giovedì 27 settembre 2012

Roma ladrona (di cuori)


Strada del Ferratore, 120km/h. La via che va da Sovicille, bellissima cittadina sita nella Montagnola Senese: le prime gocce di pioggia si spiaccicano sull'incerato parabrezza della rossa e lucida Eroica.
Mentre accanto a me scorrono i boschi della Val di Merse, mi assalgono delle immagini: sono solo dei flash, ma assumono connotati multisensoriali, in cui ricordo parole ben precise, sapori ben precisi, attimi ben precisi.
Tutte immagini di Roma. 
Non ho mai amato quella città, non so come mai. Forse mi è sempre sembrata degradata, quando il pullman a lunga percorrenza o la macchina mi ci portavano senza sussulti se non quelli del cuore che batteva dentro di me.
Questa è una sensazione che provo quando metto piede in ogni grande città, esclusa la mia Firenze, a testimonianza che forse sono campagnolo inside, oppure ho una presa di coscienza pottaionica di abitare in uno dei posti più belli del mondo.
Fatto sta, che come un martello pneumatico, quei ricordi a cinque sensi mi assalgono ancora, ogni giorno, sempre più, in modo del tutto inconsueto e non voluto.
C'era il Ponte Regina Margherita a Roma, da cui si andava verso Via Cola di Rienzo da Piazza del Popolo, un giorno in cui Gad Lerner chiacchierava qualcosa che non volevo sentire e infatti mi incamminai di striscio non so dove, non so come.
L'ossessione di sapere che ora era non mi aveva sfiorato in quei magici giorni, che nelle ore di luce iniziavano ad essere stranamente tiepidi ma riprendevano caratteristiche terribilmente invernali quando il sole, svogliato, se ne ritornava in letargo.
Ma nemmeno di quello mi importava.
C'era il non pensare, quello che ogni persona cerca in attimi precisi della vita, il godersi un attimo, lungo giorni, con la coscienza che tutto questo avrebbe avuto una fine nemmeno così imminente (come poi ebbe). 
La notte fonda, in cui sentivo il rumore della città, mi avrebbe fatto sorridere, proprio lì, a differenza di quando le strade vicine mi tengono sveglio, così come il tocco sulla pelle ruvida.
Non riesco a capire come mai il pullman biancoazzurro si fa strada nei miei pensieri in modo nitido. circondato da una nebbiolina come le foto di Instagram ritoccate.
Forse perché tutto il resto non contava. Il lavoro non contava. Non avevo nemmeno risposto ad un paio di clienti seccatori che avevano chiamato il sabato mattina.
In altre situazioni, come ora, avrei davvero alzato la cornetta e richiamato.
Ma nemmeno di quello mi importava. Sentivo l'odore della città, della gente che camminava trafelata e non si incrociava mai: sentivo il ronzio del treno della metropolitana in accelerazione. Sentivo le mani dolci su di me, due braccia sul mio corpo. 
Sentivo fischiare i treni di lontano.
E soprattutto, la bella e straziante sensazione di avere tutto si era fatta strada come me nella macchina nel traffico della caotica "Rush Hour" fiorentina diretto in Tribunale.
Non riesco, ancora, a pena di esser ripetitivo, a capire come mai tutto questo si fa prepotentemente spazio dentro me, rubando ogni attualità alle mie giornate,  e cestinando pericolosamentequello che c'è adesso accanto e intorno a me.
Da questi pensieri mi ero totalmente distaccato, nella solita, onnipotente, ostentata, forte come un muro di mattoni ripieno di polistirolo, convinzione di avercela fatta a svoltare.
In effetti l'ho fatto. Ma quella sensazione di pace, totale, adesso non la vivo. 
Non credevo mi mancasse, mai. 
Non credevo iniziasse a farsi sentire così prepotente e forte come mai è stata nella mia mente in tutto questo anno e tanti mesi che è trascorso da quei precisi istanti. 
Nego tutto a me stesso. Ma c'è qualcosa che non mi torna in chi ho accanto, qualcosa che so che non mi viene detto, qualcosa che, in modo per me inammissibile, mi viene omesso. 
Non cerco le responsabilità per mera stanchezza, tanto non servirebbe a niente.
Nella vita successiva, di netta rottura con tutto quanto c'è stato, non ho più messo piede a Roma. Mai più. Anche se dovevo per amicizia. Per codardia, cari amici con l'accento romanesco, non sono passato a farvi visita. 
Mi perdonerete come mille volte avete fatto.
Mi perdonerete per essere così. Ma i miei viaggi si stanno stagliando in una via dell'abitudine che prosegue sin troppo a nord.
Voglio riciclarmi, far ribattere il mio cuore. Ma farlo in modo diverso ogni giorno. Questa vita mi va stretta, e chissà che non finisca presto. 
Perché ora, non "...ho tutto...".

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