venerdì 20 aprile 2012

Costruire



Chiudi gli occhi immagina una gioia
molto probabilmente penseresti a una partenza


Se i primi due mesi a Londra mi hanno accolta con temperature meravigliosamente alte e cieli straordinariamente limpidi, è da quando son tornata dopo Pasqua che a nuvoloni bianchi che corrono veloci portati dal vento, così perfetti che sembrano disegnati, si alterna un cielo color latte che si ingrigisce più volte nell'arco della giornata. Intanto io son sempre più convinta di essere metereopatica. Strano mese Aprile, che ti impigrisce cullandoti tra nostalgici ricordi e poi ti scuote dal torpore con l'aria frizzante che profuma di primavera. Aprile che ormai mi fa sentire a casa in questa città un po' magica, Aprile che mi ricorda che tra poco meno di un mese dovrò lasciarla la mia Londra, e qualcosa dentro inizia di nuovo a rompersi. Questa città, che negli ultimi giorni mi ha fatto ritrovare un'amicizia e un briciolo di autostima finchè giocava a nascondino con il mio sorriso, mi mancherà davvero un mondo. Il mio.

... così come l'ultimo bicchiere l'ultima visione
un tramonto solitario l'inchino e poi il sipario
tra l'attesa e il suo compimento

mercoledì 18 aprile 2012

Dov'è finito il futuro?

Il cielo è ancora grigio in questa parte di Milano lontana dalla Milano che sognavo; si vede un po' di azzurro e c'è un po' di sole che appare, ma non basta ad illuminare l'inizio di questa ennesima inutile giornata; non è questo il sole che cerco, non è questo il sole che vorrei.

Non riesco più a vedere i miei sogni, vedo strade chiuse, ora; vedo strade a senso unico in direzione opposta e contraria, non vedo più bivi ma incroci obbligati. Dove sono le pazzie, dove sono i sogni? Dov'è la ragione? Dov'è il futuro? Perché gli occhi continuano a non voler guardare altrove?

E piove. E non trovo più la voglia di muovermi, di sentire nessuno, di uscire da questa situazione e da questo luogo che non fa altro che acutizzare le mie crisi di solitudine, la mia stupida voglia di cercare un motivo e di darmi una colpa per questi miei vani sentimenti e queste mie sterili sensazioni.

Non trovo ...e ora non so più dove cercare. Se dovevo ripartire sono ripartito male e la testa non ci è stata dietro. Sono ancora troppi i buchi da chiudere, sono ancora aperte le ferite da rimarginare; ancora non riesco a trovare una pace in me stesso che continuo a cercare altrove, invano.

martedì 17 aprile 2012

In viaggio con la mente

Lo so, questo spazio virtuale, sfogo delle pene mie ed altrui, parla di viaggi; ma ogni tanto non è solo il corpo a viaggiare.

Salgo su questa metro dei grandi dubbi con A Song For You cantata da Bublé nelle orecchie; il treno parte e la mente pure. Sogni ad occhi aperti? Forse. Speranze? Per un pessimista testardo come me? Diciamo che continuo a non crederci; continuo a sbattere la testa su muri di paure e di stupide convinzioni irrazionali, sempre con il timore di dare un nome a quelle sensazioni, con la paura di non farcela a continuare, la paura di non riuscirci e la voglia di mettersi a piangere per liberare quello che continua a restare dentro.

Scendo dalla metro con la solita maschera che copre le mie vere sensazioni, anche se il sole di stamattina mi ha fatto accennare un sorriso; mi metto a camminare per via Carducci e penso di nuovo a tutte quelle storie che popolano il mio psicologicamente travagliato presente; storie di stelle che non sanno di splendere, di un sole che ha illuminato una vita ed ora è dietro le nuvole, della ricerca di un nuovo rifugio da chiamare casa, di una barchetta in mezzo al mare alla ricerca di un porto sicuro e di un timoniere.

Bevo un cappuccino cercando di staccare la mente e concentrarmi di nuovo su quello che resta il motivo principale di questa nuova ricerca, il lavoro; un lavoro che continuo a sentire instabile nonostante tutte le certezze che mi sta cercando di dare.

Passano nove ore e mi riimmergo nei miei pensieri, e di nuovo Bublé mi guida verso il centro di Milano con una quantomai azzeccata Home, e mi metto a cantare, in mezzo alla gente; forse qualcuno mi guarda strano, anche se non esagero; ma avrei voglia di cantarla come si deve, spingendo sul diaframma e facendo uscire tutta la voce; ecco, quello mi manca; rivoglio un mio spazio dove far vibrare le corde vocali in libertà, per far parlare il cuore, anche se con parole altrui riadattate al mio mondo.

domenica 15 aprile 2012

Una nuova partenza


Stazione di Padova, sul marciapiede attendo nuovamente la carrozza sette che sta arrivando da Venezia; non sono superstizioso, penso, mi sono addirittura patentato come antisuperstizioso la sera di un venerdì diciassette, rompendo uno specchio e passando sotto una scala, ignaro di ciò che mi sarebbe successo il giorno dopo; non posso esserlo. E poi, in fondo, la famosa carrozza sette su cui è tramontato il sole un mese fa, non ha portato così male.


Salgo sul treno in questo grigio e piovoso pomeriggio di metà aprile, seduto di spalle rispetto alla direzione di marcia, ma ora non voglio guardare né avanti né indietro; la direzione mi è quasi indifferente, anche se ci sono sempre quelle luci a richiamarmi a ovest per quanto facciano sempre male agli occhi. A Peschiera del Garda c'è qualche squarcio tra le nuvole a ridare speranza ai viaggiatori di questo ennesimo convoglio diretto alla città delle opportunità, da cogliere, per chi non ha saputo coglierle a casa propria.

Mi lascio sopraffare dalla stanchezza per qualche minuto mentre, immerso in un senso di rilassamento che da tempo non sentivo, chiudo gli occhi sulle note di Zucchero e li riapro a Brescia, dove mi faccio accompagnare da James Morrison e la sua You Give Me Something. E il viaggio prosegue, con le sue sfide ed i suoi interrogativi, sempre sotto le nuvole.

...ma la felicità e la spensieratezza, quelle di una domenica pomeriggio, che vedo negli occhi di molti passeggeri della metropolitana che mi porta alla mia nuova sfida, la mia felicità e la mia spensieratezza, dove sono finite?

sabato 14 aprile 2012

Iniziano le salite

Ebbene sì, dopo i primi giorni di tutto bello ora si inizia a fare sul serio; in fondo devo accettare anche la mia posizione ancora instabile nonostante le nuove certezze professionali, devo accettare il risultato di sottostare a decisioni altrui senza aver voluto cavalcare l'onda dell'entusiasmo quando avrei potuto farlo. Ora si riparte, on my own in tutti i sensi, dopo un trasloco che mi ha fatto sbattere contro un primo muro di realtà da affrontare.


Iniziano così le salite, quelle vere, quelle da affrontare da soli, gambe in spalla e via. Ora non posso farmi fermare da queste prime difficoltà, ora bisogna ingranare le marce basse, accorciare il passo e, placato l'entusiasmo iniziale, proseguire a testa bassa, sapendo che la meta c'è ed è lassù, anche se non si vede. Per quanto disorientato io sia ancora, devo cercare di mantenere la rotta, tra i colpi di vento e le onde che ancora ogni tanto sbattono qua e là sulla chiglia, scuotendo pericolosamente la barca.

Ma ci sono anche dei tramonti che appaiono all'orizzonte, tramonti che ancora non riesco ad ammirare completamente, abbagliato da quelle luci che non si spengono, quelle luci che nonostante tutto vorrei raggiungere, contro convinzioni immotivatamente radicate, contro le mie continue paure. Principalmente paura di non raggiungerle per la paura di non riuscire a raggiungerle.

Paura della paura; paura di una solitudine che faccio fatica a sopportare, paura di stare al timone da solo senza un'altra persona che controlli le vele e mi aiuti a scegliere la rotta da prendere.

Ed ancora una volta la carrozza 4 percorre quei binari che collegano le mie vite, ed ancora una volta mi chiedo cosa vedano gli altri passeggeri nei miei occhi.

giovedì 12 aprile 2012

Il mio battesimo sull'Ammiraglia - ritorno del direttore


SS2, 100km/h: l'incipit è quasi un classico di questo blog. Forse ci mancano 2 numeri alla denominazione della Statale, ma tanto non ci passo più.
L'Iveco Evadys grigio metallizzato procede, quasi imperturbabile ad alta velocità, sulla Cassia, lasciandosi dietro, con un fare quasi sbarazzino e noncurante, castelli come quello di Santa Colomba, che si raccorda con colline verdissime e cave di marmo giallo della Montagnola senese a quello ben più famoso di Monteriggioni.
Con il naso all'insù guardo, in questi tempi di crisi petrolifera e di benzina ale stelle, le nuvolette minacciose che incombono su quelle vecchie mura che di certo non si fanno intimorire dalla pioggia che inizia a cadere copiosa, nel freddo di questa giornata semi invernale.
Proprio su questa strada avvenne il battesimo dell'Ammiraglia, allora acerba.
Era una giornata d'estate, di quelle che non scordi nella vita.
Di quelle in cui hai una persona accanto che vorresti sopprimere dalla tua vita, tenere lontano, lottando come un disperato per spezzare quelle catene che si fanno sempre più dure.
La macchinetta rossa, con l'alcantara beige, il cambio sequenziale, ancora acerba e da città, prima delle solite trasformazioni che mi diletto a fare.
La piccola rossa metallizzata pareva restìa ad affrontare i curvoni ma poi ogni volta di più diveniva volenterosa e vogliosa di correre più forte possibile sulle mie strade.
Divenne Ammiraglia, passista d'eccezione, per 146.000km di emozioni, di pianti, di risate, di urla, di arrabbiature, ma lei era lì. Da Poggibonsi a Grosseto passando per Venezia, Colle, Montalcino, Pescara, Roma, Passignano, Lerici, La Spezia, Santa Croce sull'Arno, ecc....
Ecco che la prima persona che devo trasformare è Andrea. Devo tentare davvero di rimettermi in gioco, di girare il mondo per me stesso, di vivere con la forza e la pacatezza che mi contraddistingue. A differenza della nostra Anita, mi sento fermo. Non mi sono mosso tanto e quando avevo avuto la possibilità di stabilirmi a Montreal non lo feci, anche se le motivazioni erano concrete.
Fuggo stando fermo, essenzialmente da me stesso, essendo ben conscio che in amore sono arrivato, ma in altre cose sono ben lontano dalla meta.
La meta è il viaggio e il viaggio siamo noi, dicevo un tempo.
Voglio ricominciare. Anche io. Aspettatemi.
Devo tentare davvero di rinnovarmi, anche se non ho catene,.

mercoledì 11 aprile 2012

Binari bagnati

Milano, via Mazzini, il cielo è appena diventato scuro, piove; il tram numero 16 non vuole saperne di arrivare, e fa freddo, nonostante i primi sprazzi di primavera della settimana precedente. Fa freddo fuori, fa freddo dentro, anche se forse è solo la stanchezza accumulata a fare brutti scherzi all'umore (o almeno lo spero). Non bastano un aperitivo in compagnia, una telefonata e qualche parola colorata a rinvigorire una giornata nata stanca conclusa su dei binari bagnati.

Resto in equilibrio su quei binari cercando di non scivolare su recenti incertezze e vecchie decisioni, senza accorgermi, tra la stanchezza e l'umidità, di tutti i cambiamenti che sono avvenuti nelle ultime settimane. Faccio di nuovo fatica a essere sereno, non riesco a sfruttare la mia cara vecchia pazienza (nulla a che vedere con la testardaggine - quella c'è e resta bella forte); faccio di nuovo fatica ad orientarmi e cerco un punto di riferimento, un faro che indichi la direzione, ed un po' di vento, ora che credo di sentirmi pronto a ripartire a vele spiegate.

Eppure c'è ancora quel vuoto, quel buco che non riesco a riempire, quella vela che resta sgonfia, quel motore senza benzina, che ogni volta sembra ripartire ma si ferma ancora prima di mettersi del tutto in moto; una lunga serie di false partenze che continua, giorno dopo giorno, ad allungarsi sempre più, relegando sogni e speranze in uno scantinato sempre più profondo, da cui non riescono a risalire.

Sì, cerco di convincermi che sia solo un effetto della stanchezza e della pioggia che è caduta per poco più di ventiquattr'ore (...e le previsioni non promettono nulla di buono!), cerco di credere che domani tornerò a camminare col sorriso per via Carducci senza la pioggia; ma ora è difficile conciliare questi pensieri con la buona doppio malto bavarese che era nel bicchiere ormai vuoto. E forse è ora di andare a casa, bere una tisana e riposare corpo e spirito.

sabato 7 aprile 2012

Cinque giorni

Altre due ore ed otto minuti di treno su questi ormai quasi soliti binari, collegamento tra la mia vecchia vita e quella nuova; una nuova vita dove sono io a decidere che direzione prendere, anche se ancora senza improvvisare più di tanto. Era ora che succedesse, era così che doveva andare, erano evidentemente maturi i tempi per pensare seriamente al mio futuro e seguire senza esitazioni qualche strada nuova ed inaspettata.


Cinque giorni di questa nuova vita, cinque giorni in cui ho riscoperto la gioia di camminare senza pensare a niente, la gioia di cantare "perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia...." sotto le ultime gocce di pioggia rientrando a casa; cinque giorni di tante piccole e grandi novità, piccole e grandi cose a cui pensare, piccole e grandi cose da fare; cinque giorni di amici rivisti e risentiti e di amici da rivedere e risentire; cinque giorni di binari sopra e sotto terra, di passi uno dopo l'altro, di sorprese.

Il treno torna in Veneto, rivedo il Lago di Garda da Desenzano; questa volta i Colli Berici li vedo di fronte, li vedo avvicinarsi, guardo avanti senza pensare a cosa mi lascio alle spalle e nelle orecchie c'è l'incredibile Concerto di Colonia di Keith Jarret a farmi da sottofondo, a rallentarmi il respiro, a farmi riprendere fiato, ad isolarmi da questa cara vecchia realtà che ora, almeno in alcune sue parti, inizia ad assomigliare vagamente a qualcuno di quei tanti sogni che, un giorno o l'altro, mi sarebbe piaciuto vivere.

giovedì 5 aprile 2012

White blood cells


Questo post, concepito in un momento di non particolare buon'umore, prende forma perchè si parla spesso di long distance relationships pensando al lovvo (e long distance sucks), ma c'è un'altra categoria di relazioni che viene messa a dura, durissima prova dai chilometri: le amicizie. Le relazioni familiari invece di norma con la distanza stranamente migliorano, almeno nel mio caso, ma questa è un'altra storia. Le amicizie, la maggior parte almeno, a quanto pare vanno coltivate. Quando sei lontano, è più difficile. Banale, ma tristemente vero. Di dolce metà una ce n'è, e per lei il tempo si trova. Un altro vantaggio della monogamia. Ma quelle persone con le quali hai diviso pezzettini più o meno importanti della tua esistenza, che magari si sono un po' alla volta sparpagliate in città o Paesi diversi, le cui vite un po' alla volta hanno preso direzioni divergenti dalla tua, non è che puoi darle sempre proprio per scontate. Giustamente. Certo, ci sono amici che puoi non sentire per mesi e poi riprendere il discorso esattamente da dove lo avevi interrotto, ed è una cosa favolosa. Però questi amici sono rari. Inutile dire che sono quelli che preferisco, quelli delle ore al telefono, quelli coi quali si sta bene anche in silenzio, quelli che basta uno sguardo e capisci, quelli che non ti fanno pesare il fatto che non riuscite a vedervi spesso. Quelli che, tutto sommato, ti fanno credere che non importa in che parte del mondo finirete, perchè è ovvio che un giorno anche i vostri bis-bis-nipoti saranno amici. Persone del genere non mi hanno mai fatto rimpiangere i tempi andati, quelli di una decade fa per intenderci, quando per un' uscita serale nella pizzeria o nel pub di turno si ragionava in tavolate, perchè loro, quelli con la A maiuscola, sono il mio piccolo e adoratissimo gruppo di sopravvissuti all'ingresso nell'età adulta. Affiancati, man mano, dalle nuove leve. Ma cosa succede se inizi a realizzare che un po' alla volta rischi di perdere anche una parte dei tuoi prediletti, se la distanza e le assenze che questa comporta ti hanno provocato qualche piccola ferita che non si rimargina del tutto? Se chi non ha trovato il tempo per te per mesi pur condividendo il comune di residenza ha tempo per una trasferta oltremanica, e te allora senti che nei chilometri qualcosa si è perso? (No, non è riferito a te e... a te, che so che molto probabilmente leggerete questo post. Con voi il tempo in qualche modo si è sempre trovato. Ci vediamo prestissimo, a Londra). Se c'è chi ti risponde freddamente in chat perchè si è evidentemente sentito trascurato nell'ultimo periodo - e io invece no? Chi sa di averti deluso e manco ci ha provato, a rimediare? Chi inizia a chiederti come stai con l'appeal di uno sconosciuto, che a me passa la voglia di dirti come sto davvero? Succede allora che non so se fare io, un'altra volta, dei passi per accorciare un po' queste nuove distanze o ridimensionare ancora la mia lista delle A maiuscole. Mentre penso a prenotare il prossimo volo.

And we don't notice any time pass we don't notice anything we sit side by side in every class teacher thinks that I sound funny but she likes the way you sing

Non so se si  legge, ma la scritta sulla panchina recita: I was born tomorrow, Today I live, Yesterday killed me. Amo questa dolce fissazione che hanno qua per le memorial benches, fare le passeggiatone per i parchi e perdersi tra le scritte (alcune davvero belle) è stra-rilassante. A costo di riscatenare l'allergia.

mercoledì 4 aprile 2012

Il falso


ìE basta che si manifesti, per capire quanto è falsa la morte. Meschina ingannatrice, altro non è che un insieme di illusioni tangibili come il pane di cui ci nutriamo. Ma non ci nutriamo di morte, l'essere umano va oltre questa misera sensazione.
Si passa una vita ad aspettare un momento per poi capire che allo stesso tempo tutto e niente è cambiato. Sensazioni, memoria tattili, olfattive. Tutto è vivo, come sempre.

Il pensiero batte la morte. Essa non è che l'occultamento di ciò che eravamo soliti vedere e sentire. Niente viene cancellato dalle ultime pagine di un libro, nessun ricordo svanisce al saluto dato all'amico che prende un treno.
La morte è solo una copertina per una vita vissuta. Finché ci saranno lacrime, pensieri, gesti usuali che non hanno più motivo di essere, niente è morto. E se un giorno non ci fosse più niente di tutto questo, quella sarà morte certa e perenne.

martedì 3 aprile 2012

Bright light


Correva la dolorosa e imbecilloide estate 2011. Il famigerato aliscafo dei becchi, soprannominato perchéparte da Piombino il venerdì sera tardi carico di mariti che lo hanno rincorso con le loro macchine veloci per la disastratissima Aurelia in Variante, per andare il fine settimana a trovare le mogli all'Elba, mollaò gli ormeggi. Con un denso fumo nero uscì dall'imbocco del porto. Party Rock suona brutalmente nelle casse del vecchio stereo datato 1987, come la bella Fabricia, che espleta alla meglio il ruolo sopra distinto di nave veloce passeggeri, unico mezzo che ci mette mezz'ora a portarci all'Elba.
Prima anche io ho pilotato come un disperato per Montieri, per una via tortuosa.
E via, vero casa. Cena, amico presente per caso.
Entro nell'inferno del Tinello, vuoto se Dio vuole. Le luci fendevano la notte elbana, alla fine d'agosto sin troppo fredda.
Odori, tocchi strani, rumori forti, uccidono le mie povere orecchie.
Non vedevo l'ora di venire via, uscendo da quella falsità che stava oggettivamente dilagando nella mia vita.
E lo feci con stile il fine settimana successivo. Con stile solo grazie al brother padovano, all'abbronzatura sempre più intrisa di quella sensazione di fine dell'estate, di fine della sofferenza.
Il Lagoon Party fu proprio quello che mi portò, nel 2011 come nel 2008, la ventata di speranza, e di riaccensione.
Ne ebbi di segni in quel periodo. Era il 3 settembre 2011.
Da lì rinacque il concetto di amicizia che dentro di noi albergava.
Iniziò la rinascita, con quella festa, mentre chi doveva rinascere in parallelo proseguiva il suo turbione di emozioni contrastanti.
A Castiglione ci tornai a settembre, in modo del tutto imbarazzato. E' tanto che non ci metto piede, in effetti.
Ci tornai perché avevo voglia di guardare quel lago da solo.
Gli occhi azzurri di Lucrezia, forse i più belli che avessi mai visto, erano ormai un ricordo lontano, di una Momentanea interruzione della lunga attesa durata sin troppo.
Non ho bisogno di ripartire, adesso. Non ho bisogno di occhi azzurri. Non ho bisogno di niente, perché sono felice.
Ma ci sono sempre tantissime cose che avrei voluto dire, e che non ho detto, e non potrò fare a meno, un giorno, di andare dai destinatari e dir loro cosa penso, e magari chiedere scusa ricevendo quelle altrui.
Perché no? Non è mai troppo tardi per chiedere scusa.
Lo farò, statene certi.

domenica 1 aprile 2012

Il treno che si allontana

Risalgo sul Frankenstein Frecciabianca che va verso ovest, carrozza nove, ma questa volta non è mattina presto, non devo tornare la sera, è una domenica pomeriggio e soprattutto ho con me una valigia bella grossa e piena; piena di vestiti, di sogni, di cambiamenti, di nuove sfide, di speranze. Parto per una volta col sole già alto, mentre nelle cuffie gli R.E.M. cantano "Leaving New York, never easy...".


Parto... Faccio fatica a pensare a cosa significhi veramente, penso che sia tutto normale; in fondo venerdì riprenderò questo treno in direzione opposta e tornerò a casa. La differenza è che ora il viaggio non sarà più quello per andare a ovest ma quello per tornare a est!

Parto... Cosa lascio? Chi lascio? Certo, non vado lontano, ma partire per seguire i propri sogni significa comunque lasciarsi alle spalle diverse cose; oggetti, forse, ma soprattutto luoghi e persone. Amicizie. Persone a cui mi lega una profonda amicizia di lunga data anche se ci si vede poco; amicizie recenti e quasi inaspettate; amicizie cresciute incredibilmente negli ultimi mesi.

Lascio tanti problemi non miei che mi dispiace lasciare, ma dopo tanto tempo avevo bisogno, per quanto egoistico possa sembrare, di pensare un po' a me stesso ed al mio futuro, concentrarmi su di me, sul mio lavoro, sulla mia vita, sui miei problemi.

Restano sempre e comunque tanti dubbi... restano scale e binari a separarmi da un sogno.

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