martedì 6 dicembre 2011

La Freccia delle due lagune - Lezioni

Autostrada A13, 140km/h. La stessa situazione del post precedente. C'è ancora molto tempo per tornare a casa. Non è un tempo che si può occupare in una qualche maniera, alla luce del fatto che di domenica mattina gli amici dormono e non si possono chiamare pena urlacci dovuti alla prematura sveglia. Dalle 8 sono in piedi, tanto non dormirei. L'A13 è un nastro di asfalto pressoché dritto lungo 117km, che va da Padova a Bologna.
Ha 4 curve di numero, è di una semplicità tecnica disarmante se il tempo è bello ed è asciutto in terra. E' dotata di Tutor, dal 2008, è soggetta a nebbioni colossali, insomma la sua facilità disarmante in condizioni difficili la rendono un toboga pericoloso. Ma il suo essere lunga, dritta e piatta, ti conferisce, al ritmo della tua musica o semplicemente del motore, il tempo per pensare, quindi, innamorarsi di momenti vicini ed amare anche momenti brutti passati, nonché farne tesoro.
Non sembra, ma questa strada è stata protagonista di un tratto, anche abbastanza lungo della mia vita. Mi appartiene anche se ci guardiamo con distacco. Rientra a pieno titolo nel novero delle "strade della mia vita", e forse è quella che aveva prospettato il cambiamento più repentino.
E' molto lontana, in effetti, rispetto alla prima Via di Sottobosco, alla importantissima SS223, alla effimera SS429, alle varie strade che ho percorso per amore. Una storia strana, in effetti.
Correva la fine dell'anno 2007. La Laguna di Venezia si stagliava sulla mia sinistra, con le sue luci, così piatte e così vere. La SS11, Padana Superiore, transitava da tutti i paesetti pieni di ville venete quali Oriago, Mira, Dolo, Stra, e si involava diretta fino a Padova. Non è banale come l'A4, larga e piatta.
O meglio: era larga e piatta pure lei, ma estremamente panoramica e tipica del veneto.
L'Ammiraglia non era ancora tale, era troppo giovane per esserlo. Era semplicemente soprannominata la "Freccia della Laguna", per le note tirate sull'A13, dove il piccolo motore dava il meglio di sé, toccanto punte di 180km/h agevolissimamente.
La vera Freccia della Laguna era un treno di prestigio, che andava da Roma a Venezia, più veloce delle schifezze che ogni mezz'ora banalmente percorrono la linea ferroviaria Bologna-Padova. Come tutte le cose belle di quell'epoca, quelle affascinanti e veloci elettromotrici di lusso color grigio perla e verde magnolia, non esistono più, sostituite da banali e anonimi elettrotreni ad alta velocità che fanno fatica, arrancano dietro all'eccessivo traffico ferroviario presente. Andò tutto a rotoli, ed è stato meglio così.
C'era qualcosa nell'aria, ogni volta, che mi faceva sentire molto spaesato, totalmente a disagio e sperduto come non dovevo essere. Sono lezioni che si imparano, alle volte, e sofferenze che si subiscono quando, sicuramente, si ha paura di restar soli.
Cito la nostra Conservativa che arriva in fondo, la quale afferma che "....forse chi viaggia porta con sé solo tanta tristezza, l'insana infelicità di non poter restare, il vuoto della cartolina ricordo: bella da spedire, non da rimirare. Quanto vorrei aver trattenuto quegli attimi in cui mi dicevo "goditeli, presto non ci saranno più, un giorno passa velocemente" e più me lo dicevo più tentavo di aggrapparmi con tutte le mie forze a quel luogo non troppo lontano...". Adesso so che quella tristezza del viaggiatore che si sente errante, lontano da casa, mi apparteneva in quel periodo.
La "Freccia della Laguna" mi riportava a casa, divincolandosi tra le macchine lige al limite, a 180km/h. Il piccolo ma potente motore turbodiesel mi ricordava che c'era una via di casa, mentre l'ansia saliva, più che mi allontanavo da quei posti che ora mi piacciono molto, sempre più e che in quel periodo iniziavo ad odiare.
L'altra laguna la Lancia Ypsilon la vide a marzo del 2010: era una laguna toscana, altrettanto bella. Non c'eraVenezia, è vero, dall'altra parte della bellissima visuale che si stagliava in quella fredda domenica mattina di marzo.
Ma c'era un senso di libertà, di piacere, di vittoria, quella mattina a Orbetello.
La Lancia Ypsilon era lì, rossa come sempre. Il vento soffiava forte, quando i due fidanzatini, stavolta senza il minimo rimpianto, accendevano la macchina e correvano veloci verso casa. La SS1 conferiva un senso di instabilità alla mattina. Dovevo tornare a casa a mangiare, se non ricordo male. Sarei rimasto volentieri, in realtà, fatto sta che la paura, quel giorno, che tutto finisse in una bolla di sapone permeava la mia mente, quando mi iniziavo ad inerpicare nell'acerba, dentro di me, SS223 dopo Paganico.
Lì c'era un salitone dove dovevo in tutti i modi scalare in quarta. L'Eroica lì terrebbe la sesta e arriverebbe in cima a velocità da Space Shuttle.
E pensai che ero sulla Freccia delle due Lagune. Prima una, poi l'altra. SS223, 120km/h, un non meglio precisato giorno di marzo 2010. Quella sensazione strana di avercela fatta, a trovare quella benedetta felicità che come sempre era assente, ma di non essermene ancora reso conto, aveva un sapore particolare. Piacevole.
Il tempo ci avrebbe dato ragione. Poi torto. Poi di nuovo ragione. Poi di nuovo torto. Ancora una volta ragione. E infine un bel torto marcio definitivo.
In questo lungo tratto dell'A13 non ci resta che pensare a noi.
Al fatto che ci sono cose che sono belle e strazianti. E forse, proprio per il loro non realizzarsi e per il loro far male diventano rare e lontane. E' il motivo esclusivo per cui ne apprezziamo la loro bellezza.
Me ne sono capitate diverse: ne ricordo una, impressa nella mia mente col pirografo dei ricordi che non vogliono saperne di sbiadire, che rimane lì e non se ne vuole andare. Ricordo delle telefonate che capitavano nei momenti più inaspettati.
C'era un amore potenziale, che pareva, nei racconti ufficiali della nostra vita, finito in un momento ben preciso.
Non lo era, e allora si portava dietro un carico, pesante come vecchio un camion col rimorchio, di sofferenze da cui credevamo di non poterci staccare, ma che poi alla fine sono arrivate a destinazione, si sono dissolte.
Adesso è il momento di crederci di nuovo. E di arrivare.
C'è un vento nuovo nella mia vita, proprio come quello di Orbetello. Non ci sono lagune, stavolta. Non ci sono porti di destinazione, ma c'è un viaggio che vorrei non finisse mai.
Un viaggio appena cominciato. Su strade, forse, già conosciute, ma mai apprezzate sino in fondo. Vivo e voglio vivere. Dopo aver imparato le lezioni dal passato.

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