venerdì 30 settembre 2011

La paura di scegliere

Ci sono momenti in cui bisogna fare delle scelte, allontanarmi dalla vecchia strada per prenderne una nuova che non ho ancora percorso; ci passo davanti ma non ho il coraggio di entrare, anche perché il primo tratto è a senso unico e so che non potrò uscire dallo stesso incrocio ma dovrò percorrerne comunque un pezzo e poi, in caso la strada sia dissestata, svoltare ad un altro incrocio e trovare un'altra strada ancora per tornare indietro.


Proprio tre mesi fa si è chiusa una strada e sono tornato sulla vecchia Statale, esplorando però nuove traiettorie e vedendo panorami che l'occhio, precedentemente distratto e inesperto, ancora non aveva osservato. E ora ho paura; paura di fare una scelta su cui probabilmente pongo troppe aspettative, nonostante ora più che mai ci stia arrivando sereno, disturbato solo da memorie che affiorano contro il mio volere e che ancora appariranno, che devo imparare ad accettare e dissociare dal passato; un passato di cui non avevo mai avuto così tanto timore; un passato che immancabilmente intacca l'insperato ottimismo di queste ultime settimane. Imparerò. Prima o poi.

Ed in mezzo a tutta questa confusione passerò un altro weekend da secondo pilota e da navigatore; forse così potrò concentrarmi sulle mie di scelte, più che su quelle del percorso, anche se spero che questo non mi dia troppo tempo per pensare e rovinare da solo questi ultimi guizzi di associazionismo giovanile, di finta gioventù; non voglio spezzare questa ritrovata felicità. Devo respirare; piano, un respiro dopo l'altro; ritrovare gli amici che tanto mi stanno aiutando e che stanno dando un senso a questo periodo così altalenante, staccato ma contemporaneamente unito dalle mie precedenti multiple vite.

Forse questa volta so cosa voglio; forse questa volta so chi sono. Ora devo togliere i "forse".

Ritratti


E’ tempo di riaccensioni. Viaggiare. Questo nuovo percorso mi ha riaperto quella ferita che per mesi non ha smesso di sanguinare nuove emozioni, messe poi in prosa su questo, od altri, diari virtuali. Al contrario di quanto si possa pensare è bastato uscire nel mondo per trovare ciò che avevo perso.
La vena artistica… come si suol chiamare. A volte quel che perdiamo va cercato dentro noi stessi, attraverso lunghi periodi di solitudine, altre volte è necessario attraversare i grovigli del mondo, cercare in ogni angolo di panorama, in ogni anima che ci siede accanto. Così ho dovuto fare, quasi senza accorgermene.

Sedevo lì, di fronte a tanta gente, tanti pensieri frullavano in quel vagone sporco e logorato dal tempo, consolato forse solo da qualche rara manutenzione. Così, dopo aver mantenuto la mia personale frequenza di pensiero, esco da quella scatola che mi ero creata attorno, esco dal “mio mondo”.

Per la prima volta, dopo molto tempo, ascolto. Ho ascoltato il rumore del viaggio, che non è fatto di sferragliamenti su rotaie, ma, al contrario, di pensieri e parole. Ho dovuto immergermi pian piano in quel mare di ticchettii di orologio, troppo frettolosi, di occhi lucidi di chi parte, di stanche smorfie facciali di chi torna. In un solo attimo avrebbe potuto essere scritto un intero libro. Cosa ne sappiamo in fondo delle storie della gente? Così mi sono messa ad osservare ed ho creato il mio personalissimo album di “ritratti”.

Ritratto di signora

Sedeva sul sedile opposto, dall’altro lato del vagone. La signora, vagamente sui sessanta forse ancora da varcare, sfoglia delle carte nelle sue mani.
E’ vestita di una maglia leggera color oro antico, che fa da giacca ad un top variopinto di colori spenti, come una primavera spoglia. Una gonna, lunga e mediorientale, completa il suo vestiario quotidiano. Qualche anello vistoso agghinda la sua mano non più giovane.

Parla con un’altra signora, decisamente meno attempata, più mondana.
Le due sfogliano tarocchi, l’una di fronte all’altra, parlando del loro vago ed intrigante significato.
<<Questa ce l'ho...>> Recita quella seduta di fronte, parallela al mio sedile.
E così proseguono gli scambi di opinioni, carte, parole.

Ed io mi metto a pensare. Cosa diavolo spinge una persona a rifugiarsi in questa insana follia commerciale? Una scarsa cultura? Un’educazione non proprio "ortodossa"? O semplicemente la stupidità?

Con uno sguardo di disprezzo mi volto verso il finestrino. Nel frattempo la giovane donna seduta accanto alla signora mi osserva con curiosità attraverso i suoi grandi occhiali scuri. Ha forse compreso i miei pensieri? O è solo curiosa? Sui treni, come prima cosa, si tenta di ammazzare il tempo, in ogni modo possibile. Dunque non ci faccio troppa attenzione e proseguo nelle mie acrobazie cogitabonde.

Uno sguardo accende una scintilla. Quella signora la conosco. Da piccola sono stata più volte a casa sua; giocavo con le sue figlie, adesso gioiose e floreali figlie della natura. Ed in un attimo il panorama cambia.
Cerco di ricordare un marito, un padre, ma la memoria m’inganna, o forse non c’è. Dopo un attimo ne sono certa: non c’era.
Volgo un altro fugace sguardo alla mano della signora, mi colpisce il modo in cui sembra appassita, ma ancor di più mi colpisce un dettaglio: un anello dorato, piccolo e lucente, avvolto intorno al mignolo. Cosa può significare?
Dal mio ingenuo ed acerbo punto di vista lo definirei come un atto di attaccamento al passato. Forse quell’uomo non se ne è andato volontariamente, forse è stato strappato alla sua esistenza, forse è proprio per questo che tende a voler controllare la sua carnefice, ovvero la vita, grazie a delle stupide ed insensate carte.
Quando si crede che qualcosa ci sia stato portato via da una forza più grande, non importa quanto siamo religiosi, il nostro istinto spinge per contrastarla, prevedere le sue mosse, studiarla attentamente. Come a dire “ti sto osservando”, “ non ho dimenticato il torto subito”. E forse, infine, capita di perdersi, nella sua contorta, misteriosa ed inspiegabile forza.


giovedì 29 settembre 2011

Riaccensione

L'aereo decollò, alzando prepotentemente il muso verso il blu scuro limpido del cielo di quella mattina di luglio. I nostri volti fecero lo stesso, come se le punte dei nostri nasi fossero il muso dell'aereo, come se i nostri occhiali, pressoché identici, servissero a schermare la solita luce che si avvicinava prepotentemente alle nostre pupille, due azzurre e due marroni/verdi. Uno sguardo, un brivido, e l'aereo che con il concerto dei suoi due motori a 6 cilindri contrapposti, affievolito soltanto dall'insonorizzazione dell'abitacolo, si poneva a quota di crociera.
Laura era lì, affascinante all'ennesima potenza, avvolta nei suoi pantaloni larghi sulle gambe e stretti sul sedere, che portava da sola questa belva a 400km/h verso la sua meta, con il modo di fare di chi guarda i guidatori di macchine con lo stesso sguardo superiore con cui i marinai scrutano diffidenti la gente "di terra". Poco importava quel giorno. Lei era lì, al mio servizio, che avrebbe assecondato ogni mia puerile esigenza.
Non potevo fare a meno di staccare lo sguardo da quel volto pressoché perfetto, da quel collo quasi muscoloso, non annichilito dalle ore in poltrona. Avrei avuto voglia di sentire con le labbra la durezza di quel collo, ma ovviamente non si poteva. Mi sentivo anche un po' un traditore, in quei giorni di luglio, senza alcun motivo. Avevo ritrovato l'illusione, effimera quanto piacevole, di essere di nuovo me stesso in un viaggio simile a quello che sto per intraprendere domani. Non è stato così, lì per lì.
Laura pilotava un mostro volante e lo conduceva, quale nonnetto 32enne come lei, a fare con dolcezza ogni cosa che lei chiedeva.
Mi spiegava, col suo bellissimo accento, che negli aerei con due motori, esiste un esercizio che si chiama Feathering. Spegni un motore, blocchi l'elica come una piuma, e poi lo riaccendi. Nel frattempo, sei sfidato a mantenere la velocità e la quota, oppure a finire la manovra di decollo.
Roba da uomini, viene da pensare, e non da nerborute ragazze di 32 anni armate di forme spaziali, di due mani bellissime con la French, di Ray Ban Aviator e di una chiacchiera che, tra un contatto con le torri e i radiofari, parla di sé.
Lì per lì non capivo. Non percepivo la portata della riaccensione del motore, di un cuore che riprende a vivere. Ero permeato dai brividi che quella ragazza madre volante sapeva trasmettermi con tre parole, e una mano infilata per un attimo nei capelli che erano piuttosto arruffati in segno di amicizia, forse.
Discorsi e parole, sguardi nemmeno così innocenti si susseguivano nei 40 minuti di volo che ci separavano dalla nostra destinazione, mentre l'aereo sornione e profumato di pelle morbida si appoggiava lentamente e dolcemente sulla pista dell'aeroporto, sempre sapientemente pilotato dalla bella, bellissima, affascinante e attraente Laura.
Ridecollammo, poi, e fu un continuo rimbalzo di battute, pure a cena.
Nel mio viaggio di ritorno mi spensi di nuovo. Mi sentivo un traditore di chi non c'era più da mesi nella mia vita, ormai. Non mi sentivo pronto, a ricevere quello di cui avevo bisogno.
Ma adesso, a distanza di mesi, sono certo di aver "riacceso" qualcosa che dentro di me era spento, come il motore di destra del nostro aereo. Sono altrettanto certo di aver trovato un equilibrio, ancorché precario, ma la sensazione che si consolidi giorno giorno è altrettanto presente.
E' un equilibrio fatto di musica allegra, sbarazzina e impegnata, di scrittura, di lavoro e rapporti sociali, di parole e risate. L'equilibrio che cercavo.
Non so quanto durerà, ma per un altro minuto ancora sono certo che questa base non si spezzerà. Voglio volare, tra le braccia di chi sa come portarmi in alto. Anche senza motore.

Secondi piloti e zavorre

Partenza imminente. Questo è l'imperativo che risuona, da giorni, tra le pareti del cranio attaccato al mio collo.
Tuttavia, in questo periodo ci sono cose che non so come affrontare.
Non so come dire "no" a una festa, quasi fosse una obbligazione naturale che devo adempiere, non so come dire "sì" a chi vuol partire con me.
Sono confuso, moltissimo, in questo interludio tra la fine della calda e secca estate e l'inizio dell'autunno. Sono confuso perché la dura, durissima scelta di vita che obbligatoriamente che ondeggia pericolosamente verso la voglia di libertà assoluta, ma a tratti viene rispedita indietro dalla voglia di qualcuno accanto, di una storia seria, di trovare a tutti i costi l'amore e di non stare solo, sacrificando il tutto sull'altare delle emozioni che non vivrei.
Alle volte sbaglio obiettivo, anzi, il più delle volte mi pongo come colui che potrebbe dare tutto ma non è in grado di dare nulla.
Ecco, sono confuso. E' svanita ogni nebbia di innamoramento, adesso. E da un lato, tutto ciò è da considerarsi positivo perché aiuta a ragionare. Dall'altro però è una presa di coscienza che devo darmi da fare perché il tempo sta per scadere.
Oggi, la lancetta è nella zona della libertà all'ennesima potenza. E non penso più al passato.
Penso a quello che sarà, per un periodo, il deserto da affrontare, per poi, chissà, magari trovare davvero il secondo pilota.
Amo la guida, ma questo lo sanno tutti. Quello che pochi sanno è che non amo per niente viaggiare da solo. Fare chilometri di strada senza parlare, senza dividere un percorso, fa male.
Il secondo pilota è, infatti, sempre necessario. Senza, il viaggio non è piacevole.
Sono esigente, sulle prime, come sempre, nelle caratteristiche di un secondo pilota. I due piloti devono essere due prime guide alla pari: devono essere complici, sapere che possono contare l'uno sull'altro, sul fatto che quando uno è stanco l'altra persona prende il volante e lo porta a destinazione.
La divisione dei compiti è fondamentale. Col tempo, prima, mi ero accontentato di zavorre, per il quieto vivere, senza dire"ehi, guida". Zavorrine che non guidavano, che non supportavano né guardavano avanti tre macchine, ma anzi distraevano con mille problemi.
Il percorso diventava ansioso e accidentato, duro, difficile, anche se la strada era larga.
Adesso so cosa voglio: un secondo pilota bravo, veloce, che sappia guidare, che non abbia paura a dire "sono stanco", e a cedere il volante, che sia disponibile a dividere un percorso. Nella vita.
Ho bisogno di un secondo pilota nella vita. Ho bisogno di un vero secondo pilota, come mai ho avuto sinora.
E sono pronto, per ciò che verrà.

mercoledì 28 settembre 2011

L'albero


E’ venuto il momento, dopo molto tempo, di parlare con me stessa. Ed allora mi domando, qui, ora, con questa penna virtuale in mano, cosa potrei dirmi oggi?

Ebbene, mi siedo e rifletto, anche se non c’è molto bisogno di riflettere; le cose migliori sono quelle spontanee, così vere che spingono per venire fuori.
Ed allora mi viene da dirmi che sono stanca. Ma stanca di cosa? Su questo dovrò probabilmente spiegarmi.

Sono stanca di false alleanze, dei sensi di colpa, di un passato che ritorna a soffocarti con i suoi “perché?” e di un presente che ne risulta irrimediabilmente condizionato.
Stanca della gente che ho attorno, con cui prima giocherellavo allegramente a dispensare consigli e parole.
Stanca di un mondo allo stesso tempo troppo grande e troppo stretto. Troppo grande per ciò che include, quando invece vorrei poter scegliere, troppo stretto per ciò che non contiene, perché purtroppo non si può scegliere.

E’ facile modellare la vita come se fosse pongo, un po’ meno facile è mantenere l’equilibrio. Si finisce quasi sempre per buttarci su quei due o tre rami che, all’apparenza, sembrano più solidi, dimenticando di stare sopra un albero, dimenticando ovvero: le radici.

Al contrario, non è stato facile capire che si è compresi solo da chi vive al nostro interno, da chi abbiamo lasciato entrare spalancando le braccia verso il sole. E sono quindi stanca di chi professa comprensione ma non mostra che un insano esibizionismo che mai, e dico mai, ci potrà appartenere.

Tenetevi le vostre finte lacrime, atte solo a far belle due pagine di diario, tenetevi le vostre storie, tanto degne di una prima pagina, quanto reali.
Tenetevi infine la vostra falsa vicinanza a qualcosa che, oltre a non includervi, vi guarda con indifferenza.
Non voglio niente più di quel che realmente serva: radici, linfa, corteccia e chioma.

Me stessa.

Volere è (alle volte) potere

Raccordo autostradale, 100km/h. Il 6 cilindri MAN sotto sforzo porta agevolmente su il bestione da 3 assi e 83 posti a sedere, verso Firenze. Il viaggio, iniziato con una leggera foschia, ha visto il pigro autunno dissolversi sotto i raggi di un sole che, come una persona che ama un posto di lavoro da cui è stata licenziata, si fa spazio negli ultimi giorni con la massima dignità, come se niente fosse, scaldando la Terra come se ci trovassimo in piena estate, dissolvendo ogni minima idea dell'autunno imminente.
Prima o poi, anche lui si prenderà la posizione che gli compete, penso, mentre l'autista del pullman, in corsia di sorpasso, si attacca ai freni emettendo un sibilo confortante.
Il Corriere della Sera è appoggiato sul sedile di velluto verde chiaro, accanto a me. Il beccheggio si sente negli angusti posti del piano di sopra, ma da quassù c'è una visuale del mondo diversa. Sei a oltre 3 metri di altezza, ti senti padrone di un qualcosa che non ti spetta.
Il sedere fa male, i muscoli tiricchiano, per l'attività sportiva ripresa dopo lunga inattività.
Eppure è solo un viaggio di linea Colle-Firenze, che puoi comprare con 5,10€ alla biglietteria più vicina.
Un anno fa, qualche giorno dopo a dire il vero, dallo stesso sedile, dello stesso autobus, coniai una definizione stranamente calzante a quello che mi stava succedendo. Ero "spettatore di una vita in cui ero stato gettato con uno spintone". Adesso no. Adesso, questa vita l'ho ripresa in mano, con tutto il carico di responsabilità che i 30 anni impongono, dei 20 che rivoglio indietro da affrontare con la retrospezione di cinque/dieci anni dopo.
Adesso, mi sento libero. Come nemmeno a 18 anni ero. Come nemmeno a 20. Come non sono mai stato negli ultimi 2 anni.
Sembra quasi che, per un attimo, tutti i pensieri negativi abbiano preso un giorno di ferie e se ne siano andati.
La mia mente è sgombra, e ragiona in modo conscio. Il passato è passato. E' fonte di esperienze e ci aiuta a non sbagliare.
Sono ancora acerbo, in effetti, nell'affrontare il terreno strano e amplissimo della libertà: non sono mai stato tale, e desidero quanto mai sentirmici.
Si badi bene, stanotte non ho dormito, nonostante la giornata di ieri sia stata dura.
Ho chi mi sorregge, amici veri e sinceri.
Oggi il silenzio non fa male. Anzi, per la prima volta, fa bene. Sto volutamente zitto, non so come mai, a parte qualche telefonata obbligatoria.
Mi domando perché e cosa sia successo da poco tempo fa ad oggi. E' vero, le persone cambiano, il tempo passa. Ma non aggiusta nulla. Siamo noi che rimettiamo a posto le cose, che paghiamo (a seconda della durata del finanziamento) le rate delle nostre bugie, e, modestamente, ho diversi mutui gravosi e pesanti.
Oggi mi sento di aver pagato. Tutto. E sono libero. Come mai prima. La fine è il mio inzio, come scriveva Terzani, e a questo punto sono conscio che qualcosa, davvero, sta sorgendo dentro di me. Speriamo prosegua.

martedì 27 settembre 2011

Tell it to my heart

Raccordo Autostradale, 130km/h. La discesa di San Casciano, col suo insidioso velox posto in fondo, preannuncia che Firenze si avvicina. Tell it to my heart, successone degli anni '80, rompe il silenzio che non pesa così tanto. Il telefono è muto, stranamente, ma non fa più così male.
A quest'ora, andando indietro nel tempo, ricordo cosa succedeva in una umida domenica di primavera.
Pranzo e via, verso casa, in una specie di stralunata galoppata che adesso definirei quasi trionfale. Momenti andati. Una luce in fondo al tunnel, adesso. Un sorpasso "da scuola" prima della frenata.
L'eroica Mito era sempre la stessa. Rossa fuoco, permeata da un profumo di Trussardi che mai più avrei sentito.
E così fu, il rientro, strano e "in apnea". Un'apnea durata qualcosa come 1h e 40'.
Non dissi al mio cuore che c'era da soffrire, sulle prime. Non glielo dissi, così stetti sorridente per qualche giorno, gustando prospettive di singletudine, uscite in pub remoti con persone che poi divennero vicine, troppe sere di fila a letto sin troppo tardi quando dicevo "rimango a casa".
Poi al mio cuore glielo dissi che era spezzato: "Guarda, Ciccino, stai sanguinando, occhio che sennò muori dissanguato". E allora, cerotti. Trasfusioni. Complicità ricercata e mai più ritrovata.
Migliaia di Euro riversati in macchine, motori, track days e altre amenità da bambini cresciuti servivano solo a capire che non ce l'avrei fatta a sopravvivere a me stesso.
Lago Trasimeno, più volte. Con compagnie diverse. Il cuore spezzato era lì che sanguinava.
Mantova, l'illusione di avercela fatta. Multirientro. Nel tunnel. E il tempo che non aggiusta tutto.
Semplicemente perché siamo noi che alla fine dobbiamo affrontare le cose: per quanto cerchiamo di scappare, di correre a tutto gas verso il sereno, noi siamo a terra. Le nuvole ci rincorrono. Il temporale arriva.
Ecco la lezione che tutti dobbiamo imparare ed archiviare per il futuro.
Non si scappa dai problemi e da se stessi.
La vita è una lunga, lunghissima strada. Puoi scappare per un periodo, ma poi devi fare le riforme. Altrimenti il cuore si dissangua, senza che ce ne accorgiamo, avvolti da un torpore che ci annichilisce piano piano. E non deve essere così.
E' il momento, anche se tardivo, di uscire da questo tunnel, prendere la strada all'aperto, che non fa così male.
E' tempo di cambiare le gomme stanche e maltrattate dalla SS223, dalla SS429, dalla Firenze-Siena, dalle brutte strade colligiane e di mettere ruote nuove, anche a questo cuore che cammina.
Retrospettivo? Forse, ma per imparare a non stare più male.
Ho un tremendo bisogno di libertà. Di correre e urlare. Ma allo stesso tempo una immensa paura di star solo. Come conciliare tutto questo? Il tempo mi darà ragione.
Anche se, nel cuore, certe cose non finiscono mai. Magari un giorno al mio cuore dirò anche questo.

Sei lunghi mesi


The day after, SS2 Cassia, 140km/h, raffiche di prese di culo per la debacle automobilistica di sabato si sprecano, ed hanno ragione. In fondo, sono uno sbandieratore di caratteristiche di guida, di noleggi alle Driving School, evoluzioni in pista, modifiche della macchina, ecc...
Sono prepotentemente all'ingresso del settimo mese del resto della mia vita, da quando percorsi 131km in modo quasi automatico e l'imperativo era un altro, molto più speranzoso di quelli odierni,
E sia, allora.
Per i primi mesi ho forzato me stesso, in un tentativo incondizionato, rabbioso, e disperato, di rimontare una fiducia che pareva l'unica causa di tutti i mali.
Poi, però, non mi sono privato di fare evoluzioni, tentativi di rifarmi una vita.
E l'evoluzione continua: si conoscono persone nuove, si fanno nuove esperienze, nuovi corpi si uniscono, si sperimentano nuovi sapori sulle labbra, si rincorrono sogni e il male diviene ogni giorno meno pressante. Il passato diviene fonte di ispirazione per non fare errori, o per lo meno per essere consci che si stanno facendo.
Tuttavia, è pur vero che in amore "il tempo corre e non trascorre".
Sembra di camminare, adesso, in un terreno sperduto e sconosciuto. "Land of confusion" dei Genesis occupa prepotentemente questo momento, ricordando quando avevo l'illusione che il sole splendesse e di fatto non lo era, perché mi giravo dall'altra parte rispetto ai nuvoloni che minacciosi arrivavano.
E ora, in questa confusione, ho in mente gli obiettivi. La parte più dura nel tenersi una persona è lasciarla andare, sicuramente. Negli ultimi mesi ho capito questo, e mi sono adattato all'idea. Tanto persone nuove si conoscono, sempre. Tanto prima o poi l'istinto di conservazione ti dice "stai solo per un attimo" e ti prende con due mani il volto, te lo gira verso il temporale e tu ti trovi costretto ad affrontare i problemi nuovi che arrivano, anche di storie nuove. La vita è continua evoluzione. Riparto dal mio fisico e dalla mia macchina. Riparto dai miei amici sinceri, che mi stanno accanto sempre e comunque, che mi vogliono incondizionatamente bene.
Imparo, e mi oriento.
Avevo diviso il passato in "vite" e "capitoli", in una mia personalissima classificazione. Certe numerazioni di capitoli saranno smentite dai fatti. Il futuro, adesso, è mio. Solo mio.


Viaggio a piedi sull'argine dei pensieri

Non esistono solo mezzi di trasporto motorizzati nel senso stretto del termine, ovvero vi parlerò di un mezzo di trasporto che ha un motore molto umano, biologico; "cuore", siamo soliti chiamarlo.

Proprio stasera, dopo diverso tempo, ho ripreso in mano scarpe, maglietta e calzoncini e sono uscito dal cancello in quell'ultima mezzora di luce del giorno che, forse più di ogni altro momento della giornata, ispira pensieri, storie, sogni; tre minuti abbondanti di corsetta leggera e sono sull'argine, di poco a valle della confluenza tra Bacchiglione e Brentelle; l'allenamento è ad un livello tra l'approssimativo e lo scarso, dovuto ai pochi giorni di trekking svedese e due uscite non massacranti in alta montagna e la più piacevole (per quanto breve) delle passeggiate degli ultimi tempi; tuttavia il motore girava, più di quanto mi sarei aspettato, nonostante le gambe e le ginocchia cercassero in qualche modo di iniziare a lamentarsi.

Tra un passo e l'altro inevitabilmente, visto il luogo ed il panorama, un cielo che andava dall'arancione al blu con buona parte delle tonalità intermedie, i pensieri hanno iniziato a viaggiare, pur senza allontanarsi troppo; uno in particolare ricorreva e mi chiedevo se fosse veramente quella che immaginavo la ragione di tutta questa benzina che continuava sorprendentemente a far girare, costante e produttivo, il motore.

Grazie ad un richiamo di Andrea mi sono poi tornate in mente, come già altre volte in questi ultimi giorni, le parole di There's a place for us, uno dei brani di Both Sides, l'album forse meno capito della discografia di Phil Collins, il suo disco più intimo ed introspettivo.
[...]
someone once said that if you truly, truly believe
you can make things happen
make things appear to be all that they seem
[...]
Un'ode all'ottimismo, un ottimismo a cui continuo a non voler credere, ma che qualche soddisfazione me la sta testardamente regalando; resta la paura di fare passi falsi, il timore di non interpretare correttamente i segnali che il motore manda alla centralina, la preoccupazione di vedere qualche spia accendersi e di dover tornare da un meccanico, sperando di trovarlo ...ma il problema non è questo ora!

Mi concentro di nuovo sul respiro e sui passi e molti pensieri se ne tornano da dove erano arrivati. Quello che resta è un motore rimesso a nuovo che ha ripreso a girare e a viaggiare, verso una meta ancora molto incerta ...ma intanto va.

lunedì 26 settembre 2011

The race

30 settembre. Estate finita. 6 mesi e qualche giorno dall'inizo del resto della mia vta.
Carriera leonistica finita anch'essa ma almeno quell'associazione è un relitto affiorante a cui aggrapparsi con le unghie e con i denti per passare un fine settimana tra amici in un posto diverso.
Ci apprestiamo a fare un viaggio interregionale. Alessandria è la meta, Multidistrettuale Leo l'anno scorso più volte snobbata per motivi contingenti. C'è bisogno del secondo pilota, stavolta.
Solito carico di pensieri. Sempre lì. Sempre nello stesso posto.
Non come sulla pista di Castelnuovo, a 100km/h sul rettilineo. Sono a 3 cm da terra sul kart, la madre di tutte le carriere dei piloti. Mi sono girato alla prima curva quando ero secondo e sono stato speronato. Speronato a brutto muso.
Sedicesimo, inizio una furiosissima rimonta dopo il tornantino. Sono il re della traiettoria, lo sono sempre stato. Sorpasso grappoli di kart girati. Dal gruppone è uno spettacolo guardare avanti e vedere i primi che se ne vanno, senza traffico. E' un classico. Lo pensavo anche alla 6 ore di Vallelunga, quando ai Cimini si rallentava e pareva di essere in quelle code del venerdì sera sulla Firenze-Pisa-Livorno, con i pendolari che vanno. Gli altri a pieni giri fuori dall'imbuto del gruppone. Così è, se vi pare. La rimonta continua, qualche cordolo di troppo, qualche lunghissima intraversata, con la cattiveria di chi non ha nulla da perdere e sa di essere velocissimo. Si gira l'eroe di gara 1.
Quando hanno visto chi svettava in corsa, 2 amici pennellavano le stesse mie traiettorie, tirando su un trenino che il secondo l'avrebbe richiappato in 2 giri. Alla fine, secondo. Il primo imprendibile. Ma non ho vinto.
Lepre. Stavolta lepre. Una furiosa rimonta che mi piace e che rispecchia la mia vita.
Nella vita e in amore, sbatto contro le difficoltà. Ci sbatto sempre. Mi giro, cado a terra, come fossi al punto di partenza.
Tento di recuperare ma non è sufficiente, mai. Arrivi secondo se va bene. C'è sempre un primo che parte e lo vedi allontanarsi inesorabile quando sei intruppato a fare i sorpassi per riprendere il terreno perso quando ti sei girato.
E' dura vedere i primi che se ne vanno. E' dura sapere che avresti le carte per vincere e non lo fai perché rimani intruppato nel gruppone.
Allora quando arrivi, sempre in buona posizione, pensi che devi cambiare il tuo modo di vivere.
Per essere concoludente.
Inizia un percorso, per davvero. Riparto da Alessandria. Dal viaggio che mi si prospetta davanti. Vorrei dividerlo con una persona che merita.
Andare avanti è imperativo adesso. Senza sbattere né, soprattutto, guardarsi indietro.

domenica 25 settembre 2011

Vicini e lontani

SS2, 100km/h, la pioggia leggera della domenica mattina colpisce la strada più bella del mondo.
C'era uno strano silenzio, troppo forte e troppo strano. Non di quei silenzi che dicono più di mille parole, non di quei silenzi che ti fanno capire cosa vuole l'altro.
Mi ricorda un silenzio di un giugno lontano, con la macchina che doveva fare 40km in più per tornare a casa. Un silenzio che faceva così male, che sapeva di fine anticipiata dei sogni, come quello di ora.
"...Non stimare lontano quello che si può avere anche se in mezzo si stende il tramonto - né stimare vicino ciò che standoti a fianco è più lontano del sole..." scriveva Emily Dickinson.
Traffico. Adesso ce n'è tanto. 136km verso una bandiera a scacchi. Come ieri al circuito ma queste sono storie diverse che racconterò presto.
E allora, oggi sono ermetico, il post è breve, ma so che quello che voglio è lontano, ma allo stesso tempo vicino. Anche se avrà preso strade diverse. Altre vie. Altre associazioni.
E' tempo di pensare. Da soli, in viaggio.

sabato 24 settembre 2011

La dualità delle emozioni e della vita

Parafrasando la non così amata (ma neppure per questo odiata) Carmen Consoli, posso dire di sentirmi discretamente confuso e felice in questi strani giorni di forte cambiamento, dovuto per certi versi ad una maturazione, un po' insperata ed un po' inconsapevole, mista ad una nuova voglia di vivere arrivata come per magia, apparentemente per una lunga serie di scelte ed eventi che continuo a voler pensare come casuali, perché, anche visti a posteriori, per quanto collegati indissolubilmente l'uno all'altro, sembrano ognuno rispecchiare il normale susseguirsi degli avvenimenti; tanti pezzi di un grande puzzle che ogni tanto si attaccano tra di loro, ma ancora troppo pochi per vedere il disegno completo.

In tutto questo ecosistema psico-fisico si inquadrano le più recenti tra le varie dualità che mi caratterizzano; "voglia e paura" ho già scritto pochi giorni fa, vecchio e nuovo, emozione e responsabilità, solitudine e compagnia, pilota alla ricerca della traiettoria perfetta negli svincoli ed un attimo dopo svogliato autista in cruise control sul dritto, timido e introverso ma capace di discorsi taglienti di fronte a una platea di persone che contano, indeciso ma testardo ...costante ma improduttivo?

Ieri ho di nuovo fatto da passeggero ad un mio maestro, in quei pochi minuti di strada verso Vicenza, frontiera di quel Veneto nord-occidentale che sto imparando a scoprire e ad amare; forse per la prima volta, ho condiviso sinceramente ed apertamente i dubbi di questo euforico periodo di transizione, scoprendo il piacere, forse sempre per la prima volta, di sentir fare altrettanto.

Ieri; una giornata in cui anche chiamare un vecchio amico che mi era venuta voglia di risentire è sembrata una cosa nuova e bella ...e oggi, in cui ho provato la vera felicità di trovare, per caso, in un momento ed un luogo inaspettati, un altro amico che avevo una gran voglia di rivedere.

Non mi interessa sapere perché accadano queste cose; l'importante è continuare a sognare e a mettere assieme tutti i pezzi, chiari e scuri, grigi e colorati, senza la pretesa di conoscere a priori la soluzione e senza la fretta di arrivarci.

venerdì 23 settembre 2011

Someday we'll know

Strada Comunale delle Lellere, 100km/h in salita. I New Radicals intonano "Someday We'll Know", un successo STREPITOSO, con un testo a dir poco SPETTACOLARE. Il sole è lì, davanti ai miei occhi, che tira a far male ai miei occhi. Ma i miei occhi adesso resistono. La canzone prosegue.
Gli anni 90 erano finiti. I 18 erano dentro, con il loro carico di responsabilità richiuse. Gabriele masterizzava i CD ed era il primo e l'unico a farlo.
Semaforo per dei lavori. La musica si stoppa, momentaneamente.
Dalla voce di Gregg Alexander mentre sono fermo tra i fumacchi di bitume, mentre il Train Blooming toglie di giro un po' di buche che fanno male alle sospensioni elettroniche, escono queste parole:
I bought a ticket to the end of the rainbow
I watched the stars crash in the sea

If I could ask God just one question

Why aren't you here with me tonight?

Dov'è il pullman per la fine dell'arcobaleno?

Quella domanda è sempre la stessa, caro Signore. Con le aggiunte e tutti gli accessori che già ti avevo chiesto.
Ma insomma, se non intervieni tu, è l'ora di smettere di porsi problemi e di ricominciare a vivere.
Sono il primo che ha voglia di migliorare. Sport, musica, scrivere. Ecco, riparto da me. Riparto dalla solitudine che inizia a fare meno paura.
Mentre percorro il tratto giusto di strada, verso casa, sapendo che mi attende qualcosa da mangiare, credo che sia davvero il momento di chiudere questo maledetto ciclo.
Vissuto, vero, pieno di emozioni. Ho voglia di scappare, adesso.
Da una città che mi va stretta, da un qualcosa che ormai non esiste più, o esiste solo nella mia testa.
E' tempo di cambiamenti, adesso. E' tempo di smettere di avere 20 anni, di responsabilizzarsi: ma io voglio vivere adesso le età che non ho avuto. Che confusione. Cosa c'è in fondo a questo tunnel?
Ho voglia di vedere la luce, un'altra volta, di sentire il vento caldo sulla pelle abbracciato a chi se lo merita, di volare, ancora, con 4 motori a piena potenza e con un aereo governabile.
Non ho più voglia di soffrire. Banalmente, vedo la luce. Ma ho paura, tanta paura di amare e di essere amato. Di nuovo.
Someday we'll know that I was the one for you.

mercoledì 21 settembre 2011

Frecce all'arco

L'altoparlante annunciò che il treno per Verona sarebbe arrivato di lì a brevissimo sul binario 9. L'ETR col muso grigio con le fascette rosse arrivò al binario. Una fiumara di gente si involò, come una massa di automi, verso il treno che prima di 12 minuti non sarebbe partito.
Ci soffermammo a guardare come tutti sciamavano, in quell'infinitesimo di fermo immagine, come pecoroni, verso le porte del Pendolino. Io aggeggiavo come un bambino di due anni con la calza della befana che mi era appena stata regalata. Era il 6 gennaio, in effetti, e come tutti i bambini bravi, a 29 anni ricevetti la mia calza della befana, strascicata 160km fino a Santa Maria Novella.
C'era freddo quella mattina. La neve era sempre ai lati della superstrada, visibilmente annerita, dal 17 dicembre, quando rimasi bloccato in ufficio e mi toccò farmi a piedi metà Città perché nemmeno il bus con le catene riusciva a salire la Via Nova, allora aperta in tutta la maestosità dello scenario del castello di Colle che si estende per chilometri sulla destra, mentre scendi verso Piano, verso Poggibonsi, verso una specie di mondo civilizzato che non è più fatto di colline verdi.
Comunque, in quella fredda giornata il treno partì e lisciamente ci cullò fino a Verona, senza nemmeno mettere alla prova il famoso assetto variabile di cui è dotato.
E la vacanza partì, anche con punte comiche ed esilaranti di due persone complici.
Tutto proseguì, fino al viaggio di ritorno.
Quando guardo un ETR 485 (non lo chiamo Frecciargento) passare, lontano, penso sempre a quel viaggio a Verona, Garda, ecc.
Adesso la mia macchina, silenziosa come sempre, mi ricorda che certi treni non ripassano.
E' vero. Non ripassano.
There's no reply at all dei Genesis affolla l'angusto abitacolo della Mito, diretta imperturbabilmente verso il cliente che sta dopo Casetta, oltre Taverne d'Arbia. Questo tratto è ancora SS223, nonostante a Siena nord si giri a sinistra verso Arezzo e Perugia. Tratto atipico, lo chiamo io, perché circonvalla Siena e non va verso Grosseto.
Strada lunga, come quella che è dentro di noi. Che è dietro, e soprattutto davanti, anche quadno siamo fermi con le 4 frecce, il nostro navigatore è impazzito, Nei percorsi ci si evolve, si pensa di essere usciti dai tunnel.
Per un attimo, ma anche di più, recentemente, col mare che scorreva sotto la terrazza Mascagni, mi sono sentito felice, libero da ogni peso, non più stanco, mosso da qualcosa che ti fa sentire nuovamente vivo.
Il Pendolino è passato, in quel momento, 300m più indietro dalla terrazza. Non ho detto niente quando ho sentito il suo inconfondibile rumore di treno veloce.
Ero troppo sopraffatto dal non volerci salire. Ero troppo sopraffatto da un alone di positività e di naturalezza che mi circondava sin troppo.
Una positività che dura. E' possibile vivere e cambiare, e impostare la propria crociera sulla via giusta.
Troppe bugie. Ho mentito a me stesso per anni. E forse anche nel biennio 2010/2011.
Al ritorno il telefono muto non pesa. Il silenzio era riempito da parole, gesti, contatti, vicinanza.
Nessuna chiamata. Nessuna risposta ai messaggi. Nessuna voce. No reply at all.
Ma voglio credere che tutto questo non pesi, per adesso. Per un altro minuto ancora non sentirò il bisogno di riempirlo, quel silenzio.
Poi, si vedrà.

Fughe. The end of the game.

Raccordo autostradale, Cruise Control impostato a 120km/h. La strada scorricchia, in effetti. Questo tratto di superstrada sembra quasi comunicarmi, per mezzo della complice ed eroica, che mi devo riposare fino all'uscita, con i sorpassi sinuosi con poco angolo di sterzo, che poi le curve arrivano e mi mettono alla prova. Niente di più vero.
La strada ti mette alla prova come la vita. La strada è tutto. O, se permettete, cari lettori, la strada è la vita. Hanno tante similitudini.
Le curve di Castelfalfi sembrano essere il mio Turini, quando non premo l'acceleratore ma le overboost inserite ormai da 20km si coordinano con il cambio, ancora con storici e indimenticati cablaggi Bowden da veri uomini, per emettere un concerto di fischi, mentre mi sento letteralmente il re della traiettoria, mentre riguadagno casa, e il contakm segna 140/150 su queste strade di montagna. Eppure, non ho mai cambiato sopra 4000 giri. Sportiva di razza, incollata alla strada.
Eroica come le navi che si distinguono in missioni difficili.
Lei la fece quando aveva poco più di un mese di vita. Fu come mandare un bambino allo sbaraglio dove si può sbagliare tutto, dove c'era tutto da perdere, dove l'Autostrada non finiva mai, e il telepass si ribellava categoricamente a quello che voleva il pilota.
Spaesata, su quell'A1 nebbiosissima, si muoveva in modo silenziosissimo tra i camion, tra la gente che frenava, in quel terreno che non era, né sarà mai, quello ideale.
E peraltro la missione riuscì pienamente. Missione eroica. Alle 9 al lavoro la mattina dopo. Ma lei, nel navigatore, indicava sempre, in modo imperturbabile, di andare avanti. AVANTI. AVANTI. E non fermarti. Puoi tornare indietro in ogni momento ma non lo fai. Vai, corri. Muoviti. Attenta alle insidie ma corri. Corri.
Automobilisticamente parlando, il suo terreno ideale è questo: curvoni ravvicinati, cuori infranti da riparare, per dimenticare. Ieri sera mi ha pure perdonato. Da lei non me lo sarei mai aspettato. All'inizio mi avrebbe volato in un botro, invece mi ha perdonato un erroraccio, prendendo in quarta marcia un curvone da seconda.
E invece siamo su questo lunghissimo tratto di prova speciale insieme, strada che adesso è MIA, solo MIA, che ha messo alla prova macchine più lente, e ha visto per anni protagonista la Lancia, ammiraglia indiscutibile e indiscussa di tutto questo nastro d'asfalto. Il suo titolo di ammiraglia è indimenticato e rimane lì, vacante. Nessuna delle due sportivone è in grado di rilevarlo.
Sono sazio, parecchio, stasera. Ho mangiato forse troppo, ma sono tremendamente sereno.
Ho fatto dei tagli. Ho chiuso ogni rapporto con una situazione che fa molto male, sempre più male. Ho bloccato su FB un profilo. Ho tolto un marcio blog che sapeva molto di polveroso e di passato. Tutto questo l'ho fatto in modo consapevole. Una fuga velocissima non si sa da chi né da cosa, adesso.
E allora posso anche domandarmelo da cosa sono sempre fuggito.
Oggi sembro quasi avere la soluzione a portata di mano. Sono sempre fuggito da me stesso, in primis. Dai miei errori dovuti all'ingenuità. Dal mio essere stato, in passato, "traditore seriale" (cit.). Ho sofferto. E' ora di fuggire da questa sofferenza, da questo vortice di magoni continui che mi assalgono quando guardo a sudovest. Adesso non c'è più niente da guardare. Ho lottato contro me stesso, e la parte più spontanea ha preso il sopravvento.
Ricordo bene, nell'estate 2010, quando gli amici li scoprii veri, affiatati, attaccati, come non mai, pronti a sorreggermi. Lì stavo iniziando a guardarmi dentro. Lì è iniziato tutto.
Avevo iniziato, in quel 2010 così carico di cambiamenti, a pagare i conti di 10 anni di pantomime, di falsissimi atteggiamenti da persona forte. Avevo iniziato a capire che ci voleva tenacia.
E ora c'è. C'è stata la tenacia della missione eroica, del riprendermi ciò che era mio.
Era tenacia anche quella di uno che lascia andare chi se ne va. E' anche quella, dopo mesi. Sono scenari difficili e scelte dure che dovevo fare mesi fa.
E allora, scappiamo. Scappiamo da tutto e tutti. Dalla voglia di scrivere messaggi, dalla voglia di guardare profili Facebook e accessi a un blog morto. Almeno lì, un recinto elettrificato ce l'ho messo.
Ripartire, l'ennesima volta. E fare tesoro degli errori. Ripartire buttandosi, come dovrebbero fare tutti. Non è facile. Ma c'è chi ci riesce e, a parte alcuni momenti, sono fiducioso.
L'imperativo categorico, adesso, è non avvistare il nemico. A meno che non diventi amico.

martedì 20 settembre 2011

Mele cotte



Mi offriva mele cotte. Ecco come me la ricordo. Non so perché non la collego ad eventi particolari e molto più significativi, visto che certamente non mancherebbero.
Chissà perché me la ricordo così, in quella stanza spersonalizzata, usata come deposito per qualche vecchio libro e macchinario domestico inutilizzato.
Attraversava il sentiero immaginario che collegava le due entrate portando in mano, con cura, un pentolino.
Quella persona stava venendo a cercarmi; voleva offrirmi ciò che aveva fatto, forse, appositamente per me.
La trovai nel mezzo a quel sentiero, lei mi pose la sua domanda e io rifiutai, con poca premura.
Ebbene quell'episodio non mi è mai passato di mente, è come se una parte di me non si perdonasse di quel torto figurato, di quel rifiuto sconsiderato a cui ora ripenso con disprezzo. Esagero e lo so, ma quando qualcuno se ne va finisci per dare valore a tutti gli attimi passati insieme, persino a quelli più insignificanti. Per qualche controverso motivo spingi con tutte le tue forze fino a ripescare un episodio in cui sei irrimediabilmente colpevole, e se non lo trovi, lo inventi. Così quel rifiuto è divenuto uno spregio.
Il mio ripensarci è come un "mi dispiace", detto troppo in ritardo, quando non può più essere ascoltato.
Mi voglio incolpare, sì lo voglio fare. In fondo chi crede di aver sempre fatto abbastanza? Nessuno. Siamo tutti colpevoli, è il nostro modo per scusarci.

Da molto tempo questa scena non mi passava per la mente, ma è bastata una parola, un attimo, un odore per far tornare tutto a galla. La verità è che quando una persona ci è stata vicina non importa dove sia adesso, ogni cosa ci riporta irrimediabilmente a lei, come un campanello che chiama a raccolta tutti i ricordi.
Nuovamente una sensazione di colpa e poi, come sempre nella vita, una ventata di freschi pensieri.

Estranei

Raccordo autostradale, 120km/h. L'estate, con ritardo abissale, inizia a salutarci come ti saluta una persona che non vuole vederti andare via. L'aria è fresca, serena, c'è pace, stranamente. Il motore turbo reagisce meglio con 20 gradi all'acceleratore. Non sputacchia né seghetta e dà tutto quando deve, sembra quasi rinato. E' un'aria fresca che fa bene a tutti, in effetti.
Dentro di me c'è stato un po' di subbuglio in questi giorni. Il telefono era muto, troppe volte. Il silenzio era tornato a farsi sentire con il suo rumore assordante simile a un trapano.
Avevo provato in tutti i modi a non pensarci. Per un attimo, dopo la scalata alla montagna, si provvede alla scalata della marcia verso casa. Non importa, adesso, che ci sia la solitudine.
La radio suona forte "The song remains the same" dei Led Zeppelin, "The zephyr song" dei Red Hot Chili Peppers e qualcosa di serio.
Guardo lo specchietto retrovisore, a sinistra, quello nella foto è della vecchia e cara Lancia, morta il 16 ottobre 2010 in circostanze fluidodinamiche misteriose.
Indietro. Troppe volte mi sono voltato, anche in quel periodo. Troppe volte ho provato a ricercare un puntino su quello specchietto retrovisore, che inevitabilmente inquadrava altre macchine, altri mezzi, ma non quello che cercavo. Troppe volte ho guardato fuori dalla porta del mio ufficio, a fine anno scorso, per cercare degli occhi uguali ai miei.
Ma non è così che vanno le cose. Ci si arriva, alla fine, a salvarsi, a nuoto, dal relitto che affonda. Si prendono contromisure contro le proprie pulsioni, per non pensarci più, per cercare di vivere cancellando anni di amore incondizionato.
Lo diceva anche Nelly Furtado.
Flames to dust
Lovers to friends
Why do all good things come to an end
Tutte le cose, inizialmente le più belle, le più buone, quelle che sembrano destinate a durare per sempre, hanno una fine. Forse con le debite eccezioni, ma dopo si diventa estranei se si è amato veramente, se si è diviso tutto per lunghi anni, lungo tempo, attimi durati a lungo, esperienze, complicità.
E' inevitabile, in effetti, diventare "perfect strangers" come cantavano i Deep Purple.
Però non è detto che uno poi debba morire, star male all'infinito. Ecco cosa ho imparato. Gli specchietti retrovisori servono per guardare indietro, e aiutano ad andare avanti. Tanto. La marcia è lunga, se è destino uno si ritrova.
Le fiamme diventano cenere. Gli amanti estranei. Tutte le cose belle finiscono e ci domandiamo perché.
Ci domandiamo come facciamo a non sbagliare. E ne facciamo tesoro per il futuro, per coloro che meritano. Quando arriveranno.
E' comunque una strana sensazione avere un mondo che si apre sotto di te, e il tutto che diviene niente.
Ma ancora migliore, come mi è capitato nella vita, è la sensazione del niente che all'improvviso diventa tutto.

lunedì 19 settembre 2011

Comunicazione di servizio - suggerimento letterario

In qualità di Direttore, mi permetto di suggerire un paio di blog che possono sicuramente interessare a coloro che sono lettori assidui.
Uno è un vero e proprio spin-off di "The long long road to...", della nostra ex passeggera petulante, che è diventata Una principessa a piedi nudi !
Niente più Pandine coi poggiatesta di Hello Kitty, solo emozioni. Forti. Da tutti noi, un sincero "in bocca al lupo" per la carriera di solista iniziata!
Mi permetto altresì di suggerire un blog storico di poesia ermetica. Il nostro amico Francesco, che si definisce "Costante ma improduttivo".
99, il numero incompleto per eccellenza. Poesie che smuovono la mente e la fanno elaborare quelle parole che, come asce, arrivano dritte al cuore e al cervello.
99 and beyond. Inserisci link

domenica 18 settembre 2011

Il difficile equilibrio della felicità


Nuove strade, nuovi amici, nuove sensazioni; nuovi dubbi, nuove energie, nuove emozioni; tanta confusione.

Tutto questo affolla la mia mente ed il mio corpo in un'affannosa ricerca alla scoperta di un mondo che ho capito, forse quasi troppo tardi, di non conoscere veramente; inizio così, con la curiosità di un bambino in un parco giochi e, per quanto poca, con la maturità di un trentenne, a trovarmi in un euforico equilibrio tra la voglia e la paura di esplorare strade nuove, la voglia e la paura di approfondirne di vecchie e la voglia e la paura di scoprirne di ignote.

Cammino in bilico, cercando di mantenermi dritto per arrivare su un terreno più solido, da dove poter valutare la strada da percorrere più agevolmente, riuscendo anche a volgere lo sguardo indietro senza la paura di cadere; tuttavia sono felice, e non riesco a nascondere questa felicità fatta di piccole attese, di sguardi rubati e di ispirazioni ritrovate; felice ma convinto più che mai di trovarmi sulla via di un cambiamento diverso dai precedenti, che per questo motivo fa ancora più paura ad una persona come me da sempre spaventata dagli eventuali rimorsi conseguenti ad una scelta.

Per il momento, dunque, avanti dritto, "Full steam ahead!" direbbe il capitano di un battello a vapore del secolo scorso; dritto senza cercare di cadere, macinando ancora e sempre chilometri per capire cosa voglio veramente, immerso nell'ipnotica sequenza di metri e metri d'asfalto che scorrono sotto le ruote mentre lo stereo riproduce musica di diversi generi ad un volume che varia proporzionalmente a quanto il mio momentaneo stato d'animo è legato alla canzone attuale; on the road, da un'amicizia all'altra, verso un sogno difficile da raggiungere ma non impossibile.


What if God was One of us?

Autostrada A11, altezza Prato Ovest, 150km/h.
Dopo aver fatto formazione, per l'ultima volta, mi dico che il tempo è passato e mi dico che ogni ferita è sanata. Tento di dirlo a me stesso e, forse, ce la faccio anche ad autoconvincermi che il sereno sembrerebbe tornato. Se sia così o meno, non lo so ma quantomeno mi serve per staccare per periodi anche prolungati la mente da pensieri che non dovrei fare. Stevie Ray Vaughan e Jeff Beck ci danno dentro con le chitarre come al loro solito, live stupendi che ti aiutano a non pensare per un attimo.
La mia macchina è la stessa, sorniona, e ci capiamo. Adesso siamo complici. Con 2 modifiche è perfetta, va da Dio. Con i cerchi da 18" andrà ancora meglio.
La corsa prosegue sul raccordo autostradale, sempre lo stesso, è una gara a scansare le buche.
C'è un autobus che passa in direzione contraria alla mia. E' uno dei pullman della mia vita.
Autolinee SENA, pullman Siena-Roma. Diversi tour là sopra, carichi di speranze, pure con l'anello al traino. Bel modello, ma ora i cavalli non interessano. Beccheggia con la gente che va verso Roma, a trovare fidanzate, persone che amano, ecc. Il sabato e la domenica, quel pullman lo definii tantissimo tempo fa "il pullman degli amori lontani",
Siena-Roma, l'audacia di non notare che sarebbe tutto finito. Pullman estremamente introspettivo, quando la notte si rientrava, così come, in tempi precedenti, facevo da Milano.
Le strade cambiano, i pensieri restano ma ora sono attutiti da una strategia che impone di guardare oltre, di guardare al nuovo e di ascoltare.
Ricordo bene cosa dissi: "Mai più soffrire". Ed è vero, diviene un imperativo categorico, non ripetere quel brutto periodo, quando le nottate erano insonni, la nausea era forte e la mattina ci si alzava modello zombie con nessuna voglia di fare.
La marcia prosegue: Joan Osborne canta "One of us". Immagina che Dio sia uno sconosciuto su quel pullman, che si guadagna lentamente la via di casa.
Cosa chiederei, di nuovo, come la Osborne canta?
Lo so cosa chiederei. La felicità. La risposta, tempo fa, sarebbe stata diversa. Avrei detto, incondizionatamente, che avrei voluto qualcuno di nuovo nella mia vita.
Adesso no, non incondizionatamente. Ho richieste ben precise. Ci vuole la felicità e la sicurezza.
Ecco che, chi crede, potrà capire che si chiede qualcosa per ottenerlo. A seconda dei periodi, a quello sconosciuto che poteva essere seduto sul quel pullman a lunga percorrenza accanto a me, ho fatto tante richieste. Forse, una la esaudirà. Con tutte le condizioni che ho richiesto che, adesso, diventano imprescindibili.
Il viaggio per oggi è finito. Sono stanco. Stanchissimo. Ma ho capito che qualcosa di nuovo si è mosso, che oggi come oggi la situazione è migliore.
E che può solo migliorare.

sabato 17 settembre 2011

Sensazioni




Settembre è un mese malinconico, di riflessioni e buoni propositi, il mese in cui un tempo ricominciava la scuola ed ora è soltanto la fine dell’estate, la stagione in cui ci si sente più vivi, più forti. E così vivo è il ricordo di quel mio primo giorno, col grembiulino bianco, l’emozione per l’incognita di quella faccenda così importante che era la scuola e… la confusione, il vociare di tanti bambini mentre lei si allontana sorridendo e facendo ciao con la mano e io lì ad attendere il momento più bello, quando suonava la campanella e la ritrovavo ad aspettarmi ogni giorno, per tutti i giorni.

E un’estate, questa, in cui oggettivamente è mancata la vacanza con le amiche in sardegna, dove riuscivo a staccare la spina e ricaricarmi per tutto l’anno… un’estate, per essere sincera, dove più di ogni altra cosa è mancata lei. La verità è che l’unico amore vero, incondizionato, è quello dei genitori per i propri figli, loro non ti tradiranno mai.

La sensazione brutta è quella di trovarsi in un limbo, quando ci si sente nello stato di agitazione del momento prima della tempesta; uno di quei momenti in cui la vita ci confonde veramente e si soffre per colpa di qualcun altro, sia essa una persona che non avremmo mai voluto lasciare ma che abbiamo dovuto accettare che se ne andasse, sia per un amore che non ci fa star bene e, alla fine, si scopre che non è amore. Sono d’accordo che l’amore non vince ogni battaglia, perché si deve lottare in due per costruire con il rispetto, la sincerità e la complicità delle solide fondamenta ma quando uno dei due si trova ad amare più dell’altro alla fine si accusa il colpo e si va al tappeto e nessuno è li ad aiutarti a rialzarti.
E’ la cosa più difficile rialzarsi perché si è feriti e la paura paralizza e non permette di essere lucidi e andare avanti. Questo è il problema: andare o non andare? La vita è un lungo, tortuoso viaggio che ci mette alla prova.

Le sensazioni migliori le provo viaggiando e con il tempo ho capito che è proprio vero che non conta la meta ma il percorso che si fa, a scoprire la bellezza perfetta della natura che si apprezza e ci arricchisce ogni volta di più; apprezzare la poesia dei luoghi e quella dei gesti. Sono diventata metereopatica ma so essere anche molto solare, ho solo bisogno della giusta compagnia perché alla fine la differenza è che per vivere si deve stare con gli altri e scambiarsi quella linfa che ci nutre mentre per sopravvivere basta la solitudine.

Avrei bisogno di sentirmi di nuovo di poter gettare l’ancora in un porto sicuro.
Sarebbe bello svegliarsi con una nuova sensazione, quella della speranza di un nuovo sorriso, di qualcuno che ti sostenga e ti aiuti a star meglio perché non c’è tragedia così grande che non permetta al sole di sorgere il giorno dopo e questo dovrebbe bastare a pensare di vivere un giorno migliore … 

mercoledì 14 settembre 2011

Il fascino che resiste al tempo

Ci sono cose che resistono al tempo. La bellezza dei vent'anni se ne va, inesorabile, anche se alle volte a 30 le persone, come il sottoscritto, sono più belle. Oppure si sanno tenere meglio, che poi, alla fine è la stessa cosa. Lo si vede su Facebook nelle vecchie foto.
Ma il fascino, quella sensazione di attrazione che qualcuno o qualcosa che alla fine è passato che "tecnicamente è inferiore ma...", rimane.
Non lo fanno solo le persone. Ci domandiamo come mai la gente compra le macchine d'epoca, per rivivere un periodo, oppure perché hanno più fascino.
E' questione di sensazioni, in effetti. Tutta questa vita si basa su frequenze, brividi, emozioni.
Così come, col mare calmo, le trentunenni Marmorica e Oglasa rimangono sempre le più veloci del mazzo, nonostante ci sia chi ci mette meno tempo e sia tecnicamente più nuovo.
Sono le più veloci in termini di punta. Slanciate, incattivite, ogni anno che passa ci salgo e non invecchio...Non sempre ciò che tecnicamente è perfetto è emozionale. Loro, sì. Si fanno fregare in manovra da un giovincello tendenzialmente lento ma più maneggevole. Il loro tempo è passato ma ci provano, al ritmo dei motoroni e della loro vernice perfetta, a mantenere la dignità che i giovani con la loro spocchia non hanno, a vincere, a sorpassare sinuosamente quelle altre navi lente ma perfette che "barano" e godersi la gloria momentanea di una crociera perfettamente riuscita, della manetta del gas in "full", delle mareggiate affrontate con la massima forza, purezza, e bellezza del loro essere punti bianchi.
Loro, vivono e rimarranno, sino all'ultimo giorno, dignitose.
Strada Comunale delle Lellere, 130km/h, questo sorpasso me lo godo. 30 anni, come loro. Ci sono giovani più bravi, ma la gloria momentanea ed effimera è quello che rimane. Insieme a un carico di ricordi che sono sempre qui, vivi, vegeti, e non se ne vanno via.
Come dice un grande autore di poesie che si autodefinisce Costante ma improduttivo, ma tanto improduttivo non è:
Il cacciatore sta,
sulla montagna,
si domanda
se si viva per morire
o se si debba morire per essere vissuti veramente.

Marmorica e Oglasa hanno cacciato. Ogni giorno lottano per mantenersi vive e spingere via il tempo che avanza, che le fa sentire vecchie.
Sono passati Monostab, aliscafi, linee morte. Loro sono sopravvissute a tutto.
Così come ho fatto io. Sono sopravvissuto.
E allora, la conclusione a cui si giunge è che non si vive per morire: si muore per essere vissuti veramente.

martedì 13 settembre 2011

S.O.S. - L'esilio e le prime lezioni imparate

Correva l'estate 2005. Dalle parti di Follonica, o in attesa di una nave per l'Elba, c'era una macchinetta rossa (tanto per cambiare), occupata da un distratto pilota. La destinazione era il Puntone, lo ricordo benissimo come fosse ieri.
Era appena uscito l'album X & Y dei Coldplay, secondo album studio della band inglese, e al ritmo di "Speed of sound" mi lanciavo a velocità aeronautica verso la mia meta, per il rettilineo di Scarlino Scalo.
Non avevo nessuna voglia di proseguire la marcia verso quella bellissima casa, verso chi mi stava accanto, verso quel "dorato esilio" (definizione bellissima inventata nei numerosi introspettivi viaggi di ritorno), costruito da chi voleva in tutti i modi farmi sentire debitore di qualcosa, dettata dall'insicurezza di perdere quella persona molto più intelligente di lei che poteva da un momento all'altro scappare.
Si sentiva in bilico, chi avevo accanto all'epoca.
Ero uno studente universitario. Tanti direbbero "studente universitario innamorato". No, non è vero.
E' passato tanto tempo, da quando le gomme 185/65 - 14 su cerchio Toora bestialmente lucido, pesticciavano le allora affollate curve di Prata.
Era un rapporto basato sulla costrizione da una parte e sull'idea di quieto vivere dall'altra, che maturava il sottoscritto. Un mix mortale, se ci si pensa bene. Non lo vedeva, lei, che stavo malissimo. Avevo maturato una novevole immensa paura delle reazioni di chi c'era nella mia vita, delle conseguenze che il dire "addio" potevano generare nella mia vita.
Sbagliavo. Dovevo smettere di vivere in quella paura, in quella tensione mascherata così bene, accettando ogni scelta perché qualcuno era così bravo a farmi sentire debitore.
Lo dicevo, anche nei litigi che "se il recinto è stretto l'animale prova a saltare la staccionata". Era così. Avevo il cancello aperto ma avevo paura di scappare. Non per paura di star solo. Avevo amici vicini, gli stessi di ora.
Ero letteralmente terrorizzato dall'idea che quel rapporto morto potesse sfociare in conseguenze per la mia persona, non so come mai.
E fu così che continuai, che colsi le mie occasioni del cavolo, per scappare da questa costrizione e da quella gabbia dorata.
Ho imparato molte lezioni, in quel periodo, anche dai miei comportamenti.
Dovevo affrontare le conseguenze delle mie scelte, "notificare quella sentenza già esecutiva da anni dentro di me". E la strada scorreva. La vita passava in bianco e nero. L'esilio proseguiva. Le fughe, altrettanto.
24 anni, 180km/h in fuga, in primis da me stesso.
Una volta finito il tutto si imparano diverse lezioni. In primis, ad essere egoisti, in certi aspetti della vita. A pretenedere di più.
A parlare. Ad essere complici. E lì non c'era complicità.
Prime lezioni imparate. Acquisite, e da Prata non ci passo più.
Ci sono posti da cui non dovrei passare, c'è una strada che non dovrei percorrere. C'è una vita di qualcuno che saprebbe perfettamente dove andare....
C'era tanta ansia, all'innesto della 439, di non poter sentire musica pesante.
La morale di questa storia è che dobbiamo tutti imparare per noi stessi ad esser chiari e condividere quello che pensiamo, che una persona accanto non dovrebbe farti sentire in bilico.
Ho imparato? Forse no. Ma passi avanti li ho fatti.
Un'evoluzione continua. Una vita che adesso, quando passo dalla 439 sotto Massa Marittima, mi consente di non pensarci. Ma di evolvermi.

lunedì 12 settembre 2011

Verso la guarigione

A22, 135km/h, leggermente sopra la media per arrivare in perfetto orario ad un appuntamento piacevolmente inconsueto con dei nuovi-vecchi amici pronti ad accogliere un malato in cerca di cure; tra la foschia si iniziano ad innalzare, ripide e scoscese, le pareti della Val d'Adige, che faranno per due giorni da scudo verso la pianura ed il passato; scudo nascosto, invisibile dagli alti prati del Baldo, ma solidamente presente ed efficace.

Procedendo per curve, tornanti, bosco e infilandosi parzialmente anche nella roccia, la stretta linea asfaltata si arrampica in questo affascinante purgatorio stradale e sale, sale... fino al limite della foschia, dove lasciamo l'auto per proseguire a piedi; saliamo ancora più su, dove il cielo diventa finalmente blu, un blu macchiato di verde e rosa che mi è rimasto negli occhi e come un buon collirio li ha ripuliti dalla polvere che si era accumulata nell'ultimo periodo.


Ho visto tanti blu nelle mie numerose escursioni, ma questo, dopo tanto tempo, aveva di nuovo il sapore della libertà; libertà di essere quello che sono e di provare nuovamente emozioni che sembravano ormai sepolte sotto una coltre di cenere, che, evidentemente, il vento del Baldo ha aiutato a sollevare e disperdere.

È vero, in questi giorni ho iniziato a sentire i primi effetti della maturità (almeno sulla carta) malinconicamente raggiunta, tanto da chiedermi, a momenti, quale direzione prendere visto che indietro non posso tornare; ma questo non ha fermato il medico dall'operare e somministrarmi (più o meno volontariamente? Non è dato saperlo...) quella medicina che mi ha ridato la voglia di vivere, dandomi anche modo di apprezzare e diffondere qualche sfaccettatura positiva della suddetta maturità.

Quanto durerà l'effetto della medicina? Oppure mi avrà portato veramente verso la guarigione che cercavo? Ora sto bene e non mi interessa saperlo. In questo momento sono felice e voglio tornare a vivere, di nuovo, con i miei amici più cari, quelle persone e quei maestri con cui mi sento bene, perché non voglio tenere questa inattesa spensieratezza tutta per me.

sabato 10 settembre 2011

Il tempo aggiusta tutto?

SS 429, 100km/h, le due macchine procedono in formazione, con destinazioni diverse, quella davanti lo sa che non potrà nulla contro i cavalloni scatenati dal pilota, ma si scatena. Quella dietro è una chioccia in versione fast. La 429, che strana strada. L'ho odiata. Tanto. Di giorno è un terreno estremamente incasinato, con i semafori e tutti i camion che tentano di raggiungere e guadagnarsi il porto di Livorno. Di notte un inferno di buche, se prese ad alta velocità.
Ci sono discorsi che sono fomentati da canzoni dei Genesis, del tipo se "il tempo aggiusta tutto". Giacomo lo sa, è qui e mi ribadisce che, nonostante prediche, schiaffi morali, e "...ciò che razionalmente è migliore..." il tempo può aiutare a dimenticare, ma se l'amore è vero non aggiusta niente.
Si può tentare di scappare, di sopravvivere grazie al proprio istinto di conservazione, ma la persona che hai amato e che ami sarà sempre lì, in ogni azione, ogni gesto, ogni pensiero.
Mi capita di rivolgere lo sguardo a sudovest, che nel mio ufficio corrisponde all'armado delle penne e della varia cancelleria. A sudovest, di nuovo.
La 429 pareva la strada della rinascita. Pareva la strada della vittoria. Pareva la strada per correre da chi "tecnicamente superiore su tutti i fronti", poteva ridarmi la felcità.
E invece no. C'è qualcosa che non possiamo forzare.
Come ho detto prima, c'è qualcuno che, una volta, ha detto che il tempo aggiusta tutto. E' un ritornello che mi sono sentito ribadire mille volte. Forse, si basa sull'assunto che Niente aspetta nessuno. Prenditi in mano la tua vita e rischia. E' più lungo il tempo che aspetti che quello in cui ci giochi. Rischia, tanto mal che vada puoi dire: io ci ho provato. Banalità.
E stavolta spiegherò, nei dettagli, il perché.
Ho rischiato, diverse volte. E non pensavo di esserne capace. Quello che voglio adesso è ritrovare me stesso, liberarmi da questo dolore, allontanarmi da quello che fa male. Fisicamente sono lontano, e sono d'accordo.
"...Se tra qualche anno vi ritrovate, è segno che era proprio destino...", taglia corto Giacomino.
Parole come asce, anche lui ha il cuore lontano, verso il profondo nordest.
Il tempo non aggiusta tutto. Il tempo, alle volte, acuisce la mancanza. Ti fa sentire che c'era qualcosa nella tua vita per cui valeva la pena di esistere e ti fa capire che oggi tieni insieme i pezzi con lo spago, che sorridi falsamente e che "...fai finta di star bene...." (cit. xf).
Ecco che allora giunge il momento di capire quali sono le proprie esigenze. Sono certo che, come dice Giacomino, sia destino. Ma non adesso. Non col carico di dolore ancora presente, o di fuoco sotto la cenere.
SS429, riflessioni strane nella notte fonda. Ma ad un risultato almeno siamo giunti: il tempo NON aggiusta nulla.

Giving up trying


SS223, fine novembre, giornata fredda, freddissima. Ricordo tutto, ogni singolo passaggio. Pareva un giorno come un altro ma scrissi: "....Strada Statale 223. Non ci passavo da tempo. Troppo tempo. E il mio cuore fatica a contenere l'esuberanza dei suoi battiti. Le mie braccia e la mia testa fanno fatica a loro volta a tenere sotto controllo 155cv, 2 turbine e tanta voglia di arrivare prima. Non darò noia a nessuno, lo prometto. E allora, visto il largo anticipo e le condizioni meteo abbastanza bruttocce, mantengo 110km/h. La macchina scorre benissimo. Non è quella dell'ultima volta, lei. Lei ci passa per la prima volta. Anche la Mi.To. vorrebbe fosse la prima di una lunga serie. Lo vuole la Mi.To. e lo vuole il pilota. Troppe volte sono partito carico di speranze. Troppe volte sono partito carico di illusioni. Troppe volte ho sbagliato. Ma stavolta, pur cosciente che devo mantenermi semidistaccato, rifletto su quello che dovrebbe succedere. Dico a me stesso, stavolta con ragione, che troppe volte il mio treno è partito davvero carico di speranze e troppe volte lo stesso treno è arrivato vuoto al capolinea. Vorrei che stavolta non fosse così. E il ritorno pensieroso e sorridente sulla stessa SS. 223, col rientro della domenica sera. Condizioni meteo proibitive. Sorpassate voi. Io non lo faccio. Arrivo al capolinea 10 minuti dopo con i miei pensieri. E col mio carico di speranze...".
Era quello che scriveva una persona, appunto, carica di speranze. Il treno, quella volta, non arrivò vuoto al capolinea: le speranze ripartirono, tutto ricominciò in modo stupendo. Però non posso negare che più volte quello stesso treno andava a singhiozzo, successivamente.
Alla fine il treno arrivò, vuoto al finale. Pareva una "sosta di manutenzione" ma non lo era.
Fu il primo tentativo di riprendermi quello che era mio.
Dopo l'arrivo al capolinea rimasi a guardare, se fuori da quella porta c'erano quegli occhi così uguali ai miei, quel sorriso, quel carico di scuse e quella voglia di riprendere a sognare.
Non c'era. O forse non ha mai avuto il coraggio di rischiare di nuovo.
E allora il trenino è ripartito, pressoché immediatamente: si è infilato nelle stazioni più piccole quando non ne era predisposto. Non si è mai fermato.
E' un treno a lunga percorrenza che non può fare da treno locale.
Correva, correva, correva. Ora si è fermato. A sei mesi di distanza: dopo aver capito che la meta è chiara. Che il treno di lì, forse, ci ripasserà. Ma è ancora presto, molto presto.
E allora, riparto da me. Riparto dalla musica, come in ogni personalissimo restart.
Dimostrerò a chi se lo merita che si potrà fidare. Con tutto me stesso. Ora basta giocare ad avere 18 anni.

venerdì 9 settembre 2011

Percorsi


Autostrada A4, 130km/h. La Golf corre e si mangia la strada, quando il navigatore a tratti si addormenta.
La magia della festa, dei baci rubati, dello scenario stupendo che abbiamo visto sinora, lascia il posto a parole, e forse anche a qualche russata che spero non abbia dato noia al pilota efficace, efficacissimo, concludente, che non concede il "la" a sbandierate nella deserta A4, larga e piatta come il paesaggio, ma carino e punteggiato dalle casette a due spioventi, con le imposte ripiegabili, così familiari.
In realtà, lo so bene, sono toscano. Ma particolarmente legato a queste zone e alle persone che mi sembrano sempre sulla mia stessa lunghezza d'onda.
La strada sembra quasi lunga, nel momento in cui mi trasformo nel russacchiotto automobilistico.
Con una sorprendente razionalità acquisita ci muoviamo tra le casette venete, tra le pantomime di una vita apparentemente fatta di sorrisi nati apposta per nascondere alle tante persone distratte quello che gli occhi con disarmante sincerità trasmettono.
La felicità momentanea per avere amici sinceri, per effimere conquiste, lascia il posto alle riflessioni e a una soluzione che era così a portata di mano, a quella mancanza che ogni giorno, nonostante schieri e metta in campo tutte le mie forze per contrastarla, risulta sempre presente.
C'era qualcosa di magico in quelle pazzie, in quel sentirsi in bilico di cui avrei voluto fare a meno mille volte. Era un collante voluto da qualcun altro e non da me. Forse sarei scappato di nuovo, chi lo sa.
Mi manca la follia adesso, affronto tutto "con le mani legate".
Ma quella follia fatta di 300km di asfalto, di benzina fatta in autostrada contro ogni mia convinzione automobilistica, di telepass preso in prestito, di nebbia affrontata a velocità astronomica non era poi tale. Aveva un senso e un reale fondamento: c'era in ballo la mia vita, c'era in ballo la speranza della continuazione del futuro che avevo costruito mattone per mattone, per cui aveva valso la pena vivere e soffrire sino a quel momento. E stavo dando una spallata per ricostruire quello che avevo, tutto da solo, demolito.
Manca, adesso, il coraggio anche di farne solo 100, senza deviazioni. Quei 100km che ho inevitabilmente ripercorso, solo o in compagnia, per andare in altri posti. La strada è sempre quella, ma le motivazioni e la gente sono differenti.
Dicono tutti che con l'inerzia non si fa niente. E allora? Come posso fare? Come posso dire a me stesso che sono ancora lì, voglioso di follie sopite, ma estremamente pauroso del risultato e, stavolta, di fallire.
E fu così che iniziò un percorso nuovo, con la stessa destinazione e lo stesso (sempre più) difficile obiettivo.
E' ora di partire, anche oggi. Magari un giorno sarà anche l'ora di arrivare.

giovedì 8 settembre 2011

In cerca di nuove destinazioni

Come si fa a correre quando ci si sente inchiodati per terra? Devo riuscire a trasformare le emozioni che sento in forza positiva, adrenalina; un po' ho imparato cantando, ma qui le emozioni sono diverse, e non riesco a trovare la volontà per tornare a trasformarle ed esprimerle, buttarle fuori, per esorcizzare il dolore psicologico che si portano dietro.
Forse questo è già un tentativo di guardare avanti; forse riprenderò in mano il mio vecchio progetto legato ad un numero perennemente incompleto, forse riprenderò a trovare uno sfogo cantando, forse troverò delle nuove strade verso nuove destinazioni; ma di certo non le troverò andando a casaccio ...o peggio ancora senza neppure partire, come sto facendo ora.
Per partire bisogna però convincersi per un attimo che tutto stia andando bene, chiudere gli occhi e non pensare al mondo che sto cercando di (cercare di (cercare di (cercare di (cercare di (...) ) ) ) ) abbandonare; ecco, il problema sta lì: uscire da quel circolo ricorsivo di odiata procrastinazione, chiudere tutte le parentesi, e proseguire oltre.
Guardare avanti, verso la fine della galleria, che ci sarà pure da qualche parte, come c'era ad Aurland quattro anni fa, anche se dopo ventiquattro kilometri, come c'è sopra Santa Croce del Lago dopo poco più di tre. Solo che qui non ci sono cartelli che indichino qual'è l'uscita più vicina e neppure quanto manchi alla fine ...mentre Elton John canta "...but this train don't stop there anymore".

martedì 6 settembre 2011

Amici che crescono

Stasera mi faccio accompagnare sul divano, dopo un weekend atipicamente ed amichevolmente allegro, da un inusuale Rod Stewart nella versione vellutata del disco "It Had To Be You...", tra pensieri di come siano cambiate le mie amicizie in questi ultimi 11 anni di libertà a quattro ruote (si, per me hanno significato molto!).
Di certo non posso stare qui a descrivere uno per uno gli amici che mi hanno accompagnato sin qui e non li chiamerò per nome, tuttavia, salvo qualche piccola piacevole eccezione, credo di essere sicuro di poterli suddividere in alcune categorie che, anche se solo raramente, si sono anche intersecate. Musica, Montagna, Università, LEO. In un post precedenti mi riferivo velatamente a queste categorie come alle mie vite separate ...e così effettivamente è ancora; allora cosa è cambiato (o sta cambiando)? Pur nel difficile equilibrio tra queste quattro vite, mi accorgo che ora riesco ad accettarle più apertamente, senza nascondere necessariamente l'una alle altre; ovviamente restano delle priorità momentanee, così come delle piccole smussature (ad esempio l'estensione del concetto di camminata in montagna a quello della navigazione a vela) che mi fanno apprezzare molte più cose di quanto queste quattro qualificazioni quantifichino (e dovrei aver finito con le parole che iniziano per q...). Ma spesso e volentieri ci sono di mezzo gli amici.
Quegli amici che dopo una passeggiata primaverile lasciano scritto nel quaderno degli ospiti della casa di montagna di aver capito quanto sia vera la frase ˝non di solo pane vive l'uomo˝; amici di epiche battaglie di palle di neve anche in età adulta; amici che quando ad un bivio chiedo "dove vado?" mi rispondono "dove vuoi!" (a loro rischio e pericolo, visto che li ho portati a spasso per tre passi dolomitici, ancora con il caro Trattore 1.0!); amici che comparsi quasi dal nulla scendono da un treno ed in weekend mi fanno capire quanto sono cresciuto e quanto debba seriamente iniziare a guardare il mondo in modo diverso; amici riaccompagnati a casa nella nebbia fitta alle 2 di notte dopo quasi 6 ore passate in studio di registrazione; amici di epiche camminate in posti quasi sconosciuti alla ricerca di storie dimenticate di soldati montanari coraggiosi ma sfortunati; amici di mille e duecento miglia a zonzo senza meta tra California e Nevada su un anonimo macinino plasticoso americano; amici che trovano le compagne per la vita e prendono una loro direzione ...ma comunque amici con cui sono cresciuto e che hanno fatto maturare sia me che il rapporto di amicizia stesso che mi lega a loro.


lunedì 5 settembre 2011

Ritorno a nordest - Riflessioni



Ritorno a nordest. Ci sono tornato ben 3 anni dopo l'ultima volta, stesso posto, stessa festa, quest'anno molto meglio.
La macchina correva, da Padova a Venezia, mentre il Past PD guidava, con la sicurezza di chi conosce la strada, e la sente sua, e ama sentire la coppia ai bassi di un razionalissimo turbodiesel.
Lui non è un trentenne sgallettato come lo sono io. Non è uno che ama fare il pottaione alle feste, ma è timido, concreto e preciso, non un "tanto fumo (ma veramente tanto) e niente arrosto" come il sottoscritto. E' uno che vede nelle cose la bellezza e la concretezza. E' uno che si è dato da solo uno spintone nella vita, che è uscito dal guscio e si è dato uno spintone da solo perché quello che aveva gli andava stretto.
Encomiabile. Dovrei essere come lui.
Mi fa molto strano pensare qui, sul treno, il mezzo che amavo e che burrascosamente ho lasciato in favore di aggeggi rossi con le ruote.
E invece no, invee di essere maturo continuo a salire sui miei trenini, a smaneggiare quei motori potenti che prima o poi daranno un giustificato forfait anzitempo. E continuo a fare il maranza alle feste in modo imperterrito e imperturbabile, senza dare ascolto a tutti coloro che mi hanno preso più volte per un braccio e mi hanno detto "Andrea, adesso basta". Dico "sì" e faccio quello che mi pare. Pontifico e non realizzo qual è la via giusta.
Dicono che, alle volte, l'amore vince ogni battaglia. Era una frase che mi rimbalzava sul treno del ritorno, ma a cui adesso non so se credere. Anzi, ci credo. Il problema è sempre il quando, sono le tempistiche. Immaginiamo un punto preciso dell'universo: ad esempio, Colle. Immaginiamo un altro punto diverso dell'universo. Immaginiamo che questi due punti si pensino ma ci sono barriere che impediscono l'un l'altro di saperlo.
In questo caso l'amore non vince. Vince la paura. In altri casi, capitano eventi strani. Mi fa strano risalire sul treno, sul quella stessa linea (da Bologna in poi). Mi fa altrettanto strano guardare le foto di venerdì scorso, in cui ero il nonno e abbracciavo i ragazzi, quelli che ho definito "I miei ragazzi", quelli che davvero mi vogliono bene, quelli della città a cui sono più affezionato.
Riguardo e riguardo le foto. Siamo belli. Sono belli.
E' bella l'atmosfera. Manca qualcuno che s'è volatilizzato ma per il resto il gruppo è coeso.
Loro, carichi di speranze, non arriveranno vuoti al capolinea. Perché ci saranno quelli come me che li aspettano.
E quando l'ultimo autobus è passato, chi verrà a salvarmi?

Ritorno a nordest - coincidenze



Ferrovia Bologna-Padova, 160km/h. Il Pendolino nuovo corre, piegandosi come un serpentone lungo le poche curve di questa trafficatissima linea convenzionale. Non è il suo terreno ideale, in effetti. Dà il massimo sulle linee a media tortuosità, oltre che sulle linee ad alta velocità dove si spara a 250km/h. Qui, no. Non è il terreno ideale di nessun treno, dai tempi del mitico Marco Polo, rapido glorioso che ormai è retaggio di un'altra epoca.
Francesco mi attende alla stazione, mentre questo treno pedala, tentando disperatamente di divincolarsi tra le difficoltà di questa linea distastrata. Non ce la fa, e nonostante i tentativi disperati del macchinista di usare il pendolamento attivo, di dare tutta manetta e di sballottare i passeggeri con un marcato moto di serpeggio sui ponti, il ritardo si accumula inesorabile. 15 minuti a Padova. Scendo.
Avevo rimosso quando schifo facesse quella linea. E all'epoca i sedili erano anche più larghi. Vabbè.
Francesco, amico vero conosciuto grazie ai Leo, è lì ad aspettarmi a prendermi. Ci aspetta una festa spaziale. Lagoon Party, nave fino a Venezia, replica di quello che costituì la svolta tanti anni fa, nel 2008.
Dopo un tratto di A4, un piccolo tuffo nel passato, ci si trova e la nave salpa.
Con una sorprendente maneggevolezza si gira, di nuovo fa inversione e si dirige verso Venezia. Queste zone le sento mie, da tempo. Per metà sono di queste zone, ma mi ero dimenticato il feeling che avevo con i veneti, con le venete, e questo veneto mascherato da Toscano stringe amicizia.
Timidi capelli biondi, un forte profumo. La barca corre, per un attimo, mentre in un bacio si dovrebbe consumare il fuoco che uno ha dentro. Dovrebbe, in un bacio serio, con trasporto, azzerarsi tutto quello che c'è intorno. E invece no. Qui il rumore di sottofondo rimane, nonostante abbia tra le mie braccia l'essere più bello di tutta la serata.
Mi ero perso per un attimo, perché "....in quel momento quella persona mi interessava..." (cit.). Ma tutto attorno il tempo non si era fermato. Aveva continuato scorrere, anch'esso, in modo forte e deciso, con tutti noi, con l'imbarcazione che non beccheggiava, con il carico, a poppa, di promesse non mantenute di una persona che veniva da lontano. C'era il motore acceso, a pochi cm dall'acqua, le persone che mi lanciavano battute per l'accento e io che rispondevo.
C'era un bacio di saluto.
Un sorriso.
C'erano gli Stone Sour, Roxanne da "Songs from the last century" di George Michael. C'era il treno del ritorno, dopo un tour piacevole per Padova.
Non me lo ricordavo come andava questo treno, col suo carico di pensieri ed amarezze. Con sé ha sempre portato la domanda "che senso ha?". Adesso è lì, in agguato, che mi perseguita....
Ha senso, perché l'amicizia che sta nascendo con Francesco mi piace, così diversi ma anche uguali in certi modi di pensare.
Mi chiedo quale sia il senso dell'altra cosa. Una bionda spaziale, intelligente e interessante, vicina, con un profumo e una sensualità disarmanti, che sceglie proprio me.
Mi domando come mai, sempre.
Mi domando come mai mi sento un traditore anche se la mia ultima storia è finita ormai da tanti mesi. Sembra quasi un S.O.S., con cui da tempo chiedo a chi c'era prima di venirmi a salvare.
E invece no, non mi salva nessuno, da me stesso. L'unica via la conosco. Ma quella persona ha preso un'altro percorso, un'altra idea di divertimento, lo si vede dalle foto che è tutto diverso, che ha svoltato, che costituisco solo un piccolo puntino in una galassia. E allora mi ritraggo, faccio fatica ad essere quello che ero alla festa. Faccio fatica ad essere me stesso, a telefonare e dire "ehi, ci sono". Ho ancora tanta paura. E la voglia di gridare "Vieni a salvarmi".
Ma adesso, ho un bellissimo ricordo da custodire. E l'inizio di una grande amicizia da coltivare.
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