venerdì 30 marzo 2012

Centosettantanove

Perché quest'inquietudine? Perché questa voglia di tornare a risalire quelle scale che non avrei voluto scendere? Perché questa ostinazione nel continuare questa traversata oceanica di bolina con il mare mosso ed il vento che va e viene? Perché questo continuo scontrarmi con le mie paure? Perché questa paura di sbagliare? Perché questo continuo sentirmi inadeguato alle situazioni, alle persone, alla vita? Perché questa mia ossessione con i numeri incompleti? Perché novantanove e non cento?

Restano ancora troppe cose da fare, troppe cose da dire, troppe parole rimaste dentro, troppi dubbi, troppe paure, troppi discorsi da completare; e c'è ancora tanta voglia di salire in macchina, partire e cantare a squarciagola, per distendere quelle tensioni che continuo a crearmi a causa di risposte che non arrivano perché ho paura a fare le domande. Rivoglio il sole, rivoglio le stelle, rivoglio quelle due ore e mezza di felicità, voglio fare altre pazzie... pazienza, devo avere pazienza... non mi è mai mancata, perché ora mi fa questi scherzi? Cosa è cambiato?

Eppure un po' alla volta sembra sistemarsi tutto, sembra che le cose e gli eventi convergano, ma ho ancora paura di andare a sbattere contro un muro, ed ora ho timore di finirci ad alta velocità e quasi senza protezioni. Allora alzo di nuovo il volume della musica per cercare di coprire ed assopire i miei pensieri, con qualche, seppur scarso, risultato; ma la mente corre sempre là, ripercorrendo al contrario quelle scale e quei binari che per due volte mi hanno riportato a casa col sorriso ma con tutti i dubbi ancora al loro posto.

mercoledì 28 marzo 2012

I binari la mattina presto

Frankenstein Frecciabianca delle 6.47, il fedele Trattore lasciato nel nuovo parcheggio 24h dietro la stazione; il cielo inizia a colorarsi, mentre la città è ancora per lo più addormentata, come parte dei passeggeri della carrozza 8; la musica dell'amico maestro pilota suona nelle orecchie (prima o poi mi deciderò a sistemare l'iPod e metterci anche la mia...), con Alanis Morissette che mi ricorda quanto la vita a volte possa essere ironicamente crudele nella sua totale indifferenza verso gli sforzi di noi poveri esseri umani.

Nel frattempo il panorama scorre al di là del finestrino; vedo il lago di Garda illuminato dai primi raggi di sole e mi viene in mente di non essermi mai accorto che si vedesse dal treno, ma oggi sono sulla fila di destra con lo sguardo rivolto indietro, in modo contemporaneamente uguale e contrario rispetto all'ultimo viaggio, quello odiato sulla carrozza sette, e ragionandoci un po' capisco che quella sembri effettivamente l'unica posizione da cui sia possibile vederlo dal treno.

Il sole si alza e mi segue per tutta la giornata, anche questa volta fin dopo il tramonto, tra incontri buffi e caratteristici di quella nuova città che, dopo diversi tentativi, da lunedì inizierà a diventarmi più familiare. Perché questa volta dei cambiamenti ci sono, sono veramente imminenti, e si sono palesati, per un ironico scherzo dell'indifferente destino che ci ostiniamo a combattere, in quella stessa data, il 27 marzo, che giusto un anno fa ha privato me e molti amici di un grande Maestro; ed è come se ci fosse un po' di lui in tutto ciò.

Quando alla fine il sole tramonta del tutto ridiscendo altre scale che non avrei voluto scendere e torno ai miei binari, al mio Frankenstein Frecciabianca, alla mia carrozza otto (non sono superstizioso, ma evidentemente alla carrozza sette devo stare antipatico), al mio Veneto che mi saluta facendomi rivedere il Lago di Garda (anche se nell'oscurità), alla mia città, al mio Trattore ...a casa. Una casa che evidentemente diverrà sempre meno materiale.

lunedì 26 marzo 2012

Tentativo disperato di recuperare i ritardi

Correva la stupidissima estate del 2011.
Di lato i campi erano appena stati trebbiati ed emanavano un odore così particolare, che penetrava dentro l'abitacolo dell'Eroica senza che io lo volessi.
C'era profumo di grano, quasi di pane tutto intorno alla Valdelsa, intorno alla schifosissima Statale 429.
Era l'estate di Give me Everything e Party Rock che venivano rimbalzate e propinate su tutte le radio, a tutte le ore, tutti i giorni.
L'Elba era bella, come sempre, con il mare smeraldino e le montagne alte che svettavano. La macchina correva veloce, anche troppo, tra le mie mani esperte di pilotaccio che pensava di rimettere a posto le cose, un giorno.
Un giorno, appunto.
C'era chi mi diceva "ti amo", e io rispondevo per mera cortesia.
Inizio a costruire corrispondenze, cose strane tra la mia vita e quella di Francesca, attuale compagna di vita.
Mi vengono strani parallelismi pesanti di quel periodo. Evito. Meglio.
E oggi vorrei andare in Chianti, ma sono ancora a piedi.
Il metrolift della mia città è lì che mi porta su al Baluardo, e solleva le mie velleità camminatorie.
Cammino e mi rendo conto di quanto sono in ritardo sugli altri. Belli sposati, con lavori solidi, e io invece rincorro chimere, i bollettini della cassa forense e la benzina che sale sempre più.
Sono in ritardo perché ho seguito il cuore, ho rincorso sogni, ho vissuto e vivo senza esistere. E me ne vanto anche, quando sembro agli occhi degli altri un eccentrico.
Invece di camminare corro dove gli altri vanno a passetto leggero.
Vanno a passetto leggero, gli altri, perché possono e io vado a 200km/h per le strade sapendo di essere in debito nei confronti di qualcuno, sapendo di essere lì pronto ad essere gettato fuori alla prima defaillance.
E' il duro compito di essere principi azzurri, di essere ancora in costruzione, un cantiere perenne. Sono colui che si insinua nei pensieri altrui e ne esce a velocità altissima, così come ne sono arrivato. Ci sono strade lunghe, che durano anni e sembra quasi di essere in gara.
E a tratti i pensieri si proiettano dove non devono, vanno veloci perché sanno di dover recuperare il ritardo. Eccomi, perenne ritardatario innamorato.

domenica 25 marzo 2012

Chasing cars


Di ritorno da un sabato in Kent, dal matrimonio di una giovanissima e ciccipucciosissima coppia di amici di un'amica. La ciccipucciosità si è chiaramente vista quando hanno aperto le danze, hai presente gli occhi a forma di cuore? Ecco. Mi fa sempre un po' strano il vedere miei coetanei, o ragazzi più giovani ancora come in questo caso, avere un lavoro stabile, progettare e costruire un qualcosa di duraturo nelle loro vite. Progettare. Questi tre mesi a Londra paradossalmente mi stanno dando una stabilità che non avevo da tempo, è da quando ero in Belgio in Erasmus che non stavo ferma nella stessa città per così tante settimane di seguito, e prima dell'Erasmus...solo il liceo.
Sono tornata a Londra stamattina, tanto per cambiare con un trolley in mano, e dopo due chiacchiere con un'amica, credo anche un po' per combattere questa sensazione di vita sospesa, ho deciso di farmi una bella camminata, la musica a tenermi compagnia. Amo in maniera viscerale Camden Town e il suo chiassoso e coloratissimo mercato. Tutta questa gente, i profumi dei cibi provenienti da ogni parte del mondo, i negozianti punk, i bar gestiti da ultrà vegani, la mescolanza di culture... mi fanno sentire viva. Questo randagismo in posti nuovi in fondo mi piace,  ma so - perchè lo so - che non è la mia priorità. Che ho un gran bisogno di un posto da chiamare e sentire di nuovo come "casa". Che questa precarietà di ogni aspetto della mia vita attuale non mi fa bene. Che voglio un posto stabile perchè cinque anni e mezzo di distanza non sono facili, e quando sei a Londra in una giornata di sole come oggi c'è una sola persona che vorresti davvero avere accanto più di ogni altra cosa e con cui vorresti romanticamente dividere la mega porzione di noodles alle verdure che ti sei appena presa.  Che vorrei permettermi più costanza nel canto, non dover cambiare una palestra a trimestre, avere i miei vestiti (e le mie scarpe... un sogno!) in un unico armadio. Immagino si tratti di trovare un punto di equilibrio tra la mia voglia di provare a fare il mio lavoro come dico io e sapermi fermare e dire no quando serve, cosa comunque non facile visto il mercato del lavoro - tutto - in questo periodo. Ma come si capisce quando ci si può finalmente fermare, anche solo per un po'?

If I lay here If I just lay here Would you lie with me and just forget the world?

giovedì 22 marzo 2012

Il Sole dietro le nubi

Sono sempre fermo su questa sedia, ma Time dei Pink Floyd in sottofondo mi fa viaggiare; mi fa viaggiare ad un pomeriggio di sole di poco meno di un mese fa, in una città a me ancora quasi sconosciuta, esplorata per buona parte in compagnia di un amico scoperto e rivalutato, che al momento opportuno mi ha lasciato continuare l'esplorazione in solitaria; ora mi chiedo se non ci fossero troppe novità in un colpo solo, se io sia capace di sopportare tutti i cambiamenti che sono nell'aria anche se ancora non ne vogliono sapere di arrivare.

Alzo il volume della musica per non sentire i miei pensieri, ma sono troppo forti, fanno un rumore insormontabile, e neppure il lungo ed incredibile assolo di Sorrow (nella versione live di Pulse) riesce nell'intento di domarli; mi accorgo di vivere una lunga battaglia contro me stesso per non commettere altre pazzie che farei ancora, di nuovo, ogni giorno, ma che ho paura porterebbero a peggiorare la situazione.

Ricordo il sole che iniziava a scaldare l'aria, la frenesia, la curiosità, un caffè al volo, una lunga passeggiata, le speranze che per una volta non sono state disattese, il sole che ha continuato a splendere anche diverse ore dopo il tramonto, anche sotto le stelle; ricordo le scale, che non avrei voluto scendere ma ho sceso e che avrei voluto risalire ma mi sono fermato a metà, i binari che non avrei voluto seguire, il parcheggio a cui non avrei voluto tornare e l'autostrada che non avrei voluto ripercorrere.

Sono qui e non vorrei essere qui, la testa di sicuro non lo è. E mi torna ancora in mente quel recente dialogo, idealmente in preparazione di un naufragio non ancora avvenuto, anche se la barca fa già acqua da tutte le parti:
"Non ce la faccio"
"Nemmeno io, consolati"
"Siamo spacciati"
"Fritti"
Una guerra tra poveri insicuri, destinati a soffrire.

mercoledì 21 marzo 2012

Impaziente e curiosa


Ed eccomi qua, la nuova arrivata. Sono Impaziente e Curiosa, ma anche un po' Ingenua, parecchio Testarda, Sognatrice a tempo pieno. Dottoranda, una vita col trolley sempre pronto. Momentaneamente a Londra. Mi hanno definita Non Convenzionale. Direi Ambiziosa ma a modo mio, cioè il cammino è più importante della meta e o ci arrivo col mio stile o tanti saluti e mi cerco un' altra strada, un altro viaggio. Logorroica con chi mi va, a volte Taciturna in maniera imbarazzante.
In un blog di piloti... beh, io mi sento un po' passeggera.
Almeno ogni tanto come mezzo potrei usare la Yaris di casa, ma preferisco, quelle rarissime volte che guido, la berlina un po' catorcio della mia dolce metà. Quelle rare volte che siamo nella stessa città, quelle ancor più rare volte che mi privo del privilegio del posto sulla destra, che mi dà modo di farmi delle lunghe chiacchierate, delle lunghissime cantate, delle ancor più lunghe pensate. Sono così abituata a essere quella che prende decisioni che quando viaggio mi piace abbandonarmi ed essere trasportata un po'. Amo distrarmi. I miei mezzi usuali di trasporto, nella mia filosofia da passeggera? Treno, aereo, pullman, autobus, gambe. Ecco, amo camminare, macinare chilometri senza accorgermene persa nei miei pensieri, sentendomi davvero padrona delle mie scelte di percorso, senza bagagliai da riempire o traffico da evitare, leggera che di più non si può.
Esplorare posti nuovi, scoprire, provare... sono le cose che mi fanno respirare. Sono ghiotta di nuovi stimoli, e cosa c'è di meglio di un nuovo Viaggio per ricaricarsi?

Principi azzurri on the run

SS541 Traversa Maremmana, 145km/h, direzione Pievescola. Non ho idea del perché questa strada si chiami così, sinceramente, visto che va da Gracciano alla Collonna di Montarrenti. Forse perché di lì, faticando altri 85km come dei disperati a trattenere le macchine per i curvoni della 73 di Ponente infestate di trattori, e di mietitrebbie insorpassabili d'estate si arriva a Follonica.
O forse perché rischiando la vita per altri 80km attraverso la lunga e pericolosissima 223 si arriva sempre sulla costa.
Tant'è che questo rettilineo di 22km è stato teatro di diversi tour. Via per l'Elba, fino al Capannino della Suvera per la via lunga, tortuosa e TREMENDAMENTE ESALTANTE di Montieri, scendendo per la strettissima 439 sotto Massa Marittima, e via verso Piombino e verso l'ora di nave consueta.
Non ho idea nemmeno del perché io vada così forte, sarà lo stato di agitazione permanente che mi ritrovo di recente, del tutto immotivato.
Su questa strada c'erano notti d'estate in cui procedevo dritto a soporiferi 120km/h a bordo prima dell'Ammiraglia (per Anita new entry del blog: Lancia Ypsilon Turbodiesel iperaccessoriata con tetto di vetro, e ogni genere di amenità presente sul listino) e poi dell'Eroica (la mia famosa Alfa Mito rossa Twinturbo da 195cv e 298Nm di coppia che rende piloti pure quelli che si sentono fermi ma in realtà non lo sono), in cui tutto pareva perduto.
La bella campagna toscana intorno, i 5 castelli che nel tratto Colonna di Montarrenti-Gracciano dell'Elsa fanno bella mostra di sé da secoli, gli odori del grano trebbiato, il profumo del verde riscaldato dal sole del giorno, non c'era più, non veniva più percepita.
Lo ricordo chiaramente. Erano i primi di luglio, e tornavo. Qualcuno era accanto a me nel tratto critico. Prontamente scesa in centro. 3km di Senese a tutto gas, ma veramente a tutto gas.
Mi trovavo ad adempiere all'ultimo incarico da addetto agli scambi giovanili del Distretto Leo.
Tornavo, sperando di non doverci andare più.
Finestrini aperti a dissetarmi di vento, come direbbe quell'ammasso di Botox di nome Baglioni.
Tutto intorno non c'era che il deserto. Il buio deserto che era dentro di me diventava un'immagine traslata all'esterno. Buio, nero. Alta velocità nel più totale silenzio. Il motore turbobenzina non aiutava. Avevo appena montato la seconda turbina.
Un silenzio che faceva male, nonostante la musica a "volume 30" della Mito rossa.
Non riuscivo a riempirlo, nemmeno quando scalavo in quarta al curvone prima del Capannino.
Scalavo, tiravo a 200 km/h sul rettilineo nel disperato tentativo di lasciare indietro le lacrime, cercavo di arrivare come un disperato prima che mi raggiungessero, ma inevitabilmente sembravano essere dotate di una Maserati.
Nel frattempo qualcuno si divertiva alle mie spalle, e io con la forza della rabbia arrivavo comunque, nonostante tutto, a casa vivo, intero, vegeto, ancorché triste.
Ci ripenso a quel rientro. Faccia a faccia, a 180km/h con una volpe la cui ora non era scoccata quel giorno. Nemmeno la mia. Sarebbe stato uno sfracello, oggettivamente.
I Kings of Leon risuonavano con una prepotenza inaudita nelle mie orecchie, ammorbavano la mia mente, azzeravano ogni percezione auditiva, inibivano i pensieri, ed impedivano la vista.
Ero l'ombra di me stesso, stavo male, malissimo, in primis con me stesso.
Nemmeno la soddisfazione di sorridere a qualcuno che mi odiava mi riportò un attimo di serenità che avrei meritato.
Avevo perso tutto il potenziale da osservatore che adesso sto mettendo a frutto.
Se ci penso, quando adesso attraverso la oggettivamente piatta pianura padana, mi soffermo molto ad osservare ogni piccolo particolare.
Tutte le volte che riparto da lassù, diretto qui in Italia centrale, guardo albe, colgo la bellezza dell'umidità riflessa nel rosa del mattino, faccio mio il Paese che nasce, cresce, vive, impreca, guida.
E non posso che essere felice di aver trovato questa serenità. Anche il deserto e una pianura hanno il sapore di vittoria, adesso.

Venti nascosti

Gli occhi cercano sempre qualche traccia di quel vento di Ponente che per qualche settimana ha fatto viaggiare la barca, ma a parte una flebile folata non ne vedono traccia; resto così fermo in mare aperto, senza accendere il motore per paura di finire la benzina e dover chiamare i soccorsi più di quanto non stia già facendo ora.

Marooned by Gilmour, Wright on GroovesharkE cerco di riempire queste attese, cerco di imbottirmi di Pink Floyd per scacciare le ansie, a partire dalla spesso sottovalutata Marooned; poco meno di cinque minuti e mezzo di brividi tra le note della storica Stratocaster di David Gilmour e gli impareggiabili suoni di piano e sinth di Richard Wright. Cerco di immergermi nella musica per scacciare pensieri che viaggiano per lo più ancora in un'unica direzione; e che sembrano non tornare.


Attendere, aspettare, non insistere ...perché? Avrei voglia di combattere, di riprendere quella cavolo di macchina e rimettermi per strada, rifare quei duecentotrentuno chilometri contro le mie vecchie paure e le mie vecchie insicurezze, risalire su quei binari colorati con ancora quel "ma che cazzo sto facendo?" che risuona forte in testa; vorrei rivedere il sole sotto le stelle. Cosa ci faccio bloccato su questa sedia ad ascoltare musica che alla fine riporta in ogni caso i pensieri su quella strada apparentemente a senso unico?

Con Andrea riflettiamo sulle difficoltà di chi rincorre e, di fronte ad una soluzione impropria per i nostri caratteri, la mia domanda è una sola:
"...Sì, ma come?..."
Non ne siamo capaci.

lunedì 19 marzo 2012

Quadro effetto notte


Tre persone, un'epoca, un dialogo, un'atmosfera.
Era l'estate del 2010, se non vado errato. Tre persone totalmente diverse tra loro, sedevano su un muretto isolato, al di sopra della città.
A far da candelabro: una torre, illuminata dal basso, senza più prestanza, senza più memoria, ma pur sempre simbolo da rispettare.
Non so come ci eravamo finiti, tre sentieri si erano incrociati; per uno ho dovuto compiere un lungo viaggio composto da km e km, mentre, per raggiungere l'altro si è reso necessario un percorso di evoluzione, durato anni.
Un concetto è riuscito ad unirci: nessun confine. Nessun confine fisico, per quanto riguarda l'amica delle montagne. Nessun confine morale, per quanto riguarda l'amico compaesano. E per me? Nessun confine, proprio nessuno, di nessun tipo, tanto che son riuscita ad incrociarli entrambi.

Dicevamo, era una notte calda, di quelle proprio appiccicose, che anche quando sei sull'unico cucuzzolo dell'unica montagna nel giro di chilometri, riesce ad impiastricciarti la pelle.

L'aria era profumata, ed il silenzio, se non fosse stato per le nostre parole, avrebbe regnato sovrano nella sua reggia sopraelevata. Dimenticavo: grilli su grilli condivano l'atmosfera estiva, come ubriachi nella notte di ferragosto.
Era una notte molto diversa da quella in cui, lo stesso anno, incontrai l'amica F., nel freddo inverno della Germania occidentale. Al contrario, era un giorno simile a quello del primo incontro con l'amico E.

Dunque, le tre persone più improbabili stavano sparanzate su di un muretto posto sull'orlo di un precipizio. Non parlavamo, blateravamo i discorsi più contorti e assurdi che si potessero fare, e forse era anche questo che ci piaceva. Ad un certo punto, a seguito di un commento su una mia sconfinatissima avventura, assolutamente da non rifare, E. se ne venne fuori con una perla che avrei conservato per tutti i mesi a venire.

"Ma tu sei innamorata di lui?" Sbuffò E.

"Che diamine significa essere innamorati? L'amore è impalpabile, dunque inesistente" Asserì serrando le labbra la 50% atea, 50% agnostica Mis-credente.

"Ci si innamora di tutto"
Risposta spiazzante.

Il silenzio. Il mio silenzio.

"Ci si innamora di un luogo, di un'idea, di una canzone" Proseguì lui. "Una volta sono stato in un paesino sulle montagne, sono convinto che non ci tornerò mai, ma mi è rimasto nel cuore, ancora lo ricordo..." Ecc... Ecc... Ecc...

Accidenti, un'interpretazione geniale. Chi diamine ha detto che l'amore deve esser baci, carezze, fiori e mandolini? L'amore è un'idea, un concetto, un gusto del momento, come il gelato al puffo, ormai estinto se non in qualche antiquariata gelateria.

Rendere proprio un concetto logorato dal conformismo, questa fu la lezione. In effetti di E. tutto si può dire, tranne che sia un conformista.

Così, in quella notte così infinita da arrivare a pensare di poter vedere più volte l'alba senza mai accorgersene, passai da non essere innamorata di niente e nessuno, ad essere innamorata di tutto. Anche io, come l'uomo che si innamorava di tutto (così lo definii dopo quella sera), iniziai ad essere la donna che si innamorava di tutto. Così, quando ad oggi mi fanno quella domanda che non avete nemmeno idea di quanto odi e trovi banale sulla bocca di molti (innamorata?), rispondo "certo" e proseguo con una sfilza di luoghi ed oggetti inanimati, sentimenti popolari, canzoni, idee, personaggi storici che fa perdere la voglia all'interlocutore di starmi ad ascoltare (mio ambitissimo obiettivo principale).

Ma la verità è che quella sera pure i miei confini mentali sono stati abbattuti. Non esiste uomo/donna che non sia perennemente innamorato di "qualcosa", ma, il più delle volte, quando si dice di esserlo di "qualcuno", ha vita più breve del gelato al puffo.

Broken Strings

Autostrada A13, noiosissimi 125km/h di cruise control, torno da qualche ora finalmente spensierata dopo una settimana incastrato nei binari di spaventose montagne russe di cui non vedevo la fine. Questa volta ci sono volute le parole (e tante...) di quegli amici ed amiche che ormai hanno raggiunto lo status di fratelli e sorelle acquisiti, per farmi tornare a più miti pensieri; no, di fondo nulla è cambiato, ma almeno in queste ore sembra che io riesca ad affrontare le mie inquietudini ed i miei smarrimenti con quel minimo di serenità che non trovavo più.


I dubbi restano mentre, dopo aver ascoltato a volume già alto Best of You dei Foo Fighters con le mani che ogni tanto si staccavano dal volante a simulare l'incalzante ritmo della batteria, James Morrison mi ricorda prepotentemente che non si può suonare con delle corde rotte, allora alzo il volume a livelli che la mia povera Golf non ricordava e mi metto a urlare forte assieme a lui e Nelly Furtado. E non ci sono lacrime questa volta, non è la malinconicamente triste voglia di urlare di Elisa in The Waves, ma una voglia solo di liberare energie rimaste represse; forse per la prima volta non ci sono rimpianti, anche se continuo a sperare che non tutta la storia sia ancora stata scritta.

Andrea e Ilaria nei loro post più recenti hanno sviluppato una prospettiva di quello che è stata la loro vita da quando questo blog ha preso vita; a quanto pare per tutti quel giugno 2011, punto di partenza di questa esperienza condivisa, è stato un punto di svolta, un punto, il mio, in cui ho iniziato (con difficoltà e sofferenze) a rendermi conto di essere cresciuto e a voler lasciare parte del mio passato nello specchietto retrovisore. Io, a differenza loro, sono ancora perso nel deserto, sicuramente vivo, come non mai (e chissà quando me ne sarei accorto senza le parole dell'amica pilota Conservativa), tuttavia perso, ancora in cerca di una via, di certezze, di un punto di ripartenza, di una safety car che ricompatti il gruppo e azzeri i distacchi.

Certo di strada ne ho fatta da allora; ne ho fatti di errori (soprattutto di valutazione), ho compiuto qualche (a quanto pare vana) pazzia, ho sbattuto la testa su dei muri, ho percorso strade nuove e sconosciute, ma forse più di tutto ho iniziato a parlare di me stesso sinceramente, imparando a nascondermi sempre meno e a non separare le mie diverse vite. E come mi ha ricordato l'ormai-fratello-acquisito Velocissimo ma Inconcludente pilota, forse le amicizie fantastiche che sto scoprendo le sto scoprendo perché sto cambiando io.

venerdì 16 marzo 2012

Luci nella notte

Giugno 2011. Ripenso anche io, come ha fatto Ilaria, al mese in cui aprimmo questo blog. E la mente ritorna a quei precisi istanti in cui aprimmo. Era la fine di giugno. La Multidistrettuale di Mantova c'era appena stata, a suggellare i sogni di qualcosa che avrebbe dovuto finire ma non finì lì e continua tuttora.
E ora arriva la mia risposta, molto sottotono, di livello molto minore alla bella esposizione della nostra senza dubbio stilisticamente ricercata scrittrice.
Era giugno, in effetti. L'Eroica aveva ancora solo 165 cavalli e l'assetto vecchio, se non con i distanziali. L'assetto faceva schifo, per carità. Avevo avuto, per una volta, dopo una parentesi mantovana, che tutto fosse a posto: c'erano ancora messaggi, contatti, non più dolci ma cattivi, rabbiosi.
Nei mesi precedenti avevo fatto di tutto per uscire da un tunnel fatto di lacrime, sospetti, di testa girata indietro.
E partì questo blog, con l'idea che il viaggio fosse un percorso introspettivo, dentro di noi. Iniziammo, con Francesco, e con la fida Ilaria, compagna di tante avventure e di tanti viaggi, anche eroici, amica vera e sincera, persona per cui ho provato qualcosa di forte seppur breve.
Comunque il tempo passava, e la fredda, solitaria e brutta estate entrava prepotentemente nella mia vita. Tentavo mosse avventate per riprendermi, illudevo persone, tante, che divenivano passanti non distratti della mia vita.
Le luci nella notte facevano male. Incrociavo fanali come lame che facevano bruciare per il sonno arretrato gli stanchi occhi che non avevano più lo sguardo acceso di un tempo.
Me lo dicevano tanti, che dietro a quel sorriso si celava una tristezza di fondo. E nel frattempo, qualcuno che avevo aveuto accanto sino a quel momento si dilettava, in ogni modo, per farmi soffrire, in una sorta di vendetta in corso.
Sms cattivi si susseguivano come martellate, e nella mia mente avevano il rumore di palline da tennis respinte, a far male, molto male, e raggiungevano l'obiettivo.
Colpivano forte.
Ma fu un periodo in cui, a distanza di poco, credevo di aver svoltato. A Mantova non sapevo che un amico stava diventando un fratello. A Mantova non sapevo che la via tracciata sarebbe stata una e improvvisa.
La strada è lunga per tutti. Lì per lì credevo di aver visto la fine del tunnel, ma era solo un tratto di strada all'aperto, peraltro abbastanza breve.
Tentai, in tutti i modi, di dimenticare.
Il tempo scorreva e non trascorreva, mai. Fino a che, quegli occhi che avevano quel fondo triste, quello sguardo sfuggente, paurosi di rimettersi in gioco, incontrarono altri due occhi sfuggenti.
Un'altra persona che provava le stesse cose e ostentava grandezza in modo pressoché visibile.
Succede che questi occhi si incrociano più spesso e non possono fare a meno di staccarsi gli uni dagli altri.
Succede che questi occhi si innamorano e, insieme, diventano felici.
Ecco la mia storia. Vissuta, in tanti modi e tempi. Adesso felice, vera, senza alcun filtro. Io amo. E sono orgoglioso della mia creatura.

giovedì 15 marzo 2012

Ricordando giugno

Mattina presto, ma non troppo. Clicco sul mio nome su questo blog per vedere cosa posso aver scritto di me, che ormai non corrisponde più a realtà.
Un dettaglio risalta ai miei occhi: "membro da giugno 2011".

Il pensiero torna a quel tempo passato.
Primo ricordo: il calore. Il sole filtrava gentile e deciso già dal primo risveglio; gli abiti, al tatto con la pelle, non apparivano più così freddi come al tempo presente. L'acqua del lavandino, con cui, con la lentezza del mattino, mi rinfrescavo il volto, era tiepida sin dai primi istanti.

E questo è ciò che, anche questa estate, potrò nuovamente sperimentare. Ma è pur vero che non c'è una stagione che corrisponda esattamente all'altra. Siamo esseri in evoluzione e tutto cambia, affinché tutto sembri sempre meno uguale.

Mi sveglio oggi, in questa mattina non ancora di giugno, non ancora calda a sufficienza. Cosa vedo di diverso nello specchio? Molto. Non sono io ad essere invecchiata, e non parlo di uno specchio comune, ma del mio personale, a cui mi affaccio di tanto in tanto per controllare che tutto scorra nella direzione giusta.

Giugno 2011 era un mese di libertà, di strade appena concluse e di strade appena iniziate, sebbene conosciute da lungo tempo. Giugno era un crocevia di emozioni passate, presenti e future.
A giugno c'era una routine che mai potrà tornare. Certe persone ancora attraversavano quotidianamente la mia vita. C'era un'aria di inizio.
Mi sono sempre piaciuti gli inizi, quelli in cui devi scegliere una direzione, in cui incanali le tue gioie e sofferenze affinché trovino il sentiero più confortevole, assicurandoti un saldo sempre in positivo per gli anni a venire.

Ed eccoci qua. Non esistono più i lunghi viaggi in macchina, le strade consuete, i panorami nuovi ma quasi familiari, i luoghi, i pensieri, le persone...

Tutto è andato: ho scelto una via, che non è altro che "vita" con una "t" di meno.
Ad oggi mi trovo inscatolata in un corso di eventi che si è susseguito, portandomi fino a qui: un punto morto nell'ennesima strada dritta, ampia e piatta (cit.).
Dritto è l'orizzonte del percorso dinanzi a me, sebbene sappia che qualcosa cambierà. Leggermente più tortuoso appare, invece, se mi volgo all'indietro, ma bisogna sempre voltarsi con la coda nell'occhio, per non rischiare di fare retromarcia.

Ricordo i sapori di giugno, il tepore del sole e quel vento finto, al profumo di mare, che si confaceva, per inganno, alla mia pelle.
Addio Giugno, addio vecchia via.

Mi ritrovo adesso a cercare un senso alle varie scartoffie, ad una tesi che non può esser definita tale, tanto è sconclusionata, se non nel mettere alla luce che l'uomo è sempre più a 90°,ma sempre più illuso di esserne a 360°: il centro, la chiave.
Forse il mondo non avrebbe potuto continuare con la coscienza di essere schiavi, o forse questo nuovo antropocentrismo lima le riserve di ossigeno costringendoci ad una morte precoce?

Ad ogni modo, relegata nelle mie scartoffie, mi siedo e penso a quanto possa aver, allo stesso tempo, perso e guadagnato nel giro di questi mesi. Unica conclusione (di una tesi stavolta informale e più sensata) è che tutto, al momento in cui deve cambiare, cambia con estrema velocità.
E questo spero che possa rallegrare l'amico pilota XF. Tutti ci siamo persi almeno una volta, per giorni, mesi, forse anni, ma grazie alla coscienza di essere tali, eravamo vivi, come io ero molto più viva di adesso.
Nel deserto (nella mia accezione personale di "deviazione dalla retta via") abbiamo gioito e pianto, con quello spirito che spinge a muoverti, lo stesso spirito che perdi quando "tutto cambia" e ti adegui ad un leggero trotto che non ha più sterzate, profonda gioia, né profondi pianti.
Sempre più convinta che la regolarità sia il "prozac" della vita, quei mesi persa nel deserto hanno adesso un sapore di vissuto, non di sofferenza.

Il sole tramonta sulla carrozza 7

L'iPod con la musica del mio amico maestro pilota mi spara nelle cuffie Ventura Highway degli America mentre la carrozza 7 del Frankenstein Frecciabianca si ferma alla mia stazione di destinazione. È una canzone di quelle da mettere nei lunghi viaggi, per andare avanti, invece per me ha coinciso con la fine di un (seppur breve) viaggio.

Ventura Highway by America on GroovesharkAvevo il sole in faccia perché ero seduto al contrario rispetto al senso di marcia, con lo sguardo rivolto a ovest, quasi a voler prolungare l'agonia di un rientro con gli occhi lucidi per tutte quelle cose che continuano a non uscire, a non trovare uno sfogo, aumentando l'adrenalina e l'agitazione e togliendomi il sonno in modo sempre più subdolo. E non riesco più a pensare a me stesso, al mio presente, al mio futuro.


Un po' alla volta il sole si abbassa, fino a scomparire lentamente, quando ormai ero vicino a destinazione, dietro i Colli Berici. Sparisce il sole e sparendo si porta con sé tutte le energie che mi erano rimaste, restituendomi alla mia città quasi come un sacco di patate, trasportato e sballottato a destra e a sinistra senza riuscire più a vedere un perché in tutto questo errare ...io che ho sempre amato i viaggi...

Allora scendo da quel treno, non sapendo più se sperare di doverci salire di nuovo o meno, iniziando forse a comprendere che i veri cambiamenti non li devo cercare al di fuori ma dentro di me.

mercoledì 14 marzo 2012

Treni in corsa


Il Frecciabianca delle 8.17 corre in mezzo alla pianura a velocità controllata, con il suo carico di speranze, sempre e solo speranze. Sheryl Crow accompagna la corsa con una malinconica "Run, Baby Run", mentre il cervello è ingarbugliato in pensieri su pensieri, per lo più inutili ed infruttuosi, come i miei sforzi di provare a migliorare qualcosa della mia vita.


A lato dei binari si scorgono i primi accenni di cantieri per la costruzione della linea per l'alta velocità; quella dei treni. E la mia? Dov'è la mia linea ad alta velocità? Dov'è che continuo ad impantanarmi? Le mie paure, le mie strade sbagliate, le mie ansie, il mio sonno che sta andando a quel paese, le lacrime che verrebbero da versare ma che restano dentro, le sicurezze che non ho mai avuto... è tutto ancora lì che da un momento all'altro rischia di cadere, tutto sempre in equilibrio precario, con la barca che rischia di scuffiare dopo un un'improvvisa sbandata, con il boma che ha attraversato pericolosamente la coperta.

Resta la paura, quella di ritrovarmi nuovamente in mare aperto senza un obbiettivo e senza vento. A cosa serve avere il coraggio, la pazzia e la fretta di cavalcare le onde alte controvento se poi un tale sforzo non porta da nessuna parte? No, dire di averlo fatto non conta e non è quello che mi interessa. Vorrei solo riuscire ad essere in pace con me stesso, senza venir sballottato da una parte all'altra dai venti e dalle correnti.

Ora quello stesso treno frankenstein (molto più realisticamente un suo simile e non proprio lo stesso, anche se è bello pensarlo) mi sta riportando a casa con il sole negli occhi, molto in anticipo rispetto alla tabella di marcia prestabilita, quasi a fuggire da una giornata di attese disattese, di tanti binari e di incroci obbligati.
E per la mia barchetta forse ora è tempo di ammainare temporaneamente le vele, mettere l'ancora a vento e far riposare un po' il timoniere.
...e tutto quello di cui avrei voglia ora sarebbero semplicemente un abbraccio ed una spalla su cui scaricare tutte quelle lacrime che restano dentro. Ma questo, i numerosi ignari compagni di viaggio che riempiono la carrozza 7, non possono saperlo; mi piacerebbe sapere cosa vedono, loro, nei miei occhi.

Pensieri a passo d'uomo


SS223, 140km/h...no, ho sbagliato periodo di nuovo. E' un'altra storia. Pure finita, tra l'altro.
Trasliamo di un anno, togliamo pure la bella e potente macchina rossa (non importa quale) da sotto il mio sedere.
Streetwalking di nuovo. Cammino, e l'ho presa come abitudine salutare. Fa bene allo spirito e fa bene al corpo.
Ma soprattutto aiuta a pensare a quanto è successo prima, nella mia vita. Ho la sensazione che quei due occhi uguali ai miei che sono adesso accanto a me e che mi incrociano ogni settimana lo sguardo sappiano benissimo cosa si nasconde dietro ai miei.
Lo ricordo, quando la conobbi, in quel 25 settembre 2011 ad Alessandria. Fu un fine settimana strano, in cui mi dimostrai molto odioso, e diedi, per la prima volta, il peggio di me stesso, con una persona che poi sarebbe divenuta quella per cui vivo: e per cui do il meglio.
Il sole al Baluardo lambisce il mio viso, nel modo più dolce. Sono circondato, a nord, da colline di tufo, per un lato da Palazzo Masson e dalla Torre di Arnolfo.
Sotto si staglia la parte bassa della città.
Dentro di me, pace.
Ho la sensazione che adesso, col passare del tempo, stiamo diventando una famiglia numerosa, con gli amici che diventano sempre più fraterni e le fidanzate che diventano sempre più mogli.

martedì 13 marzo 2012

Crazy dreams

Autostrada A4, 140km/h, il tramonto negli specchietti, una domenica pomeriggio di rientro da una fiera; oggi sembra lunghissima, non finisce più, tanto che, appena fuori dalla gabbia del tutor, contrariamente alle mie abitudini, l'andatura è aumentata più del normale, per aggredire quel che resta di quei duecento e passa chilometri che questa volta, contrariamente all'ultima che li ho percorsi, sembrano solo un'inutile e noiosa striscia d'asfalto.

La stanchezza accumulata dalla giornata e le poche ore di sonno della notte precedente aumentano la voglia di far presto a tornare a casa a riposarsi; mi concentro sulla strada, mentre tra un discorso e l'altro con mio padre, le note degli Hanson (quelli cresciuti, fisicamente e musicalmente, non quelli dell'apparizione fanciullesca degli anni '90) accompagnano la marcia verso quel profondo Veneto che ho l'impressione inizi a starmi un po' stretto.


Ma il pensiero corre inevitabilmente a quanto accaduto nelle ultime settimane; corre alle pazzie che mai avrei creduto di essere capace di fare, ai limiti superati, alle ansie, alle notti disturbate, ai sorrisi, ai (seppur brevi) sogni ad occhi aperti. Mi chiedo se ci sono davvero sempre io ai comandi di quell'auto o se c'è un Francesco che è sempre stato nascosto sotto chissà quali e quanti strati di paure (e non è che non lo sia ancora) e che ora lotta per venir fuori dall'acqua, da quella sua pelle e da quella sua vita che, come la sua regione, iniziano a diventare quasi soffocanti..

Così quella mia barchetta, col mare grosso, tra un'onda e l'altra, prosegue la sua lunga traversata solitaria, tutta di bolina, risalendo un vento che non conoscevo, con lo scafo sballottato su e giù dalle onde nonostante i consigli di un equipaggio che, anche se non è a bordo con me, so che è sempre presente e pronto a rincuorarmi quando lancio i miei frettolosi ed impulsivi SOS.

...ma allora, forse, mancava solo un motivo per partire?

venerdì 9 marzo 2012

Streetwalking


Colle Val d'Elsa, Castello. Cammino stavolta. Niente macchina. L'ho volutamente accantonata oggi, per smaltire la tensione, l'adrenalina che ho in corpo. Si prova a camminare, visto che è un periodo in cui l'adrenalina in qualche maniera deve andarsene, deve essere filtrata via dal corpo. Non dormo praticamente per nulla. Elimino pure un caffè pomeridiano, anche se il sonno stenta ad arrivare.
E se nel quanto mai automatico percorso automobilistico, emozionale, bella strada, prova speciale (in questo caso la si fa in discesa, ma nel rally viene percorsa in senso ascendente) del Rally della Fettunta, si costeggia il castello, qui ci si passa dentro, fino ad arrivare ad un pressoché inespugnabile baluardo dotato di ascensore che porta alla parte bassa della città.
E con la calma (ma i tempi sono anche abbastanza similari alla macchina) della camminata e del viaggiatore che non vuol esser distratto si ammirano tutte le varie formelle della città, i bassorilievi e le incisioni, i madonnini, il Teatro dei Varii e la Torre di Arnolfo di Cambio.
Tremila metri, solo tremila metri mi separano da casa al mio ufficio. Tremila metri di selciati del 1200, calpestati da chissà quanti assedianti, cittadini, turisti. Palazzi storici a destra e a sinistra, la Porta Nova, o porta Salis, o porta Volterra, costruita nel 1479 su progetto di Giuliano da Sangallo in sostituzione di Porta Selva distrutta dagli assedianti Calabresi.
Si entra dentro e c'è tempo per riflettere, fotografare un mondo che appare diverso, ogni volta. Rido, cammino e sto bene.
Ogni tanto arriva qualche messaggino a cui rispondere. Certi interrogativi, specialmente uno, rimangono. Sono lì che premono e non sono contrastati dalla camminata a media velocità che attuo per arrivare.
Niente auto stasera. Niente autobus, nemmeno al ritorno. Cammino, per queste strade che sembrano nuove ai miei occhi, con la primavera che preme, anche se non è ancora arrivata, nella mia vita. C'è un vento da schermare. E dei presentimenti da mandare via.
Ma ci riuscirò presto, molto presto. Ne sono certo: le premesse sono buone. Ottime.
Evviva la vita. Quella in due. Alle volte basta poco. Yashal.

mercoledì 7 marzo 2012

L'alba di una nuova era.

Autostrada A13, 130km/h impostati col Cruise Control (cit.). Apparentemente è un rientro di mercoledì mattina, per tanti. Per tutte le macchine qui intorno sicuramente la percorrenza è minore della mia.
Nella mia rimbombano le parole del colonnello Kilgore in Apocalypse Now. La collina che profuma di vittoria è questa strada. Sono partito da Ferrara, di nuovo.
Ma non dovevo esser qui, in effetti.
L'Alfa, Eroica di nuovo, si conferma tale, e profuma anche lei di vittoria. A dire il vero mi dà la sensazione di essersi divertita pure lei: sembra che trasmettesse all'andata l'euforia, l'adrenalina dentro i turbocompressori, nel loro fischio che pare diverso, che pare ancor più intenso.
Torno dalla famosa Missione, quella EROICA.
BMW e Mercedes stanno dietro, quando i fischi delle mie 2 turbine invadono l'abitacolo e l'accelerazione si fa forte, e mi accorgo della neve ai lati dell'Appennino.
Ne traggo la conclusione che l'amore non lo ferma nulla.
Non sembra, ma la missione ha fatto bene soprattutto a me.
Ha fatto bene alla mia autostima. Ha fatto bene all'eliminazione di qualcosa di particolare, della paura di qualcuno o qualcosa che è lì vicino. Niente sembrava aiutarmi quel sabato. Niente.
E non potevo fare a meno di pensare che nella vita, inevitabilmente, non si è mai il primo e l'unico.
Si può aspirare ad essere l'ultimo ma mai l'unico. Sono cose con cui si deve convivere, specialmente a 30 anni.
Pedala, Eroica. Corri, quando puoi. Sii la prima di questa vita...
E per una volta, per la prima volta, voglio essere l'ultimo. L'ultimo dei tuoi pensieri, l'ultimo dei tuoi uomini. L'ultimo, quello che si ferma fino alla fine.
Evviva la missione. L'ultima.

Attese disorientanti

Linea ferroviaria Milano - Padova, il Frecciabianca delle 19.05, facendo quello che può, con un vagone con problemi elettrici, riprende la sua corsa mentre il giorno ormai aveva finito tutta la luce che aveva in serbo per quel piovoso lunedì; il treno parte ed i posti di seconda classe della carrozza 6, dopo il tumultuoso transito degli ultimi passeggeri saliti di corsa ad inizio treno, appena la situazione si tranquillizza, iniziano a raccontare le loro numerose storie. E provo a completare le storie a metà carpite da telefonate e sguardi di cui non posso conoscere il vero significato. Storie di tante attese verso un ritorno.

Una madre felice di tornare a casa dopo una lunga giornata lontano dal figlio, che non riusciva a nascondere la felicità e, con il suo sorriso, la diffondeva anche senza parlare. Un ragazzone di qualche etnia slava, taciturno ma gentile; gli occhi spesso guardavano all'esterno un panorama nascosto dalle tenebre; forse sognava la sua terra natia, arricciando lievemente le labbra ad accennare un malinconico sorriso. Una ragazza con un computer portatile lavorava alla composizione di un testo; forse un lavoro importante, forse avrebbe dovuto presentarlo il giorno dopo.


Tante avventure sospese in quelle due ore e pochi minuti di viaggio, in un giorno come tanti altri; ma ci sono ulteriori storie che vengono trasportate in quel vagone riadattato a nuova vita. Storie di attese professionali appena create, che potrebbero finalmente dare una svolta alla vita di un passeggero; storie di attese interiori che non fanno dormire, di emozioni forti e di visite improvvisate; storie di paure e tensioni che non se ne vanno; echi di turbamenti lontani e di missioni poi andate a buon fine; notizie di lotte che devono iniziare e di coraggio e speranza da infondere.

Come sempre le parole non bastano a descrivere le sensazioni che provo in questi miei vagabondaggi, i motivi che mi spingono ad andare avanti; quando servirebbero si bloccano e non mi aiutano ad esternare quanto sento. Sì, forse sono migliorato, e per questo mi sento di ringraziare due cari amici maestri piloti, ma la strada è ancora lunga...

martedì 6 marzo 2012

Viaggio di notte

Autostrada A4, classici 130km/h di cruise-control, notte fonda di un giorno che tecnicamente era già domani ma non voleva esserlo; un giorno finito troppo presto, tra sorrisi che restano indelebili e risate nuove ed inaspettate. E c'erano sempre e comunque la mia instabilità e la mia paura di prendere strade sbagliate a farmi compagnia, anche se ho dovuto aspettare qualche giorno per accorgermi che non mi avevano abbandonato.

I chilometri continuavano a scorrere, nonostante i canonici 130km/h, con una velocità mai vista, la macchina andava avanti quasi da sola, eppure ero ben sveglio e vigile; pochi ignari compagni di viaggio erano assieme a me in quel lungo tratto di larga e noiosa autostrada a quell'ora; chissà quali storie raccontavano i loro viaggi, chissà quali erano le loro mete, chissà da dove arrivavano, e chissà se c'era qualcuno ad aspettarli, se avevano già accanto chi li ha aspettati oppure se avessero lasciato i loro sogni nel luogo di partenza.

Ogni macchina una storia; mi piacerebbe pensare che ad ognuna fosse legato un ricordo del conducente, magari vissuto da poco, magari così bello da pensare che si sia trattato di un bel sogno, un viaggio vissuto superando paure e limiti personali, ascoltando senza esitazioni emozioni forti e nuove, alla scoperta di luoghi e persone speciali.

Mi abbandono a questi pensieri per qualche minuto, fino a che realisticamente capisco che non può essere così; non tutti i guidatori di quella lunga notte potevano essere in quelle condizioni ...ma almeno uno ero sicuro che lo fosse.

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