sabato 31 dicembre 2011

Il recupero dei ritardi e il giusto tasso di immaturità.

Giustifica
Strada Comunale delle Lellere, 100km/h. Ritardo pauroso per il pranzo. Tiro, tentando goffamente di impiegare il 120% delle mie capacità, come si confà a chi ha fame, a chi si sente in pericolo, a chi si sente in bilico ed impiega lo stridor di denti per raggiungere gli obiettivi che se ne vanno sempre di più.
Esco dal curvone, alla guida dell'Eroica, in salita di quarta. Ma la corsa si interrompe bruscamente. C'è un'Ape. Anzi, un Apino. Il traffico in senso discendente mi impedisce di sorpassare il bradipo tripode che arranca col suo carico composto da ben due damigiane di vino, presumibilmente piene.
Ci rido, ma ho fame e voglio correre a casa. Il ritmo di Amanda Blank sembra una istigazione alla pigiatura dell'acceleratore, in effetti. Ma io mi autoistigo e proseguo, tanto l'assetto è ottimo e abbondante e in questi giorni non mi pongo nessuna domanda che mi ponevo prima.
Dovevo recuperare il ritardo all'uscita dal lavoro. E non ci sono riuscito, ma in fondo il problema non si pone più di tanto.
E la mente vola al 4 febbraio prossimo. Ricomincio a correre. Vallelunga sarà teatro di un ritorno sulle scene della tutina color Ape Maia, e del nuovo casco.
Al di là dei pensieri del tutto assenti, vedo che devo recuperare un ritardo notevole, forse di 10 anni. E nessuna macchina mi aiuterà a farlo.
Notte, SS223, i famosi 4km del tratto in direzione opposta e contraria, 230km/h su una vera e propria pista di pattinaggio. Adesso questo tratto è mio e i restanti 67km sono una strada bella da percorrere dando senso a una traiettoria perfetta e costante.
Le poche volte in cui ci passavo con l'Ammiraglia ero costretto a lanciarla per un tratto, infilare la quinta marcia, ma toccavo velocità nettamente più basse (sui 160/170km/h) e via, verso le avventure vecchie e ammuffite, verso i ritorni da urla e strepiti, verso la tensione per la mancanza di fiducia che era lì, nascosta dietro l'angolo, e per cui mi giravo dall'altra parte.
Il mio corpo però somatizzava quello che la mente non voleva vedere, quello che gli occhi facevano finta di ignorare, e non voleva conoscere la realtà che le giustificazioni che riuscivo a creare con sapiente inventiva riuscivano a occultare.
Tutto arriva a chi sa attendere. Lo dice anche Shakespeare, "...Non desidero una rosa a Natale più di quanto possa desiderar la neve a maggio: d'ogni cosa mi piace che maturi quand'è la sua stagione...".
Ecco, adesso è una stagione nuova. Soffia un vento nuovo, sempre lo stesso.
Sospinge la mia vita verso strade nuove ma conosciute, al ritmo di nuova musica.
Seguiterò su questo sentiero, perché ogni frutto ha la sua stagione, perché certe mele erano troppo acerbe ancorché fuori la buccia sembrasse rossa e promettesse spicchi polposi e succulenti.
Immaturo? Non credo.
Adesso c'è sostanza, tanta.
Evviva il 2012 che comincia. E non finisce. Buon 2012 a tutti.

mercoledì 28 dicembre 2011

Avanti e indietro

Dov'è quella spensieratezza che ho vissuto nella seconda metà di settembre? C'è e non c'è.

C'è negli amici che continuano a riempire in modo incredibile questi giorni; non c'è nelle risposte che continuano ad arrivare ad intermittenza; c'è nei chilometri che continuo a percorrere in auto con la mia musica al tramonto; non c'è in quegli stessi chilometri percorsi senza un passeggero, senza i passeggeri che vorrei; c'è nelle lunghe e piacevoli chiacchierate con amici e amiche che sto scoprendo; non c'è nelle montagne russe professionali di questi ultimi giorni; c'è negli incontri improvvisati tra amici lontani degli ultimi giorni; non c'è in quei bagliori di solitudine che come sempre affiorano a momenti.


Nonostante gli alti e bassi, di cui sembra che ora io riesca a smorzare i picchi, e nonostante i grandi dubbi e le grandi incognite legate al futuro prossimo, ora come poche altre volte guardo avanti; certo, non molto avanti, ma di sicuro non indietro. Avanti immerso in queste amicizie che mi stanno accompagnando tra viaggi, risate, sorrisi, musica, ritrovi improvvisati e battaglie linguistiche; avanti su strade nuove e strade poco conosciute, di fronte a bivi mai incontrati, imboccando rotonde con più uscite equivalenti attorno a città mai visitate prima; avanti verso montagne non mie ma vicine alle mie, con un piano di viaggio che questa volta dovrebbe includere degli inaspettati e piacevoli passeggeri.

Rimane comunque la voglia di riuscire a guardare al passato senza star male e senza dubbi, ma evidentemente non è ancora giunto il tempo di farlo; evidentemente diverse cose ancora devono cambiare. Ci riuscirò, prima o poi.

Tra poche ore e tornerò sulla mia autostrada preferita, verso le mie zone preferite, anche se la destinazione sarà leggermente diversa; un giorno solo, poi la destinazione cambierà nuovamente, ancora una volta verso amici noti ma strade mai percorse; ancora una volta senza certezze se non questa voglia di crescere e di cambiare, assieme alle fantastiche persone che mi stanno accompagnando.

sabato 24 dicembre 2011

Noisy Nights


Autostrada A1, tratto appenninico, 130km/h.
La destinazione è casa: la partenza è avvenuta dai luoghi d'origine materni, con tappa a Cento, con la macchina che ha voglia di cullarmi fino a casa, senza problemi di sorta.
Ai lati della strada c'è la neve, mentre mi arrampico sulla sinuosa e anziana autostrada, che da decenni tenta di unire l'Italia con scarsi risultati e il cui percorso è sempre impresso nei miei occhi, nel mio cuore, nella mia vita, come a suggellare una serie di momenti che ho vissuto su questa strada. Pianti, risa, ansie. Ma non solo. Stavolta l'Alfa, espressione del mio sano maschilismo, del mio voler essere ragazzo in eterno va come non mai.
Ho visto a distanza delle evoluzioni (o involuzioni come le si voglia chiamare) che non dovevo vedere, e a cui ho tentato di dare spiegazioni. Penso, inevitabilmente. Sono vivo e adesso più che mai vegeto.
Gli Uzeb, grande gruppo intramontabile ma incomprensibile ai più, discioltosi venti anni fa, con Noisy Nights accompagnano il passo silenzioso dell'Alfa, sempre meno Eroica e sempre più concreta, nella danza a velocità costante tra i curvoni, nel valzer di scalate sesta-quinta dei miei Appennini.
Il curvone di Pian del Voglio è il teatro di qualche fiocco di nevischio che si deposita sul parabrezza, mentre sullo specchietto destro transitano veloci ed effimeri riflessi gialli dei lampioni dell'Autostrada del Sole, e il pilota prende il precisissimo punto di corda, rimette la sesta in uscita e si fionda con la massima pulizia sulla semicurva successiva a 140km/h e prosegue la dispendiosa marcia verso il valico appenninico.
Si scopre una musica nuova, nei viaggi in macchina in notturna d'inverno e l'espressività delle note assume, grazie all'atmosfera, un connotato particolare, che ti invita ad abbassare il volume e a farti alzare il piede, disinserire il cruise control, brutto aggeggo che ti impedisce l'esercizio della nobilissima arte della scalata sesta-quinta autostradale e di perseguire la finalità della traiettoria perfetta.
La musica, appunto, rimane bassa bassa, e si intona con il rumore del motore in quinta in curva, quasi a 4000 giri, con la neve ai lati e le inadatte gomme da pista che mi ritrovo, con un leggero languorino che mi rende famelico a tutte le ore, e con la sesta marcia che entra in uscita di curva, che mi fa sentire immeritatamente, stavolta, pilota.
Ma non importa. Non sto più a guardare.
C'è una musica nuova. Playing a new song. Un lento di quelli belli, dolci, vivi. L'Eroica scolletta il valico e inizia a scendere verso Firenze, le cui luci nel giro di poco si scorgeranno nitide.
Che giornata! Ferrara, amici Leo che sembrano da sempre presenti, che arrivano da lontano/vicino, e mi fanno sentire inevitabilmente a casa, inevitabilmente sereno, inevitabilmente sgombro da ogni pensiero cupo che prima passava quando ero solo non esiste.
C'è anche qualcos'altro che non si può dire, in positivo.
L'atmosfera che ieri si respirava era quella da gruppo di amici che da anni si vede, si conosce, si saluta. Eravamo noi, amici di lungo corso: a 200km da casa non mi sentivo spaesato.
Non sappiamo né come né dove ci siamo trovati, mentre il mondo vive e sorride per le feste natalizie, mentre lo spirito leonistico pervade ogni fibra, adesso viva e forte, e il cuore ribatte e ti lascia concentrare di nuovo sulle cose positive come non facevi da tempo.
Sono oltre, ecco la definizione giusta. Oltre. Oltre la sofferenza, oltre il buio, oltre il tunnel, proiettato su nuove pianure e nuovi scenari.
Ed è una sensazione stupenda che, da oggi, non voglio più abbandonare.

venerdì 23 dicembre 2011

Riflessioni sul mio universo

Tangenziale Ovest di Siena, 130km/h. Alla fine della superstrada, l'Eroica si invola verso Uopini, a bassa velocità sapendo che potrebbe annidarsi un lastrone di ghiaccio e potrebbe implicare vanificare ogni idea di andare dritti e finire questo breve viaggio in compagnia.
Apnea, ancora. Pensieri verso nord.
E adesso gli Editors, bellissima scoperta musicale avvenuta grazie ad una amica lontana ma vicina, cantano la loro ribellione ai luoghi comuni mentre l'Eroica affronta le prime curve della Cassia sulla via del ritorno a destinazione subito dopo la rotatoria del Braccio, dopo di che si deve girare a destra, di nuovo.
SS2, 155km/h: piove tantissimo mentre Santa Colomba viene inghiottita dal buio dietro di me, mentre tutte le frazioncine di Monteriggioni, tutte castelletti medievali, si assiderano stanotte, si intorpidiscono.
Queste frazioncine le immagino vive ma inermi, ferme ed impassibili a subire quella tempesta di freddo, a piangere da sole ed invocare aiuto quando il freddo ed il buio arrivano senza un caminetto presso cui scaldarsi, senza luce per vedere ed avere il conforto materiale di avere almeno la situazione sotto controllo.
E' freddo, tanto freddo.
E' una di quelle serate in cui ho voglia di dire la verità, a costo di far uscire le lacrime e voglio dirla a me stesso e forse anche agli altri, che continuano a far finta di non vedere cosa c'è veramente dietro a quello sguardo che "...si vede che ha sofferto..." (cit. Daria). Ho voglia di dirmi, mentre affrontiamo le curve di San Martino, involandomi verso la Val di Merse, che devo davvero fare tabula rasa in ogni campo.
E' l'imperativo adesso.
Lo volevo anche io, tempo fa, quello stupido e inverosimile finale da film, nelle notti in cui piangevo tentando di fare il massimo silenzio per non dire niente a nessuno, in cui mi sentivo cullato da presentimenti dolorosissimi.
Lo volevo anche io quel campanello di casa che suonava, la mia voce che dice "...chiedimi scusa..." e la musica che ricomincia a suonare nella vita che era divenuta scevra di suoni, e i colori che d'improvviso tornano a popolare un mondo vissuto nella scala di grigi per troppo tempo. Forse per tutti i mesi in cui avevo atteso, in modo sin troppo passivo, che qualcuno prendesse la via del ritorno e si scusasse. Ma forse è trascorso sin troppo tempo, o forse troppo poco.
Sono il primo a non saperlo. Ma fatto sta che la deadline è stata attraversata e il mio motore si è riacceso in volo.
E il Natale arriva, così improvviso, con il suo carico di obblighi e forse di soddisfazioni, con i regali ricevuti che saranno piccoli e quelli dati grandi. C'è un vento nuovo, e un obiettivo vivo e concreto, non uno stupido finale da film.
Il mio Natale è arrivato (in anticipo), con un regalo nuovo e inaspettato, ancora da scartare e da vivere.
(Poco) Sentiti Auguri di Buon Natale a tutti.

Le storie a metà

Storie di idee lasciate a metà nel corso degli anni, amicizie perse di vista, dimenticate; storie di un sedile da passeggero vuoto, di un divano senza nessuna compagna di viaggio da coccolare e di delusioni e frustrazioni che neanche alcool e amici riescono più a farmi scaricare; storie di mezze novità che non si completano e di rinnovamenti che non avvengono; storie di aspettative non raggiunte, di poesie gettate al vento, spesso troppo difficili da comprendere e delle paure che le hanno generate, storie di venti che soffiano ad intermittenza e di riflessi sul mare che non rimangono. Storie di soddisfazioni che non arrivano, di strade interrotte e di sogni lasciati a metà.


L'avvicinarsi della non più amata festività cristiana del Natale non aiuta a risolvere i problemi rimasti in sospeso, le domande cambiano e le poche risposte che arrivano non sono sempre quelle sperate. Qualcosa deve cambiare, in fretta; qualcosa cambierà per forza, viste le mutate condizioni esterne; ma la bussola ha perso il nord e va ricalibrata, mentre Elisa canta
A Little Over Zero by Elisa on Grooveshark'Cause I wanna break out and
just live my life
I wanna wake up and
find out I'm alive
[...]
Is this the best I can be?
Is this the best I can give [...] ?
Voglio uscire da questo guscio, voglio sentirmi libero, voglio riuscire a dare il meglio di me stesso; ora non ci riesco ed è come se andassi a casaccio senza trovare una vera direzione, con diversi numeri di strade in testa che portano in posti più e meno noti, più e meno amati, uno con certezze passate e altri senza alcuna certezza.

Cerco ancora di guardare avanti e provo, senza troppa convinzione, ad aggrapparmi alle poche speranze che riesco a crearmi, ma la direzione non c'è e le storie ed i sogni restano ancora a metà.

giovedì 22 dicembre 2011

Sotto un cielo di indeterminazione

Arrivo a casa, con il sedile del passeggero coperto dalla calda giacca presa per affrontare l'inverno lappone,  spengo con calma il motore, mentre dallo stereo inizia ad uscire la calda e rassicurante voce di Joe Cocker che canta Stay The Same:
"...Some other love, some other face
Some other time, some other place
Some other path, some other way
Maybe be the more we try to change
Maybe the more we stay the same..."
...e inizio a guardare indietro e a chiedermi se i cambiamenti che vedo in me stesso (e che, contrariamente a quanto canti Joe, sembrano esserci, almeno in parte) siano veramente dovuti a me; mi chiedo quanto siano dovuti alle persone che ho incontrato e soprattutto alla fiducia che ho riposto nei consigli che ho ricevuto ed in chi ha voluto disinteressatamente darmene.


Sento una leggera malinconia arrivare e riempirmi spirito e corpo; una malinconia di quelle che mi fa rilassare e godermi il momento, perso in un turbinio di sensazioni; resto così seduto al buio, spegnendo anche le confortanti e simpatiche luci rosse e blu del cruscotto della Golf, sfruttando la temperatura di quasi 20 gradi che il riscaldamento ha concentrato in questo piccolo ma comodo e protettivo spazio, finché dura. E mi viene da pensare che forse la chiamo malinconia solo perché non ho trovato un altra parola per descriverla, visto che la malinconia fa riferimento a qualcosa di inevitabilmente triste, mentre in quei momenti non c'è necessariamente tristezza, ma anche e soprattutto molte altre sensazioni che si mischiano in un complesso, colorato e profumato pot-pourri.

Sono i miei momenti, quelli, in auto da solo al buio, fermo, con la musica che fa risalire inconsciamente emozioni passate, spesso indefinite, che si mischiano con quelle del presente; un presente ancora troppo incerto per riuscire a parlare di futuro; presente fatto di coincidenze a cui non voglio credere, di telefonate impensate, di amicizie nuove e sincere e forse anche un po' speciali (che spero di non perdere), fatto nuovamente di musica cantata ma stavolta anche di note nuove e di piccoli consapevoli rischi.

Ma i veri rischi e le vere sfide sono ancora lì in alto, da raggiungere, un passo alla volta.

mercoledì 21 dicembre 2011

Le ruote nel posto sbagliato


SS223, km 45, direzione Grosseto, 180km/h. I pericoli dell'autovelox evidentissimo che in casa mia ha colpito più volte le vecchie generazioni, quello per cui "...non c'è niente da fare, non si ricorre...", sono passati dal km 49 e, se il Comune di Campagnatico non si apposta a sorpresa nella chicane prima dello scollettone della superstrada che ti fa vedere il mare, con il limite di 90 messo appositamente in luogo dei 110 lì presenti, non dovrei rischiare di perdere punti fino all'arrivo in Tribunale.
E allora, l'Eroica, che in questa curva si sbilanciava nei bei (belli a tratti, meglio dire così in nome della verità successivamente razionalizzata) tempi andati in cui su questa strada si passava spesso, col nuovo assetto e col nuovo motore sembra sentirsi impassibile alle forze esercitate dall'alta velocità, sin troppo, e sembra non chiedere altro che di metterla alla prova di nuovo.
Sul curvone, in questo senso di percorrenza in discesa, si sbilanciava anche la cara Ammiraglia però a velocità più basse, e nel suo modo progressivo ed elegantissimo da vera Signorina della strada, che iniziava ad avvertirti per tempo, e diceva "...ehi, non ti pare di esagerare?...". Puntualmente non esageravo, e schiacciavo fino in fondo l'acceleratore, ma era da guidarsi a passo medio-veloce in souplesse, da cambiare quando a 3000 giri il motore si faceva sentire e continuare sulla scia della coppia che spingeva la piccola anche se pesantuccia macchina.
La strada la conosco, anche se sembra che qualcosa sia cambiato negli ultimi mesi. Innanzitutto, ho avuto notizia che sono stati aperti 7 km di 4 corsie da Fogliano a San Rocco, ma il pilota rimane ancorato alle sue convinzioni automobilistiche, passando dalla 73 di ponente, da Rosia, bivio di Orgia, SS223.
Le overboost inserite da 4km, nel rallentamento del fatidico autovelox sopra descritto, smuovendo il manettino della vettura, mettono a durissima prova la sensibilità del mio piede destro, concentrato ad alzarsi ed a fare il telegrafo col gas.
Ogni volta che torno a Grosseto mi sento un agente segreto in incognito, un po' come la sessione Ospite di Google Chrome, con l'inconcina dell'omino con l'impermeabile e gli occhiali, conosciuta grazie al nostro pilota di Golf con gomme termiche...
"...James, la tua missione è depositare in Tribunale..." direbbe M. a 007 mentre come un cretino rido impartendo lezioni di guida in curva ad un energumeno pieno di capelli ritti su BMW 320d, applicando la famosa tecnica dell'elastico che in pista è così bella e divertente e su strada lascia attonito chi crede di avere un macchinone migliore del tuo.
Arrivo, come fossi atterrato da un altro pianeta. Compio la missione in zona con la solita apnea.
Via del ritorno, Via Senese, 40km/h. L'autobus arancione davanti a me gira a destra rollando vistosamente, verso l'ospedale.
Prima marcia, 2700 giri; seconda marcia, 3000 giri; terza, 3000 giri anche lei; quarta, piedino giù, ad utilizzare il tiro in basso che tanto piace ai naftari e che qui è presente.
Quinta, adesso, e poi sesta nella banale e pia illusione di consumare meno.
E' una via dritta la Senese: parte dal Crystal e finisce dopo 3km, dove il distributore Esso a destra e il Q8 a sinistra salutano la mia macchina, con l'aria di chi ti vede dopo tanto tempo, prima della rotatoria di Roselle.
Percorso visto e rivisto, penso, mentre gli Awolnation mi fanno sentire un figo esperto musicale e l'Eroica entra paciosa nella superstrada e si mette in silenzio a 120km/h.
Mi sono dimenticato di chiamare tutti quelli che conosco qui, ma non avevo tempo, nemmeno per un caffè. O forse mi giustifico col fatto che devo scappare, velocissimo, da qua.
Mi sono dimenticato di sperare di nuovo, in questo tratto di strada. L'ultima volta in cui ci sono passato vivevo ancorato ad un passato dolorante e doloroso, non ancora razionalizzato
Scappo da questa strada che non mi rappresenta più niente. E allora, per un attimo, rallento.
E non riesco a fare a meno di sentirmi veramente spaesato in questo posto, che credevo mio, su questa strada che ho sempre sentito tale ma adesso non è.
Mi sento come un assente ingiustificato che è, appunto, mancato in un luogo per molto tempo: e ora ricordo che sin troppo spesso mi sentivo come un peso da portare, come un elemento "scomodo" o una vergogna da non esibire. Avevo un percorso prefissato da cui non uscivo. Non potevo entrare nella vita altrui e se lo facevo era sbagliato.
E' una mera analisi che deve essere fatta adesso.
La SS223 prosegue il suo sinuoso corso sotto le ruote della mia macchina rossa, come fosse un'estranea. Era la via della speranza e della felicità, dell'illusoria percezione di essere arrivato a destinazione.
Ma la realtà era ben diversa. L'ho descritta ampiamente e non mi voglio dilungare a ripensare alle sofferenze patite.
La realtà è che un viaggio può durare 100m come 100.000km. Sentirsi in viaggio vuol dire rinnovarsi sempre rimanendo se stessi, evolvere le idee che credevo si fossero fermate.
E il mio viaggio prosegue.
La cosa strana è che forse mi ero imposto di provare una qualche emozione, anche circoscritta all'idea di tornare in una città che ho amato tanto e che ora mi è indifferente, ma non è stato così. Indifferenza ed estraneità, nella loro indefinibilità, mi fanno capire che il mio viaggio non passa di qui. Non ci passa più.
E allora, per me, nonostante tutto, la strada è sempre la stessa e niente è cambiato col trascorrere del tempo.
Ma il viaggio prosegue: lo fa però altrove, non su questa strada. E la meta è quella sempre ambita e piacevole, del rinnovarsi rimanendo se stessi.
Io viaggio. E non voglio farlo più da solo.

martedì 20 dicembre 2011

Sguardi lontani

Lo sguardo volge lontano, lontano da questa città, da questa noiosa e drittissima A57, da questa vita in fondo al precipizio, uno stretto camino con poche vie di uscita; è ora di iniziare a scalare, di cercare gli appigli, uno ad uno, e salire verso l'alto, raggiungere almeno un terrazzo dove poter bivaccare, forse più in bilico, ma sicuramente con una visuale migliore, sia verso l'alto che verso il basso. Certo, non salirò mai come gli agili camosci cortinesi visti nell'ultima camminata di questo tardo autunno avido di neve, ma ora provo a guardare in su cercando una via, chiedendo agli amici qualche suggerimento e qualche chiodo da attaccare alla parete per non salire in libera.


Quello che è sicuro è che il peso alla fine ricade comunque su di me, ma nonostante si apra ancora qualche finestra su un passato  recente che fa ancora male, cerco di porre le mie speranze altrove, con la convinzione che i cambiamenti che voglio costringermi a fare mi lascino più libero di decidere di me e della mia vita.

Però voglio tenermi questi amici che non avevo mai avuto, questi amici che, tra un tornante e l'altro di una strada di montagna, una montagna non mia, su una Golf, non mia, magistralmente condotta da un nostalgico amico pilota, dopo la rilassante e sognante visione del cielo invernale dal finestrino, improvvisano un team di salvataggio per evitare che i fumi dell'alcool riaprissero cicatrici appena tornate in superficie. Si palesa quindi un dubbio, avendo comunque potuto prevedere in parte il riaffiorare delle cicatrici: avrei scoperto lo stesso quegli amici se non avessi rischiato di incrociare vecchie amate ma dolorose strade?

E da tutto ciò torna a salvarmi di nuovo la musica, prima quella che, anche se selezionata non troppo accuratamente, esce dalle casse del mio fedele Trattore nel lungo e solitario rientro dalle montagne non mie, poi la musica cantata, dal vivo, sul palco, davanti ad un pubblico in parte noto ma per la quasi totalità ignoto. Due note in più, una frase cambiata, la voce che stavolta c'è e non tradisce anche se è partita un po' insicura e al secondo giro ha provato a dare qualche leggero segno di cedimento ...stavolta mi sono buttato; mezzo secondo di terrore poi, dopo le strofe da copione, entro anticipando leggermente la prima nota dell'ultima frase dell'ultima strofa, la voce parte già alta, esce di forza e si trascina dietro tutto quello che aspettava di venire fuori; l'adrenalina entra in circolo e fa pompare il cuore fino alla fine; ero in volo; un volo durato quel lunghissimo minuto e mezzo che da lì arriva alla fine, tutto d'un fiato, fino all'ultima nota dell'intermezzo presa altissima, osando fin dove la voce poteva arrivare; poi l'atterraggio, da manuale ma con ancora in corpo, vivissima, l'emozione del volo.

Si, valeva la pena di volare. Ora devo farlo con la mia vita.

lunedì 19 dicembre 2011

Il senso del tempo e ancora tanta strada da fare


Era una tranquilla domenica mattina di dicembre, di quelle in cui non sai niente e forse non capisci niente.
Di quelle domeniche in cui poi, a fine giornata, ti scopri vivo, come poche volte lo sei stato nella vita. Ti scopri affiancato da persone che sanno dividere con te cose belle con un solo sguardo.
SS 302 Faentina, tratto discendente, lenti 90km/h, in discesa da Monte Senario. Da qui la via è inesplorata, è fuori dalle mie rotte normali. Lo so, finisce in Piazza delle Cure. Parallela alla Via Bolognese. L'arrivo lo conosco, ma il percorso e soprattutto i velox non così bene.
La cornice del viaggio è fatta dalle colline sopra Firenze, saliscendi da rally in un verde fantastico, in uno scenario che ti apre la mente e il cuore, coi colori tardo autunnali che sono padroni indiscussi della Terra, punteggiati da case di montagna, ma della vera montagna.
Tornante di Monte Senario, intraverso troppo, e l'Eroica si raddrizza sotto le mie mani esperte (cit.), ma si riempie di schizzi di mota, aghi di pino, e altre amenità varie, mentre l'improvvisata navigatrice, dotata anche lei di mani esperte, mi dice "...Andrea, troppo di traverso..." e non posso che darle ragione, buttando in caciara e sorridendo
Una versione particolare di Black Betty inonda l'abitacolo, insinuando in me troppa voglia di dimostrare che il vero "manico" si vede in dicesa, dove la macchina è aiutata dalla forza di gravità e che, citando qualcuno "...in salita so tutti boni a tirare...". Musica effettivamente che qualcuno etichetterebbe "...un po' troppo rocchettara per i miei gusti, per la mia età..." e direbbe "...ti ci vuole una BMW 320d invece dell'Alfa da ragazzi...", "...devi prendere casa....", quando in realtà non è così. Io sono io. E allora, l'imperativo è la rinascita, del corpo e della mente, dell'autostima, sulla SS302, in una qualsiasi domenica di dicembre.
La demolizione dell'autostima pesa sempre, ma pesa sempre meno, è inutile negarlo: c'è chi apprezza come sono, con le mie vulcaniche iniziative, le mega trasfertone su un mezzo apparentemente inadatto alla lunga percorrenza ma che si dimostra vittorioso in ogni campo lo si faccia lavorare.
C'è chi fa strada in tratti precisi della vita. Chi si attarda, per un attimo, anche lungo, ma poi riprende la via giusta. O meglio, quella che ritiene giusta. Chi rimane, come me, incagliato sugli scogli e ci rimane, prova tutte le scialuppine e vanno a fondo, allora rimane sul relittone della nave, finisce le provviste, rischia di morire, finché, quando tutto sembra perduto, arriva l'elicottero dei soccorsi.
Elicottero che poi lo tira su e lo riporta in volo. E sull'elicotterino ci rimane.
Ho un carattere strano, posso solo ammetterlo. Lunatico, ma quando gli altri sono tesi io non lo sono: quindi sorrido quando gli altri non lo fanno, ma ho paura quando gli altri vivono semplicemente.
Sono strano, ecco.
Ci sono giorni in cui sai di aver svoltato. Ma questa svolta non è mai abbastanza. A volte tiro fuori la mia massima concentrazione ed ho voglia di cambiamento. Non parlo, adesso del campo sentimentale. Voglio 10, 100, 1000 Pordenone, mille conferenze per diffondere quello che sento, penso, vivo.
Ma adesso la mia missione è totalmente diversa: debbo intuire l'andamento del tempo, per poi fuggirne il corso. E' difficile per me starci dietro. Mi vedo invecchiare e mi sento impotente nello sconfiggere gli anni che passano inesorabili e alle volte mi viene paura di non aver fatto abbastanza.
Il mio sonno ne soffre moltissimo: non riesco a dormire come si deve da anni, ormai.
Autostima franata. Sonno distrutto. E appeso a quest'elicottero mi domando dove mi scenderà.
Vorrei che mi scendesse vicino alla mia macchina, per poi entrare in strade lunghe e tortuose, contrapposte ad autostrade larghe dove si mette il Cruise Control a 150km/h. E andare contro il tempo, di nuovo. Ma su ogni strada che percorrero, cercherò sempre l'elicottero che mi sorvola, per salvarmi se sbatto, come nella vita capiterà. Più volte.
Buon volo.

Sorpassi - It must have been love but it's over now


SS68, tratto Poggibonsi-Colle, 90km/h.
L'Eroica procede nel freddo adesso pungente tipico dell'inverno. La temperatura segna -2°C. Il coloratissimo display a fondo rosso consiglia di inserire la modalità All Weather, mi spiaccica in faccia la scritta "Possibile presenza di ghiaccio su strada". Non vado forte, anche perché, pur cambiando a 2700 giri quest'aggeggio rosso attesta la sua sete di poco sotto i 10 km/l.
E sorpasso una macchina lenta, con una manovra quasi piatta e al limite del sovrasterzante.
Nella fase di sorpasso, a scuola guida ti insegnano a guardare i tre specchietti, mettere la freccia, con un teorico movimento con poco angolo di sterzo sorpassare, e rientrare in modo soft.
Nei corsi di pilotaggio di insegnano invece a studiare la traiettoria di quello davanti, avvicinarti il più possibile, puntare il suo angolo posteriore con il proprio anteriore opposto, infilarsi all'interno (o all'esterno). Manovre classiche. L'Eroica esce piatta, bilanciatissima, forse troppo, comunque tu la strapazzi; si mangia letteralmente le altre vetture con quel minuscolo motore twin turbo; rientra come qualcosa di impazzito in corsia e chi ce l'ha per le mani deve conoscerla a fondo.
Così come le nostre emozioni variano a seconda delle persone che si hanno accanto, anche la manovra di sorpasso varia da macchina a macchina.
E allora un inevitabile ricordo del passato ritorna alla mente, confrontabile per periodo, probabilmente, con quello attuale, in cui una nota
SS222 (no, non ho sbagliato di un numero, è la 222, la Chiantigiana), 140km/h in salita verso Castellina in Chianti. La piccola Ammiraglia rossa, con i suoi "all'incirca cento" cavallini del minuscolo 1300 rimaneggiato con la solita cura dal sottoscritto saliva veloce per quella stupenda strada punteggiata di boschi, vigne, e castelli che apparivano dal nulla a destra.
La traiettoria veniva perfettamente pennellata, con la stessa precisione di quando scrissi "La forza della rabbia, in corsa".
Forse non guidavo a quei livelli, perché ero solo deluso (ma forse era perché mancavano cento cavalli all'appello rispetto ad ora), ma questa è storia vecchia. Era un periodo "intermedio", di quelli in cui combattevo l'attesa con delle momentanee interruzioni, di quelli in cui non sai di che morte muori e se davvero l'attesa finirà ma nutri speranze ed hai tempo di concentrarti sulla guida.
Insomma, 140km/h, bella salita da Castellina Scalo a Castellina in Chianti, fine ottobre 2010: davanti la macchina lenta deve essere sorpassata.
L'Ammiraglia usciva sbilanciata, con lo stesso fare di chi cammina su un terreno non congeniale all'abito che porta. Rientrava in modo sinuoso, con una marcia data a metà sorpasso come imposta dal basso regime del diesel.
Ma lei era molto più elegante e non imponeva la sua figura a nessuno. Era una donna coi tacchi a spillo sul pantano, ecco. Ci passava, ce la faceva bene, grazie anche alla barra duomi regolabile e agli ammortizzatori Bilstein aggiunti dal sottoscritto.
Però era elegante, nella sua lentezza, nelle sue forme sinuose e nei suoi interni beige che facevano sentire a loro agio anche pilotesse donne non così abili.
E insomma, stavo guidando l'Ammiraglia in uno dei suoi ultimissimi viaggi e così scrissi, sul vecchio taccuino dei ricordi adesso da tempo chiuso:
"...Sabato mattina, ore 8. Abito scuro, cravatta serissima, salgo in macchina, sulla cara vecchia Lancia, alla volta di Radda. Poi Siena, a fare lezione. Un pallone aerostatico svolazza sopra di me nel cielo grigiastro. Partiamo, con la Lancia, alla volta della via Chiantigiana, affrontando ogni sorta di intoppo. Ed ecco Staggia, andiamo verso sinistra. Adesso è la via Chiantigiana con i suoi curvoni veloci che ci fa da sfondo, e ci divertiamo, andiamo a fondo con quell'acceleratore, sorridendo metaforicamente insieme per l'ultima volta. Mercoledì arriverà la nuova Mito Turbo 155cv e questa è l'ultima volta che percorriamo insieme questa strada. Noi, di fatto, siamo da 6 anni una coppia consolidata e razionale. Siamo come una coppia che sta facendo l'amore per l'ultima volta sapendo che tutto finirà subito dopo. E tutto finirà mercoledi.
Sei nata per la città, e io ti ho fatto fare lunghissime percorrenze e guida sportiva. E' stato tutto bello, in 144.000km in cui mi hai visto ridere, piangere, parlare, avere l'ansia. Le galoppate per le varie strade italiane: Toscana, Emilia, Umbria, Lazio, Veneto, Liguria, Marche, Abruzzo.
Come succede a tanta gente, sei stata soppiantata da una più giovane, bella ma dannata. Così è la Mito. Bella e dannata con 155cv.
Ma il nostro addio si consuma adesso, dandoci dentro al massimo, come è sempre stata.
Arrivederci, Lancia. Benvenuta, Alfa...".
Eh sì, deve essere stato amore tra me e l'Ammiraglia.
Ma il tempo va avanti.
E allora ecco cosa voglio fare: sorpassare e andare oltre. Mi rimetto in gioco di nuovo, ogni mattina. A partire da casa mia. A partire da tutto ciò che mi fa stare fermo nella vita.
No, non voglio vincere perché gli altri si ritirano. Voglio recuperare e arrivare a lottare con i primi.
Mentre le luci di Natale sono qui, ai lati della strada, che incombono sugli ultimi regali da fare, e sulle inevitabili mancanze che uno a Natale sente, di chi è vicino e lontano, delle amicizie e dei rapporti che vorrei riallacciare, procedo per questa via di rinnovamento.
C'è un altro regalo che vorrei, davvero. Qualcuno accanto che mi sappia assecondare in questo rinnovamento senza porre bastoni tra le ruote. E che sia a sedere accanto a me nelle fasi di sorpasso, di crociera, di viaggio della vita.
Difficile, pressoché impossibile ritrovare persone che ci siano state nella mia travagliata vita.
Sono sempre più bisognoso di conferme, di sapere dagli altri che ce la posso fare, che posso davvero intraprendere un percorso evolutivo. Ma non posso farlo da solo, non senza l'amore di una persona accanto che mi accetti incondizionatamente. Ne ho bisogno. Senza amore, non siamo niente.
Ma non smetto di guardare avanti, di correre, sempre più veloce, senza limiti. E di vivere, adesso.

sabato 17 dicembre 2011

I regali che vorrei e che forse ho

Pullman n.6B, direzione Via Novelli, 60km/h in discesa dal Ponte del Pino. Il Bredamenarini 240L, stavolta, nonostante i 10 anni di vita, va forte, veramente forte in un traffico che richiederebbe quantomento un minimo di prudenza su un mezzo lungo 12m. Mi avvicino e scendo in Via Lungo l'Affrico.
Tutto intorno a me si stagliano nella insolitamente alta temperatura terrazze illuminate, e gli alberi del Viale Mazzini avevano dei bei fili blu di luci. Sono molto strani nella loro azzurra luminosità, a ricordarmi che non tutto ciò che è convenzionale è bello.
Cammino, piuttosto veloce, verso Piazza San Salvi, dove c'è la macchina rossa ad aspettarmi.
E tutt'intorno la gente corre, si affretta, loro che hanno tempo, per comprare gli ultimi regali. Il Bus n.6 mi traghetta direttamente verso il Natale, che quest'anno non sento così come gli altri anni.
Mentre la Gloriosa mi riporta a casa, inizio a sapere che regali vorrei adesso per questo Natale.
No, non materiali, anche se un Ipod Touch nel secchio non ce lo butterei.
Cosa volevo l'anno scorso? Semplicemente niente perché credevo ed ero illuso di avere tutto.
Fino a poco tempo fa, quando una strana scossa è avvenuta nella mia vita, avrei chiesto lo stesso regalo del compleanno. Ovvero, il tutto al posto del niente, un ritorno nella mia vita con presupposti diversi e nuove intenzioni.
Ma il tempo passa e, mattone per mattone, se Dio vuole la mia vita si è completamente ricostruita e la serenità me la sono guadagnata sul campo.
Lo scorso Natale non avrei chiesto niente, perché, illuso miseramente, mi autoconvincevo di avere tutto. Non era così e non ero felice.
E allora ecco il primo, forse banale, regalo che voglio adesso: la felicità. Ma non egoisticamente: per Natale, ne vorrei una carrettata da dividere con chi mi sta accanto. Ho trovato chi sa apprezzarla, in effetti, ed era più vicino di quanto pensassi.
Ma ci sono ancora, nella mia vita, breve o lunga che la si voglia considerare, tanti interrogativi a cui dare risposta. E' vero che valgo qualcosa? Sto cercando, per dare in primis un impulso a me stesso, di imparare 2 nuove lingue, di dar fondo nello sport, di tentare una internazionalizzazione della mia professione.
Alle volte ho paura di essere inadeguato, forse perché ho avuto accanto persone che per loro semplice e crudo egoismo hanno posto dei freni alle mie attività, salvo poi dirmi che non valevo niente e che non facevo abbastanza.
Ora no. Per Natale voglio che qualcuno mi regali anche un po' di autostima, e che mi insegni a rispettare Andrea in primis. Vorrei come regalo un semplice "io ci sono e ti sono accanto".
Tutto quanto sopra per molti è un dato acquisito, ma per me non lo è mai stato in questi 30 anni. Al di là delle eventuali responsabilità, delle quali una buona percentuale è stata sicuramente del presente pilota, credo di averne necessità.
E allora mi rimetto in gioco anche professionalmente.
E provo.
Per Natale, allora, chiedo quanto sopra. E chissà che non venga esaudito.

venerdì 16 dicembre 2011

Bus n.6

Superstrada Firenze-Siena, 130km/h. Il motore 1900 tira come sempre col suo modo prepotente, al ritmo di Little Lies dei Fleetwood Mac, in questo giorno di dicembre che sembra eccessivamente caldo.
Ci sono 13 gradi fuori, ben al di sopra nella media stagionale mentre la gloriosa macchina rossa corre verso casa, portando il guidatore stanco verso la meta. Questa ha il "rumore di crociera" a 130km/h, che forse è tipico del tanto aborrito diesel, ma è confortante a tratti, perché ti trasmette quelle sensazioni di velocità costante, di rientro, di ripartenza. Erano emozioni che, un tempo, correlavo ad un tratto di strada ben preciso, che va verso sudovest rispetto a me, da cui si poteva ammirare, nelle freddissime giornate limpide e vittoriose dei primi di dicembre dell'anno scorso, un rossissimo tramonto su Montecristo incredibilmente vicina, e di lontano sulla mia Elba.
Il pilota coltivava e coltiva speranze, come sempre. Speranze diverse, e per un tratto della vita molto più sgomente e assenti.
Mi dico, come quasi tutti i giorni, mentre guido questa rossa macchina, che da domani ci sarà un nuovo corso ma alla fine rimane tutto com'è, come non deve essere.
Ma stavolta ho davvero il proposito di rinascere, visto anche il recente nuovo corso.
Tuttavia si rimane, a tratti, legati a dei ricordi d'infanzia, che spesso si aggiornano, e che ti accorgi essere presenti, anche se tu li ritenevi essere passati sotto silenzio.
Ci sono ricordi che non svaniscono.
Ad esempio, un inaspettato ricordo che riaffiora, con la prepotenza di chi vuole stare in cima alla lista, è quello dell'autobus che passava vicino a casa della nonna e che molte domeniche prendevamo per andare a mangiare non svanirà dalla mia mente.
Ero un bambino piccolo, ma ricordo chiaramente che nel Viale Mazzini il Menarini 201 arancione (che aveva 4 porte invece di 3, come quelli che facevano servizio a Colle) ci prelevava alla fermata, e con il suo rumore forte del motore Fiat tirato allo spasimo dal cambio ZF a quattro marce, ci lasciava in Piazza San Marco al Circolo Ufficiali dove si mangiava da Dio, dove facevo il Signorino con la cravatta, insieme ai nonni.
Il 6 è una linea d'ossatura, di quelle che passano spesso anche se il servizio generale dell'azienda dei pullman fa schifo. E' una di quelle linee che ha solo i bus più nuovi, che anonimamente ogni 7 minuti muove una città grande.
Al 6 associo anche ricordi, molto più recenti, di un ventinovenne che andava a costruirsi una vita: un ventinovenne innamorato, che si infilava nell'Ade di certe prove e di certi scogli da cui non riusciva a disincagliarsi.
Non solo professionalmente: erano prove a cui la vita tentava inevitabilmente di sottopormi e in cui rimanevo inevitabilmente intrappolato, senza avere possibilità di uscire, se non con esiti disastrosi, in un parallelo di vortici di paura di non farcela in tutti i sensi.
C'era il bus n.6 a fare da contorno, nel suo sinuoso percorso da Via Lungo l'Affrico a Piazza Indipendenza, attraverso Piazza Oberdan, Piazza San Marco, e via San Zanobi, ad un messaggio con scritto "sono innamorata". Messaggio poco credibile, in effetti, alla luce di fatti concludenti diversi.
Il pullman, in tempi recenti non più verniciato di arancio ministeriale, ma di bianco e rosso, accelerava verso il punto di destinazione, portando un ragazzo, non più tale, sorridente per la vita a cui, ciecamente, andava incontro. Le fermate sono elettroniche e dicono in quanti minuti passerà il bus. E' l'evoluzione dei tempi, che forse toglie tanto fascino alle cose rendendole tecnicamente perfette, impedendo a chi le vive di sognare...
Mi sono sentito, di fatto, un Eurostar a tutto gas su un binario morto, forse conscio che prima o poi l'impatto sul respingente ci sarebbe stato.
E' passato del tempo in effetti, e il 6 per molto tempo l'ho solo visto passare con le sue tabelle "Torregalli via T1 Federiga".
A Firenze trovavo il modo solo di prendere il C1 dal parcheggio del Parterre al centro. E' un bus piccolo, bianco e rosso, che ti porta in modo velocissimo fino a Piazza della Repubblica. Ma lo prendo sporadicamente: vorrei avere di nuovo la possibilità di andare col mezzo pubblico.
Non ha il fascino del 6.
E il 6 si muove, da Viale Mazzini a Via della Mattonaia, con un senso della traiettoria tipico del goffo elefante che però sa correre, che non rolla per le sospensioni elettroniche. Una bella bestia, in effetti, per gli esaltati del gommato pesante. Attraversa la bellissima Piazza d'Azeglio con i suoi palazzi settecenteschi e il bel parco. Si invola verso la Santissima Annunziata, quasi a divincolarsi tra le autovetture del traffico fiorentino.
Il percorso è pressoché lo stesso di quando ero piccino, salvo deviazioni della nuova Amministrazione, che gli hanno precluso l'accesso al duomo.
E rivoglio il 6. Rivoglio la novità che esso porta, nella sua banalità di autobus urbano, che ti fa scendere a destinazione senza sapere che hai la macchina da parcheggiare, senza il patema d'animo di doverla ricercare, riprendere, ritrovare sbeccata da qualche parte.
Rivoglio l'atmosfera spensierata che ci ho respirato sopra.
E' tempo di cambiare, adesso. Tempo di ripartire. E ci sto riuscendo con tutto me stesso.


giovedì 15 dicembre 2011

Passi nel vuoto

Dopo aver lasciato i sogni a metà ai piedi dei monti, riprendo la mia discesa verso il mare con la piccola frontale che illumina la strada pochi metri in fondo a me; ad un certo punto però, lo stretto ma agevole sentierino arriva ad una biforcazione e, da quello, si diparte una strada che non conosco ma che sembra portare verso delle luci confortanti, verso un paese che potrebbe rivelare nuove aspettative per il futuro.

Gli occhi smettono allora per un po' di cercare il mare ed il cuore smette di aspettare la brezza da sud-est mentre la testa si concentra su nuove sfide che devo affrontare per prendere in mano la mia vita e riuscire a farne qualcosa, anche se questo potrebbe voler dire fare, per certi versi, un passo indietro in una direzione per farne uno in un'altra.

Nuovi scenari si aprono e nuove sfide appaiono all'orizzonte, il tutto a seguito di una notizia che, se per diversi colleghi potrebbe essere stata negativa, per me non ha significato altro che una spinta a muoversi, una nuova energia, una nuova apertura verso insoliti, incerti, attraenti e magari colorati futuri.

Avanti allora, con l'unico dubbio riguardante la velocità con cui abbandonare il presente per lanciarsi nel vuoto; accetto di fare un tratto in caduta libera oppure aspetto a lasciarmi cadere per poter poi aprire subito il paracadute con il rischio però di venir portati via dal vento invece di arrivare all'obbiettivo?

martedì 13 dicembre 2011

Point of origin



Pungente. Questo bisogno di scrivere, di gettare fuori con la forza inversa di un tornado, è decisamente pungente. Ma se mi chiedo cosa vorrei scrivere, di cosa vorrei parlare, allora la penna si blocca, anche se di penna ormai non si può piu' parlare.
Troppi pensieri percorrono la mia mente con la velocità di treni erranti che vagano in lungo e in largo su questo pezzo di terra semi-circondato dal mare.
Molti di voi mi danno spunti, ma forse oggi vorrei raccontarvi qualcosa di molto privato: il vuoto.
Sì, ho bisogno di togliermi il ricordo di questo vuoto che a volte ancora mi attanaglia... dopotutto, a che altro serve la scrittura?

Mi sono detta "mai più". Mai più camminerò da sola in terreni ostili e solitari, freddi, bui come tombe dimenticate. Mai più perderò l'amore per me stessa scambiandomi per tante altre lapidi abbandonate.
Non voglio pensare a quei ricordi in cui non ero niente, perché questa è la definizione di ciò che ero: un nulla, viva ma senza vita. E tralasciamo i convenevoli e la scrittura poetica ed elegante, sia per l'ora tarda che per la comprensibilità del testo. In fondo un testo deve essere, come prima cosa, chiaro, o si perde l'abitudine alla lettura e, per quanto mi riguarda, non ho nemmeno niente da sfoggiare, né sono interessata a farlo.

Ero un nulla, poiché come si può qualificare una persona spenta? Brulla? Apatica? Inesistente forse. Ora so che mi ero semplicemente persa tra mille abbandoni, il che aveva infine causato la perdita di me stessa. Mi dispiace per il poco rispetto avuto, per gli obiettivi folli che mi sono posta, per le persone coinvolte ed innanzitutto per ciò che ho chiesto a me stessa: troppo.
Non puoi fallire, non puoi sbagliare, c'è solo una strada...
troppe notti solitarie mi hanno portato ad essere realmente sola, lontana anni luce da chi avevo accanto, da coloro con cui non riuscivo a comunicare. Nemmeno un riflesso di me era visibile. Eppure ho trovato persone che, nonostante tutto, hanno saputo volermi bene. Ma quella sensazione di volersi perdere tra mille persone, strade, idee e pensieri, continuava ad essere travolgente. Lo spingere, spingere ed ancora spingere fino a vedere fino a che punto si può arrivare prima di distruggersi, era una malattia di cui ancora soffrivo, senza speranze.

E' stato un percorso, ma a volte è un sentiero da cui non si esce; non serve volontà, serve perseveranza, esperienza, perché non tutto risulta visibile e, come ben sapete, troppo spesso si tende a dare per inesistente ciò che semplicemente non siamo in grado di scorgere.

Vedere per credere, toccare per convincersi che sia vero. Questo è il motto dei non folli.

Come quando ci si sveglia in un luogo sconosciuto, io non so spiegarvi come sia giunta qui, non so spiegarvi come possa aver attraversato quel freddo, ne' come possa vedere talmente tanto buio dietro, ed in parte dentro, di me.
Non capisco, ma giustifico la dolce arrendevolezza dell'indifferenza, le corazzate poste tutt'attorno, atte a non incorrere in danni ulteriori.
Non capisco il male, ma so che capita.
Colpa mia? Forse. Parliamo di un episodio in particolare da cui tutto ha avuto inizio? Forse no.
E' tutto un girigogolo di sensazioni rappresentate da un purissimo grigio plumbeo, assai peggio del nero che prima o poi passa, così incostante...

Non so raccontarvi cosa significhi essere finalmente aperti al bianco che la vita può portare, alla sensazione di calore che so dove trovare, ma che parte da dentro...
Non trovo altro paragone di me stessa se non quello di un umile cane randagio che, smarrito tra le vie di una città che non gli appartiene, dopo innumerevoli scorribande verso ciò che a malapena permette la sussistenza, si ritrova circondato da mani amorevoli, una cuccia, cibo... un collare.
Avete mai provato ad accudire un cane randagio? Se sì conoscerete bene la sua scostanza, la sua totale sfiducia, il tentativo di correre verso la strada a cui non appartiene, perché nessuno appartiene alla strada, ma allo stesso tempo la sua impossibilità di scappare e lo sguardo nei suoi occhi che si scusa per ciò che è diventato, per cosa la vita ha avuto in serbo per lui. L'incredulità prima della riconoscenza...

Il cane randagio rimarrà sempre randagio, ma ogni giorno è una perla, una rassicurazione verso quel tetto che, mano a mano, diventa più stabile, più sicuro, fino a far scomparire l'innaturale desiderio di fuga. Non so dirvi in quale tappa io mi trovi, so che, come per ogni randagio, questa casa non mi è dovuta, è un dono a cui ancora stento a credere. Ed il passato fa paura, perché so cosa giace al di là di queste mura oltre le quali non vorrei più andare.
Il motivo? Il calore. Strano da spiegare, difficile da capire. Penso sia proprio il calore ad indirizzare le nostre azioni. Non siamo forse sempre in cerca di quella dolce ed avvolgente sensazione materna? Quell'essere avvolti da tiepide e rasseneranti acque... l'unica conclusione a cui posso giungere è che l'uomo, per quanto vada avanti, cerca sempre più di tornare indietro, all'origine, ad un frammento di quelle sensazioni in cui tutto era pace, in cui il male non aveva da esistere.

Non so cosa rappresenti quel calore: gioia, amore, quiete? Ognuno gli dia il nome che più preferisce; da quando il mondo è stato creato i nomi non sono serviti a niente, se non a portar avidità, incomprensioni, ferocia.
In fin dei conti era di questo che volevo parlare, così, senza neanche accorgermene, ci sono arrivata, passo dopo passo e la cosa migliore è che questo pezzo di pagina non serve che a me stessa, non ha bisogno di lettori per espletare la sua utilità. Ma eccolo a voi, per chi avrà voglia di leggere, di sentirsi meno solo nel buio, o più fortunato nella luce. Buone Feste.

giovedì 8 dicembre 2011

Canto del cigno e urla di dolore


Era la fine di ottobre del 2010. Era la penultima domenica di quel mese, che era tragicamente iniziato e ancor peggio proseguito per l'esattezza.
Non è passato poi così tanto tempo da quei giorni che assumevano anche risvolti magici, a dire il vero.
Chi non è stato protagonista di quei turbini di emozioni non può capire cosa si provava, che cosa erano quelle uscite tutte le sere senza sentire il sonno la mattina, quell'evoluzione che ho avuto grazie a chi era accanto, momentaneamente (adesso dico purtroppo), in quei 2 mesi e che era lì, nonostante la piena e totale coscienza che, forse, quelli sarebbero rimasti momenti precisi e isolati.
A inizio ottobre accadde un tracollo sentimentale. Fu il primo ma durò poco ed era, diciamocelo pure, anche fondato.
E allora mi rifugiai in un passato amico e vicino. In un passato stupendo, che doveva e avrebbe dovuto divenire futuro nel giro di poco.
Era un passato dotato di capelli biondi, di un profumo che ancora devo ritrovare, così particolare ed intenso, di un viso così bello e di una dolcezza che a questo mondo non esiste. Giulia era questo, e lo è ancora. E forse lo sarà sempre.
Lo dico adesso, è passato più di un anno: sarebbe stato sicuramente meglio se le cose fossero andate diversamente. Tutte le sere uscivamo, aiutati dalla vicinanza fisica.
Gettò benzina sul fuoco il 16 ottobre, di ritorno da Montecatini, sotto l'uragano, la rottura del cambio dell'Ammiraglia alle 4 di notte.
Ma c'era lei, e nonostante tutti i tentativi esterni il mondo non andava a rotoli come poteva sembrare.
E allora la domenica stessa salivamo sulla bianca e bellissima macchina sua e giravamo verso Livorno, con le nostre cene, le nostre mani intrecciate.
Il mio team di meccanici fece il miracolo. Rimise a posto quel cambio sequenziale (ampiamente rimaneggiato dal sottoscritto) e la Lancia ripartì, fiera come chi s'è rotto una gamba e si è riabilitato di colpo.
Era la penultima domenica di ottobre 2010, mi preme ricordarlo. La Ypsilon, Ammiraglia da 150.000km, aveva il destino segnato. Era stato segnato su un foglio di carta rosa, con cui avevo acquistato la Mito, poi Eroica.
Ma era bella l'Ammiraglia. Era elegante, come tutto il mondo che si è portata via con la sua partenza. Era elegante Giulia, era bellissima e lo è ancora, sempre più. E i nostri gusti musicali erano vicini.
E quella mattina alzai il telefono.
Chiesi se voleva fare una pazzia. Il Canto del Cigno, perché sarebbe stata l'ultima trasferta sulla Lancia. E così fu.
Mi piaceva da impazzire il fatto che lei, a differenza di chi avevo avuto accanto e avrei poi avuto dopo, non si ponesse problemi a uscire, ad andare, ad avere un rapporto alla pari. O che non gliene venissero posti da altri.
Già, il Cigno canta prima di morire. Sempre.
E così partimmo, per un tratto di Liguria che mi ha sempre rilassato. Lei si presentò con un bellissimo CD, fatto di Ben Harper, Queen, Alanis Morrisette, Roxette, tantissime altre canzoni belle, e l'idea di aver svoltato, di aver vinto, anche se era prestissimo. E quella data impressa sul CD sarà sempre lì, a ricordare che i momenti belli esistono indipendentemente da chi si ha accanto in modo ufficiale, da chi si vuole in quel momento.
La macchina correva verso la sua destinazione finale. Sorridevamo, correndo verso il ristorante migliore che conosco, velocissimi, nonostante i 110cv meno dell'Eroica.
Fu una serata spettacolare. Risate. La strada del ritorno che ci cullava.
Capii che valeva la pena di nuovo di vivere.
Ma i Led Zeppelin cantavano:
"...Yes, there are two paths you can go by
But in the long run
There's still time to change the road you're on.
..".
A quel punto avevo capito che ero protagonista di una storia a lunga percorrenza. E a fine novembre cambiai strada, distruggendo ogni illusione che avevo, pur sapendo che andavo ad affrontare un binario morto.
O meglio, alla fine mi rimisi su quella via che ritenevo naturale, che tanto naturale poi non era, visti i risultati. Tornai. Fui io che tornai, quella volta.
Ma sono stati giorni strani, magici e spensierati, fatti di fughe tecnicamente perfette, e lunghe, non momentanee, interruzioni di una attesa che fu più breve del previsto.
Il cigno cantò ancora per qualche giorno. Cantò come si deve, nel modo che si confà a chi perde a testa alta, a chi sa che è il momento di farsi da parte quando il passo è segnato.
Quel CD, il "Canto del Cigno", la cui bella calligrafia impressa col pennarello a punta fine verde con tanto di data rimarrà sempre impressa a fuoco nell'anima, è dentro il lettore dell'Eroica. E continua a suonare.
E non smetterà.
Adesso il vento è cambiato e posso solo dire grazie. Il vento soffia, sempre più forte e non c'è più bisogno di fuggire ma di rimettersi in gioco.
E lo faremo, a colpi di realtà e di sincerità. E' più semplice di quanto si pensi.

E se domani?

Raccordo Autostradale, 120km/h. La superstrada ferita da anni di piogge, camion sovraccarichi e noncuranza, scorre sotto le bellissime ed eleganti Pzero Corsa di una giornata qualunque, diun'andata qualunque come quella di oggi.
Sembra tale, per lo meno. Sembra il solito percorso, il solito momento preciso che mi mette quella voglia di rimettermi in gioco, di vivere qualcosa di nuovo.
L'Eroica è sporca. Porta su di sé i segni di 1000km nella nebbia, sotto l'acqua, sulle autostrade del nordest. E' tempo di lavarla, ovviamente. E lo farò presto.
Negli altoparlanti Bose i Duran Duran vogliono tirare l'alba. Loro hanno qualche annetto e qualche acciacco di troppo, e forse di annetti ne ho anche io, tanto da far paura a tanta gente che mi dice "...ma hai 30 anni....".
La macchina prosegue, veloce come sempre, incurante degli strepiti e delle urla che vengono da zone che adesso tornano inesplorate.
E' sospinta dal vento nuovo del nord, che soffia in modo smepre più prepotente. Aveva ragione JR quando disse: "...Dovresti aver scollettato...". Altro che scollettato. Qui siamo in piena discesa e c'è anche uno stupendo panorama, uno di quelli che non capita poi così spesso di vedere, che ti fanno sentire a tuo agio e trasmettono pace sin dalla prima volta che li vedi, un panorama verso cui ti giri ininterrottamente, e hai voglia di fermarti.
L'autostrada però non te lo consente.
E allora prosegui, cercando l'uscita più vicina. Proeguo quando il motore diviene sempre più esuberante e non mi chiede altro che esagerare, che andare giù col piede. Tanti sorrideranno.
Allora, mentre le piene note dei Boston mi prendono, inizio ad accelerare. Piove, e accelero. E se scoppiasse una gomma? E' capitato, alle volte. Mi è pure successo nel 2006 e in tempi anche recenti. Tranquillo, finirebbe tutto troppo presto perché tu te ne accorga, Andrea.
Immagino il funerale. Lo schianto. La gente in prima fila. Chi avrei sempre voluto che ci fosse che non c'è.
Ma Churchill disse: "...Quando sono sopraffatto dalle preoccupazioni, ripenso a un uomo che, sul suo letto di morte, disse che tutta la sua vita era stata piena di preoccupazioni, la maggior parte delle quali per cose che mai accaddero...". E sia. Basta preoccupazione, adesso. Cavalco il vento del nord.
E allora non ci penso, se tu, caro vento di nordest, mi sospingi.
E vivo.

martedì 6 dicembre 2011

La Freccia delle due lagune - Lezioni

Autostrada A13, 140km/h. La stessa situazione del post precedente. C'è ancora molto tempo per tornare a casa. Non è un tempo che si può occupare in una qualche maniera, alla luce del fatto che di domenica mattina gli amici dormono e non si possono chiamare pena urlacci dovuti alla prematura sveglia. Dalle 8 sono in piedi, tanto non dormirei. L'A13 è un nastro di asfalto pressoché dritto lungo 117km, che va da Padova a Bologna.
Ha 4 curve di numero, è di una semplicità tecnica disarmante se il tempo è bello ed è asciutto in terra. E' dotata di Tutor, dal 2008, è soggetta a nebbioni colossali, insomma la sua facilità disarmante in condizioni difficili la rendono un toboga pericoloso. Ma il suo essere lunga, dritta e piatta, ti conferisce, al ritmo della tua musica o semplicemente del motore, il tempo per pensare, quindi, innamorarsi di momenti vicini ed amare anche momenti brutti passati, nonché farne tesoro.
Non sembra, ma questa strada è stata protagonista di un tratto, anche abbastanza lungo della mia vita. Mi appartiene anche se ci guardiamo con distacco. Rientra a pieno titolo nel novero delle "strade della mia vita", e forse è quella che aveva prospettato il cambiamento più repentino.
E' molto lontana, in effetti, rispetto alla prima Via di Sottobosco, alla importantissima SS223, alla effimera SS429, alle varie strade che ho percorso per amore. Una storia strana, in effetti.
Correva la fine dell'anno 2007. La Laguna di Venezia si stagliava sulla mia sinistra, con le sue luci, così piatte e così vere. La SS11, Padana Superiore, transitava da tutti i paesetti pieni di ville venete quali Oriago, Mira, Dolo, Stra, e si involava diretta fino a Padova. Non è banale come l'A4, larga e piatta.
O meglio: era larga e piatta pure lei, ma estremamente panoramica e tipica del veneto.
L'Ammiraglia non era ancora tale, era troppo giovane per esserlo. Era semplicemente soprannominata la "Freccia della Laguna", per le note tirate sull'A13, dove il piccolo motore dava il meglio di sé, toccanto punte di 180km/h agevolissimamente.
La vera Freccia della Laguna era un treno di prestigio, che andava da Roma a Venezia, più veloce delle schifezze che ogni mezz'ora banalmente percorrono la linea ferroviaria Bologna-Padova. Come tutte le cose belle di quell'epoca, quelle affascinanti e veloci elettromotrici di lusso color grigio perla e verde magnolia, non esistono più, sostituite da banali e anonimi elettrotreni ad alta velocità che fanno fatica, arrancano dietro all'eccessivo traffico ferroviario presente. Andò tutto a rotoli, ed è stato meglio così.
C'era qualcosa nell'aria, ogni volta, che mi faceva sentire molto spaesato, totalmente a disagio e sperduto come non dovevo essere. Sono lezioni che si imparano, alle volte, e sofferenze che si subiscono quando, sicuramente, si ha paura di restar soli.
Cito la nostra Conservativa che arriva in fondo, la quale afferma che "....forse chi viaggia porta con sé solo tanta tristezza, l'insana infelicità di non poter restare, il vuoto della cartolina ricordo: bella da spedire, non da rimirare. Quanto vorrei aver trattenuto quegli attimi in cui mi dicevo "goditeli, presto non ci saranno più, un giorno passa velocemente" e più me lo dicevo più tentavo di aggrapparmi con tutte le mie forze a quel luogo non troppo lontano...". Adesso so che quella tristezza del viaggiatore che si sente errante, lontano da casa, mi apparteneva in quel periodo.
La "Freccia della Laguna" mi riportava a casa, divincolandosi tra le macchine lige al limite, a 180km/h. Il piccolo ma potente motore turbodiesel mi ricordava che c'era una via di casa, mentre l'ansia saliva, più che mi allontanavo da quei posti che ora mi piacciono molto, sempre più e che in quel periodo iniziavo ad odiare.
L'altra laguna la Lancia Ypsilon la vide a marzo del 2010: era una laguna toscana, altrettanto bella. Non c'eraVenezia, è vero, dall'altra parte della bellissima visuale che si stagliava in quella fredda domenica mattina di marzo.
Ma c'era un senso di libertà, di piacere, di vittoria, quella mattina a Orbetello.
La Lancia Ypsilon era lì, rossa come sempre. Il vento soffiava forte, quando i due fidanzatini, stavolta senza il minimo rimpianto, accendevano la macchina e correvano veloci verso casa. La SS1 conferiva un senso di instabilità alla mattina. Dovevo tornare a casa a mangiare, se non ricordo male. Sarei rimasto volentieri, in realtà, fatto sta che la paura, quel giorno, che tutto finisse in una bolla di sapone permeava la mia mente, quando mi iniziavo ad inerpicare nell'acerba, dentro di me, SS223 dopo Paganico.
Lì c'era un salitone dove dovevo in tutti i modi scalare in quarta. L'Eroica lì terrebbe la sesta e arriverebbe in cima a velocità da Space Shuttle.
E pensai che ero sulla Freccia delle due Lagune. Prima una, poi l'altra. SS223, 120km/h, un non meglio precisato giorno di marzo 2010. Quella sensazione strana di avercela fatta, a trovare quella benedetta felicità che come sempre era assente, ma di non essermene ancora reso conto, aveva un sapore particolare. Piacevole.
Il tempo ci avrebbe dato ragione. Poi torto. Poi di nuovo ragione. Poi di nuovo torto. Ancora una volta ragione. E infine un bel torto marcio definitivo.
In questo lungo tratto dell'A13 non ci resta che pensare a noi.
Al fatto che ci sono cose che sono belle e strazianti. E forse, proprio per il loro non realizzarsi e per il loro far male diventano rare e lontane. E' il motivo esclusivo per cui ne apprezziamo la loro bellezza.
Me ne sono capitate diverse: ne ricordo una, impressa nella mia mente col pirografo dei ricordi che non vogliono saperne di sbiadire, che rimane lì e non se ne vuole andare. Ricordo delle telefonate che capitavano nei momenti più inaspettati.
C'era un amore potenziale, che pareva, nei racconti ufficiali della nostra vita, finito in un momento ben preciso.
Non lo era, e allora si portava dietro un carico, pesante come vecchio un camion col rimorchio, di sofferenze da cui credevamo di non poterci staccare, ma che poi alla fine sono arrivate a destinazione, si sono dissolte.
Adesso è il momento di crederci di nuovo. E di arrivare.
C'è un vento nuovo nella mia vita, proprio come quello di Orbetello. Non ci sono lagune, stavolta. Non ci sono porti di destinazione, ma c'è un viaggio che vorrei non finisse mai.
Un viaggio appena cominciato. Su strade, forse, già conosciute, ma mai apprezzate sino in fondo. Vivo e voglio vivere. Dopo aver imparato le lezioni dal passato.

domenica 4 dicembre 2011

La borsa del viaggiatore


Posto X, ore 23.39. Una pungente nostalgia mi pervade.
Il motivo? sempre lo stesso: tutto è destinato a finire.
E non ne parlo come un ritorno da scuola dopo una giornata noiosa scandita dal suono della campanella e dalle risatine dei giovani compagni. Ne parlo come ne parlerebbecolui che ritorna: triste, ma carico di un bagaglio impalpabile.
Siamo umani, nella nostra vita succede che si possano prendere mille strade per altrettante destinazioni, si possono conoscere persone, assaggiare luoghi, dormire in letti d'altri, mangiare cibi stranieri.

Ma cosa ci rimane quando torniamo?
Una musica, un odore, due occhi. Un vuoto. E' il vuoto di chi sa che non è possibile trattenere. E così torniamo alla domanda: cosa porta chi torna? Un sorriso, un pianto, un segno di falsa indifferenza.

Strano pensare come ricorderemo quel luogo ed immancabilmente lo collegheremo ad altre immagini scolorite. Forse chi viaggia porta con sé solo tanta tristezza, l'insana infelicità di non poter restare, il vuoto della cartolina ricordo: bella da spedire, non da rimirare.
Quanto vorrei aver trattenuto quegli attimi in cui mi dicevo "goditeli, presto non ci saranno più, un giorno passa velocemente" e più me lo dicevo più tentavo di aggrapparmi con tutte le mie forze a quel luogo non troppo lontano. Fuori dalla nostra quotidianeità si fanno cose diverse, come persone nuove, ed addirittura si pensano cose diverse; è così bello non sentirsi noi. Lontano ci si sente migliori, forse lo siamo.

Così non so cosa riporto, so solo l'amarezza che lascia un ritorno. La malinconia di vivere la propria vita e di non avere che rari flash di vite d'altri, di mondi diversi. Ma forse l'importante non è quel che ci viene lasciato, ma ciò che in quei rari momenti riusciamo ad essere.

Felicità.

Come per dirsi: "ne sono ancora capace".

Nebbioso rientro reloaded



Autostrada A13, 140km/h. C'è nebbia in questa domenica che sa molto di rientro. Una nebbia consistente, forte, che attanaglia tutte le macchine e si deposita, fuori, sul vetro dell'Eroica che tenta, senza inutili fanali antinebbia, di penetrare la dura cortina che sembra quasi un impalpabile muro. Percorro un'autostrada conosciuta, a bordo di una macchina che ci passa per la prima volta, prolungamento naturale di un bellissimo weekend, con persone fantastiche.
George Michael, con il suo album "Songs from the last century", accompagna questa disciplinata e conosciuta, un tempo, corsa di avvicinamento verso sud. Lo fa con le sonorità dolcissime, piene, morbidissime di Miss Sarajevo e Roxanne, che fanno sorridere e sembrano davvero accarezzare il musetto rosso verso la sua lontana destinazione.
Un anno fa pari pari, il sottoscritto, giovane (ok, giovane dentro...) voglioso di riscossa al volante di una nuovissima e acerba Alfa Mito Rossa, andò a riprendersi ciò che era suo. I km erano 300 invece di 500, ma il cuore batteva. Batteva sempre più forte. C'era la stessa nebbia ma era molto più a sud, e non era tipica, ma comunque la canzone sembrava aver preso una piega giusta, e il pilota si giocava tutto. Proprio tutto.
Fu la famosa Missione Eroica, missione che, un anno dopo, definisco del tutto inutile. Ma il passato non si rinnega: dobbiamo solo trarne vantaggio per il futuro.
E sia, allora, torniamo sulla mia A13; Bologna-Padova: il Tutor sorveglia noi potenziali indisciplinati improvvisati piloti. e allora le manovre di sorpasso sono lente, calibrate, con poco angolo di sterzo, c'è tempo di notare gli altri che arrivano, perché la velocità relativa tra me, profondo conoscitore delle tolleranze operative degli strumenti di rilevazione, e le autovetture vicine, è molto bassa.
Non si deve correre, qui. Ci si deve conformare a quanto di più reale è l'esigenza di essere sereni e arrivare a destinazione, senza fare "forzine" o accelerazioni inutili.
Fatto sta che tutto questo si traduce in un passo veloce e silenziosissimo dell'Eroica, che per l'occasione si tramuta in perfetta passista autostradale, a tratti pure comoda, che non fa sentire minimamente il motore, ma solo le gomme Pzero Corsa che agevolano ritmicamente la musica che invade il caldo e non umido abitacolo.
Il silenzio che prima faceva male adesso è un qualcosa che mi rende sereno e tranquillo. L'Eroica va avanti a 140km/h. Va avanti e il suo pilota adesso non vuole guardare più indietro, da quanto conosce questa strada.
C'è pace, e non quella eccessiva che fa male, malissimo, che conferisce un senso di vuoto, quella che ti fa sentire solo e sperduto. Il telefono suona e mi fa capire che il mio momento è adesso.
E non guardo più indietro, dopo questo fine settimana. Magico, vivo, vero, che ti fa ricircolare il sangue nelle estremità, che rende le tue mani calde.
Cosa è successo?
E' successo, semplicemente, di tutto. Non mi rendo conto di quanto sto bene, o forse non voglio rendermente conto, mentre l'Eroica inizia a prendere possesso degli Appennini che appartengono al vorticoso, ignaro, e oscuro passato del pilota e forse anche al radioso presente.
Radioso, nonostante la nebbia che circonda la vettura e il suo pilota, che ha la lenta sensazione di arrivare a casa, di dividere un obiettivo che non pesa né al pilota né alla vettura.
C'ho provato 1000 volte a riaccendere il mio motore. E non ci ero mai riuscito. Ma a Pordenone ho vissuto un nuovo brivido. Mi sono reso partecipe di quella riaccensione che nessun aereo è riuscito a riportarmi.
Iniziamo dalla professione: bella conferenza, penso di aver fatto "breccia": ma soprattutto credo che la mia autostima abbia tratto un notevole giovamento dall'esperienza pordenonese.
I miei occhi brillano di nuovo. Mi voglio rimettere in gioco, nel campo professionale.
E voglio che, adesso, i miei occhi brillino riflessi in quelli di qualcuno che se lo merita.
Ho la sensazione che sia il mio momento, e non voglio sia un'illusione.

La strada dietro di noi

Sto ancora scendendo da quel promontorio al buio, con la sola luce della mia frontale ad illuminare il percorso, mentre, un po' come il Velocissimo ma inconcludente capitano di Aethalia guardava a poppa la terra che si allontanava, con la bianca scia dei motori che mano a mano si dissolveva, ripenso alla vista che si godeva dal promontorio; contava non solo essere nel posto giusto, ma anche esserci al momento giusto. Ora quel momento e quel luogo sono dietro di me.


Certo, potrei tornare su, ma non sarebbe più il momento giusto, dovrei aspettare un altro giorno ed un altro tramonto, sperando che il cielo sia sereno e che ci sia di nuovo la brezza che increspi lievemente la superficie del mare. Una partenza volontaria in attesa di un ritorno, di certo non un addio ai monti manzoniano (almeno non quello di Lucia, che "non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo") ma lo stesso una partenza, sapendo però che un ritorno non riporterebbe tutto come prima e che ciò che troverei non sarebbe quello che ho lasciato, anche se spero non quanto quel ragazzo della via Gluck che "torna e non trova gli amici che aveva, solo case su case, catrame e cemento".

Il tempo passa e dobbiamo accettare che le situazioni si evolvano e i luoghi e le persone cambino; ma quanto di questo cambiamento riuscirò a fare mio? Quanto riuscirò a costruire e a cambiare per opera mia? Quanto del mio futuro sarà veramente mio? Mi preoccupo di ciò mentre, lasciando il mio immaginario personaggio perso sullo scosceso lungomare, riprendo A4 ed A31 alla riscoperta di vecchie-nuove amicizie e di sogni lasciati consapevolmente a metà per non averci voluto credere fino in fondo. Riscopro i sogni e torna, per qualche istante, la voglia di non lasciarli nuovamente a metà, per quanto il mio pessimismo pragmatico continui a farmi pensare che non siano realizzabili; comunque, realizzabili o no, per qualche ora ho ripreso a sognare.

Poi A31 ed A4 scorrono nuovamente al contrario, verso casa, ma i sogni sono rimasti ai piedi dei monti, a metà, nella strada dietro di me.

giovedì 1 dicembre 2011

Momentanee interruzioni della lunga attesa

"...Prima di partire per un lungo viaggio, trova il coraggio di non tornare più...": non ricordo dove o da chi ho sentito questa frase, ma ha un signifcato notevole e calzante.
Sto partendo per un viaggio in solitaria, verso le terre friulane, per lavoro, e forse anche per ostentare un prestigio e una autorevolezza la cui presenza faccio fatica a inculcare dentro me stesso, dopo la demolizione precisa e puntuale operata da chi diceva che ero dentro al suo cuore.
A coronare la partenza per questo road trip solitario di 500km c'è un cielo meditativo, come piace a me, grigio intenso. L'Inutilmente Eroica sull'asfalto bagnato manifesta la sua esuberanza eccessiva, e la sua scarsa attitudine al passo lungo autostradale, col suo silenzio a tratti eccessivo e con lo slittare continuo delle gomme quando l'acceleratore affonda un po' più del dovuto.
La macchina corre, costante, a 140km/h, al limite dell'intervento del tutor su questo tratto che riporta su ricordi di litigi, di urla, strepiti e pianti al ritorno, ma anche, perché no, di tirate a tutto gas per cercare quell'amore scientemente sbagliato che stava nascendo. Correva l'anno 2007, e correva la Lancia Ypsilon sull'A13 priva del tutor. Questa è un'altra storia....
Lo stesso cielo meditativo che si ritrova oggi sopra di me è stato presente nel più strano viaggio di ritorno che abbia mai fatto. 131km particolari. 131km contati uno ad uno, quando la Mito era Eroica e l'eroismo sembrava aver funzionato, quando tutto sembrava essere tornato per il verso giusto.
Non so definire le sensazioni. O forse sì. Era l'inconscio inizio di una attesa, dal sapore dolce e forte, intensa come l'aroma del caffè, dolorosa come una ferita che non si rimargina e gronda sangue ma non in modo eccessivo, così tu rimani vivo e soffri e alla fine ti rimane una cicatrice vecchia.
Comunque, appena varcai la soglia di casa, iniziò una lunga attesa. Lunghissima. Credetti fosse una momentanea sensazione, perché l'inaspettata bionda compagna di viaggio di quel giorno che apparve dopo 3km (o forse fui io che apparvi stranamente in un luogo ove pochi si sarebbero aspettati di trovarmi) mi riportò, per un attimo, il sorriso, distogliendo momentaneamente i pensieri da ciò che era appena successo.
Questa parte del viaggio non l'ho mai raccontata. E' rimasta dentro di me fino ad adesso.
Ma, appunto, quella sensazione di attesa non fu momentanea. Quel giorno col cielo meditativo, così lontano e così vicino allo stesso tempo, non fece altro che dare il via a uno strano e prolungato stato di ansia.
L'ansia per l'attesa, appunto. Non si sa di chi, né di cosa. Non sapevo cosa fare.
I Keane cantavano Nothing in my way, mentre la silenziosissima Alfa mi riportava a casa.
Ogni giorno era uguale. Ogni giorno ricalcava questo testo:

A turning tide
Lovers at a great divide
why d'you laugh
When I know that you hurt inside?

And why d'you say
It's just another day, nothing in my way
I don't wanna go, I don't wanna stay
So there's nothing left to say?
And why d'you lie
When you wanna die, when you hurt inside
Don't know what you lie for anyway
Now there's nothing left to say

A tell-tale sign
You don't know where to draw the line

And why d'you say
It's just another day, nothing in my way
I don't wanna go, I don't wanna stay
So there's nothing left to say
And why d'you lie
When you wanna die, when you hurt inside
Don't know what you lie for anyway
Now there's nothing left to say

Well for a lonely soul, you're having such a nice time
For a lonely soul, you're having such a nice time
For a lonely soul, it seems to me that you're having such a nice time
You're having such a nice time

For a lonely soul, you're having such a nice time
For a lonely soul, you're having such a nice time
For a lonely soul, it seems to me that you're having such a nice time
You're having such a nice time

Eh già. Questa era la canzone di ogni giorno, per un lunghissimo periodo.
Avevo provato a spezzare questa catena, a suo tempo. Ci avevo provato in mille modi, restando ancorato a chissà cosa, illudendo persone che non se lo meritavano.
Adesso, potrei definire che quelle erano Momentanee interruzioni di una lunga attesa che sembrava non finire mai, ma che alimentava se stessa di illusioni, e di speranze quando un minimo segnale giungeva.
Ho illuso, tanto. Ho sbagliato di nuovo a crearmi delle vite diverse con la testa altrove, edifici perfettamente progettati e manutenzionati che però si poggiavano su terreni che volutamente avevo scelto traballanti, e sono franati al minimo.
Non c'è stato mai niente di così sbagliato di queste fughe inqualcosa di apparentemente confortante.
Tutte tranne una, di fughe, in effetti. La persona giusta al momento sbagliato.
Cito il mio romanzo, che scrissi quando ero sicuro che "...Di fatto, il nostro amore finì, quando da parte mia, cieco e illuso, pareva tutto rimesso a posto o sulla via di rimettersi. E allora mi involai verso la patria reale e amata, rifugio dall'illusoria percezione della rinascita, dell'amore sbagliato. Passata la poesia, purtroppo, c'è solo spazio per amarezza, delusione, rivalsa, cattiveria. Speravo ci fosse di nuovo spazio per l'amore. E invece no.
C'è spazio per la rinascita e la novità, però forse è anche prematuro adesso (...).C'è spazio per farsi sostituire al volante. C'è spazio. Punto..." (cit.)
.
LA SENSAZIONE DI ATTESA E' FINITA ADESSO.
C'è spazio proprio in questo momento, in questo lunghissimo viaggio, nella sensazione di novità che esso porta, nelle persone nuove che ho conosciuto, nell'idea che davvero adesso si possa costruire qualcosa di buono, bello, e vero.
C'è spazio per accogliere chi se lo merita adesso. E chi vuole vivere e dividere. Vincere e con-vincere.
Sì, stavolta ho il coraggio di partire per non tornare.

Dopo il tramonto

Resto ad ammirare il mare sul mio promontorio finché il sole scende dietro l'orizzonte e la brezza cala, lasciando solo il rumore di fondo delle vite degli altri ad inondare e colorare l'aria; senza fretta metto la frontale in testa e inizio a scendere seguendo il sentierino che percorre tra gli arbusti il fianco del colle fino al lungomare. La fioca luce a LED illumina quel che basta, pochi metri in avanti, mentre alle spalle resta tutto buio, tanto non devo fare strada a nessun'altra persona; non è come quella volta al ritorno dal Campo, quando spremevo la piccola frontale al massimo della potenza per mostrare la strada ad una coppia di amici, salvo spegnerla per un paio di minuti per restare ad ammirare, in silenzio, lo spettacolo di uno di quei cieli stellati che si vedono solo in montagna in serate come quella; ora invece è in modalità "economy", e credo che ci resterà fino alla fine della discesa, anche se l'occhio deve ancora allenarsi del tutto al cambio di illuminazione.


...e pensare che la frontale, quella seria della Petzl con il corpo batterie separato per poterlo tenere al caldo, non la semplice Black Diamond che sto usando ora, l'avevo presa per affrontare il buio invernale del Grande Nord, allora come oggi in compagnia del mio egoismo e delle mie paure e non di un passeggero. Avevo rischiato, allora; ho fatto cose per cui vengo considerato pazzo dalle persone a cui lo racconto, cose che, per quanto pianificate, richiedevano un bel po' d'incoscienza; tuttavia non ci pensavo, guardavo solo l'obbiettivo finale: arrivare oltre il Circolo Polare Artico, sotto lo Snjerak, in un luogo che allora non conoscevo e che ora invece ricordo con una fortissima nostalgia.

Passo dopo passo, tra i sassi, sento aumentare una pericolosa apatia, frutto di una lunga disillusione personale; forse inizio a non crederci più; inizio a non credere più di poter arrivare dove voglio, di trovare una persona che mi accompagni fino alla porta della mia immaginaria casetta in Svezia. Pensieri che si fanno vedere solo ogni tanto, che vanno e vengono ma sempre presenti, frutto di trent'anni di delusioni personali e di rischi non presi, di rimpianti molto più che di rimorsi; pensieri che non vorrei fare ma che ben si fondono con il buio circostante e con la polvere accumulata sul sedile del passeggero del mio fedele Trattore.

Per rischiare ci vuole un motivo ma forse ancor di più la motivazione; i motivi sembra che ora ci siano ...ma la motivazione dove sta finendo?

mercoledì 30 novembre 2011

La guida perfetta viene sempre nelle circostanze peggiori

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SS68, l'ultima rimasta di una lunga serie di strade che ho percorso, 100km/h. Metto dentro la quinta a giri piuttosto bassi.
Sto guidando alla perfezione. Con una pulizia mai avuta negli impeti di un pistard giovane e forse sin troppo sicuro di sé.
Le ruote non slittano. Non eccedo con l'angolo di sterzo, in queste curve a destra. Non eccedo nemmeno nel tiro delle marce, non vado oltre 4500/5000 ma costante. Velocissimo, ti trovi in quinta oltre 4500 giri ad oltre 160km/h. Mi ci trovo pure io, a dire il vero. Dovrebbe essere un giorno qualunque. Lo è solo in teoria.
Mentre l'indicatore delle turbine viene soppiantato da quello della musica, e Imogen Heap reinterpreta Thriller di Michael Jackson, l'Inutilmente Eroica (perché l'Impresa Eroica fu inutile), velocissima come sempre e forse più di sempre, tenta di coprire col suo rumore pieno, pienissimo, il silenzio che è riapparso come la nebbia ad invadere questo abitacolo.
A tratti devo dire che ci riesce, torcendo brutalmente a colpi di "g" laterali il mio collo nelle curve. E' la cosiddetta guida a denti stretti. La guida che fanno i piloti in rimonta. Quelli che non hanno più niente da perdere, quelli che a Le Mans rincorrono il gruppo di testa che se ne va. Anche alla 6 ore di Vallelunga era così.
La mia guida da ieri è così.
Prolungo la fase di rientro dei sorpassi, e adesso sono di nuovo per questa salita a 150km/h, con le due overboost inserite, e le Pzero Corsa che usano tutta la loro speciale spalla rinforzata, stringendo la traiettoria e tenendo tutto giù, di nuovo.
SS68, scolletto di Maltraverso, 140km/h, benvenuti al limite. Se avevo l'assetto vecchio a quest'ora ero morto. A tratti mi domando se sto facendo la cosa giusta. Ho perso tutto e ho un futuro da costruire. E' arrivata la mazzata. Quella che doveva arrivare da tempo, riesco a pensare, mentre supero 170km/h prima del curvone e ci butto, addiruttra, una quarta a 7000 giri. Nemmeno una piega, né un minimo intervento dell'ESP fermano questa corsa folle su strade che se potessero si scanserebbero. Questa corsa che serve a far ricircolare un sangue che si è fermato di nuovo di colpo, per un piccolo evento, superabile.
Lo ha detto JR, potenziale anima scrittrice di questo blog: Se va come credo paradossalmente sei sulla buona strada...dopo l'incazzatura tutto è in discesa. Dovresti aver scollinato.
Ha ragione JR, ma è la discesa che mostra i veri piloti. Fa selezione su chi ha paura e alza il piede.
Ho scollinato, in questo preciso istante.
Ho guidato nel modo migliore che potevo, come da 12 anni non facevo, da ieri sera. Sono davvero uno che ci sa fare. Niente spettacolo, niente traversi. Ora, solo pulizia. Sono un pilota evoluto.
Pulizia in ogni senso. E devo diventare una persona evoluta. Dovevo diventarlo mesi fa, in effetti.
Ma non è così per tutti. Non ci sono riuscito prima e forse non ci sono nemmeno riuscito adesso, per quanto abbia imposto a me stesso
Torno nel mondo reale ed arrivo a destinazione, contrastando quel magone che il sonno arretrato e la tristezza attuale, nonostante fatti positivi, fanno premere fortissimo presso la mia gola, che solo l'acceleratore toglie, la spinta bruciante di tutti questi cavalli sembra seminare. Ma alla prima frenata tutto ritorna lì dov'è, a fare male, a ridirmi "ehi, guarda che qualcuno che nemmeno se lo merita è lì dove sei stato tu e si gode i frutti del tuo lavoro". Tutto vero.
Adele canta Someone like you a voce alta, mentre l'Inutilmente Eroica borbotta al minimo il suo bel rombetto da piccolo ma cattivo turbo benzina.

I heard that you're settled down
That you found a girl and you're married now.
I heard that your dreams came true.
Guess she gave you things I didn't give to you.

Old friend, why are you so shy?
Ain't like you to hold back or hide from the light.

I hate to turn up out of the blue uninvited
But I couldn't stay away, I couldn't fight it.
I had hoped you'd see my face and that you'd be reminded
That for me it isn't over.

Never mind, I'll find someone like you
I wish nothing but the best for you too
Don't forget me, I beg
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead,
Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead,"
Yeah.

You know how the time flies
Only yesterday was the time of our lives
We were born and raised
In a summer haze
Bound by the surprise of our glory days

I hate to turn up out of the blue uninvited
But I couldn't stay away, I couldn't fight it.
I had hoped you'd see my face and that you'd be reminded
That for me it isn't over.

Never mind, I'll find someone like you
I wish nothing but the best for you too
Don't forget me, I beg
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead."

Nothing compares
No worries or cares
Regrets and mistakes
They are memories made.
Who would have known how bittersweet this would taste?

Never mind, I'll find someone like you
I wish nothing but the best for you
Don't forget me, I beg
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead."

Never mind, I'll find someone like you
I wish nothing but the best for you too
Don't forget me, I beg
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead,
Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead."

Ecco cosa succede. Il tempo vola e c'è chi sa come utilizzarlo. C'è chi sa arrivare in fondo, fermarsi un attimo, e poi ripartire anche meglio.
Ma altri vivono di speranze che coltivano rimanendo fermi ad un palo, morendo lentamente, giorno dopo giorno, e non sono in grado di lasciar andare le persone, non sono in grado di capire, di sentire quello che è meglio per tutti, di guardare oltre quella maledetta bassissima siepe oltre la quale c'è un mondo nuovo e una strada nuova, assolata e senza buche.
Una strada che ti eri forzato a non vedere tenendoti col campo visivo su quel terreno circoscritto

Adesso basta. Questa gara è durata sin troppo. Alla fine era una gara contro me stesso, lo è pure ora, ma molto meno. Abbiamo corso, forte, nella stessa direzione. Abbiamo poi corso paralleli e poi in direzioni diverse. Qualunque cosa sia successa dopo non dovrebbe importare, anche se poi di fatto
E' vero.
E ora, bandiera a scacchi. Anche l'ultima gara è finita. Si impacchetta il palco inesorabilmente vuoto della premiazione, del podio, si impacchetta tutto. Non ci sono più gare, adesso.
E' quasi dicembre, la stagione è finita. Del tutto. E non c'è modo di ricominciare. E' tutto sotto controllo adesso. Quel "sotto controllo" che sa di tremendo, scoraggiato, e forse anche rassegnato alla sconfitta contro un equilibrio che sapevi essere prefissato e che era lì, e prima o poi sarebbe tornato in prima fila. Al posto tuo.
E' finita una stagione. E non so se davvero ne ricomincerà un'altra. E i VOSTRI sogni diverranno realtà a differenza dei miei. Aiuto. Aiuto. Aiuto.
La mia nave affonda, adesso. E non ci sono scialuppe.
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