domenica 30 settembre 2012

La pioggia sospesa

Cammino a notte inoltrata sotto una lieve pioggia milanese di inizio autunno, solo, come sempre la musica a farmi compagnia; tuttavia è un'altra la compagnia che vorrei. Mi basterebbe una voce, l'unica, ora come ora, capace di placare le mie ansie e di rimettere in traiettoria l'automobile che sta sbandando. E puntualmente arriva la depressione esistenziale di un piovoso sabato mattina a pormi una serie di domande... 

Perché un anno di tribolazioni? Perché sono ancora al punto di partenza? Perché dopo aver creduto di essere uscito da questo circolo di emozioni represse ora riesco a ripercorrere tutti i passi che mi hanno riportato in questa gabbia dorata di sentimenti nascosti? Perché torna a riproporsi imponente la parola "paura"? Perché torna la voglia di compiere qualche pazzia?

Mi imbarco con quelle domande ancora in testa sull'Intercity per La Spezia, destinazione Genova; altre amicizie, altre ore a cercare di scacciare i pensieri in un posto nuovo, altri tentativi inutili di reprimere l'agitazione interiore, calmare il mare mosso che disturba la navigazione e non mi lascia dormire sonni tranquilli.

Mi immergo nella lettura e vedo scorrere di fronte ai miei occhi le incredibili difficoltà di Christopher Boone nella sua grande lotta per riuscire a fare tutte quelle cose che per chi gli sta attorno sono considerate normali, quotidiane; mi immedesimo nel personaggio fino ad avere gli occhi lucidi e mi chiedo quanti arriverebbero a questo punto, a questo sentirmi così diverso, spesso inerme ed impotente di fronte alle mie emozioni, alle parole che non escono, incapace di scendere da queste montagne russe.

venerdì 28 settembre 2012

Beautiful stranger


C'era un cielo grigio quel giorno, sulla Laguna. Il mulino a vento si stagliava preciso e bello, con la sua forma cilindrica, poi conica: era un ammasso di mattoni che se ne stava lì, a ricordare che nei tempi andati non si sfruttava l'energia elettrica per bonificare le aree paludose.
Non pioveva quel giorno, c'era aria di festa e un buon profumo nelle piazze, specialmente davanti alla ex stazione cittadina di una linea dismessa per danni bellici. Sulla mia macchina, allora nuovissima  e lucida come sempre, girammo a lungo quel giorno per motivi strani e particolari. 
Volarono pure dei "Ti amo" che parevano anche sentiti, a conferire una illusoria sensazione di vittoria che il lato conscio e visibile del nostro tempo mortale, quello per cui andava tutto bene, avrebbe prevalso. 
L'inconscio lo sapeva bene. Mi sentivo in bilico, terribilmente in bilico. Ogni volta che imboccavo la strada di casa, avevo la sensazione che fosse l'ultima.
Ma a questa tipologia di sensazioni non si comanda, ma soprattutto, nella concentrazione dell'esclusivo sforzo di rimettere a posto le cose, ormai irrimediabilmente compromesse, esse vengono brutalmente ignorate, maturando una tendenza all'autodifesa che ti porta solo a vedere le cose buone e a non tener conto dei campanelli di allarme. 
Fatto sta, che quella era davvero l'ultima volta.
In breve, e parlo di ore, sparì tutto. Sparì anche il ricordo della schiacciata con le chele di granchio ingurgitata a velocità supersonica dal sottoscritto.
Sparirono anche i baci di poche ore prima, la calda nottata precedente, il risveglio al sapore di the con i biscotti ripieni di marmellata che ancora oggi compro, ma che quel giorno per la prima volta assaggiai.
Mi innamorai pure di loro, conoscendo il soggetto e la vita che mi si sarebbe prospettata davanti.
Le parole erano lame, indiscutibilmente poste lì per avere un effetto. Per lei, molto probabilmente, di liberazione da una serie di adrenalinici vortici dettati dalla sfiducia.
Stranamente non reagii. In altre situazioni avrei detto e ridetto di tutto, tentato di guardare il buono. Lì nemmeno ci provai, dando una magra, magrissima e del tutto inutile dimostrazione a me stesso che sapevo sopravvivere alle catastrofi. 
Salutai dal finestrino qualcuno che mi voleva bene. E ripartii.
Ci demmo un appuntamento quel pomeriggio, adesso lontano. A cinque anni precisi da quel giorno in cui il grigio era abbondante e forse dominava anche i nostri umori, gli odori, e i sapori.
L'ho segnato.
Ora so cosa si prova nella sfiducia costante, so come si vive. Era infondata in effetti. La sua e forse la mia. Entrambe.
Ma la cosa non cambia, nemmeno alla luce delle esperienze precedenti. So che finirà tutta questa massiccia dose di nordest con un saluto semplice e pacato, e con il banale, tagliente e doloroso ritorno altrui alle proprie consolidate abitudini del tutto prive di alcuna componente emozionale.
Per me costituirà il ritorno con la testa tra le nuvole di uno spider. 
Ma allora perché immagino quell'incontro proiettato nel 2016?
Ne ho un flash preciso. Lungo una giornata intera.
Mi vedo. 
E allora lo racconto a voi compagni di viaggio. SS1 Aurelia, 120km/h. L'uscita Fonteblanda è a destra, mentre la BMW 328i Touring la impegna, in largo anticipo sull'orario previsto.
Un anticipo necessario a vivere e a ricercare disperatamente i presupposti per qualcosa in cui avrei sperato per lunghi anni.
Ci siamo evitati, odiati. Sapendo che questo momento sarebbe arrivato.
Per una volta nella vita, ho evitato di farmi illusioni. O meglio, non del tutto.
Ci sarei stato comunque, e se non si fosse presentato nessuno all'appuntamento, avrei pianificato un "...plausibile programma alternativo..." per mascherare l'orrenda figura di merda maturata.
Però certi amori non finiscono mai e alla fine ci si ritrova al momento giusto.
Comunque è così: dopo anni siamo degli sconosciuti. Una bella sconosciuta, un elegante signore cdi 35 anni che dovrebbe avere tutto, ma che difetta delle cose essenziali.
C'è solo una cosa che non riesco ad immaginare: la sfumatura di voce. 
Sarà l'ennesimo tentativo fallito.
Ma allora come arrivarci adesso? Come rimettere in sesto qualcosa che realmente attanaglia ancora i meandri di questo cavolo di cuore che non vuol saperne di ignorare i segnali, adesso? Non riesco ad aspettare. Non riesco a vivere nella sfiducia.
Non riesco ad azzerare, se non dopo anni.
Non riesco a capirmi. Appuntamento a un'altra vita, forse.

giovedì 27 settembre 2012

Roma ladrona (di cuori)


Strada del Ferratore, 120km/h. La via che va da Sovicille, bellissima cittadina sita nella Montagnola Senese: le prime gocce di pioggia si spiaccicano sull'incerato parabrezza della rossa e lucida Eroica.
Mentre accanto a me scorrono i boschi della Val di Merse, mi assalgono delle immagini: sono solo dei flash, ma assumono connotati multisensoriali, in cui ricordo parole ben precise, sapori ben precisi, attimi ben precisi.
Tutte immagini di Roma. 
Non ho mai amato quella città, non so come mai. Forse mi è sempre sembrata degradata, quando il pullman a lunga percorrenza o la macchina mi ci portavano senza sussulti se non quelli del cuore che batteva dentro di me.
Questa è una sensazione che provo quando metto piede in ogni grande città, esclusa la mia Firenze, a testimonianza che forse sono campagnolo inside, oppure ho una presa di coscienza pottaionica di abitare in uno dei posti più belli del mondo.
Fatto sta, che come un martello pneumatico, quei ricordi a cinque sensi mi assalgono ancora, ogni giorno, sempre più, in modo del tutto inconsueto e non voluto.
C'era il Ponte Regina Margherita a Roma, da cui si andava verso Via Cola di Rienzo da Piazza del Popolo, un giorno in cui Gad Lerner chiacchierava qualcosa che non volevo sentire e infatti mi incamminai di striscio non so dove, non so come.
L'ossessione di sapere che ora era non mi aveva sfiorato in quei magici giorni, che nelle ore di luce iniziavano ad essere stranamente tiepidi ma riprendevano caratteristiche terribilmente invernali quando il sole, svogliato, se ne ritornava in letargo.
Ma nemmeno di quello mi importava.
C'era il non pensare, quello che ogni persona cerca in attimi precisi della vita, il godersi un attimo, lungo giorni, con la coscienza che tutto questo avrebbe avuto una fine nemmeno così imminente (come poi ebbe). 
La notte fonda, in cui sentivo il rumore della città, mi avrebbe fatto sorridere, proprio lì, a differenza di quando le strade vicine mi tengono sveglio, così come il tocco sulla pelle ruvida.
Non riesco a capire come mai il pullman biancoazzurro si fa strada nei miei pensieri in modo nitido. circondato da una nebbiolina come le foto di Instagram ritoccate.
Forse perché tutto il resto non contava. Il lavoro non contava. Non avevo nemmeno risposto ad un paio di clienti seccatori che avevano chiamato il sabato mattina.
In altre situazioni, come ora, avrei davvero alzato la cornetta e richiamato.
Ma nemmeno di quello mi importava. Sentivo l'odore della città, della gente che camminava trafelata e non si incrociava mai: sentivo il ronzio del treno della metropolitana in accelerazione. Sentivo le mani dolci su di me, due braccia sul mio corpo. 
Sentivo fischiare i treni di lontano.
E soprattutto, la bella e straziante sensazione di avere tutto si era fatta strada come me nella macchina nel traffico della caotica "Rush Hour" fiorentina diretto in Tribunale.
Non riesco, ancora, a pena di esser ripetitivo, a capire come mai tutto questo si fa prepotentemente spazio dentro me, rubando ogni attualità alle mie giornate,  e cestinando pericolosamentequello che c'è adesso accanto e intorno a me.
Da questi pensieri mi ero totalmente distaccato, nella solita, onnipotente, ostentata, forte come un muro di mattoni ripieno di polistirolo, convinzione di avercela fatta a svoltare.
In effetti l'ho fatto. Ma quella sensazione di pace, totale, adesso non la vivo. 
Non credevo mi mancasse, mai. 
Non credevo iniziasse a farsi sentire così prepotente e forte come mai è stata nella mia mente in tutto questo anno e tanti mesi che è trascorso da quei precisi istanti. 
Nego tutto a me stesso. Ma c'è qualcosa che non mi torna in chi ho accanto, qualcosa che so che non mi viene detto, qualcosa che, in modo per me inammissibile, mi viene omesso. 
Non cerco le responsabilità per mera stanchezza, tanto non servirebbe a niente.
Nella vita successiva, di netta rottura con tutto quanto c'è stato, non ho più messo piede a Roma. Mai più. Anche se dovevo per amicizia. Per codardia, cari amici con l'accento romanesco, non sono passato a farvi visita. 
Mi perdonerete come mille volte avete fatto.
Mi perdonerete per essere così. Ma i miei viaggi si stanno stagliando in una via dell'abitudine che prosegue sin troppo a nord.
Voglio riciclarmi, far ribattere il mio cuore. Ma farlo in modo diverso ogni giorno. Questa vita mi va stretta, e chissà che non finisca presto. 
Perché ora, non "...ho tutto...".

mercoledì 26 settembre 2012

Tra le Piazze

Frecciabianca Venezia Santa Lucia - Torino Porta Nuova, soliti 165km/h di velocità di crociera, un giorno anomalo, è un mercoledì e la luce tra poco finirà di illuminare questo lembo di Terra; ora che arriverò a Milano sarà buio; e sarà di nuovo la solita nuova vita, fatta di responsabilità, di consuetudini inconsuete, di amicizie nuove e spensierate, di nuovi dubbi.

Poche ora fa camminavo per le piazze della mia ormai vecchia città, le belle piazze di Padova che forse un po', quelle, mi mancano; Sarah McLachlan nelle orecchie, tutto come l'immaginaria scena contemplativa di un qualsiasi classico film americano non troppo impegnato. Camminavo lentamente... Piazza Cavour, Piazza della Frutta, Piazza dei Signori, Piazza Duomo... poi ho aspettato senza fretta il minibus che mi avrebbe riportato verso la mia vecchia casa.

C'era un saluto che non avrei voluto fare ancora negli occhi, dopo una giornata piena di risate, di soddisfazioni altrui, di commozione, di scherzi, di sorrisi; restano un centinaio abbondante di foto, istanti di vite altrui rubati, a raccontare parte di quanto accaduto, talune belle, come suole capitare quando monto l'a me caro 70-300 Sigma.

Alzo per un attimo gli occhi al cielo fuori dal finestrino verso il cielo ancora chiaro e vedo un piccolo stormo di uccelli... chissà dove vanno tutti così in formazione... chissà quali sono i loro problemi, chissà se ne hanno, chissà se esiste anche tra di loro un Jonathan Livingstone che non si vuole accontentare di vivere una vita come le altre e punta ad un'irraggiungibile perfezione.

Torno così, mentre il treno passa Desenzano e mi dimentico di cercare al di fuori del finestrino opposto il Lago di Garda, a rivivere vecchi dubbi e nuove tensioni, sempre in attesa di conferme che continuo ad aver paura di cercare.

lunedì 24 settembre 2012

Di sole e d'azzurro



Autostrada A12, cinque passeggeri ritornano a casa dopo una weekend in una splendida, calda e accogliente Versilia.
La prima trasferta di quello che spero sia un anno pieno di tanto lavoro e soddisfazioni, insieme a coloro che ormai sono i miei amici più cari. 
Abbandonare per alcune ore la routine di tutti i giorni fa sempre bene, se poi la cornice è La Capannina e amici che non vedi da tempo, ancora meglio!
E sono proprio quegli amici che non vedi tutti i giorni, ma che senti sempre al tuo fianco, che ti mancano mentre le colline fuori dal finestrino ti salutano e mentre la mente fa un resoconto della giornata trascorsa in compagnia; sono sempre loro che ti fanno tornare il sorriso quando pensi a certe "(dis)avventure" vissute insieme. Poi il pensiero va a ciò che mi aspetta una volta a casa e un groppo alla gola mi assale: quella sensazione di dover tornare la donna infallibile nonostante i miei 24 anni, la donna che si dedica alla famiglia, che deve pensare a cosa preparare da cena o da pranzo il tutto condito alla vita che facevo fino a qualche mese fa. Mi chiedo se ce la farò a portare avanti tutto, mi sembra sempre che ciò che faccio lo debba fare per un pò ma che presto tutto tornerà alla normalità... 
Il cartello di Barberino di Mugello sopra alla mia testa. Sempre più vicino a casa. Il pensiero dei miei compagni di viaggio è arrivare a casa e dormire per recuperare le ore di sonno perse la notte precedente, il mio, invece, nel cuore è lo stesso ma nella realtà devo ricordare che ho molto altro da fare prima di dare la buonanotte al mondo e questo mi porta, insensatamente, a invidiare gli altri: vorrei tornare a casa e vedermi aprire la porta dalla mamma, sentirmi abbracciare perche le sono mancata (anche se solo per poche ore di lontananza da casa) e iniziare a raccontare, come ho sempre fatto, tutto ciò che ho vissuto, le battute degli amici, la location e tutto ciò che ne consegue e poi addormentarmi serena. 
Torno con lo sguardo al presente, torno a sorridere con i miei amici e voglio continuare ancora...



Errori in sbandata

Italo, prima classe low cost, 300km/h, direzione Bologna e poi nel tunnel verso Firenze. Le automobili sull'A1 che corre parallela in diversi tratti sembrano quasi ferme da questo punto di vista, scorrono lentamente pur andando a più di cento chilometri all'ora. Giornale e aperitivo serviti, come nelle compagnie aeree serie. Vedo tutte queste cose ma non riesco a godermele come avevo pianificato di fare; l'unica immagine che vedo nella mia testa è quella di un errore, grosso, uno dei miei.


E ora? Ora non ho più una direzione, la bussola si è starata e non segue più il nord, il vento è diventato bufera e con le sue raffiche ha strappato la randa; torno ad essere solo in mezzo al mare, ma ora la barca è seriamente danneggiata e la nafta va centellinata perché i rifornimenti non arriveranno per un bel po', e quei gesti di umanità che dovrei, vorrei, imparare a fare io, purtroppo continuo a vederli fatti sempre dagli altri, e fa male.

Fa male non riuscire a perdonarmi i miei errori vedendo chi riesce a farsi perdonare i propri; fa male sentire e capire le ragioni di chi si è sentito ferito; fa male sentire il coltello che non mi ero reso conto di impugnare tornare indietro; fa male sognare di scappare perché sarebbe la peggiore delle soluzioni. E tutto ciò si perde amlagamandosi in un sempre maggiore senso di smarrimento, e di controllo precario, come in una curva percorsa involontariamente in velocità, al limite dell'aderenza, senza ESP.

Le ruote iniziano a stridere, cerco di controllare la traiettoria ma sento continuamente la forza che spinge verso fuori e l'adrenalina non è ancora salita; sono costantemente ad un passo dal perdere il controllo e finire contro il muro a lato, coi nervi a fior di pelle e le lacrime sempre pronte a scaricare gli eccessi di tensione nervosa che non smette di accumularsi giorno dopo giorno. Continuo così, sperando che la curva si riapra e che non sia a cavatappi come lo Storegjeltunnelen di Vøringsfoss.
 

venerdì 21 settembre 2012

Autocontrollo

Parco Marinai d'Italia, Milano, un tramonto sereno, corro... Forse ci sto riuscendo, forse sto imparando; quantomeno ci sto provando, credo. Venticinque minuti di corsa per placare la solita inquietitudine serale; non avevo mai corso così a lungo senza finire il fiato, ma anche questa si è rivelata una soluzione temporanea. Provo ad interrompere questi circoli viziosi per trovare un po' di tranquillità mentale, ridare un po' di riposo a questa testa che ogni tanto sembra voler scoppiare, che continua ad andare fuori giri.

Cerco un po' di rilassamento ma faccio fatica a trovarlo; cerco di prendere questa strada e ritrovare un po' di serenità, anche se probabilmente sarà un lungo cammino. Vedo questa figura costruita, questa corazza di burro, questa finta forza esteriore che alla prima avversità personale si scioglie, ai primi segni di mancanza rimuove ogni sostegno lasciando esposte a quelle persone che hanno imparato a conoscermi tutte le mie debolezze.

Una voce nella sera, lontana ma non troppo, ogni tanto inattesa, sempre sincera, sempre gradita, tante volte inconsapevolmente calmante, forse troppe. Continuo a chiedermi se riuscirò mai a capire qualcosa della confusione che popola la mia testa, di queste montagne russe che hanno ripreso a correre su un vecchio binario che pareva abbandonato, di questi muri contro cui continuo a tornare a sbattere. O forse non sono io a doverlo capire; o forse non devo capirlo da solo.


giovedì 20 settembre 2012

Fuori o dentro

A millemila miglia e sei ore di fuso orario di distanza, è davvero più facile vedere le cose da una prospettiva migliore?

Visto da qui tutto tutto sembra lontano
convulso e insensato agitato per niente
come fosse distratto e indifferente
a cio che e' importante...


Quel che è certo è ho bisogno di distanze per scrivere, e per ricordarmi grandezze e pochezze. Per mettere a fuoco le sensazioni che ho bisogno di sentire Dentro quando mi addormento, per vedere nella sua piccolezza quello che deve starsene Fuori dal mio futuro, non importa se questo significherà prendere ancora una volta la strada più complicata.

Visto da qui e' solamente una parte
davvero convinta di essere tutto
dove non c'e' piu' urgenza c'e' solo la fretta
e l'affanno e' un respiro che non si rispetta...


La Distanza non è sempre un male, se non è definitiva. Dopo sei anni di distanze so perfettamente a chi non potrei Mai rinunciare, le priorità diventano chiarissime, i dubbi inesistenti. Presenze a assenze assumono tutto un nuovo significato. So chi voglio accanto in ogni mia nuova partenza e in ogni nuova avventura, e chi no. So sempre di più che ho bisogno di giocare a modo mio, coerente con me stessa, e con la distanza fisica riesco a prendere il coraggio per una maggiore distanza mentale da chi vorrebbe farmi giorcare con le sue regole, che grazie ma no. Io per me voglio Altro, e soprattutto voglio almeno provarci. Non capisco perchè c'è chi si ostina a non capire che il cielo che insegue da una vita non è il Cielo che tutti vogliono. Quello che voglio io qualche mese fa era pieno di nuovoloni bianchi, qualche settimana fa era terso e azzurro, ieri era rosa.

Sara' anche che il gioco si cambia da dentro
ma alla fine e' giocare che ti cambia dentro
sara'  anche che spesso lontano dal centro
ognuno si scopre un nuovo talento
Magari fuggire non e' la soluzione
magari fuggire e' una resurrezione
e' come sfidare il niente
stare qui


E un po' di Vertigini fanno bene alla salute. Per lo meno a quella della Nala-DottorandaDisperata.



lunedì 17 settembre 2012

Confini immaginari

Autostrada A4, tratto Vicenza - Padova, mezzanotte passata da poco, 135km/h in cruise, un'allegra e spensierata giornata alle spalle, con la consapevolezza che ci sono confini immaginari che si iniziano ad insinuare tra la mia vita e quelle di un numero sempre maggiore di amici. Per la prima volta mi sono trovato da solo sul primo gradino della scala, ancorato a terra, lontano, lontanissimo da qualsiasi spostamento verso l'alto.


È come se ci fosse un tappo che ferma lo scorrere degli eventi, un sasso che blocca l'acqua del torrente che vuole andare verso valle e crea invece pericolose turbolenze rallentandone il flusso; un macigno da rimuovere, o forse anche solo da smussare finché l'acqua non scivola via da sola riprendendo il suo, pur sempre tumultuoso, corso verso valle, verso altri torrenti, altre valli, verso altri fiumi; verso il mare.

C'è un confine immaginario anche in mezzo al mare; un confine che non so dove si trovi, un confine che non so se sto valicando oppure se mi ci stia semplicemente avvicinando ad esso veleggiando parallelamente a quello, senza mai superarlo; un confine che forse ho superato, io, solo, con la mia barchetta che cerca di seguire lo Scirocco nonostante i miei tentativi di immaginare altre destinazioni ed altre rotte da solcare con altri venti che gonfino le vele.

Cavalco questo confine immaginario ancora tra qualche altalenante sfogo, con gli occhi lucidi per i motivi più disparati, per le ansie da combattere, per la felicità, altrui, ma anche per la mia di cui a tratti mi accorgo, per attese che anche se ricompensate continuo a far fatica a sopportare.


domenica 16 settembre 2012

Tonneau infinito.


Amo gli aerei. Lo definirei un "...amore maturo...", nato quando certe cose andavano male nella mia vita, un po' come oggi.
E da allora ho iniziato ad informarmi su come funziona un aereo, ci ho pure messo le mani sopra, ecc....
Quello che sto imparando adesso, dando fondo alla sete di sapere che mi ha sempre contraddistinto, sono le manovre acrobatiche. Ovviamente le imparo in teoria, non in pratica, visto che a questi sport estremi non so come accostarmi.
Dopo il loop (il caro e vecchio giro della morte), passo ad analizzare un altro fondamentale dell'acrobazia: il tonneau, termine con cui "...si definisce (...) quella manovra che porta ad effettuare un giro completo rispetto all'asse orizzontale del volo. Se si esegue un mezzo tonneau, l'aereo si trova capovolto...".
Eccolo, il tonneau. In poche parole, l'aereo si avvita sul suo asse.
Cavolo, inizio a ritrovarmici. La nostra storia sta facendo un tonneau, però verso il basso, vicino al terreno.
Semplice: mi tocca fingere quello che non sono. Devo essere una persona sicura quando non lo sono mai stato.
Ma non arrivano messaggi, non vengo cercato, non ricevo quello che do. Ho solo una pericolosa ansia di fondo. Non ho risposte alle mie domande. A nessuna. Sono stato messo da parte, in via pressoché definitiva. 
Sono stufo di ingoiare rospi, di vivere falsamente qualcosa che non voglio, non posso, non voglio proseguire verso il terreno. Perché se questo aereo che si avvita non arresta il tonneau, la botta a terra sarà forte e tutti ci faremo molto male.
L'altimetro scende, così come il mio umore e la mia felcità, ormai divenuta uno sbiaditissimo ricordo, non sembra più raggiungibile.
Per lo meno, non adesso e non con chi ho accanto. Non se ne accorge che mi sta perdendo, non lo vede come una cosa possibile. 

sabato 15 settembre 2012

Ci credo ancora troppo


A cosa direte voi? Ma che vi importa? Perché leggete? Sono solo due parole noiose messe in croce, sicuramente avrete altro da fare! Come ho già detto varie volte: "si scrive per sé stessi" e, aggiungo ora, "un po' per noia, un po' per non perdersi".

Dunque, credo ancora troppo in questa storia zoppicante, come un vecchio cavallo buono solo da macellare. Eppure c'è chi al cavallo ci tiene, ma ci tiene per davvero! E se non si potrà correre e saltare, sarei pur felice di andare al trotto o di morire in una stalla accarezzandone la criniera.

Questa è una stupida storia come tante altre, in cui ci si conosce, ci si perde, ci si ritrova e ci si riperde; niente di speciale. Eppure se una miscredente come me arriva a crederci così tanto, qualcosa vorrà pur dire, no?
Esisterà un qualche sesto senso, o sarà tutto frutto di una mera e materialissima attività cerebrale?
Nevertheless... non importa, il fatto è che ci credo troppo e forse devo qualcosa pure al nostro Velocissimo ed inconcludente per questo. La sua volontà è sempre stata ferrea a riguardo, sebbene a volte non sia stata adeguatamente premiata.

Ci credo troppo per poter accettare compromessi, esattamente come amavo troppo il mio cane per vederlo morire lentamente.
Riesco a credere che, sotto quella pianta malata, ci sia ancora una radice buona, che sia possibile una rinascita dopo un taglio netto, e proprio per questo sento di dover fare questa mossa.

Non molto tempo fa qualcuno mi disse "Se ti abitui a stare qui - e a questo punto immaginatevi la mano di un ragazzo biondiccio, dall'aria un po' triste, che si allinea orizzontalmente davanti al piano dei suoi occhi - non accetterai mai di stare a meno che qui (stesso gesto)" ed è una delle cose più vere che mi sia stata detta!
Ecco perché non riesco ad essere triste: perché io questo compromesso non lo accetto.
Non ci lascerò rotolare nel fango come maiali senza più padroni o non lascerò questa piccola fiamma spegnersi lentamente, se proprio volete una metafora più fine.

Forse sono un'illusa a sperare che possa riaccendersi, ma, rileggendo questo blog, ho notato che un mio grande desiderio era crederci e, in fondo, anche se troppo tardi, ci sono riuscita.

giovedì 13 settembre 2012

Tramonto ligure

Autostrada A7, 90km/h, notte fonda, una serie quasi infinita di curve e di gallerie da affrontare a bassa velocità, un po' per il mezzo non proprio adeguato, un po' per il tutor che impone di tenere una media decisamente non elevata. Il padrone della Twingo bianca che sto conducendo dorme sul sedile posteriore, silenziosamente fiducioso, come d'abitudine per i miei passeggeri. Una nuova amica, silenziosa, a fianco.

Solo poche ore prima mi era capitato di sentirmi dire da loro "...eh, capita." di fronte ad uno dei miei nuovamente (purtroppo) soliti momenti di asocialità, di raccoglimento solitario, di alienazione dal mondo che mi circonda. Mi aspettavo il solito "Dai non rompere e torna qui!" ma così non è stato; non ho ancora capito se si sia trattato di poca confidenza nei miei confronti o veramente di comprensione del mio stato, ma in ogni caso mi ha stupito la reazione.


Ma eravamo sul mare, in un'altra regione, con ancora negli occhi le tonalità rosa e violacee del tramonto da poco trascorso, a quasi 170km da casa, la casa nuova, dove ora invece le lacrime scendono, silenziose, di nuovo, per sfogare quello che non riesco a far uscire in altro modo, quello che trattengo giorno dopo giorno per non forzare ciò che ho paura di rompere a priori, qualcosa che ha involontariamente iniziato ad assumere i caratteri di una dipendenza. E come al solito chi ci va di mezzo è la mia stabilità emotiva.

Inizio a cercare un po' di autostima, a cercare di capire dove i miei pensieri si contorcano fino al punto di distorcere la realtà, di mandare "la testa fuori giri" in un riflessivamente profondo circolo vizioso. Se è vero che "abbiamo bisogno di essere in pace col mondo per capire quello che ci gira intorno", questa pace la vedo ancora lontana...


mercoledì 12 settembre 2012

Territori ostili. I sogni infranti al chilometro quarantacinque


Sarà il nuovo Direttore che dà la carica, ma adesso mi piace troppo riscrivere anche qui.
Qualche giorno fa mi è capitato, per motivi di lavoro, di tornare in una città un tempo a me familiare. Tutto questo avveniva in un tempo che oggi pare lontano, ma i cui ricordi si avvicinano spesso a me, anche quando non vorrei e la mia mente vi oppone strenua resistenza, e nonostante tutto capitola a degli sprazzi di realtà che erano molto più piacevoli della attuale.
In quella città, che ha la fortezza aldobrandesca, poche chiese e un municipio tutto sommato decente, ci ho fatto una puntata molto rapida, per depositare qualche atto di qualche causa che ho lì.
Effettuavo sempre i miei adempimenti con la furtività che compete ad una specie di James Bond dei poveracci, con il bavero rialzato d'inverno, i Ray Ban a schermare quel mondo che adesso pare così lontano, ma che in effetti dista 1h e 10' di macchina.
Ho ripercorso la SS223, a 90km/h. Da Civitella Marittima sono sceso per il tratto nuovo, del tutto asettico, alzando la mia media di velocità quando il limite e le condizioni della strada lo consentivano.
Non avevo alcuna fretta, in effetti.
Ma l'euforia era tanta, troppa, del tutto inspiegabile per un viaggio in cancelleria che questo giovane legale trova all'ordine del giorno nella sua vita.
Giacca, niente cravatta ma sciarpa drappeggiata molto estiva, pantaloni beige e mocassini costituiscono la divisa, divenuta abituale, coordinata con i Ray Ban, soliti, classici, sempre belli.
L'Eroica sembrava procedere indifferente a tutto questo vortice.
In modo meccanico mi sono ritrovato a fare le mie cose.
Sono risalito sull'Eroica di nuovo e al ritorno parevo ripercorrere a ritroso il solito tratto di strada.
Ma quei ricordi che non volevo rivedere ritornano. Tornano ricordi belli, ma anche quelli di immotivati litigi forti, in delle sere in cui il viaggio di ritorno costituiva una liberazione da quella che appariva una catena autoimposta. Correvo, dopo la galleria di Pari.
Al km 45 c'è un curvone, preludio dell'ingresso in Provincia di Siena. Lo si poteva percorrere in sesta (quinta per i temerari come il sottoscritto) a velocità prossima ai 150km/h, e ci si proiettava in un rettilineo stracarico di avvallamenti, in cui l'assetto, allora non perfezionato come adesso, manifestava la propria voglia di cedere sotto il peso delle sconnessioni, un po' come la mia mente di allora.
Schiacciavo, con la consapevolezza che il prossimo autovelox fosse messo cinque km dopo.
Quelle poche migliaia di metri di asfalto erano, per due minuti, la valvola di sfogo, il "...motivo per cui valeva la pena percorrere quella strada...". Forse costituiva una magra consolazione, un piccolo meccanismo di autodifesa che l'anima da pilota professionista, mai morta, e ora viva più che mai, rivendicava a se stessa.
Ora c'è un autovelox pure lì, e questa strada è divenuta larga e piatta. Un altro stupro perpetrato ai danni di qualcosa che faceva parte della mia vita.
Larga e piatta come la vita che vorrebbe chi ho accanto, con me.
E lotto, di nuovo. Senza tratti di strada per cui vale la pena di aver vissuto. Sembra quasi che le lacrime buttate dentro, certe sere, premano sin troppo per uscire, e che si scateni dentro di me una guerra tra due fazioni: l'Andrea speranzoso e quello che ha "...la consapevolezza di avere perso..." (cit.).
Cerco ancora di ritrovare quella fiducia, in me e nella persona che avrei, in teoria, accanto, che ostento in tutti i modi possibili e immaginabili, quando la realtà è ben diversa, e scevra da ogni condizionamento, o autocostrizione si rivela ben più vuota di quello che ci si può aspettare dall'involucro dorato che la contiene.
Non posso nemmeno dire "...mi manchi...". Forse sento la necessità di una figura ben precisa, di una persona che mi rassicuri e invece trovo, come contropartita, dei muri su cui batto la testa ogni giorno sempre più forte.
Sembra quasi che le testate rendano forte la malta, e facciano gloriosa la casa che ne costituisce il risultato architettonico per averle sopportate.
La SS223 è finita. E' passato del tempo. Anche le strade successive sono finite.
E' tempo di restare a casa, stavolta. Di spegnere la radio e le luci. Di far calare il sipario su di noi, su questo ruscello di lacrime che ora scorre impetuoso e non trova la via del mare.

martedì 11 settembre 2012

Avevo tanta voglia di viaggiare, tu mi dicesti vai ed io partii



Eccomi qui a scrivere su un blog a me nuovo. Ho iniziato pubblicando pezzi critici su Controvento nei confronti di qualunque cosa mi desse fastidio o semplicemente non mi piacesse e ora sono, inaspettatamente, davanti ad una pagina bianca dove posso scrivere un pò quello che sono la mia vita, le mie sensazioni, i miei pensieri, le mie paure e chi più ne ha più ne metta. Ho, per così dire, fatto il salto di qualità grazie a due carissimi amici.
Sono dell'idea che le cose non succedano mai per caso, ma tutto abbia un suo senso logico: nel bene e nel male. Fino a qualche tempo fa leggevo passivamente i vostri post e spesso mi rispecchiavo e mi dava sicurezza perche mi dicevo: "beh, almeno non sono l'unica a provare certe emozioni o ad avere certi timori" ed ora?  Ora parto da zero, sia in questo contesto, quanto e soprattutto nella vita, la mia vita. Si, sono in quella fase in cui mi chiedo perché dall'Alto hanno pensato di gestire a la mia quotidianità, i miei affetti a modo loro. In questi ultimi mesi ho sentito tremare la terra sotto i piedi (e non solo in senso figurato) venendomi a mancare ciò che pensavo fosse invincibile ed eterno, il tutto nel modo più inaspettato possibile e l'impreparazione era scontata! Ma si sa, i fiori più belli e odorosi sono sempre quelli che vengono colti per primi.  
Quaggiù si procede ad un passo alla volta con la voglia, spesso, di celare il viso dietro a una sottile patina di rugiada che fa riaffiorare ogni singolo ricordo, ogni singola parola, ogni singola fotografia di momenti che pensavo di poter rivivere ancora tante e tante volte, invece...
Poi mi fermo. Il sole di un'estate calda che troneggia alto con tutto il suo calore, mi culla. Asciugata ogni lacrima riparto, riprendo in mano il timone. Ora tocca a me portare questa barca, insieme con la mia famiglia, verso nuovi porti, nuovi sentieri in cui troveremo fiori che mi ricorderanno che il fiore più bello e più profumato lo posso portare sempre con me e sentirne il profumo in ogni momento.



Girarsi indietro sull'autostrada dei sogni


Pensavo di scappare eppure qui c'è una valvola di sfogo difficilmente sostituibile. 
Autostrada A1, 130km/h. Non piove più, adesso. La terra non si è ancora ripresa da lunghi mesi di siccità, e nel mio giardino la magnolia lotta, ancora, per sopravvivere, come se volesse strappare le sue radici, muoversi e andare a bere altrove. Sembra quasi apprezzare i miei tentativi di recupero, di annegarla con tanta acqua, e con la forza che ci contraddistingue sempre e comunque sembriamo molto simili.
L'A1 è stata l'autostrada dei sogni, nelle sue varie direzioni. Nella mia vita l'ho percorsa tantissime volte. Ho calcato il caldo asfalto estivo con la Punto Cabrio, prima nelle circoscritte colonne d'Ercole della Toscana, quando andare a Barberino di Mugello pareva quasi un viaggio avventuroso.
Poi vennero le varie passiste autostradali, sempre del tutto inadatte all'ambiente largo e piatto dell'A1.
Non importa con quale mezzo l'ho percorsa, a dire il vero.
Torno indetro, nel piccolo tratto fino alla Firenze Siena.
A Firenze Impruneta si vedono già i cartelli per Siena e Grosseto, quei tre numeri così familiari e che, nei momenti tristi, appaiono in modo incontrovertibile nella mia mente, quel 223 che era anche stato il mio numero di gara. Ma quale gara corro adesso? 
Mi viene da piangere, senza un motivo preciso: la lacrima corre velocissima sulla mia guancia, mentre transito nella corsia Telepass.
Così fu. Il nostro viaggio pareva finito, in effetti. Mancano i nostri momenti felici, il nostro amore incondizionato, i sogni che coltivavamo e io coltivo ancora, come un ragazzino testardo, sordo e cieco a cui non manca la fantasia, né la capacità di costruire le cose tanto agognate.
La mia mente si focalizza su un viaggio di ritorno da Bolzano, dopo 3 giorni fatti di abbracci mai forzati, di un caldo intensissimo sotto le nostre coperte fatte a fagotto, di urla di gioia, di un trenino pieno di finestre ampie che danno sulle vigne, di una vasca calda alle terme, di un cibo ottimo e di una birra tanto scura che ci entrava dentro benissimo.
Non è solo l'amore che ci legava che in effetti si è perduto. Sono andate ad arenarsi anche le navi cariche di complicità, della fiducia che ha chi crede nell'altro e nelle prospettive future che a 31 anni fanno capolino in modo inevitabile.
Mi giro indietro, di nuovo. Guardo a quella Statale strana, che è cambiata. Guardo a quella diversa, sbagliata ed eccessiva complicità che avevamo, ai periodi bui successivi, ad un qualcosa che pare rimasto intentato e che affonda le sue radici in un passato in cui il cuore batteva fortissimo e che ho avuto l'illusione di ricreare.
Poi, col tempo, la fatica soppianta l'entusiasmo e le giustificazioni alle domande sempre più forti e poste ad un ritmo incalzante hanno sempre il solito, dolce, tono "...era l'inizio....".
Mentre i Puddle of Mudd urlano una versione moderna di Gimme Shelter nella mie orecchie, la voglia di vivere di nuovo è tanta. Vivere, non sopravvivere.
Shelter, rifugio.
E' quello di cui avrei bisogno adesso, di un rifugio. Perché "...war, children, is just a shot away...".
Rimpiango quel periodo in cui ci prendemmo per mano, a vicenda, e tu che sei qui dentro sai di cosa parlo.
Le nostre mani intrecciate erano incorniciate dalla verdi vigne che spingevano via, nel rosso del tramonto, il colore intenso dell'Eroica parcheggiata con le quattro frecce. Ce l'avevamo fatta, in quell'istante. Ma in quello dopo le guerre che combattevamo, del tutto separate, ci portarono via.
Non ho rifugio dalla pioggia di bombe che nella fredda, terribile, dolorosa, odierna normalità, mi cade addosso per mia esclusiva responsabilità.
"...Non dovevo, eppure l'ho fatto..." (cit.).

L'amaro ed il salato



E forse fa più male la Verità di qualsiasi altra disgrazia. E la verità è sempre difficile da ammettere. Varie volte ci viene negata, altrettante la neghiamo a noi stessi. Perché niente crea più dolore di ciò che è vero. E la verità, talvolta, è che non proviamo il dolore che vorremmo provare.

E' dura sopportare questa profonda malinconia. Una casa vuota, nessuna macchina parcheggiata di fronte al cancello, un letto troppo grande per esser solo mio. Lenzuola nuove, spazi da riempire con nuove abitudini... tutto cambia e, in questo rapido evolversi, mi rendo conto che non provo dolore, ma nostalgia.
Può la nostalgia essere definita dolore? Nel mio modo di vedere le cose, sono sensazioni ben diverse. Il dolore è il vuoto che ci viene lasciato dentro, la nostalgia è l'amarezza del ricordo. Come fossero due gusti distinti: salato ed amaro, si assomigliano ma sono percepiti da aree diverse di quella piccola grande prateria di papille gustative.

Non manchi solo tu, manca il tutto che avevamo, perché, quando finisce qualcosa, anche le cose più brutte finiscono per mancarci. L'essere umano è diventato terribilmente abitudinario.

Il dolore, quello lo conosco bene da mesi, è il dolore di una perdita per molti superficiale, per me vitale. La mia parte umana se ne è andata, lasciandomi in consegna un cesto di amore da conservare, troppo bello per esser donato, troppo nobile per non esser protetto. Tu manchi, fino in fondo, il tuo ricordo mi provoca una lacrima ogni sera, persino a fianco della persona che condivideva il mio letto.

Ricordo bene quando, una triste notte, mi voltai dall'altra parte, pensando "non è sufficiente". Non bastava avere qualcuno a fianco, il mio inconscio cercava ancora quella parte bambina, spontanea e capricciosa che se ne è andata con te quel giorno di febbraio con la neve ancora alta.
E adesso, che sono sola, non riesco a sentirmi più sola del giorno d'inverno in cui sei volato via. Strano come, nell'amore, poco conti la razza a cui si appartiene. Come diceva quel caro amico: "ci si innamora di tutto".

Rimango quindi nella mia passiva nostalgia in questa casa vuota, conscia che il dolore che so provare è unico, come lo è stato l'amore profondo e libero da condizionamenti umani.
Ma, se mi volto dall'altra parte del letto, mi chiedo: "è solo nostalgia tutto questo?"

Troppo difficile trovare una risposta.. come spesso accade nella vita, si chiude gli occhi, in attesa di un nuovo giorno, di nuove domande che spazzino via le vecchie, in un eterno dubbio dimenticato che, come un film muto, manca del suo pieno significato, lasciandoci senza certezze.

lunedì 10 settembre 2012

Defying Gravity

Qualche mese fa una carissima amica mi ha consigliato Wicked a Londra. Nella mia eterna lista di musical-almenounavoltanellavita non c'era, ma complice un buon prezzo al botteghino sono andata a vederlo prima di tornare in terra italica. Beh, è diventato il mio preferito. Mi manca Londra, ma ancor più mi manca SentirMi come mi sentivo a Londra. La colonna sonora che stava dando alle mie azioni.
I'm through accepting limits 'cause someone says they're so 
Some things I cannot change But till I try, I'll never know
Mi manca essere stimolata mentalmente dal punto di vista lavorativo. Sentire che quello che divento giorno dopo giorno dipende da Me, non dai bagagli che mi porto dietro. Mi mancano i teatri con il loro Stile unico.

Ma finalmente (?) è giunta l'ora delle nuove partenze. Il punto di domanda è dovuto al semplice fatto che in realtà un pochino son già partita, nel senso che sono nella Terza Città del mio eterno balletto delle Tre Città di quando sono in Italia. La Bellezza di un posto è data in gran parte dalla persona con la quale la condividi, e a Roma questa bellezza la vedo. Io qua sto bene. No, la Nala dottoranda che cerca il suo Posto nel Mondo a dire il vero tanto bene non ci sta, ma quasi tutte le altre Nale che convivono burrascosamente nella mia testa sono felici e molto più libere di Essere. Molto più qua che altrove, sicuramente.

Ma tanto stanotte si riparte. Intanto per pochi giorni, prima della Partenza-oSantoCielo della prossima settimana. Verso l'una e mezzo di notte per un aereo che parte dopo le sei, perchè i collegamente notturni con Fiumicino sono ridicoli. E si riparte con un po' d'ansia, per Bilbao, divisa al solito tra la voglia di buttarmi e la paura di non sapere aprire le ali.

Too late for second-guessing Too late to go back to sleep 
It's time to trust my instincts Close my eyes: and leap!
It's time to try Defying gravity 

I think I'll try Defying gravity

Vertigine.



Perturbazioni di passaggio

Laguna Veneta, ore 01.30, piove, musica ad alto volume, le onde fanno muovere il barcone su cui mi trovo assieme ad uno scarso centinaio di festanti persone, l'umore prosegue con i suoi sbalzi tipici da festa collettiva apparentemente allegra, mentre io provo a non sottostare ai miei soliti odiati momenti di asocialità.

Anche nel mio mare ci sono nuvoloni grigi all'orizzonte, hanno portato un po' di pioggia per fortuna senza far danni, ma vedo la tempesta che si scarica non lontano, tutt'attorno. Ci sono nuvole a sud-est; il temporale forte lì è passato, anche se piove ancora; c'è questo Scirocco forte che porta fin qui l'aria umida della pioggia che cade.

E tutto questo non fa altro che aumentare lo stato di confusione attuale, questo stato di più e più sensazioni che si fondono e si rincorrono, che provo a buttare fuori rincorrendole con le mie stesse gambe, riprendendo timidamente a correre in questa città che ormai tanto più nuova non è; ma non ci riesco, i miei affanni continuano a farmi compagnia e non riesco a trovare un po' di pace, nonostante i momenti di felicità e le nuove amicizie, i nuovi colori, i nuovi tramonti.

Tornano le ansie che non riesco a sfogare, tornano gli sbalzi di umore incontrollati ed ingiustificati, tornano le voci nel telefono a ristabilire un temporaneo equilibrio che però non scaccia immagini non viste di un passato non vissuto che creano irrazionali ed assurde paure. No; il passato non conta; conta oggi, contano questi successi di cui continuo a non curarmi, contano le persone che mi danno fiducia nonostante la mia quasi inesistente autostima.

Ma allora perché non riesco a calmare quest'inquietudine? Mi metto le cuffie buone e alzo il volume... Mike Oldfield, Pink Floyd, Toto, Sarah McLachlan, Alanis Morissette...e ora pensiamo a domani, senza patemi d'animo; proverò a non crearmi le solite inutili aspettative, anche se sarà difficile.


mercoledì 5 settembre 2012

Bagarre (Sottotitolo: rottura del silenzio per espressione del disappunto)


C'era un tempo in cui si discuteva della bagarre alla partenza delle gare di Formula 1. Era un tempo adesso lontano, quando la Benetton era Nannini e Piquet, Prost e Senna la McLaren, Alesi e Berger alla Ferrari, la Lotus non era con i motori Renault e la Williams schierava il "nonno" Patrese e Thierry Boutsen. Nannini scherzava sempre con Zermiani ai box, e i piloti correvano anche a Le Mans, i motori erano 1500 turbo con le pressioni da qualifica, con qualcosa come 1200cavalli in prova, e 900 in gara, e via dicendo, e i poveracci montavano il Ford DFV 3500V8 che andava comunque bene.
Era un ambiente umano, molto più umano di quello che si respira ora, con atleti ridotti a chimere, a idioti insipienti e arrogati, sprezzanti del mondo che li circonda. Molto più umano di quello che ebbi occasione di frequentare anni dopo.
C'è un'altra bagarre, a cui accennerò in seguito. 
Rientriamo in carreggiata. Raccordo Autostradale Firenze-Siena, direzione sud, 110km/h. Pioveva in modo battente e forte al ritorno da Prato, da "...quello che dovevo fare...".
Fin qui nulla di strano, se non che le Pzero Corsa non sono nel loro ambiente ideale, il differenziale elettronico, svogliato come un impiegato vecchio stile, i turbi, cattivi come sempre, entrano e fanno sbandierare questi 1040kg di lamiere, plastica e roba elettronica coperti da uno strato lucido e uniforme di vernice rossa. Ad ogni accelerata si rischia sempre per l'intervento sin troppo tempestivo del motore.
Il telefono suona. E' il numero di casa mia. Realizzo che è suonato l'allarme ed ho ancora 25 minuti di percorrenza, in cui l'eventuale ladro potrebbe fare il bello e il cattivo tempo in casa mia. Chiamano i Carabinieri, collegati all'allarme. Vanno verso casa. "...Lei venga prima possibile..." - tuona l'Appuntato nel cellulare. E allora, sotto questo uragano, sposto la mappatura in Dynamic, cosa da non fare, c'è scritto anche sul libretto di uso e manutenzione. Scalo in quarta. Quinta. Sesta. La progressione è entusiasmante. Ancora di più. Piove, i tergicristalli fanno tanta fatica a smaltire l'acqua da quanto piove. Raccordo Autostradale, vuoto, 220km/h, dopo la salita di San Donato. Sono un mostro che corre velocissimo, adesso.
Sollevo enormi colonne d'acqua. Ho lo "stato di necessità" dalla mia parte, misera giustificazione civilistica per chi va forte in macchina.
Corro, ancora di più. Poggibonsi Nord, 235km/h.
Ero sorridente.
Ma da quando è ricominciata la bagarre non vivo, di nuovo. Penso soltanto che anche una misera critica, la richiesta del "minimo sindacale", sarebbe stata ben accetta.
La vita è questa, ti fa scontrare con chi era tutto per te, con chi dava tutto senza problemi e adesso scopri che "...lo fa per forzatura..."
Bagarre, come tra Arnoux e Villeneuve. Bagarre. Troppa.
E a questa velocità si può morire. Ancora di più se si considera il bagnato e Sinead O'Connor che tira fuori il meglio di sé nella canzone che era "nostra" con una persona del mio passato, con cui ci siamo amati tanto e il cui finale è esattamente analogo. Bagarre. Ancora. Fine imminente.

lunedì 3 settembre 2012

La laguna dei dubbi

Autostrada A4, notte fonda, 120km/h di andatura da crociera sotto la pioggia, tratto Mirano - Padova Est, una BMW della Stradale mi sorpassa poco più veloce; non corro, non serve, non ha senso, per fortuna non ho sonno e i miei passeggeri si aspettano che li porti a casa sani e salvi. Solo i miei pensieri corrono, inutili ed infruttuosi come al solito, sulle ali di quei venti noti che ho paura di seguire.

Ora, in questa ennesima Frecciabianca domenicale ci sono le ultime luci del tramonto poco a sud del Lago di Garda a farmi compagnia; sono già lontano ma per qualche momento vorrei essere ancora più lontano, per questo timore, come sempre, di confrontarmi con le mie paure; continuo a convivere con questa voglia di fuggire dai gruppi che mi fa vivere momenti di estraneità da cui non riesco ad allontanarmi, per quanto provi a combatterli.


Continuo a sentirmi ingiustificatamente ed irrealisticamente solo, in cerca di contatti che non avvengono, prendendomela sempre e comunque con me stesso. Ora c'è di nuovo Bublé negli auricolari, "A song for You" a farmi tornare in mente vecchie pazzie; ora che non c'è la forza e la convinzione per farle, ora che torno nella vecchia condizione di rinunciare in partenza alle battaglie per motivi che forse nessuno riterrebbe validi.

Nel frattempo il paesaggio al di fuori del finestrino, ai lati dei binari, si è fatto buio; il mondo si racchiude tutto in questo treno, questa carrozza nove con i suoi passeggeri-personaggi attori delle proprie vite e mi accorgo nuovamente di quanto mi piaccia viaggiare di notte, ignaro di cosa si nasconda nelle tenebre, fidandomi della perizia di chi guida il convoglio a destinazione e lasciandomi trasportare sognante verso la meta, aspettando senza fretta di arrivare.


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