e sicuri 110km/h, ma tanto quella macchina bianca ha 100km più di me da fare.
Rimango nel silenzio spezzato solo dal rotolamento degli pneumatici sul corroso e liso asfalto.
Conservo ricordi contrastanti riguardo al silenzio che ha permeato momenti sin troppo lunghi della mia vita.
C'era quel silenzio che contraddistingueva una spiaggia, un ristorante, una tempura che era l'unica protagonista dei miei pensieri, e che mi faceva sentire il deserto del cuore avanti a me, fingendo un sorriso che non era riflesso dentro di me.
C'era quell'altro silenzio, quello rotto solo dalla prua della nave che penetrava nel mare bianco spumeggiante.
C'è questo silenzio, quello di chi ha pensato "come ho fatto sinora?", quello dell'inaspettato, che non verrà rotto da niente, se non da sorrisi, baci, abbracci, e da un treno che stavolta arriverà invece di partire.
Silenzi distanti e diversi. Voglio vivere come adesso.
Con tutto me stesso.

P.S. A chi dice che scrivo solo di macchine, guida e velocità, rispondo che è un inaspettato lettore disattento. La strada è la protagonista di questo blog ma.....il resto sono pensieri. Buona Ri-lettura, disinteressato!

venerdì 17 febbraio 2012

Limiti, barriere e muri

Quali limiti si possono superare? Quali è possibile interpretare? E dove si va invece inesorabilmente a sbattere?

Il mio vecchio vizio di iniziare con le domande riprende forma, come mezzo di palesamento dei dubbi che ciclicamente si antepongono al naturale scorrere di emozioni e sentimenti, quando questi vorrebbero uscire dalla mia, sempre e comunque opaca e celata, sfera personale. Dubbi, sì, ma in fondo sempre di paure si tratta; un dubbio esprime la paura di sbagliare, la paura di pensare che, ad uno dei tanti bivi che compongono le mie vite parallele di parole non dette, la strada giusta sia quella che prevede di superare un limite autoimposto; paura che superare un limite per interessi personali voglia dire commettere un errore; paura, perché i miei errori, non avendo nessuno da cui farmeli perdonare, non riesco a perdonarmeli.


Ci sono strade che associo a muri su cui ho sbattuto e ad altri su cui ho paura di sbattere, dove gli alti guard-rail, nuovi di zecca, avrebbero dovuto mettermi in guardia sul tipo di barriere da superare.
Ci sono strade che, tra un tornante e l'altro, mi sono entrate nel cuore per la pace che mi hanno saputo donare, anche se non so quando potrò ripercorrerle per tornare a meditare lontano dai problemi.
Ci sono strade che erano dritte e che ho deciso di smettere di percorrere per riprendere a far finta di vivere la mia vita.
Ci sono strade piene di storie e di adrenalina percorse su una mandria di cavalli alla scoperta di amicizie nuove e sincere.
Ci sono strade ghiacciate, lontane, disagevoli, percorse sulle ali dei sogni, in fuga, alla ricerca di un rifugio interiore, 26 gradi sotto lo zero.

Quello che resta però sono i sogni, percepiti tanto più dannatamente come reali quanto vicini nel tempo e nello spazio; sogni che superano impunemente limiti, barriere e muri e che lasciano, nella loro ingenuità, un inutile senso di colpa per qualcosa che, in fin dei conti, non ho fatto.

Non voglio aver paura dei miei sogni, oltre che delle mie azioni; ma non riesco a liberarmi da questa gabbia, e cantare con convinzione "...perché un uomo non può vivere di sé, e forse è questo da cambiare..." fa scaricare senza dubbio una buona dose di adrenalina, ma non aiuta a superare il momento.

Ci sono sere....ennesimo reprise


Ci sono sere in cui è giovedì grasso e dovresti in teoria uscire. Ma ti rendi conto di essere adulto e di avere diverse pratiche da completare e allora fai quel contratto che era accantonato da tempo, mentre chi ami è a una riunione, tentando di contrastare la gelosia e a non farla scadere nel morbo. Ci sono sere in cui termini il tuo lavoro e non vedi l'ora di andare a letto, ma l'attesa della piacevole telefonata da nordest ti fa capire che stai vivendo un sogno e che è l'ora di rileggere la scrittura privata che hai finito prima di mandarla al cliente.
Ci sono sere in cui succede qualcosa di apparentemente normale, in cui le coincidenze si intrecciano, e ti arriva qualcosa di strano che ti fa sorridere, molto.
Ci sono sere in cui non ti aspetti niente, solo di essere concentrato su quello che devi fare, ma apprendi in un modo soft, diretto e pure simpatico che quello che dicevi un tempo era vero.
Ci sono sere in cui la soddisfazione fa sorridere e la pacatezza fa riflettere.
Ci sono sere in cui prima di mezzanotte la telefonata irrompe, forte, dolce, a scacciare ogni nuvola e sai che la tua strada è lì, e sembra che l'A1 percorsa ogni sera dai tuoi pensieri sia stata disegnata per rendere il viaggio allegro e divertente con i suoi tornanti che ti immettono su quel cavolo di rettilineo piatto e brutto lungo 120km che è la Bologna-Padova.
Ci sono sere in cui gli altri vanno a piedi e tu vai in macchina e nonostante tutto arrivi dopo.
Ci sono sere in cui ti soffermi a pensare a come la tua vita ha fatto un cambiamento notevole negli ultimi due mesi, e il sereno è tornato, la macchina finisce per i chilometri percorsi ma il tuo faro è lì, che ti indica la via.
Ci sono sere in cui il confronto è inevitabile, ed è piacevole vedere chi vince.
Ci sono sere in cui ami con tutto te stesso, anche se sei a casa e la persona è a centinaia di chilometri.
Ci sono sere in cui rifletti sulle conseguenze delle tue azioni, attendendo quello che verrà. Ci sono sere in cui vorresti che quel pullman arrivasse, e invece arriva la sera dopo. Che è oggi.
Ci sono sere, giorni, mattine, pomeriggi, notti in cui sei felice. Perché sai di non esser solo.

lunedì 13 febbraio 2012

Le parole non dette

Resto da solo fermo in auto in giardino ad assaporare gli ultimi minuti di una giornata diversamente normale, con il gelido vento delle notti di questo tardivo inverno che soffia forte al di fuori, facendo tremare fortemente i rami dei gelsi che mi circondano; mi accompagnano in sottofondo i 30 Seconds To Mars e Bruno Mars, ma soprattutto mi accompagnano tante parole non dette, che giorno dopo giorno hanno creato romanzi di vite parallele con finali diversi.


Vite parallele nate da risposte che non sono mai arrivate, risposte che non ho mai avuto il coraggio di reclamare; continuo così a navigare nascondendo gli innumerevoli dubbi, che naturalmente non scompaiono; e come potrebbero scomparire da soli? Chiaramente non possono; così, appena tornano a farsi vedere, riprende l'altalena emotiva di equilibri precari degli ultimi mesi, dove, tra un alto ed un basso, mi sono reso conto che il motivo principale per cui non so accettare i complimenti sembra essere quello di non saperli fare. Altre parole non dette... troppe!

A questo punto forse è ora di cercare un aiuto esterno ed imparziale, per provare a superare quei blocchi che da sempre mi fanno vivere molte situazioni a metà, creando quelle infinite storie a bivi in cui, pur vedendo tutte le ramificazioni, non riesco mai a prendere quella che vorrei, e poi ovviamente non è più possibile tornare indietro e cambiare scelta. Bivi, ramificazioni, strade e sentieri che spesso riassumono i rimpianti di una vita con pochi (forse troppo pochi) rimorsi.

Sì, ci vuole qualcuno che mi porti a dare una risposta alle domande che mi pongo su me stesso.

Nuvole di ghiaccio


Il treno era in ritardo, come sempre. Quindi, non ci feci poi così caso.
Però notai in modo distinto la coppia di macchinisti giovani che aveva voglia di recuperarlo quel ritardo accumulato chissà dove nella lunga lunga percorrenza del grigio convoglio.
Infatti arrivò tardi ma ripartì pressoché subito, sicuramente ignorando le farraginose procedure di riaccensione e cambio del personale di bordo che contraddistinguono le nostre ferrovie.
Il treno non era il solito ETR 500 vecchissimo e malandato, ma un nuovo ETR 610 ex svizzero ben tenuto e con i sedili di prima classe quasi accettabili.
I macchinisti, per l'occasione trasformatisi in piloti, si scatenarono, andarono velocissimi verso Firenze, dove mi avrebbe aspettato, o forse avrei aspettato io, il bus n.36 per il parcheggio di Porta Romana, dove la piccola e ancora non troppo potente Eroica era accantonata dalla mattina.
Il treno si inclinava leggermente e gli Appennini sembravano passare veloci sopra di noi, nella galleria pressoché continua tra Firenze e Bologna.
La accelerazioni si susseguivano fortissime, e assecondavano il mio umore. Sembrava quasi che chi era ai comandi andasse veloce per farmi scappare da una fila di pensieri che mi rincorreva quel giorno, da quelle brutte telefonate inascoltabili fatte di bile a mille, di mezze parole pressoché incomprensibili, di congetture del tipo "...sei stato bravo e io non lo sarò...".
Ero stato bravo, in effetti, ma la mia vita si era trasformata, mentre quel treno correva a 250km/h sulla allora nuova linea appenninca, un traforone che inizia a Rifredi e risbuca a San Ruffillo, 55km più sopra, e che rende competitivo, non fosse per il prezzo da rapina a mano armata, il treno sulla tratta Firenze-Bologna, in un lunghissimo tunnel pieno di tornanti.
Era tutto in salita, come il toboga dopo il Polcevera dopo Genova, stretto e difficile e in quella guida figurata ero pressoché costretto andare avanti concentrato, teso, ed ero forzato a tenere le medie che si terrebbero sull'A1 quando le condizioni sono perfette e non c'è traffico.
E invece su quel Toboga, che da Autostrada s'era trasformato in tangenziale piena di buche, qualcuno m'aveva sorpassato in modo agevole.
Come conseguenza diretta, non mi fermavo, non facevo soste. Era una vita pesante, pesantissima, e dolorosa, costituita da un roboante susseguirsi di bianchi e di neri, senza intermezzi positivi, senza grigi, senza nessuna speranza.
Il rosso della carrozzeria dell'Alfa, sempre più arrabbiata compagna di un numero pressoché eccessivo di viaggi, contrastava con l'atmosfera nera che si respirava al suo interno, con le nuvole di ghiaccio che si stagliavano nel freddissimo inverno.
Alzavo gli occhi al cielo, nell'attesa di un momento di riposo che non sarebbe mai arrivato, e vedevo nuvole di ghiaccio, solo nuvole di ghiaccio.
Passa il tempo: la macchina è diversa, il treno sempre lo stesso, la linea è quella.
Le aspettative, le speranze, danno luce e calore a questa pianta che sta crescendo sempre più. Cresce quando, ogni volta, dico a me stesso meglio di così non esiste. E invece, non c'è mai limite al meglio, così come al peggio, in un range amplissimo che sta a noi scegliere.
L'ansia oggi c'è solo perché ho avuto paura di perdere le sgangherate coincidenze che il sistema di Trasporti ci impone di subire a caro prezzo.
Ma le nuvole di ghiaccio lasciano sempre spazio al cielo sereno, mentre la neve altissima di Bologna lascia spazio al metro di neve che il galleggiante ETR 610 affronta senza paura. Bravi, macchinisti. In fondo, ci sono numeri, strade e ferrovie che contraddistinguono la nostra vita.
Ci sto camminando con forza, con tutto quello che sento.
E la strada non è poi così lunga, la ferrovia è veloce anche se terribilmente costosa. Ma l'amore non ha prezzo, così come il sapere in modo del tutto sicuro che questa volta sono arrivato ad un punto di partenza diverso: un punto di partenza condiviso. Ogni minuto in cui incrociavo quello sguardo forse a tratti impaurito, quegli occhi nocciola sentivo qualcosa che percorreva la mia schiena alla velocità di questo treno.
Il Pendolino tricorrente esce dal tunnel in salita, e sembra quasi impennarsi nella fase di frenata dai poco convenzionali 250km/h a velocità più umane, mentre nei cavi elettrici sopra di noi inizia a scorrere l'ordinaria corrente continua a 3000Volts della rete ferroviaria tradizionale.
Il viaggio non è ancora finito: mi aspetta un autobus per casa. E la nostra pianta da coltivare.

venerdì 10 febbraio 2012

Orizzonti offuscati

Riprendo a scrivere di notte, con la musica in sottofondo, come ai vecchi tempi... ma quali vecchi tempi e vecchi tempi? Sono qui solo come un cane randagio ma per scelta, che fugge dalle proprie responsabilità e si aggrappa al minore dei mali, senza staccarsi dal suolo, con la paura di scalare i rami e andare a vedere l'azzurro del cielo sopra gli alberi; resto nella penombra, accontentandomi dei pochi raggi di sole ma lamentandomi poi delle ombre che offuscano la vista.

Procedo a tentoni, usando la strada come ormai l'unico terreno da cui raccogliere effimere, finte ed evanescenti soddisfazioni che durano il tempo di un sorpasso; finito il mio breve momento di gloria torno ad essere l'ultimo degli stronzi che cerca di arrogarsi diritti che non gli competono sottraendosi ai doveri della vita di ogni giorno, perché non ho mai imparato a risolvere i veri problemi, quelli del presente e del futuro; ed i problemi restano lì, non se ne vanno; fermentano ed iniziano a puzzare, fino a che l'aria diventa irrespirabile, fino a che i problemi sovrastano i sogni con i loro sensi di colpa, quando ormai è troppo tardi per fare qualsiasi cosa.


E continuo a rifiutare l'aiuto degli amici che mi vogliono aiutare, continuo ad affondare le mani in una depressione ormai cronica, a non vedere alcun cielo sopra le nuvole, a non trovare le soddisfazioni ed i cambiamenti che cerco; continuo ciecamente ad inseguire desideri impossibili in cerca di un'irraggiungibile pace interiore, preferendo, come sempre, affrontare la furia degli elementi naturali piuttosto di una conversazione. Continuo a sbattere; e ad accumulare ematomi, non cicatrici, che quando si riassorbono non lasciano alcuna traccia fisica delle botte; così non imparo.

È sempre la solita storia; ed io sono sempre il solito. Ed il cielo è grigio, e le nuvole non se ne vanno.

giovedì 9 febbraio 2012

Le parole che non ho

Quando lo voce non esce da sola devo affidarmi alle canzoni da cantare, non mie, per tirare fuori le parole che non ho; ci sono canzoni che scelgo e canzoni che non scelgo, che arrivano quasi per caso (o no?); e poi c'è la musica, quella che indipendentemente dalle parole arriva dritta dentro. Intanto passa per caso nelle cuffie una canzone (ovviamente triste) dei Rascal Flatts; come solito della musica country ci sono grandi speranze e grandi sogni, magari disattesi, ma ci sono.

E nel frattempo si aprono grandi finestre sul passato, generando inutili ed infantili tensioni temporanee, poi stemperate dall'adrenalina di note cantate che inizio pian piano a fare mie; note che un po' alla volta cambiano, ne arrivano di nuove; nuove note che il Velocissimo ma Inconcludente amico conosce, suo malgrado, molto bene, anche se per lui fanno ormai parte di un passato archiviato, rimasto dietro le colline, da cui imparare.


Ora, in un ennesimo tentativo disperato di rinnovamento, visto che strade e destinazioni non migliorano e le parole che non ho continuano a non uscire, inizierò a leggere nuove parole non mie, cambiando completamente genere letterario rispetto al passato, con il velato intento di rimettere in moto l'immaginazione e di riprendere a sognare aiutandomi con la fantasia di chi è riuscito a concretizzare un sogno; perché i sogni, quelli miei, è come se svanissero gradualmente giorno dopo giorno, assieme alle speranze di concretizzarli e di trovare una persona assieme a cui sognare.

Per non farmi mancare nulla, continuo nella mia immancabile propensione a prendere strade sbagliate sbattendo contro i muri; mentre l'autobus, quello giusto, il 47 per Kvikkjokk, che non sbaglia strada, non è ancora arrivato e sembra non arrivare mai.

mercoledì 8 febbraio 2012

La strada innevata

Il campanello suonò, in quel caldo pomeriggio di fine settembre. Suonò in un periodo in cui non ero più né il primo né l'unico, né avevo speranza di essere l'ultimo.
Ero stato sostituito nel cuore di chi ancora era sin troppo presente, da non meglio precisate ed inutili puntate nella zona rossa della vita.
Mi faceva strano pensare che chi dava un elevato valore assoluto a determinati aspetti ora si rifugiasse nell'effimero, nell'indefinito, nel volutamente sciapo e denigrasse l'amore inteso come forza, ma anche come sofferenza.
Il campanello, come dissi, suonò, ma non aprii. Feci finta di non essere in casa, nonostante l'Eroica fosse parcheggiata fuori, lungo il mio marciapiede, e se avesse avuto gli occhi avrebbe assistito a tutta l'ipotetica scena.
Adesso penso che tutta quella sofferenza, tutto quel sentirsi ultimi sia stato un passaggio obbligato, che conferiva una forza indiscussa alla mia vita: era la forza di sperare ancora, che non ho mai perso.
E così fu, nei mesi successivi: non smisi mai di sperare. Speravo però in un avvenimento diverso, ovvero il "rientro in porto" della felicità, e sbagliai anche a segliere obiettivi, e a forzare i tempi per le cose belle.
Poi, quando il momento sembrava essere poco propizio, in una nebbiosa, piovosa giornata in cui i chilometri si sprecavano e gli intrecci tra passato e futuro non esistevano più, irruppe qualcosa dentro di me.
Ci sono eventi in cui non riesci a staccare di dosso gli sguardi da una persona, che ti pare una fortezza ottagonale inespugnabile, e corri dall'altra parte della sala anche per fare 2 chiacchiere, per tentare di stabilire un feeling, in primis con te stesso, tentando di capire.
Nei viaggi di ritorno a piedi da quel tavolo rimanevo estasiato da quello che provavo: credevo di essere uno che sapeva di nuovo come si muove il sangue nelle vene, come si muove la vita all'interno dei cuori.
E così fu: lo percepivo la mattina successiva, quando non mi importava granché delle macchine bellissime che si trovavano al di sotto della stanza in cui si chiacchierava e quell'attrazione come una calamita mi portava sempre più vicino.
Passai il viaggio di ritorno stranamente ad ascoltare gli altri, e a rendermi conto che la vita riparte quando meno te lo aspetti.
E fu così che lanciai il sasso, e in una grigia sera, che diveniva sempre più scura, qualcosa irruppe dentro di me con una forza del tutto inaspettata: era qualcuno che si è piazzato nella parte più profonda del mio cuore, del mio cervello, della mia mente, a soffiare forte sulle nuvole che c'erano, mandandole via definitivamente, salendo lì, proprio al primo posto.
C'era il suono dell'inverno, il profumo della nebbia, lo sciaguattare degli pneumatici larghissimi sulla strada sempre più bagnata e una canzone che risuonava nell'abitacolo.
E al ritorno che non finiva mai, le mille domande non facevano male, ma anzi facevano bene, e fanno bene ancora oggi.
Oggi le strade sono innevate, e fuori sembra di essere in Siberia. Ma non avrò mai freddo, con te accanto.

martedì 7 febbraio 2012

Tornanti con poca neve

Qualche fiocco di gelida neve addobba, con il suo lento incedere discendente, i boschi al confine tra Cadore e Comelico, confine tra mondi reali e paralleli, mentre testo, sempre senza esagerare, la tenuta delle mie fide gomme invernali su quella fredda striscia d'asfalto con cui già si erano confrontate poche settimane prima. Allora era nuova, la strada, da scoprire; era una strada che portava verso conferme o smentite, verso impensate e prima solo acerbe amicizie, verso nuovi e spensierati mondi paralleli.


Questa volta la sensazione che mi accompagna è invece quella di un nostalgico ritorno, alla ricerca di memorie e di sensazioni che faccio fatica a ritrovare senza la giusta compagnia, alla ricerca di un'armonia che ogni volta dispero sempre più di riuscire a vedere, alla ricerca di amicizie che vanno e vengono con i loro influssi, alla ricerca di una stabilità emotiva sempre troppo lontana, alla ricerca di qualcosa di forte, qualcosa (o qualcuno?) per cui vivere.

Devo ripartire da dentro, da me, ma i contrasti sono sempre troppi; per ogni curva affrontata con le mani salde sul volante a controllare la traiettoria misurando il piede sull'acceleratore con l'adrenalina che sale corrisponde, con un ritardo di qualche secondo, un pensiero al costo degli pneumatici; ad ogni piccola salita corrisponde una brusca discesa che fa male. Un anno e mezzo di piccole salite e di regolari cadute, che continuano a demolire quanto ancora di me sia rimasto; autostima, convinzione, forza, salute (non solo fisica), umore.

Cerco, ma non trovo. Non qui; non ora.

venerdì 3 febbraio 2012

La propensione a prendere le strade sbagliate

Cammino ancora verso quelle luci che non conosco, lontane ed offuscate, ma continuo a farmi distrarre la vista da strade che più volte ho detto e pensato di non dover prendere; per non perdere la direzione, per non andare a sbattere contro nuovi muri, per non finire nella nebbia, per non farsi illusioni, per non minare ulteriormente la mia autostima (dovesse ancora essercene).
Allora perché sono di nuovo qui a tornare sui miei passi su un sentiero scosceso per cercare di recuperare la via che stavo seguendo? Perché questa propensione a seguire strade che so già che non vanno da nessuna parte e da cui poi è doloroso uscire?


Cerco di uscire dalla nebbia, piano, un passo alla volta, anche se quelle strade dai numeri nuovi e invitanti, nonostante i posti di blocco notturni a sorpresa (senza problemi... alla guida cerco di essere previdente, cosa che non mi riesce evidentemente altrove), nonostante i vecchi muri ormai ininfluenti, nonostante i lunghi dubbi, iniziavano a sembrare percorribili non solo come vie di passaggio.

Oppure sono all'inizio di un ponte pericolante e devo decidere se tornare indietro subito oppure provare ad attraversarlo, tenendo una corda agganciata indietro in modo da riuscire, anche in caso di crollo, per quanto con difficoltà e fatica, a tornare al punto di partenza, sperando che in quell'eventualità qualcuno mi tenga la corda tirata e mi eviti per quanto possibile lo strappo della caduta.

Un'asse alla volta, magari partendo da una piccolo angolo di meditazione da condividere.

giovedì 2 febbraio 2012

Pure little secret

La massa di aria fredda della Siberia che incombe sull'Italia sta minacciando di gelare tutto e tutti nei prossimi giorni; strade, binari, vetri, alberi, ...cuori...


Sarah McLachlan ha espresso, con la soave voce che la contraddistingue e le delicate note del suo pianoforte, un piccolo desiderio amoroso che non vuole rivelare per paura di esporsi, congelando tutto dentro, fino a credere di non riuscire più ad amare:
Dirty Little Secret by Sarah Mc Lachlan on GroovesharkCause I've relied on my illusions
To keep me warm at night
But I denied in my capacity to love
I am willing, to give up this fight
...e magari basterebbe poco per rompere quello strato di ghiaccio che si è formato attorno al cuore, riscaldarlo e farlo battere come desidererebbe; poco importa saper resistere col corpo al vento siberiano, alle raffiche da -30, quando poi basta una folata di aria gelida per intirizzire lo spirito. E allora si nasconde dietro inutili, razionali giustificazioni, buone solo per far finta di star meglio e navigare nel solito mare di rimpianti.

Un innocente abbraccio, le mani che si toccano... tutto lì. Ma resta tutto solo un sogno, un'illusione, un fuoco fatuo che non scalda e non dà fiducia; un ritornello che si ripete fino alla fine, fino a che diventa troppo tardi e nulla avrebbe più senso; fino a che viene a mancare la speranza e il sogno si aggiunge alla lunga lista di quelli rimasti nel famoso cassetto.

...ma di chi sto parlando? Di Sarah? ...oppure di me?

Il significato di una goccia e le risposte in essa contenute


SS223, 140km/h, direzione Siena, notte fonda di un anno fa preciso. L'Eroica, allora nuova, con 155 cavalli come appena nata, uscì dalla scia della macchina precedente e con un movimento sinuoso la sorpassò, e fu come una pratica archiviata, mentre scorreva il rettilineo in salita che immetteva prima della galleria di Pari.
C'era tensione, un anno fa. L'idea che quella via snervante potesse portare a un risultato era presente, ma aveva un che di illusorio. Non c'era più qualcosa di forte che si era creato, che si era trasformato in una sorta di morbo che attanagliava ogni parte del mio corpo e che gli conferiva adrenalina.
Allo stesso tempo, quel nugolo di sensazioni morbose alimentava un legame a doppio filo, esattamente identico: la stessa cosa che mi stava lentamente uccidendo dava vita. Sembra un paradosso, ma chi ha vissuto l'amore impossibile lo sa.
Autostrada A1, tratto appenninico, un anno esatto dopo a quel periodo la tensione non c'è.
Fortunatamente è del tutto svanita, lasciando il posto a un cuore che batte, ad un sangue che ricircola, che rivive. C'è solo tanta, tantissima strada da fare.
E c'è una lacrima, ma di quelle buone. Buona perché ho salutato chi volevo accanto tutta la settimana. E allora, mentre il nevischio inzia ad invadere l'autostrada a Rioveggio e svanisce a Pian del Voglio, l'Eroica, nettamente evoluta e meno acerba rispetto all'anno precedente, corre veloce a 130km/h verso casa, con la voglia di uscire da quel pericolo neve, e di arrivare a casa.
Quella lacrima ha un'essenza diversa dalle tante versate, che avevano un sapore velenoso: questa sa di vittoria, di gioia, di settimane che volano veloci come un A319 della Meridiana in volo verso la Sardegna.
Ci sono tante domande che stanno dietro a quella piccola e apparentemente insignificante goccia che scende, mentre la strada ci impone sempre di andare avanti. In primis, perché non ci sono arrivato prima?
Le risposte non sono mai facili da pronunciare, in questi casi.
Forse esiste una qualche congiunzione nelle linee delle nostre vite che ci ha portato a tutto questo, che ci ha portato ad essere quello che siamo, forgiati dalla sofferenza e dalle belle esperienze.
La lacrima alla fine è una goccia d'acqua e sta a noi conferirle un'essenza, un significato che può variare attraverso i nostri stati d'animo.
Mentre la macchina sorpassa i camion senza rallentare sui curvoni appenninici, gli Stone Sour con Through Glass mi ricordano quando acceleravo furiosamente con la forza della rabbia nell'estiva SS429 e tentavo di scappare in primis da me stesso, dalle mie paure e dalle mie convinzioni, un po' come una persona che si mette gli occhiali da sole di notte per non farsi guardare negli occhi, per nascoldere quello che realmente c'è dietro l'aspetto esterno.
Forse questa lacrima, versata per una partenza, costituisce essa stessa una risposta.
La risposta è che amo, adesso, nel modo più travolgente emozionalmente ma allo stesso tempo consapevole della costruzione di un futuro.
Ogni volta mi dico "...lo penserò per un altro minuto ancora, non può essere vero...", eppure questa forte, fortissima sensazione continua durante tutto il giorno, durante settimane, mesi...e si spera per sempre.
Largo alle lacrime quando ci si saluta, e largo, larghissimo, alla gioia quando, dopo pochi giorni, ci si rivede.
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