mercoledì 12 settembre 2012

Territori ostili. I sogni infranti al chilometro quarantacinque


Sarà il nuovo Direttore che dà la carica, ma adesso mi piace troppo riscrivere anche qui.
Qualche giorno fa mi è capitato, per motivi di lavoro, di tornare in una città un tempo a me familiare. Tutto questo avveniva in un tempo che oggi pare lontano, ma i cui ricordi si avvicinano spesso a me, anche quando non vorrei e la mia mente vi oppone strenua resistenza, e nonostante tutto capitola a degli sprazzi di realtà che erano molto più piacevoli della attuale.
In quella città, che ha la fortezza aldobrandesca, poche chiese e un municipio tutto sommato decente, ci ho fatto una puntata molto rapida, per depositare qualche atto di qualche causa che ho lì.
Effettuavo sempre i miei adempimenti con la furtività che compete ad una specie di James Bond dei poveracci, con il bavero rialzato d'inverno, i Ray Ban a schermare quel mondo che adesso pare così lontano, ma che in effetti dista 1h e 10' di macchina.
Ho ripercorso la SS223, a 90km/h. Da Civitella Marittima sono sceso per il tratto nuovo, del tutto asettico, alzando la mia media di velocità quando il limite e le condizioni della strada lo consentivano.
Non avevo alcuna fretta, in effetti.
Ma l'euforia era tanta, troppa, del tutto inspiegabile per un viaggio in cancelleria che questo giovane legale trova all'ordine del giorno nella sua vita.
Giacca, niente cravatta ma sciarpa drappeggiata molto estiva, pantaloni beige e mocassini costituiscono la divisa, divenuta abituale, coordinata con i Ray Ban, soliti, classici, sempre belli.
L'Eroica sembrava procedere indifferente a tutto questo vortice.
In modo meccanico mi sono ritrovato a fare le mie cose.
Sono risalito sull'Eroica di nuovo e al ritorno parevo ripercorrere a ritroso il solito tratto di strada.
Ma quei ricordi che non volevo rivedere ritornano. Tornano ricordi belli, ma anche quelli di immotivati litigi forti, in delle sere in cui il viaggio di ritorno costituiva una liberazione da quella che appariva una catena autoimposta. Correvo, dopo la galleria di Pari.
Al km 45 c'è un curvone, preludio dell'ingresso in Provincia di Siena. Lo si poteva percorrere in sesta (quinta per i temerari come il sottoscritto) a velocità prossima ai 150km/h, e ci si proiettava in un rettilineo stracarico di avvallamenti, in cui l'assetto, allora non perfezionato come adesso, manifestava la propria voglia di cedere sotto il peso delle sconnessioni, un po' come la mia mente di allora.
Schiacciavo, con la consapevolezza che il prossimo autovelox fosse messo cinque km dopo.
Quelle poche migliaia di metri di asfalto erano, per due minuti, la valvola di sfogo, il "...motivo per cui valeva la pena percorrere quella strada...". Forse costituiva una magra consolazione, un piccolo meccanismo di autodifesa che l'anima da pilota professionista, mai morta, e ora viva più che mai, rivendicava a se stessa.
Ora c'è un autovelox pure lì, e questa strada è divenuta larga e piatta. Un altro stupro perpetrato ai danni di qualcosa che faceva parte della mia vita.
Larga e piatta come la vita che vorrebbe chi ho accanto, con me.
E lotto, di nuovo. Senza tratti di strada per cui vale la pena di aver vissuto. Sembra quasi che le lacrime buttate dentro, certe sere, premano sin troppo per uscire, e che si scateni dentro di me una guerra tra due fazioni: l'Andrea speranzoso e quello che ha "...la consapevolezza di avere perso..." (cit.).
Cerco ancora di ritrovare quella fiducia, in me e nella persona che avrei, in teoria, accanto, che ostento in tutti i modi possibili e immaginabili, quando la realtà è ben diversa, e scevra da ogni condizionamento, o autocostrizione si rivela ben più vuota di quello che ci si può aspettare dall'involucro dorato che la contiene.
Non posso nemmeno dire "...mi manchi...". Forse sento la necessità di una figura ben precisa, di una persona che mi rassicuri e invece trovo, come contropartita, dei muri su cui batto la testa ogni giorno sempre più forte.
Sembra quasi che le testate rendano forte la malta, e facciano gloriosa la casa che ne costituisce il risultato architettonico per averle sopportate.
La SS223 è finita. E' passato del tempo. Anche le strade successive sono finite.
E' tempo di restare a casa, stavolta. Di spegnere la radio e le luci. Di far calare il sipario su di noi, su questo ruscello di lacrime che ora scorre impetuoso e non trova la via del mare.

Nessun commento:

Posta un commento

site stats