venerdì 30 novembre 2012

Guerra di logoramento


Via Cassia Nord, 100km/h.Si guarda avanti, perché piove, e la strada anche oggi è lunga. E domani ancora di più a dire il vero. 400km mi aspettano ma saranno km sereni, per un'avventura rimandata da troppo tempo. Ah, grazie per l'invito, fratelli e sorelle ivi presenti.
Guardo fuori e si estende la campagna toscana, con le cime tempestose ove il nero delle nuvole riversa tutta la sua forza e cattiveria.
Wuthering Heights, cara Emily Bronte, le abbiamo noi.
Non importa, si arriva a destinazione, all'effimera destinazione giornaliera e si vive quel che il mondo ha da offrirci.
Si va avanti. Nel lavoro, sicuramente. In altro ho i miei dubbi, a dire il vero.
Mi manca ancora la consapevolezza che davanti a me, in questa vita che è divenuta tabula rasa, c'è qualcosa che mi aspetta al varco.
Guardo indietro, in quello specchietto retrovisore strano che è la mente.
I ricordi, pure quelli vicini, spesso sono offuscati, alle volte, dall'amore, da quella forma di malattia che è la gelosia, da quella forte voglia di riscatto e di recupero che porta a diventare lottatori quando non lo si è mai stati e a cambiare.
Ma ora no: passa il tempo, e l'amore rimane indiscutibilmente.
Ma è diverso, più pulito, meno malato. Non so come mai, analizzo a mente quasi fredda gli ultimi episodi della nostra vita insieme.
Rabbia, dolore, urla. Eccessi.
Miei, principalmente.
Una costante tensione che avvolgeva le mie braccia, il mio volto e che non portava mai a sorridere, fa comprendere che guerra di logoramento fosse divenuto quel "tutto che stava trasformandosi in niente".
Niente. Fine. Varco la porta del garage di casa tua l'ultima volta. Presto, terribilmente presto per addurre alcuna giustificazione a casa, se non un laconico "ero stanco". Lo ero. Non tanto fisicamente, ma della situazione: lo confesso, avrei voluto ripartire da zero a momenti.
Chissà quando ci vedremo e sentiremo, furono le tue ultime parole.
Ora che la mia mente si è raffreddata, che le ferite si rimarginano, so che le cose sarebbero del tutto diverse.
Ma non ho la più pallida idea di come sarebbe possibile fartelo capire.
Né tanto meno se ti interessa capirlo.
E' finita la guerra di logoramento, questo sì. Ci si arriva tardi, ma era vero che anche per me era divenuto tutto difficile. A tratti la tensione svanisce.
Ci si rimane legati, a quel passato insieme, in effetti. Legati come salami, e nessuna fuga è possibile da questa realtà che sa far male quando vuole.
Destiny degli Zero7 dolcemente mi riporta a casa, alla realtà, al lavoro. Alle cose che dovrei fare.
Ma i sogni non si uccidono, ed è giusto che siano prepotentemente presenti.
Quel sogno, in cui il campanello suona e il mondo riprende colore, c'è. E' sempre lì. Fisso.
Piove, ancora, su queste cime tempestose.
La neve è arrivata sull'Abetone e a Sestola, in effetti.
Le mie missioni migliori sono sempre riuscite sotto la pioggia, lo ripeto.
Tuttavia il viaggio, quello dentro di me, è ancora lungo, lunghissimo.The journey is long and I feel so bad. 

giovedì 29 novembre 2012

Il Condizionale


Raccordo Autostradale Firenze-Siena, 110km/h. Marco, amico sincero, porta il suo mezzo navale e quattro ruote. Ancorché per gli altri normale, è stata una serata di svolta per la mia vita: passaggio dai giovani ai grandi in una situazione associativa che ho da sempre amato.
Non ho impegni importanti e allora ci siamo: mi tocca.
Ed è una gioia IMMENSA e INCOMMENSURABILE.
L'Arno è in piena, a Firenze.
E penso a quanto ti vorrei qui, accanto a me, perché tu condividi questi valori.
L'indicativo è il modo dei verbi che assicura la certezza.
Il condizionale no: è quello delle azioni che si verificherebbero qualora avvenisse una determinata condizione.
Non ora. Non è ora.  Non avverrà questa condizione e non dovrei illudermi.
Infatti mi faccio fagocitare dal silenzio autoimposto, che riesco, finalmente a mantenere.

Quanto vorrei che questo condizionale si trasformasse in un indicativo, o meglio in un imperativo categorico, che la mia vita tornasse quella di poco meno di un anno fa.
Vorrei non essere egoista come sono, pensando che non riesco a lasciar andare il pensiero di te ad uso e consumo della mia schifosa personale felicità.
Lo so bene che un giorno, nemmeno così lontano, splenderai come una stella polare nel cielo di qualcun altro, e che la tua vita sarà migliore (anzi, lo è già adesso).
So bene anche che spesso i consolidati equilibri ritornano in posizione.
Non posso fare a meno di chiedermi perché tutto questo non possa esser più mio.
E non capisco come mai "...Nulla è cambiato in nulla ancora una volta...".
Nonostante tutto, mi muovo.  

mercoledì 28 novembre 2012

Someday we'll know


Qualcuno non si ricorderà chi erano i New Radicals. Erano un gruppo di qualche anno fa, musicalmente bestiali e forti. Chi però è dall'81 in poi se li ricorda sicuramente con i successi You get what you give e Someday we'll know. 
Quest'ultima è obiettivamente un capolavoro. La metto tra le mie 10 canzoni preferite, in assoluto.
Mi riporta direttamente, con una rapidità direi del tutto estrema, sballottandomi indietro nel tempo, al ruggentissimo ma piovoso inverno 1999/2000, quello dei miei 18 anni.
Ricordo nitidamente il caricatore CD della Punto Cabrio coi CD masterizzati, con la copertura grigia metallizzata, e i 6 altoparlanti.
Ricordo una mezzora di pioggia battente ai primi del 2000 al ritorno da Firenze,e mi pareva pure lontano. Ricordo pure che c'era una vita diversa e spensierata. Ma io con quella attuale non la cambierei.
Ma di questa canzone voglio proprio riportare il testo integrale, non posso farne a meno:
90 miles outside Chicago
Can't stop driving
I don't know why
So many questions
I need an answer
Two years later
You're still on my mind

Whatever happened to Amelia Earhart?

Who holds the stars up in the sky?
Is true love just once in a lifetime?
Did the captain of the Titanic cry?

Someday we'll know if love can move a mountain

Someday we'll know why the sky is blue
Someday we'll know why I wasn't meant for you

Does anybody know the way to Atlantis

Or what the wind says when she cries?
I'm speeding by the place that I met you
For the 97th time tonight

Someday we'll know if love can move a mountain
Someday we'll know why the sky is blue
Someday we'll know why I wasn't meant for you
Someday we'll know why Samson loved Delilah
One day I'll go dancing on the moon
Someday you'll know that I was the one for you

I bought a ticket to the end of the rainbow

I watched the stars crash in the sea
If I could ask God just one question
Why aren't you here with me tonight?

Someday we'll know if love can move a mountain

Someday we'll know why the sky is blue
Someday we'll know why I wasn't meant for you
Someday we'll know why Samson loved Delilah
One day I'll go dancing on the moon
Someday you'll know that I was the One for you

 

Eh già: Why aren't you here with me tonight? Perché? 
E' proprio la sola domanda che porrei a qualcuno. Ma la risposta la so sin troppo bene, devo smettere di ignorarla. La risposta è la stessa.
Il rispetto costa. Il silenzio pure. Ma è naturale: lasciar andare una persona significa non disturbarla.
In fondo, Walt Whitman diceva:
Se tardi a trovarmi, insisti.
Se non ci sono in nessun posto,
cerca in un altro, perché io sono
seduto da una qualche parte,
ad aspettare te...
e se non mi trovi piú, in fondo ai tuoi occhi,
allora vuol dire che sono dentro di te.
Già, sono seduto da qualche parte ad aspettare te.  

Heavy rain


Piove, fortissimo. Viene giù ancora più forte di quanto la mia mente possa immaginare e di quanto il mio sonno possa sopravvivere al rumore fortissimo delle gocce enormi che si spiaccicano a terra. Piove fortissimo e mentre mi avvio a fare quello che durante tutto il giorno faccio penso al buio che ho intorno. Terribile buio. 
Ma stamani sorrido, non so perché. 
O meglio lo so. Quando sai che c'è qualcosa che mette in pericolo potenzialmente la tua salute apprezzi altre cose.
Apprezzi la semplicità delle serate con gli amici. Apprezzi il non aver paura.
E ti rendi conto di mille cose che prima passavano inosservate. Sin troppo.
Piove, fortissimo. La mente corre, veloce come quest'arnese su quattro ruote rosso che fende il nero e il grigio odierni. 
Forse perché le mie imprese migliori sono sempre riuscite sotto la pioggia. Andavo a Pordenone e pioveva fortissimo. Andavo chissà dove, sotto la pioggia.
Come a Modena, a capofitto dentro le pozzanghere, con l'antiaquaplaning inserito. Roba seria. Soddifazione seria.
Ma al contrario di quando mi ritrovo al volante, in questo momento provo una terribile sensazione di impotenza. Totale. 
Mi spiego meglio: a tratti vorrei davvero che avvenisse quell'inaspettato ritorno, quell'inaspettata voce nel telefono, quel tutto inaspettato.
Semplicemente perché mi manchi. Tanto.
E allora al posto della Z4, (Delirio moment ON) come ho dichiarato prenderei la 126 perché delle macchine smetterebbe di fregarmi, e andrei sulla collina di Querciolaia a urlare col megafono "ho tutto" (Delirio moment OFF). 
L'altra parte di me invece vorrebbe proseguire per questo cammino di rinnovamento, iniziato con una serie di eventi brutti, ma tramutati in lezioni imparate.
Ma come fare a dimostrare tutto questo a chi amo ancora, nonostante in ogni modo rifiuti di pensarci?
Come fare?
Non è detto che le due cose siano incompatibili, in ogni caso.
Ligabue dice che "Adesso è tardi.Tardi per venire via. Tardi per raccontarmi altre balle.Tardi per le domande e per le risposte. Adesso è tardi."
Non è mai troppo tardi, caro Lucianino.
Tuttavia, con molta probabilità le nostre strade non si incroceranno di nuovo, in effetti.
Perché, con la semplicità delle parole, l'amore non c'è più. O è bello nascosto. 
Comprerò il mio solitario Z4 e tanti saluti alla 126 con la persona accanto.

lunedì 26 novembre 2012

Love is (or would be) the answer


SS223, 110km/h. La nebbia si è diradata, nel viaggio di ritorno del post precedente. La strada è del tutto conosciuta. Ha perduto la sua del tutto ovvia componente emozionale, se si pensa che comunque ve ne era una motivazione. E' tutto giusto. Ma qui manco era amore in effetti. Era una fiammata, alimentata dall'orgoglio di prendere le curve velocissimamente e di tenere attaccata col Bostik una storia che non andava.
Vabbè, qui comunque siamo di ritorno dal Tribunale, quasi due anni dopo quei fatti e niente è più rilevante.
Ma la mia macchina che conosce a menadito la duecentoventitreesima Statale d'Italia suona forte I Believe dei Blessid Union of Souls.
Non sembra, ma correva l'anno 1995 e i Blessid Union of Souls erano una promessa della musica romantica, vinsero pure il Festivalbar.
Una melodia fatta di piano e violini, una canzone fatta d'amore e di razzismo.
Il ritornello ripete a macchinetta:
I believe that love is the answer
I believe that love will find the way
Quanto mai vero.
Mi si riempiono gli occhi di lacrime, non so se di gioia o di dolore, nel sapere che questi due ragazzi si sono lasciati e che lui la ama ancora, così tanto da scrivere alla sua Lisa nella coperta posteriore di ogni CD dell'album Home:
"...Lisa, give me a call sometime just to say hello, my number is still the same...".
Naturalmente, il cantante racconta che lei non lo chiamò. Si sposò con un altro e magari visse pure felice, di un'esistenza piatta senza canzoni a lei dedicate.
E' così che la vita va avanti: le grandi prove magari finiscono, non vanno a buon fine.

A una settimana esatta dal nostro presunto anniversario posso anche dirlo, in effetti. L'amore dà tutto e toglie tutto. 
Mi diede ogni speranza tempo fa. Me l'ha tolta ora. E' un ciclo pressoché fisso e banale.
Banale quanto doloroso, ma alle volte certi equilibri per gli altri ritornano, si ricostruiscono cose vecchie ridipinte, si rimettono in sesto rapporti scuciti.
Ma io credo. Ci credo tanto.
Credo che tutto questo vortice che mi porta giù, e fuori dal quale cerco con ogni mezzo di uscire, finirà. La calma tornerà, il sereno tornerà.
Peccato, però. Quanta strada avremmo dovuto fare, quante cose piccole e grandi avremmo avuto da costruire, quante gioie da condividere si sarebbero profilate in questa vita. E' un vero peccato. Sì, sono ripetitivo. E' un peccato.
A tratti le lacrime rimangono in gola. Non ho sbagliato qualcosa nell'anatomia umana. Lacrime e parole rimangono in gola. Si fermano e non vogliono andarsene, trattenendo con sé il carico di malinconia di cui sono impregnate, che altrimenti in pochi minuti andrebbe fuori.
Ma l'amore ha sempre la risposta. Ci mette a dura prova, forse per migliorarci. Ma a tratti si è stanchi. Io sono stanco, adesso. E pure malato.
Riesco tuttavia a credere ancora in quella cosa che si chiama "amore". 
Badate bene, l'Andrea eroe indistruttibile degli Appennini e pilota di zingarate interregionali non è quello che appare. E' quello che c'è dietro, che nessuno vede e che forse ho nascosto ai più, che conoscono solo Federico, Giacomo, Francesco, Diletta, Daria, forse Gaetano, e che conosceva meglio di chiunque altro colei che ormai quasi un anno fa fece ripartire questo cuore di pietra, che deve essere scoperto.
Il resto è costituito solo da miserrime pantomime dovute alle condizioni di autodifesa, all'esser moscetti, al parlare con altri di sesso quando non hai più nemmeno la minima voglia di scoprire come è fatto, al parlare di macchine quando sai che vorresti aprire bocca e dire un nome.
Sì. L'amore è la risposta.
Ma in questo caso è più utile usare il condizionale: lo sarebbe.
But I believe that love is the answer
I believe that love will find the way
.
Da inguaribile romantico ci credo ancora. Ancora una volta. E non dispero.

Signora Nebbia


SS223, 110km/h. Tranquillizzo tutto: non sto tornando nel mio passato. Stamani dovevo andare in Tribunale a Grosseto, la strada è quella.
L'Eroica Mito corre, veloce come il vento. Fino al ripresentarsi della Signora Nebbia, fitta, in fondo alle discesa di Civitella, per accompagnarmi con la sua dolcezza fino al Cristall, locale da aperitivi contiguo al Tribunale, famoso e molto, molto bello, e pure, detto in toscano stretto, "galeotto-ma-se-un-ci-mettevo-piede-ai-su-tempi-era-meglio".
Non c'è che dire, la bella Mary, amica e collega, aveva ragione venerdì e sabato a dirmelo: "...La nebbia è una costante della tua vita recente...".Me l'ha detto memore della zingarata, credo.
Vero. E, aggiungo, non solo metereologicamente c'è nebbia.
Rientro annebbiato. Troppo, alle volte. Ma tralasciamo sti particolari eccessivi che mi fanno rischiare patente e altro. 
Così come annebbiata è la mia volontà. Non so cosa voglio adesso, e i risultati si tramutano in un cosmico "niente".Cosmico. Niente. Zero. Zero assoluto.
Can't you see this is the land of confusion?

Proprio per tale motivo, non so perché, in questo periodo nelle conversazioni ho la tendenza ad esser lapidario, rapido e riesco pure a tirar corto. Chiedo scusa a chi è all'altro capo del telefono, ma lo faccio forse perché ho paura di dire troppo, quel troppo che ha fatto prendere una brutta piega alla mia vita.
Perché le troppe parole sono eccessive.
Mi tiro indietro prima di chieder troppo e dire troppo, senza fatica. Bravo!
Ecco, qui non sono annebbiato: voglio dare e avere fatti. 
Imperativo categorico in ogni senso.
Fin qui tutto bene.

"...Finché non avrai fiducia in te stesso, la tua non sarà vita...". Altra frase vera, grazie. E ora, fuori da questa nebbia, verso il sole a riprendermi ciò che è mio.
Invito ai lettori: riflettete su questo.
 In ogni rapporto umano, la cosa più importante è parlare. Ma le persone non lo fanno più: non sanno più sedersi per raccontare e ascoltare gli altri. Si va a teatro, al cinema, si guarda la televisione, si ascolta la radio, si leggono libri, ma non si conversa quasi mai. Se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo tornare al tempo in cui i guerrieri si riunivano intorno a un falò e raccontare le loro storie. (P.Coelho). 

domenica 25 novembre 2012

We don't need another hero


Raccordo Bettolle-Perugia, 110km/h. L'Eroica Mito pare euforica, quando punta un'altra regione col suo fare imperturbabile, tra le mani esperte del sottoscritto.
"...Vi porto a un ganzissimo concerto Jazz in un posto con un panorama stupendo, ok?..." avevo tuonato mezzora prima con il solito ripristinato fare da deficiente ironico, capitano del popolo sbiadito, una volta parcheggiato il malefico invendibile aggeggio rosso davanti al Giudice di Pace di Siena, propaggine notturna della mattinata. 
E via, Pregiatissimi Colleghi, si parte per la zingarata interregionale. Si parte, a lenire a colpi di stronzate le ferite che la vita ci impone. Da 31 anni in su, siamo noi. Per una volta sono il più giovane. Tutti di quella brutta categoria professionale a cui appartengo. 
A tratti, però, le cose non vanno come vogliamo. Non sempre si arriva in modo chiaro, preciso e concordante alla meta, mi viene da pensare mentre metto la sesta marcia lungo il tratto "atipico" della SS223.
Nel giro di 4km si alza fittissima la Signora Nebbia, che ci fa rallentare.
E in effetti il concerto è stato ganzo, la sintonia perfetta, protagonista una piacevole ruota infinita di battute.
Persona piacevoli, questo è indubbio.
C'hanno pure infilato una cover Jazz di una canzone degli Wishbone Ash, e in quel momento il me stesso amante della musica si è riempito di gioia, con la presunzione di essere l'unico che la cantava con enfasi. 
Ma qualcosa non va, ancora. Qualcosa è ancora  lì che preme e non so che valore dare a tutto questo strano vortice che si manifesta quando sono solo.
A tratti attendo un segno, a tratti no.
Volubile. Il panorama stupendo viene rimandato, la nebbia si infittisce. "Ma tu sei un pilota", mi ribadiscono.
Già. Un pilota.
L'interregionale zingarata non fallisce, anzi, sulla carta è un successone: stupenda serata, per carità. 4 cuori che urlano e un motore sin troppo zitto vanno verso casa.
La nebbia è la protagonista, ancora più fitta di prima, tale da impedirci di vedere il lago, e con una di noi che ruzzola in terra per l'umidità.
Malvestito, dicevano un tempo a nordest. Elegantissimo, Andrea, dicono ora le persone targate Siena. Chi ha ragione? Naturalmente la parte gradassa e brocciona del sottoscritto direbbe "Io".
La parte giusta, buona e seria dice: "non so, ma io sono me stesso, mi spiace, posso affinare i difetti, pormi domande e aggiustare quel che non va".

Dichiaro a tutti facendo uso ampio del mendacio che non ho ansia, non più, perché, "...se si transita indenni per il venerdì sera, il sabato va liscio..." (cit.).
Sarà vero? Non del tutto. Ma fa piacere pensare che sia come dicevamo noi all'andata, che gli amici risolvono tutto e il tempo crea una traiettoria parabolica dei ritorni delle persone.
Sarà, ma l'unica traiettoria che concepisco oggi è quella stradale, con tanto di punti di corda, che spiego agli amici e Colleghi, impressionati dalla precisione in quello scenario così avverso a qualunque mezzo meccanico.
Nel lunghissimo viaggio di ritorno, in cui non si arriva mai,  Tina Turner canta We don't need another hero.
Gli altri scendono, a Siena.
Saluti. Baci. Arrivederci. Queste cose vanno fatte più spesso, tanto abbiamo il mega pilotone professionista che ci scarica a destinazione. Il Boss. Di nuovo. 
Grazie a tutti per gli elogi, ma non è merito mio. Non voglio più essere il falso Boss, quel ricettacolo di apparenza del tutto inesistente. Voglio esser sostanza. Grazie a tutti, il premio Oscar datelo a qualcun altro.
Ultima tappa, Siena-Colle, con le connesse riflessioni sugli eroi.
Ho manifestato eroismo. Più e più volte sono andato a riprendermi quello che era mio. O forse non lo era più. Eroismo inutile e sprecato, forse? No, dico no. L'eroismo non è mai sprecato.
Stavolta non ho coraggio. Stavolta non è il caso di attraversare gli Appennini: è troppo tardi per un verso, e troppo presto per un altro.
Oltre alle voglie di zingarate, in realtà inizio a nutrire una speranza di normalità, di una conversazione normale e ironica, come avevo con chi ho voglia di riprendermi e allo stesso tempo di lasciare andare.
Ma non devo essere io stavolta.
No, we don't need another hero. Almeno non ora. 

sabato 24 novembre 2012

Navi in porto


Motonave Aethalia, 19 nodi di crociera. Lei è sempre lei, con il suo fare indiscutibile da ammiraglia snob, nonostante gli anni e la riverniciatura, ed è come al solito la migliore nel riportarci indietro nei sogni che proprio su questo tratto di mare hanno preso forma.
In effetti sembra quasi salutarmi mentre salgo, ogni volta. 
Salgo sempre col mio carico di verità personali, di alibi e bugie forse dette in modo inconscio. 
Ognuno ci sale, in effetti, portando dentro di sé la propria esperienza.
Non ci salgo da 2 anni su di te, mia Aethalia. 
Ti ho terribilmente tradita con un altro traghetto più veloce e potente.
Ma il tempo non ti intacca, mai.
Il tempo non toglie la verità che è dentro di me e che vorrei davvero esprimere, e che mi riesce solo dire quando sono sopra di te. 
Proprio adesso ho voglia di partire, preso per incantamento e salire su quel vascello biancorosso (adesso), solcare il mare, arrivare in porto.
Perché in porto le navi sono sicure. Ma sono ferme. E allora a cosa serve una nave in porto? A niente, se non a dare la speranza che prima o poi parta.
Oppure, la nave in porto di ritorno da un lungo viaggio sa dire tantissime cose: sa far capire che le persone si riabbracciano dopo tanto tempo, che l'amore, quello vero, col tempo non si intacca anche se puoi avere la sensazione di averlo perduto.
Ho voglia di dire la mia verità, senza filtri.
Una verità del tutto differente da quella che sicuramente viene pronunciata qualche km più a nord. 
E' una verità dura che troppe volte è rimasta inascoltata, o non creduta. Ma è una verità.
L'amore è qui, che punzecchia, fa male: tento di scacciarlo con tutto me stesso. Tento di capire come fare a non sbagliare più.  Tento di capire come è la mia parte buona, se esiste. Non cadrò nelle braccia di nessuno, adesso. Non cadrò in nessun posto. Perché chi deve capirlo non lo capisce, vivendo su preconcetti sbagliati e non si lascia andare?
Oggi in effetti è stata una giornata un po' difficile. Incidente mattutino, feriti, corse verso Ospedale/Vigili/officina. 

E non so se ho il coraggio di salire su questa nave sin troppo presente dentro di me, dove i pensieri avevano un flusso costante e su cui mi sentivo libero, tanto libero.
Anche quando la verità varia nei nostri pensieri, questa nave comunque a Portoferraio ti ci porta, "...'Cause though the truth may vary
This ship will carry our bodies safe to shore...".
Aethalia, mi mancano i bei tempi andati in cui mi scaricavi a Portoferraio, aprivo la capote della miticissima e immortale (nel cuore) Punto Cabrio sedicivalvole (che faceva tanto figo perché andava più forte e all'epoca non tutti le avevano le 4 valvole per cilindro, salvo ritrovarsi in un vuoto cosmico di potenza sotto 3000 giri, ma un tiro indiavolato fino a 6500 ndr). 
C'era magia in quei momenti.
Rimpiango la magia che era nel porto, nel banale momento di salire sulla nave.
Vorrei l'altra nave. Quella che mi ha portato in questa tempesta. Vorrei vederla attraccare lentamente, e ondeggiando la mano salutare chi deve scendere.
Scenderà? Non penso....

venerdì 23 novembre 2012

Sogni ricorrenti


Ce l'ho anche io un sogno ricorrente: è bello, particolare, nella sua banalità. I protagonisti sono sempre gli stessi. Però è strano perché, è vero, alle volte i miei sogni ricorenti cambiano.
Ora è cambiato: da 3 settimane c'è una stanza. Sono nel letto, e sembra quasi il mio lettone rosso.
In quella stanza una luce si accende, fortissima, con una forza accecante. 
Tento di abbassarla con un reostato. 
C'è qualcuno accanto a me.
Di colpo mi trovo proiettato in autostrada, su una macchina ben precisa e con quella persona accanto, che sorride. Sorride alla vita, a quella che le si prospetta, in modo molto probabile.
E io accanto confare sommesso, Ray Ban al posto giusto e capelli al vento.
E allora ci domandiamo cosa sarebbe utile sognare. Sognare la felicità e, di colpo, quando la vita ti mette alla prova nelle cose serie, capisci che tutto il resto passa in secondo piano.
Già, in secondo piano.
Non mi frega più di comprare macchine nuove (ma procedo uguale) quando rischio di non godermele. Non mi frega del resto.
Ho imparato a camminare senza di te, ci ho messo solo 3 settimane: stavolta mi autoelogio, sono stato bravo.
Sogno una felicità ricorrente. E quegli occhi, quel volto, hanno un nome ben preciso. Oh, i capelli castani nel vento, quei capelli castani con gli improbabili occhiali sul volto come sarebbero belli.
Nel vento ci andrò, sicuramente. Mi basta vendere quel bubbone rosso turbo e comprarela macchina nuova.
Ma non accanto a lei.

E allora sogno quel momento. In modo ricorrente.

Ma in fondo, cosa sognamo se non la felicità? Se non momenti di tutto contrapposti all'eccessivo niente che ci capita?

mercoledì 21 novembre 2012

Difetti


Strada Comunale delle Lellere, 100km/h.
Il buio tutto intorno sembra far veramente pendant con l'umore, con la canzone che questa maledetta radio passa, ovvero Distratto di quella cantante che porta un nome così a me familiare, con il sound fortissimo di questo quattro cilindri che nulla ha da invidiare a un sei come potenza.
Ma non importa niente. Non ci sei tu, adesso. E allora cosa conta? Nulla, mi pare del tutto ovvio.
Adesso manca il nostro ridere, come avveniva a Livorno, quando fui riportato in macchina per 100km, su questa maledetta macchina che non riesco a vendere. 
Tutto è sbiadito.
Ma che cosa hai combinato, Andrea? Cosa hai combinato?
Insicuro, terribilmente insicuro.
Terribilmente idiota, come sempre, nell'arrivare tardi alle cose.
E tu manchi, oh se manchi, mentre tu ti senti rinata, e io mi sento morire.
Il rosso del cofano contrasta col nero che ho dentro, e col costante pensiero che i miei difetti possano aver scacciato i sentimenti da te, mia principessa.
E allora esorcizziamoli: non cancelliamoli ma parliamone.
Difetto principlale: insicurezza. Da tutto ciò deriva una drammatica propensione all'autodifesa contro chi non lo merita.
Forse perché nella mia insicurezza rifletto qualcosa che ho paura di fare agli altri. Mi spiego meglio: divento eccessivametne ringhioso e sfiduciato. 
E il non ascoltare? Ecco, altro grave difettissimo. A tutto si rimedia. E deriva dall'inquietudine costante che ho dentro.

Dal cassetto dei ricordi esce una frase ben precisa, scritta in un posto ben preciso. 
"Credo nei miracoli", recitava, e credo reciti ancora, una scritta a dire il vero anche un po' inquietante a caratteri cubitali nel corridoio del museo MART di Rovereto. 
Eh, sì, credo nei miracoli. Grande difetto, che mi porta a non credere, nonostante i fatti dicano tutt'altro, il fatto che nel mondo l'eterna lotta tra stronzi e principi azzurri viene vinta in modo assoluto dalla prima categoria.
Ma i pregi, perché quelli non li vede nessuno?
Una persona che ormai fa parte del mio passato maremmano non così lontano disse, quando tutto era finito, le acque si erano calmate: "...I tuoi pregi si mangiano i tuoi difetti...". Stavolta mi sa che invece non è andata così.
Ci credo che un giorno ci ritroveremo. Tutto è possibile a questo mondo, ma non è probabile.
Forse farò anche di tutto, ma non ora. 
Non sono l'Andrea che voglio e che vuoi. Non lo voglio nemmeno io, a dire il vero. Forse non crederai a queste parole (nemmeno le leggerai), o magari non ti interessano.
A meno di un miracolo "...Nulla è cambiato in nulla, ancora una volta..." (sempre ripresa dal MART, ma soprattutto dal cassetto dei ricordi, quelli belli, anzi irripetibili, quello che ti ostini ad ignorare).
Come disse Gandhi (scomodiamo un grande immenso personaggio non a caso) "...Se urli tutti ti sentono. Se bisbigli ti sente solo chi ti sta vicino, ma se stai in silenzio solo chi ti ama ti ascolta...".
Non ci resta che il silenzio, adesso.  


Say Goodbye

... Always knew it wouldn't last
But if you ask I'd go again ... 

Valigia chiusa, check-in online fatto, documenti pronti, chiavi restituite. 
Le ultime settimane, ovviamente, sono state le migliori. 
Speranza. Ecco cosa mi rimarrà di più di questi due mesi. Tra le mille luci delle città, la lucina di una nuova Speranza per il Dopo, quella lucina che in altri posti traballa flebile e che qua ha preso un po' di Forza, un po' di Coraggio. E' bello sentirsi apprezzati. E' bello sentirselo dire espressamente, ogni tanto, quando hai mille dubbi e non sai se stai seguendo una strada sensata.
Mi mancherà l'ufficio incastonato nella biblioteca, mi mancheranno le fughe a NY, il colore degli alberi e l'aria che sa di bosco della mattina. Mi mancherà il supermercato bio vicino casa dove suonano jazz due volte alla settimana, mi mancheranno i dolcetti e le eterne passeggiate in solitaria in esplorazione di angoli sempre nuovi. Mi mancherà l'attaggiamento lavorativo delle persone. Mi mancherà la Guida di alcune di queste persone.
Nell'ultimo anno ho incontrato ben due posti con un'Anima, due posti che ho amato tanto da sentire le farfalle nello stomaco, che mi hanno strappato sorrisoni, a cui sono grata. Posti che, addirittura, mi hanno fatto venire voglia di provare a cambiare ruolo, non più passeggera ma pilota. Ho respirato a fondo queste sensazioni, ora devo solo tratternerle nei polmoni abbastanza a lungo da avere ossigeno sufficiente per i prossimi mesi. 
E' bello Costruire ponti.
 
... So I'll just have to take a bow
and say goodbye.
 
 
 
 

martedì 20 novembre 2012

Ci sono sere (reprise n...ho perso il conto)


Ci sono sere in cui devi fare mille cose, ma ti attardi guardando le serie televisive,  e non vuoi andare a letto nonostante davanti a te si prospetti una giornata successiva di color marrone e cattivo odore.
Ci sono sere in cui Stevie Ray Vaughan, Jeff Beck, Phil Collins, i Porcupine Tree ti fanno sentire oggettivamente superiore nella cultura musicale rispetto a coloro che ascoltano Gigi d'Alessio e la musica tunzettara.
Ci sono sere in cui (qui i cultori musicali capiranno) "...The first cut is the deepest..." (cit. Cat Stevens) e altre in cui "...The first cut won't hurt at all/The second only makes you wonder/The third will have you on your knees..." (cit. Propaganda), e tu aderisci all'ultima scuola, perché tanti tagli subiti non hanno fatto male, ma questo, oh se brucia.
Ci sono sere in cui urli a te stesso di aver svoltato a quel bivio, ma lo sai pure te di aver sparato una cazzata colosale a cui nessuno crede, in primis te.
Ci sono sere in cui dici "sto bene, andate tranquilli" e sei quasi credibile.
Ci sono sere in cui ti trovi in un locale e ti senti rivolgere la parola con un "Ehi, occhi tristi", e allora ti giri e "Dici a me?" "Sì proprio te" e inizia un discorso in apnea, in cui parlando pensi a studiare soluzioni tampone per non mostrare questi maledetti occhi che chissà cosa hanno.
Ci sono sere in cui le spasimanti, acquietatesi per un anno, si risvegliano di colpo e il telefono viene invaso da un alluvione di chat di whatsapp del tutto sgradite, a parte alcune di amiche vere (Dile, mi riferisco a te).  
Ci sono sere in cui vorresti un eremo, ma col caminetto e la bistecca e tanti amici dentro. 
Ci sono sere in cui hai tante storie da raccontare, emozionanti, ma "...meglio evitare i finali perché non c'è lieto fine in nessuna...".
Ci sono sere in cui sei per strada a "duecentoquarantaperchénonscorreuncavolo" e altre in cui "centodiecitantoillimteènovantaenonvoglioschiantarmi", ma la strada è quella, terribilmente buia, non sai scegliere le modalità che ti contraddistingue 
Ci sono sere in cui progetti fantomatiche missioni eroiche prontamente abbozzate perché "Nihil difficile volenti" e la controparte non vuole, e allora ti domandi che ci vai a fare.
Ci sono sere in cui tra lo Z4 e il monopattino (cogliete la sottigliezza del paragone automobilistico) ti trovi ad esaltare i pregi dell'ecologia del mezzo con le due ruotine. 
Ci sono sere in cui esci con donne sulla carta superiori al tuo passato e nemmeno le sfiori con un dito.
Ci sono sere in cui alla domanda "...Se fossi una macchina quale saresti?...", risponderesti in modo netto che sei una Lamborghini Miura, terribilmente affascinante, non bella, potentissima, emozionantissima ma soprattutto inguidabile in modo agghiacciante, tale da infilare in un fosso pure piloti titolati.
Ci sono sere in cui dici a te stesso "...La prossima fidanzata la voglio così...", ma poi guardi un po' nello specchietto retrovisore della vita e individui un soggetto ben preciso e dici "...porca miseria, ce l'avevo..."
Ci sono sere in cui non ti dai pace per aver buttato tutto via.
Ci sono sere in cui vai a letto e vorresti risvegliarti qualche mese prima, per frenare prima il tuo passeggero oscuro in nome dell'amore che provavi e, provi ancora.
Ci sono sere in cui sei disilluso perché sai che ti sveglierai il giorno dopo e non tre mesi indietro, quando tutto si poteva rimediare.


Costante fredda

Mi lascio trasportare dall'ennesimo FrecciaBianca in questa domenica sera di metà novembre; mi lascio trasportare dopo aver finalmente rivisto le mie montagne, dopo aver riassaporato il silenzio di una giornata di sole autunnale in mezzo ai boschi tra la prima neve, dopo aver nuovamente respirato a pieni polmoni l'aria a temperature sotto lo zero non appena il sole si è nascosto dietro la Croda da Lago.

Ho indossato dopo lungo tempo i pantaloni tecnici invernali, anche se senza la calzamaglia, trattandosi pur sempre di temperature solo di pochi gradi sotto lo zero; ho rimesso la canotta termica sotto la maglia di pile leggera; gli scarponi erano quelli estivi, ma in fondo qui ho sempre usato quelli e c'erano i fidi Falke Tk1 a tenere caldi piedi e polpacci; guanti e sottoguanti pronti...

Quasi non mi aspettavo facesse così freddo; non mi pare ne facesse altrettanto il 9 dicembre dell'anno scorso, sul versante opposto, al Rifugio Pomedes; ma allora eravamo al sole e la neve era quasi praticamente assente; cammino con calma in salita, tra macchie di sole, cercando di non sudare, arrivando al fantastico panorama che si gode su Cortina dal balcone al limite della cresta che scende dalla Croda; da lì fino al rifugio il sentiero sarebbe stato quasi sicuramente tutto in ombra, e di conseguenza l'aria sarebbe diventata bella fresca; riprendo quindi a camminare velocemente, con la temperatura che iniziava a scendere sensibilmente sotto lo zero, mentre gli scarponi scalfivano appena la superficie ghiacciata della neve invece di affondare; le mani, ancora calde dopo la salita, sentono il freddo ma non ghiacciano. E i pensieri corrono inevitabilmente là, tremila chilometri più in su.

Lago ghiacciato, rifugio (chiuso), un panino e via indietro, ora con le mani che dopo la sosta iniziavano sì a ghiacciare; dieci minuti di camminata veloce e la temperatura del corpo torna quella giusta, finché, sbucando sulla cresta, trovo il sole pomeridiano appena dietro le pendici di Cima Formin a salutarmi. Guardo la mia lunga ombra proiettata sulla neve; io ed il mio zaino, il mio pesante bagaglio di esperienze solitarie; ed il sole; nessun altro. Certo, c'era un amico una ventina di metri dietro di me, in questa silenziosa discesa; ma l'unica costante che riesco a trovare in queste tre decadi abbondanti di cammino è una solitudine di idee e di intendimenti a cui sto forse riprendendo, dolorosamente e faticosamente, ad abituarmi.


lunedì 19 novembre 2012

Grazie perchè.


Una sala gremita di persone, amici e parenti; la musica che accoglie ogni invitato all'ingresso, tanti fiori attorno a noi e soprattutto la gioia di coloro che  festeggiano cinquant'anni di vita insieme: una coppia solidissima, con il sorriso sempre sulle labbra, con la voglia di superare i momenti peggiori sempre con un unico filo conduttore: l'amore e la serenità. 
Sono seduta a fianco a papà nel tavolo "presidenziale" e penso a quando, ormai 7 anni fa, a quello stesso tavolo, in quella stessa sala i festeggiati erano mamma e papà. 
L'essere partecipe attivamente alla cerimonia e alla festa, splendide, mi ha fatto sentire un pò come fossi una figlia o una nipote di quelli che oltre ad essere parenti sono anche una pietra migliare: i miei padrini! Si, quando ero piccola, paffuta e inconsapevole proprio loro si presero la responsabilità di essere i sostituti di mamma e papà. 
Essere là, in mezzo a quella che a me piace definire "la mia vita" fatta di musica, tanta gente attorno, e risate mi ha fatto sentire, dopo mesi, l'Angela pronta a prendersi in giro e a tirare fuori la grinta della finta estroversa. Un microfono in mano e i pensieri se ne vanno dietro ad una base musicale, lontano.
Grazie a voi, Gianni e Franca, per l'esempio che avete dato a tutti noi, giovani e meno giovani;
grazie per avermi fatto assaporare una festa che io purtroppo non potrò vivere più e alla quale ho potuto contribuire.
Vorrei che giornate così si potessero vivere più spesso.

Materializzazioni (post semi ironico)


La giornata era grigia. C'erano nuvole, forti come un liquore casereccio, a punteggiare e a rendere umida la serata brutta che si prospettava all'orizzonte.
Colle, 7km/h. Nuvole che si associano ai pensieri, dando loro colore.
L'Eroica Mito è in garage, piove. Maniaco, lo so, ma in settimana devo tassativamente darla via.
Non c'è rosso oggi, solo grigi, marrone dei mattoni di Colle, e il rosso sangue degli scambi di certi messaggi.
Protagonista è l'ansia per la salute, ma passa.
E così, mentre il turbine di pensieri si stacca da me, fa i suoi giri e prende, nell'ordine: Raccordo autostradale, A1, A13, e finisce, come al solito, nella città il cui "...Il clima è fondamentalmente continentale ed è caratterizzato da costanti nebbie. Le nebbie imperversano sulla città tutto l'anno, a tutte le ore del giorno. Ne esistono di tutti i tipi, per tutti i gusti: con ghiaccio, con afa micidiale, con pioggerella, con neve, con puzza ecc. Alcune variazioni sono le piogge acide e la caduta di cenere simile a quella di Silent Hill. Qualche volta sembra che ci sia il sole, in realtà sono i fari abbaglianti di un'auto che si riflettono nella nebbia..." (fonte: nonciclopedia), la mia testa si trova in alto, verso le epigrafi colligiane.
Tutto a un tratto si materializza, in tutta la sua forma: lei.
Integra, intera. 
Forte.
Per qualcuno, forse per le mosche, può anche sembrar bella.
La mia testa tra le nuvole fa il resto.
E la scarpa affonda. Scarpa di Tweed peraltro.
Me ne accorgo, corro verso il teatro dei Varii. Tolgo tutto. Meno male c'è umido in terra.
Mi sembra di aver giocato a Pestalosterco, disciplina praticata nelle spiagge di Livorno su iniziativa del Vernacoliere nei ruggentissimi anni '80 e '90 del secolo scorso.
Ebbene sì: metodo scientificamente provato.
Litigare con le ex porta alla generazione di sterchi sotto i miei piedi.
Il vecchio astio fa forare le gomme della macchina.
Come si fa adesso?
Si evita ogni contatto.
E si va a Londra. Oh, se ci si va. Basta esitazioni.

domenica 18 novembre 2012

Voci e bugie


Ci sono voci che giungono nel mio telefono. Si fanno prepotenti, ma con tono dolce. Voci che più volte questa settimana si sono degnate di chiamare il sottoscritto, per fortuna ad orari meno allucinanti.
Ribadiscono sempre lo stesso concetto: apparente ripristino di equilibri che a nordest sarebbero tornati tra le braccia di un passato lungo e lontano. Non ci credo. Per niente. Prima ci avrei creduto ma il gran lavoro che sto facendo è reale e concreto.
Sarà, ma alle volte la cattiveria delle persone fa male e rovina cose che anche non esisterebbero. 
Nemmeno ho scritto un messaggio come l'altra volta, tante sono le stronzate che ho dovuto sentire. 
Certe cose sarebbe meglio ascoltarle dai diretti interessati: è segno di rispetto.
Ma tanto non è accaduto niente, penso giustificando la cosa a me stesso, con la forza di chi sa che in qualche modo deve sopravvivere.
Dall'altra parte la mia mente chiede una chiamata in cui tu, principessa dei miei sogni infranti, dici "...guarda Andrea ti devo parlare, te lo dico per correttezza...." e un seguito che non sto ad elencare.
Sì, perché mi aiuterebbe moltissimo ad uscire da questo tunnel. Paradossalmente, fa male un paio di giorni una cosa del genere, ma fa calare un elevatissimo velo di rassegnazione che toglie ogni speranza e fa bene alla persona.
Parlo per esperienza.
Sapere che la donna che ami ha un altro aiuta. E' un paradosso, ma le teorie di JR tornano sempre. "...Una volta smaltita l'arrabbiatura, dovresti aver scollinato..." (cit.). Tutto vero, amico fraterno. Tutto vero, ma il presupposto adesso  manca.
Inveisco contro le malelingue che affollano il ricco nordest, faccio i miei soliti slalom nel traffico di Firenze perché si vive una volta sola e la macchina sembra chiedermi perché.
Sembra quasi aver percepito il fatto che sta per esser data via.
Lei, servitrice fedele, con 55.000km e tante storie da raccontare. Perché non ha fatto il percorso casa-lavoro come tutte le macchine della Terra. Lei no, al lavoro mi ci ha portato poco. Lei ha vissuto storie, amori.
Ha rincorso la donna che amavo a 2 regioni di distanza. Tutto con me. Niente percorsi anonimi, perché si parte e c'è sempre un perché.
Ma è tempo di dire basta a questo vortice, in nome dello stupido istinto di conservazione che tanto utile torna in questi casi.
Tuttavia non posso negare di aver mentito. Non a persone esterne, a me stesso. E la cosa è indiscutibilmente più grave.
Ho mentito a me stesso nel dire che non ti amo, nel fare il gradasso e nel dire "ce l'ho fatta".
Ho mentito a me stesso nel dire che non voglio che tu torni.
Non ho mentito a me stesso dicendo che non tornerai, però.
Ho ipotizzato, stamani, il fatto che tu tornassi a breve, per una motivazione: il domandarmi se sono pronto o meno.
La risposta è no. Non è il momento ora. E non lo sarà nemmeno la prossima settimana.
Il lavoro è lungo e per citare un messaggio "...le nostre strade si sono divise...." (cit.). 
La via è lunga, ma sono nella carreggiata giusta verso quella cosa  che si chiama serenità, che tu sei stata così brava a ritrovare e che io come un motore che gira a 3 cilindri non ritrovo.
E fuori c'è gente che aspetta me, solo me. Gente che aspetta il mio ritorno tra i single senza esitazioni.
Dico "no" a persone che chiedono di uscire, che mi offrirebbero di tutto sulla carta: vicinanza, totale abnegazione con grandissimo numero di annessi e connessi.
Ma non è questo che voglio. Non è questo che cerco.
Cerco l'amicizia, le chiacchiere, i viaggi di ritorno non da solo, perché è facile offuscare tutta la bellezza di una serata (a proposito, grazie Gaetano), e gli stupendi acquisti fatti in 55km di nera e brulla superstrada.
Non cerco altro adesso. Non ce la farei a prendere per i fondelli me stesso in inutili baci e carezze prive di alcun significato.
Sì, l'amore è solo con te.
Ma ora, è il caso di affrancarci da questi pensieri, inutili come navi in disarmo, ma potenzialmente facili e vittoriosi.
Basta mentire a se stessi. La verità è bella. E soprattutto rende liberi.

Deriva e scarroccio


Un tempo, che a tratti considero lontano, andavo in vela, peraltro anche con ottimi risultati. Era un periodo speniseratissimo, in cui il silenzio non faceva male, né andava a ledere niente. Semplicemente perché non c'era nulla su cui premere, non c'erano dolori in effetti.
La barca andava, silenziosa, ci godevamo il vento. 
Se il vento cessava e si andava alla deriva, non era un problema. Si attendeva, con dolcezza, con tranquillità, che il Puffo (dovuto al colore azzurro del natante) riprendesse la via di Marina di Campo, con la dolcezza di chi sa che a quell'ora nessuno lo aspetta, nessuno lo ricerca.
E ora no. Al doppio dell'età esatta tutto è andato ai maiali, rovinato da chissà quali interrogativi. 
Non ho più barche. 
Ma soprattutto, non so più gestire il silenzio.
Passo le giornate a godermi la vita con amici. 
Ma il ritorno è sempre duro. Questo nastro di asfalto tira su tutti i peggiori pensieri dentro me.
Raccordo Autostradale, 110km/h: la notte inghiotte la mia Eroica Mito, nella superstrada nera e buia.
Lei procede silenziosissima e pressoché perfetta. Forse troppo.
E allora la splendida serata, con un amico vero innamorato della suna nuova fiamma, le rispolverate e inaspettatamente efficaci doti personali di galeone da abbordaggio si infrangono e vengono risucchiate da questa superstrada di notte.
Vado alla deriva, mi ripeto.
Basta.
Dynamic: piede giù. Basta. Con una prontezza impressionante i 195 cavalli, i 298Nm di coppia, i due turbocompressori e tutto quello che c'è dentro si risveglia.
Fa sentire che c'è, facendosi strada a gomitate fortissime nella notte, nell'autostrada deserta.
Giù, sempre giù. Non ho nemmeno levato la sesta, tanto la coppia è costante.
180, 190, 200km/h. In un baleno. Ora la rincorsa è un po' più lenta, ma ho il rettilineo del Bargino per dare tutto. Giù, con una freddezza allucinante. 210, 220....230.
Forza, rossa, manca poco e ci siamo. 235...237...240. Eccoci: di più non ce n'è. 240km/h.
Un carico di ferite, di sangue da spargere vola, letteralmente, su questo rettilineo.
Ogni 15 secondi percorro un chilometro.
240, tenuti da Dio.
Alzo il piede. Niente è cambiato.
Sto andando pericolosamente alla deriva, l'ho detto e lo ripeto.. Ho frenato prima di illudere persone che non se lo meritavano, ho fatto proprio bene.
Forse perché scollettati i 30 anni si comincia, in generale, a sapere che certe coglionate, che i giochi con i sentimenti altrui, o il sesso per sport non lasciano niente.
Niente. 
Ottima parola, che ti lascia un po' di amaro in bocca. Niente è sempre niente.

giovedì 15 novembre 2012

Silenzi


Cosa è contenuto nel silenzio?
La definizione da dizionario dice:  "...Con silenzio si intende la relativa o assoluta mancanza di suono o rumore. In senso figurato, può indicare l'astensione dalla parola o dal dialogo...".
A tante persone piace, si ritrovano nella loro condizione ideale. Alcuni scappano da se stessi, volano via,si allontanano da feste che si mettono bene.
Scappano e vi si rifugiano. E magari ci stanno anche bene, si rivolgono a chissà chi e chissà cosa per ragionare, perché le parti di loro si parlano.
Nel silenzio invece io sto male.
Semplicemente perché non parlo all'altra parte di me. O meglio magari ci scambio anche dei convenevoli carini ma rimane tutto lì. Due estranei o poco più.
In crociera ho una macchina estremamente silenziosa. Potente, urlatrice in alto. Terribilmente silenziosa quando i 130 sono regolari.
E fa male, in certi periodi. A tratti me lo godo il silenzio.
Per esempio, ero felice e partivo ad un orario antelucano da Ferrara per andare al lavoro, mi godevo la freddissima alba sull'Adriatico e spegnevo la radio.
Ma tu non ci sei e il silenzio, specialmente il tuo, non è vivibile ad oggi.
Non è più vivibile.
Allora accendo la musica a palla. E ripenso a 2 cose: a come affrontavo in modo del tutto scoordinato il silenzio generato da "occhi uguali ai miei", e a come stringo i denti ora.
Un'amica vera ha detto questo: "...Dalle tutto il tempo di cui ha bisogno per tornare a fidarsi di te e non chiederle, in questo momento, più di quanto possa darti. Solo quando avrà capito che la tua assurda gelosia è scomparsa o quantomeno che insieme sarete in grado di sconfiggerla, tutto potrà essere come prima o, ne sono convinta, molto meglio di prima....".
Sono d'accordo, al 100%. Giustissimo. Belle parole, bellissime.
Diverrò l'incarnazione di questi fatti.
Ma a tratti sarebbe bello sentire questo silenzio interrotto.

Il silenzio che tu mi imponi è totale. Il mio bisogno di segni a volte si fa sentire, mi fa anche sentire piuttosto solo, disperso in mezzo a questo mare. 
"...In this silence I believe..." cantavano i Delerium.
Sarà...ma meglio alzare il volume. 

Via, verso l'ospedale, ora. 

mercoledì 14 novembre 2012

Pordenone


Ci sono cose che mancano, nella vita. La loro assenza si sente di più o di meno, a seconda del loro grado di importanza.
E le strade che uno percorre sono sempre quelle. I luoghi sono quelli. Ci si passa girandosi dall'altra parte, credo, quando tutto finisce e la porta per te rimane sempre semi aperta.
Non so nemmeno se ci passerò con la solita macchina dell'andata o se la sempre presente nebbia sarà trafitta dai fari allo xenon di un sogno realizzato. 
Non lo so. Non ne sono pratico di queste situazioni. 
14 dicembre prossimo, auditorium delle Regioni, Pordenone, ore 20:30. Presentazione del lavoro nato un anno fa. Come noi.
Sarà un viaggio lungo, nebbioso e non spezzato da piacevoli pranzi in zona estense. Ne è passato di tempo, le cose son cambiate. Direi pure in peggio, se ci penso.
Non mi fermo, non chiamo, perché "...io rispetto e ti aspetto...", e intanto mi ci sento pure male.
E' presto ora, senza dubbio. Presto per vedere uno spiraglio, per vedere quel "nebbioso rientro con sosta".
Presto per avere gli spiragli sperati, per avere quei 2 occhi in platea che mi guardano come un tempo.
Presto per dire "ho svoltato". 
L'ABS mi salva la vita cento volte oggi. Sono un coglione patentato che guida distratto, stanco e assonnato. 
Lo vedi che cosa sono senza di te? Nulla, esattamente nulla.
Il mio equilibrio lo ritrovo ma in posizione bassa. Posizione zero.
Sono uno zero sull'Alfa, una persona del tutto incompleta.
E mentre Rio de Janeiro Blues suona, colonna sonora di un piovoso viaggio, so cosa voglio. Voglio dimostrare di non avere quella gelosia imperante, quelle 
"...Sì, ma come?...", tuonava il fratello delle zone nordiche, riferendosi ad altro.
Ecco, ora li vorrei tanto quei 2 occhi in platea, inaspettati e piacevoli. Li vorrei con tutto me stesso.
Vorrei il viaggio di ritorno condiviso.
Non ci sarà, forse. Non sarà lì, perché la sua vita conta più di me e della possibilità di dimostrarle che sono veramente quello che ha conosciuto.
La motivazione per cui nacquero tutti i sogni sarà adesso solo un lontano ricordo, come un perfetto teatro in cui la gente non ascolta.
E invece c'è una voce che vorrei ascoltare: quella distesa che contraddistingueva la tua persona. 
Non riderò stavolta.
Non senza di te.

lunedì 12 novembre 2012

Motivazioni contraddittorie


Autostrada A1, 130km/h di Cruise Control. La perfezione di questa andatura della bella Eroica, rossa come mai, sembra quasi provvisoria. Ma non lo è, stranamente.
Piove, forte. L'autostrada del sole non è degna, oggi, del suo nome. O meglio, non è degna della parola "sole", che della classificazione autostradale non è mai stata.
Piove in tutta Italia, a dire il vero. E le strade strette mi sono sempre piaciute.
Ho ripescato un CD, il cui nome è "Il canto del cigno". Le lacrime di gioia per gli stupendi momenti a cui rimanda l'accensione di tale dispositivo si confondono con il nubirfagio appenninico, fatto di traiettorie perfette, di una chiamata strana e quasi magica, in cui l'amicizia, quella vera, nasce, cresce e si consolida.
Era un anno che non definirei buio. Difficile sì, forse. Ma con un finale emozionante e scoppiettante. Colonna sonora degna era, quel CD, degli ultimi viaggi della cara vecchia, senz'altro complice e amata Lancia.
Erano i viaggi dell'interludio dei giorni dell'abbandono, in attesa di un ritorno che solo parziale fu.
Ben Harper ne è l'incarnazione totale.
Musica serissima.
Perché, come dissi un tempo, si riparte dalla musica. Si cambia musica.
Mi lascio alle spalle Modena: città di motori e di grande cucina, ma soprattutto, città di amici. Veri. Benny e Lally, siete due grandissime donne, impareggiabili amiche.
Non mi lascio alle spalle il pensiero di te, quello che c'era e c'è, e che non se ne va. E tu lo sai, forse meglio di me. Sei sempre un brivido quando ripenso agli equilibri persi e a quanto doveva esser forte quell'amore che tu avevi e che io ho ancora dentro di me, che non mi abbandona nemmeno quando dormo (male, in realtà).
Posso dire a tutti di aver svoltato, ma non ci crede nessuno. Né, tantomeno, ci credo io.
Folle mentitore, poco credibile!
Ma vedo possibilità forti in me di rimettere ogni casella al suo posto. Sto trovando, davvero, un equilibrio, o per lo meno non lo vedo così lontano. Tempo, ci vuol tempo.
Credo in te come non ho mai fatto prima. E così si vive, sempre, ogni giorno.
Ci si interseca stranamente, come le traiettorie che questa macchina, precisa come poche, infila su questa strada senza mai nemmeno levare la sesta marcia.
Pochi chilometri, in effetti, ma un'infinità di storie da raccontare. Nessuna di esse a lieto fine.
Hai corso, macchina rossa, tanto. Hai corso attraverso la Toscana, il nord. E che nord. Hai corso verso Bolzano. Hai corso verso l'Elba. Hai vinto le battaglie ma non le guerre.
Hai corso, aggeggio rosso, verso le Missioni Eroiche, verso i luoghi in cui "Tanto non devi metterci più piede".
Sei rimasta lì, a guardarmi perdere l'amore della mia vita. Quello vero. Quello che stupidamente io, principe azzurro incrinato e sbiadito, ho gettato nel cesso. E ho pure tirato la catena. Che bravo.
Tu non ti puoi ribellare, in fondo sei solo una macchina con l'anima. Altrimenti mi avresti bacchettato, avresti zittato il mio telefono quando il passeggero oscuro si risvegliava.
E tu che manchi sempre più, come sei bella, sei la donna più bella del mondo, e la distanza fisica non riesce a seprarami da te.
Mi impone di trovare un piccolo equilibrio nelle cose, quando il telefono non suona e lo vorrei tanto. Ho maturato un self control, e credevo fosse anche più difficile.
Piove, tanto.
Piove sulle motivazioni contraddittorie che do ai miei atteggiamenti. Piove su tutto quello che adesso non mi illude più. Piove sulla voglia di recuperare.
Smetto di fare il cretino, di schizzare cadetti inermi a Modena, di darmi un tono quando la cosa non esiste. E la priorità è il nostro equilibrio.
Magari insieme. Chissà.


sabato 10 novembre 2012

Vele ammainate in mezzo al mare dopo il tramonto


Guardo il sole tramontare dietro l'S506 Enrico Toti dalla finestra dell'ufficio; il cielo è quello di una bella giornata autunnale, con i colori che si accendono e accompagnano la nostra luminosa e giovane stella a scomparire dietro l'orizzonte. Resta il buio.

Esco e mi dirigo verso la fermata dell'autobus; il telefono in tasca, silenzioso; le cuffie nelle orecchie; non cerco compagnia, non ne ho la forza, non riesco a trovare un equilibrio nelle comunicazioni e nei dialoghi; non riesco a capire dove portino e perché continuino a sconvolgere in questo modo la mia vita; faccio ancora fatica a trovare una stabilità emotiva, subappaltando all'esterno di me stesso la mia felicità.

Il moderno novantaquattro riparte con la sua solita fretta; perché quando hai una tabella di marcia stabilita con un obbiettivo ed un percorso ben precisi non hai motivo di rallentare e di prendertela comoda; segui la tua strada guardando dritto avanti ed evitando gli ostacoli. Ma è un ibrido, il novantaquattro; doppia alimentazione, diesel ed elettrico. Qui invece la fonte di energia è sempre e solo una, ed il serbatoio è sempre più in riserva. E manca una destinazione; manca un percorso; manca una direzione.

Ammaino le vele, non c'è più un vento da seguire, non più un'isola da raggiungere; è ora di tornare al porto di origine, mettere i piedi sulla terraferma, ripristinare un equilibrio messo sempre più in pericolo dal continuo sballottamento causato dalle onde; è ora di stendersi a letto e mettere l'ultimo album dei Goo Goo Dolls in sottofondo e non pensare a niente per un'ora; è ora di trovare i problemi ed eliminarli, in qualche modo, di pensare di nuovo un po' a me stesso.




venerdì 9 novembre 2012

Yet to be


“Come ti senti?”

“Come mi sento? Come qualcuno non ancora in grado di essere”

Con queste enigmatiche ed insensate  parole definirei al momento la mia esistenza. E’ come se le piccole e banali conquiste quotidiane, per quanto affabili, non riescano a soddisfare la mia voglia costante di ricerca ed ancora una volta, come da tanti anni, sento quel bisogno di partire.

“Prendi e  parti”, viene da dire. 

E’ che decidere di partire è un po’ come ammettere di essere uno zero prossimo ad essere arrotondato ad 1. Uno zero, ancora nulla, in attesa della sua evoluzione. 
Un 1 non parte se non per necessità, perché qualcosa è diventato, solo gli zeri vanno alla ricerca del loro completarsi, perché forse lo zero non si accontenta di fermarsi ad uno, forse mira ad arrivare ad 8, stendersi ed ingannare la vita fingendo di essere l’infinito, in una scala numerica creata per misurare, con la concezione che non ci sia un limite al divenire. Così si sentono gli zeri, punto di arrivo e di partenza di una serie positiva e negativa di essenze sugli assi di una vita incerta ed ancora da definire. 
Per uno zero la misura non esiste, niente è dato, niente è status quo, ogni cosa è una strada da percorrere, con l’incertezza di ritrovarsi in un cerchio che conduce al punto di partenza, ma con la speranza di poter finire in una spirale di crescita…


Colonne d'Ercole



Via Mazzini, Colle di Val d'Elsa. Novembre c'è e si fa sentire, arrivato prepotentemente col suo carico di splendide giornate limpidissime, per me le migliori di tutto l'anno, fredde e sempre più affascinanti.
Stamani le ho osservate bene, quelle colline verdi, immerse in questa luce che si sforza di sembrare quasi estiva ma non ci riesce per la natura degli eventi. Sole, sei eroico e ti ammiro. 
Le ho osservate quando ero diretto con tutto me stesso verso la quarta fila dal medico di questa settimana, alla ricerca di quel problema che nessuno sa cosa sia. 
Pare anche ci sia qualcosa di grave ma ci sorridiamo e via, veloci come il vento, a testa bassa tranquillizzando tutti. 
Forse sono io che mi ribello a me stesso, chissà.
Cammino, alla ricerca di un pezzo di pizzettina, o di un panino. Ho fame, mangio poco, pochissimo a pranzo, e adduco ridicole e stupide giustificazioni a tutto questo. E alle volte mi faccio pure ridere me stesso quando sprazzi di quella razionalità quasi terribile sopraggiungono dentro di me, a scacciare quei raggi di sole dovuti alle piccole convinzioni, alle eccessive giustificazioni di ogni comportamento.
Se c'è qualcuno che non riesco a giustificare è me stesso. Travolto da questa strana, brutta, orribile vicenda, il terreno frana.
Oh, che bello sarebbe un domani divenire il risultato di pensieri, di sguardi dentro se stessi. Non avverrà, o forse sì.
Sono sballottato da questa tempesta, sul molo. Arrivano gli spruzzi di acqua a chi, fermo ad attendere, sa che non è prudente tuffarsi.
E penso a quella nave che  andata via, da me, oltre le collone d'Ercole che avevo costruito, i paletti che avevo messo.
Paletti che sto togliendo adesso, da me stesso. Tanto qui è solo questione mia di sicurezza. Ed eccomi qua, finto spavaldo, a non saper cosa fare.
Vorrei chiamare, ridere e schierzare come facevamo un tempo: uscire da questo vortice profondo di lacrime rimandate a forza indietro, di un paradiso forzatamente costruito a mio uso e consumo. 
Nutro una paura forte ad alzare il telefono e chiamare quel numero, a scrivere anche solo un "ciao". 
Per rispetto evito. Credo che ognuno debba avere tempo per guardarsi dentro, per fare quella bella attività che è il pensiero stupendo.
Phil Collins canta uno dei suoi più grandi successi.
"...But to wait for you,
well that's all I can do and that's what I've got to face..."
.
Devo solo aspettare, non farmi illusorie e stupide speranze. Aspettare un segno, vivendolo per quel che è, senza interpretarlo. Ecco il mio più grande errore: ho sempre cercato di avere il controllo e mai pensato che chi sta con me, è lì perché vuole.
Ma almeno stavolta non faccio danni, non coinvolgo alcun essere innocente, nella fase di recupero di me stesso.
Bella prova di maturità, magari potevo accorgermene qualche anno fa quando combinavo casini a ripetizione.
Fiducia, imperativo categorico. Fiducia in me stesso, sicurezza. Fiducia nell'altra persona che non sa che le differenze si sentono di già adesso che sto perdendo tutto, e ho pensato e ripensato a quello che devo essere.
Sarebbe serenissima la nostra vita adesso.
Ho cambiato le cose. Sto cambiando le cose. Non è facile, ma è fattibile. Ora mi vedo in una bella, bellissima dirittura di arrivo. Però ancora lunga. 
Perché mai nessuno nella vita mi ha scritto, detto, fatto capire che sentiva il fatto che "...prima o poi quell abito bianco lo metto...". E io sarei stato contento di averla accanto, quella donna con l'abito bianco.
Di questo passo, la mia macchina ha 55.000km e tante storie da raccontare. Il problema è che nessuna di esse ha un cavolo di lieto fine.
E a chi, in modo amichevole mi dice "...so solo che quando una prende un uomo come te...deve essere in grado di stragli accanto, in tutti i sensi...ed è una cosa che si cpisce immediatamente...i tuoi limiti sono chiari come se li avessi scritti in fronte....", rispondo di esser conscio dei miei difetti e limiti.
E cerco di migliorarmi.
A Pordenone andrò solo, questo dicembre. Solo, come un cane, e pure poco voglioso di sorridere. Non faccio soste e pranzi altrove come l'altra volta.
Non è andata come avevo preventivato.
E non avrò sorprese nel viaggio di ritorno, come l'anno scorso. Eh già. Meglio tirar dritti verso casa e tentare di rinnovarsi. Lo sai tu, lo so io. Meglio tirar dritti verso un cielo blu che fa sempre più male, non volendosi intonare all'umore grigio del sottoscritto.
Come vorrei davvero riprendere quella strada, quella stessa strada, ritrovarci una sorpresa, quella sperata. Ritrovarci quegli occhi, quel cuore che mi ha dato tutto in maniera incondizionata nonostante fossi difettato come la Maserati Biturbo.
Non mi illudo, tutto può succedere e la vita, se uno ha, contrariamente a me, salute, è lunga.
Voglio solo sperare. E non ci riesco tanto bene, ora come ora.

martedì 6 novembre 2012

La buonanotte nella pausa


Strada Comunale delle Lellere, 80km/h di sesta. L'Eroica corre verso il lavaggio, finalmente. Sono giorni che è sporca e non ho avuto modo né, in effetti, tanta voglia di lavarla. Ci devo andare, per forza.
Ripartiamo dalla voglia di cambiarla.
Se non avessi uno studio da mandare avanti, e altri cavolo di aggeggi da fare, avrei davvero voglia di prendermi un mese per partire. Magari anche in solitaria. Magari anche con chi, come me, ha delle ferite da rimarginare. 
No, ora che ci ripenso da solo non ci andrei.
Invidio chi ha questo coraggio, chi si arrabatta in circostanze particolari per star bene con se stesso. Ha ragione Federico, ha fatto bene ad andare in Perù da solo.
Ti ammiro, brother. Tanto.
A differenza tua, sono così costantemente bisognoso di segni, di vicinanza, per poter fare le cose in modo sereno. Eppure anche tu eri come me. Anche tu non eri così tenace come prima.
Fratello ti invidio, di nuovo.
Avevo bisogno di segni anche quando l'altra persona mi aveva messo in pausa, quando arrivava la buonanotte. Vivevo tutto il giorno in trepida e tachicardica attesa di quel messaggio, che per me significava "io ci sono, Andrea". Ma non era così. Lentamente le cime che ormeggiavano te, mia metà ancora così presente, al mio molo, si allentavano.
E forse ti ho pure dato una mano io a slegare quella legatura di bitta.
Una volta alla deriva hai dato tutto gas ai tuoi potenti motori, via da me, da questo triste molo che nonostante tutto rivuole la propria nave attraccata. Non mi importa di altre navi, belle, facili, nuove.
Non mi importa nemmeno di storiche petroliere che volevano attraccare.
Io voglio la mia nave, quella che mi ha sorriso per quasi un anno e che ora è andata via a fare chissà che traversata, verso chissà quale porto, quale pontile.
Non so se tornerai, ma sento che rimarrai a lungo in mezzo a queste pagine che sfoglio continuamente, in mezzo ad ogni mio gesto. E' impossibile dimenticarti, adesso.
Ed è impossibile non aggrapparsi a quel piccolo segno che tu ogni giorno, nonostante tutta la sofferenza che provavi, facevi comunque perché ne avevi voglia.
Ecco, proprio stasera la vorrei. Perché le lacrime, che adesso non escono più, ma che a litri sono uscite, non hanno lavato lo sporco che si è depositato su di noi.
E allora, se leggi, buonanotte.

domenica 4 novembre 2012

Apnee



In questi giorni mi domando a tratti (piuttosto lunghi a dire il vero, anzi durano ore, mannaggia) che strada farebbe il tuo viaggio di ritorno.
E' estremamente improbabile che ciò avvenga ad oggi. Ma comunque, dire a se stessi una piccola docle bugia non fa male se aiuta a sopravvivere quando altrimenti ciò non avverrebbe.
La strada è quella. La sappiamo tutti. O meglio, per te è una ferrovia e un bel pullman blu della SITA.
Ciò che conta, come dici tu, è il risultato. Risultato che non arriva. Immagino il ritorno e il mondo che riprende colore, l'esistenza che diventa vita.
E invece no. Da quel giorno, recentissimo, a bordo dell'Eroica Mito, sono rientrato in quello spiacevole tunnel che si chiama amore deluso.
Ero conscio di essere entrato in codesto tunnel, e infatti avevo figuratamente fatto il pieno di benzina, creato una "exit strategy" che ritenevo adeguata, portato le provviste per starci anche parecchio tempo.
E avevo schiacciato l'acceleratore, finché ce n'era. Lo sapevo bene che il viaggio nel tunnel sarebbe durato molto. Credevo che, come tutte le volte, l'uscita fosse vicina.
Invece stavolta no. Le luci rimbalzano sul cofano dell'Eroica, sempre di più.
La benzina scarseggia e mi vedo costretto a rallentare l'andatura. Non se ne vede la fine di questo tunnel.
Provo una incredibile sensazione di impotenza, che mi circonda continuamente. Il non poterti contattare, l'esserne del tutto impossibilitato, mi porta a non riuscire a fare niente di possibile. Anche una chiamata, dolce, avrebbe potuto fare qualcosa in più per avvicinarci.
E invece, schermata dalla rabbia che trasuda da ogni tua fibra non esiste possibilità nemmeno di contattarti in pace.
Che tristezza, la nostra bellissima storia distrutta in modo del tutto arbitrario dai miei comportamenti, da un tuo "far muro" adesso che ritieni che tutto sia perduto.
Vivo una terribile sensazione di apnea che mi attanaglia. Apnea fortissima. Una telefonata, un segno, sarebbe divenuto forse una boccata d'ossigeno.
Ma la traversata senza ossigeno sarà lunga, cosicché respirarti di nuovo, e magari in modo continuativo, sarà qualcosa di bellissimo e naturale.
Sarà un ritorno alla natura reale che abbiamo.
Per adesso tocca nuotare a rana sotto la superficie acquatica. Tocca tollerare movimenti strani e incomprensibili.
Tocca rimettersi in gioco.
Non respiro. La mia vita è appesa ad una serie di speranze che fanno battere in eccesso il cuore, che mi costringono ad attribuire valore a segnali del tutto normali, che mi fanno venir voglia di fare pazzie.
Una parte di me sa bene che cosa vuole: salire in macchina, 223km, abbracci, baci, occhi che si incrociano di nuovo e la consapevolezza che siamo insieme di nuovo.
L'altra parte di me sa che è presto. E' presto perché la vita è lunga, è presto perché la rabbia sopra citata offusca anche la minima voglia di vedere lo scrivente.
Offusca anche ogni sentimento.
Sono sott'acqua, a pochi centimetri dall'aria, ma non riesco ad emergere.
Non riesco ad uscire da questo tunnel, lungo centinaia di chilometri, e la benzina scarseggia, e se succede qualcosa in galleria è un grandissimo problema uscirne.
La luce non si vede, l'ossigeno non si respira. Come fare adesso? Cosa fare?
Mi sento un passeggero clandestino del tuo profilo Facebook che è pubblico, che controllo in maniera compulsiva, male interpretando ogni cosa in esso avvenga.
Sono schiavo di questo malatissimo amore, cercando di curarlo.
Come vorrei che il mio telefono suonasse, che davvero tu avessi impostato la strada del ritorno sul nostro navigatore. Invece no. Non è così adesso.
Non lo sarà per molto tempo.
E ti amo, cavolo se ti amo.
Mai come adesso lo so.

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