martedì 28 dicembre 2021

Un Natale vissuto dal Grinch


  

Autostrada A1, 140km/h. Sì, non tengo il solito Cruise a 150, perché c'è il tutor e non siamo sull'A4, né sul tratto fiorentino della stessa autostrada dove quel maledetto macchinario, che ci rende tutti uguali dalla Panda alla Pagani Zonda per paura della multa, non è installato.

Sono in uscita dalla città che pulsa, quella dell'Amaro Ramazzotti, che non dorme mai, nell'ora di punta, mentre per ricordarmi chi,  nel 1990, anno crocevia della mia vita, aveva ucciso Laura Palmer nella serie Twin Peaks, ascolto "Falling" di Julee Cruise. 
Mi allontano da Milano sotto un cielo grigio intenso, che preannuncia la pioggia forte, battente e costante che avrei trovato 220km più a sud, unitamente ai 14km di coda a causa di due veicoli guasti.
L'Enterprise, cattiva sulle strade normali, si trasforma in un cucciolino poco assetato di carburante quando viaggia a velocità costante.
Insomma, tutto bene finora, nonostante il contesto piuttosto palloso.
E' la fine dell'anno, in cui si affrontano gravi emergenze lavorative
E' passato il Natale: questa festa non l'ho mai amata, non l'ho mai tollerata, non l'ho mai digerita.
Dapprima, mi veniva l'ansia di "dover fare" qualcosa. Ora ho fatto i conti con me stesso e me ne sono fregato.
Ho augurato Buon Natale a tutti quelli che ci credono, a tutti quelli che ci credevano un tempo. Ho augurato Buon Natale a chi costruisce la proprie storie a  lieto fine a tavolino, a chi è stato protagonista suo malgrado di "finali col botto", dove il botto era un'esplosione e a raccattare i cocci c'ero sempre io da solo.
Ho augurato Buon Natale a un'amica maremmana, lontana e vicina che, così grinch, ironica, e autoironica, ha capito ogni mia parola. Lo sa cosa c'è dietro le mie parole.
Ho augurato Buon Natale a Sandra, che il lieto fine l'avrà senza doverselo costruire, ma non dov'è ora. NON ho augurato Buon Natale a chi, l'anno scorso, mi mandò gli auguri alle 8:36, per poi regalarmi il Natale più di merda della mia vita. Non ho augurato Buon Natale a chi era tornato, ma non ho riperso nella vita. Ho augurato  Buon Natale ai silenzi che continuano, dritti, auspicando che un giorno siano rotti da un qualcosa di maturo e pacifico.
Non ho dimenticato chi mi ha tirato fuori da un pantano, mi ha lanciato ad altissima velocità e poi ha tirato il freno di colpo, lanciandomi in picchiata in un burrone, gettandosi chissà dove, nelle braccia di chissà chi.
Amica, tu non sai proprio che in quel volo giù nel burrone, ho scosso la testa, ho allargato le braccia a mo' di ali, ho inclinato le mani a mo' di flaps, ho tirato la cloche a me, ruotando, e ho iniziato a volare.
Proprio lì, ho iniziato il decollo che ora è una crociera a 10000m di altitudine.
Ci siamo augurati Buon Natale con chi è accanto, e che mi ha fatto innamorare follemente alla lunga. Tu hai capito che ci si doveva lavorare, che prendere la nave era una bizza di un "bambino a cui avevano rubato il giocattolo".
Ho augurato Buon Natale a chi supera i limiti di velocità, a chi ama la traiettoria perfetta, la guida perfetta, la vita perfetta di cui ognuno ha un'idea diversa.
E ora, c'è un 2022 in cui si deve andare a tutto gas verso una nuova prospettiva.
Me lo auguro, con tutto il cuore.

lunedì 8 novembre 2021

Panchine

Superstrada FI-PI-LI, 120km/h, direzione Pontedera, poi Castelfalfi, poi San Gimignano, poi casa. C'è un'altra strada, c'è un'altra Luna, mentre con il solito aiuto dell'Enterprise, rientro zoppicando per il traffico altalenante da una giornata mortale.
Gli Oasis mi sparano "Supersonic" nelle casse della mia stupenda macchina blu, e io ne rido, perché qui di supersonico non c'è nulla, nel traffico caotico e schizzato del secondo anno pandemico.
Il silenzio nei rapporti prosegue, e  il buio della notte inghiotte negli specchietti tutte le luci della superstrada, nelle mie solite giornate di cui non vedo, mai, la fine. Sono stanco, e dormo male. Non è una novità, e lo sappiamo bene.
Il telefono mi ricorda, da stupido computer quale è, che un anno fa esatto ero lì, a prendere una nave alle 17:10 a bordo della nuovissima Enterprise, ultima nave utile per evitare il coprifuoco che c'era l'anno scorso, e mi ricorda l'ultima foto con le facce tristi perché non ci saremmo visti per lungo tempo. Il giorno dopo, infatti, la regione Toscana sarebbe entrata in zona arancione.
Non sapevo che sarebbe stata la fine del gioco, salvo messaggi che, una volta ricomposto faticosamente il puzzle della nostra storia, si sarebbero rivelati da un lato "di routine", dall'altro sintomo di una difficile arrampicata fatta di ansie, di poca naturalezza, di sguardi che probabilmente non si incrociavano più.
Già, perché poche ore prima parcheggiavamo l'Enterprise accanto ai sassi a Pomonte, per mangiare insieme sulla spiaggia.
Lo percepivo, che qualcosa non andava. Percepivo anche dal lato mio un forte disagio, derivante dal fatto che certi atteggiamenti non li avevo mai tollerati.
Non avemmo il coraggio di pronunciare la famigerata frase: "Ti devo parlare" in quelle circostanze, che sicuramente non avrebbero salvato la nostra storia, ma almeno avrebbero alleggerito una fine silenziosa, e non avrebbero buttato me in una picchiata, con annesso avvitamento, da cui mi sono ripreso dopo molto tempo.
Per chi avevo accanto forse fu una liberazione, perché avrebbe potuto correre libera verso chi, sicuramente, avrebbe meritato attenzione.
Il resto è cronaca, fatta di un anello che avrebbe dovuto essere consegnato la settimana dopo, della quattordicesima Missione Eroica che vinse la palma di essere stata la prima andata male, dei tentativi andati bene di riavvicinamento, delle ansie tornate, della nuova fine di ogni rapporto, stavolta brutale.
Per fare un sorpasso scalo in settima marcia: è una mossa inutile, se non a darmi, ogni tanto, l'illusione di avere il controllo del mezzo manuale e non automatico. Infatti l'Enterprise si riattiva e mi rimette l'ottava da sola, quasi a brontolarmi per quell'uscita dal silenzio e dal piattume dei 120km/h impostati.
Dopo un anno ci sono ancora tante domande che mi pongo, e che onestamente non dovrei nemmeno concepire.
E' stata tutta una farsa la nostra favola nata e cresciuta in un periodo sfavorevole? E' stato davvero amore? Ce ne sono mille che ritornano come dei vortici, ogni volta che sbarco da quella cavolo di nave, verso quella cavolo di isola che amavo, da morire, e che ora mi fa parecchio girare le scatole, nella sua bellezza e nella sua, a tratti, stupidità.
Eppure ricordo quella Panchina a Le Ghiaie, dove ci siamo baciati quando nemmeno lo potevamo dire in giro. Ed è lì, e non se ne va, quel ricordo di quasi 2 anni fa. Ricordo ogni dettaglio di quel giorno, a partire dalla freschezza dell'aria che permeava i nostri polmoni, la macchina piccola e quella grande, il pranzo al bar del Porto.
Nei silenzi dell'Enterprise mi domando dove spesso sia finito il mio cuore, a cui nego sin troppo spesso  le emozioni che vorrebbe provare, in favore di una sin troppo eccessiva razionalità. Spesso è lì, su quella panchina erosa dagli agenti atmosferici, che resiste alle mareggiate, al tempo e all'incuria di una pessima amministrazione comunale.
E non dovrebbe essere per niente così, alla luce dei recentissimi sviluppi della mia vita.
Riguardo avanti, a quello che ho adesso e che avrò in futuro. Strappo via il cuore da quella panchina dove vorrebbe rimanere aggrappato e lo rimetto al suo posto, vinco le sue resistenze con la forza della razionalità, per fare quello che è giusto.
Ma alle volte mi domando: "Perché non sei qui con me, stasera?". E continuerò a farlo.



martedì 2 novembre 2021

La favola bella di Paolo e Chiara



 

Autostrada A11, 150km/h. L'Enterprise come sempre procede veloce come il vento, nel suo teutonico silenzio. Piove, e le bacchettate del tergicristallo si coordinano, quasi all'unisono con i giunti metallici dei viadotti, che creano una quasi piacevole combinazione di suoni.
E' stato un fine settimana lungo piuttosto strano, o meglio, nel suo ordinario svolgersi ho conosciuto, con chi ho accanto, la fidanzata di un amico. Magari il lettore poco attento riterrà tale circostanza una banalità, ma la storia che c'è alle spalle è una favola bella, a lieto fine, commovente come poche. O forse sono io che sono particolarmente sensibile ai lieti fini, visto che non ne ho mai avuto uno.
Tant'è che Paolo, amico ormai da oltre vent'anni, da sempre visto single, persona di una levatura mentale notevole, di un'intelligenza e di un'ironia assolute, ci ha presentato la sua Chiara. Non ha più una famiglia, lui: i genitori sono scomparsi e noi amici eravamo tutto quello che aveva.
Andò così, in breve. Paolo è campano e viene a studiare a Siena, come tanti universitari, e purtroppo, per la distanza, è costretto ad abbandonare la sua Chiara. Lei inizia ad odiare la Toscana, perché le ha portato via il suo amore.
In tanti, me compreso, avrebbero rubricato l'amore di quinta Liceo come una cosa giovanile.
Passano gli anni, ma i due non smettono di sentirsi per periodi lunghi, anche se ognuno porta avanti la sua vita.
E dopo vent'anni Paolo torna per un periodo piuttosto lungo a casa, e ritrova la sua Chiara. Quello che era sotto la cenere riprende vigore, addirittura maggiore rispetto a prima, con la consapevolezza che solo i 40 anni ti danno.
Paolo tornerà giù, lasciandoci un vuoto nel cuore. Ma la cosa che conta è che dopo vent'anni, Chiara si sia ripresa quello che era suo, con gli interessi.
Sono felici ed è un finale stupendo, che nessuno avrebbe mai creduto che avvenisse. I miracoli succedono, e loro si meritano la favola bella dopo tanto attendersi reciprocamente.
L'Enterprise prosegue nella pioggia, imperturbabile e inarrestabile. Le gocce si spiaccicano sul parabrezza e sul cofano blu Portimao, e il vento le porta verso la parte posteriore per poi disperdersi in una corsa così effimera.
Mi viene in mente D'Annunzio, quando mi ricorda che "Piove, su la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude", e guarda caso quest'Autostrada porta a quella pineta, vicino a Marina di Pietrasanta, dove D'Annunzio vive con l'amata Ermione la giornata di pioggia di quell'opera che conoscono tutti (capre a parte).
Ecco, vorrei anche io una favola del genere, con la reciproca tenacia di aspettarsi, qualunque cosa accada.
In vent'anni le persone cambiano: lo fanno anche in un anno, lo fanno anche in due.
Permettetemi, Amici, di provare un po' di invidia bonaria.
La vorrei perché ho la presunzione, forse erronea, di meritarmela, e perché non merito il silenzio in cui da oltre un mese siamo piombati con colei che conobbi al di là del mare.
"L’amore non si dimostra per come saprai amare la persona cara, ma da come la saprai perdonare…", diceva ieri il Pieraccioni in televisione. E' vero, ma io non devo essere perdonato stavolta. Probabilmente, come un coglione, farei muro di nuovo alla richiesta di perdono, che ogni giorno spero mi sia formulata.
E allora credo nella favola di Paolo e Chiara, nel loro lieto fine, nel "vissero felici e contenti" che potrebbe farli sopravvivere a ogni scossa di terremoto perché sono soggetti saldi e forti.
Ci credo, perché ognuno si può ritrovare dopo anni di lontananza.
Sono sicuro che una favola bella toccherà anche a me. Ci voglio credere con tutto me stesso. Per un altro minuto ancora.


mercoledì 22 settembre 2021

Oggetti preziosi accantonati

 


Motonave Stelio Montomoli (ex Aethalia, ma questa è un'altra storia), 15 nodi, canale di Piombino.
Soffia una leggera brezza da nordest, il 29 agosto del secondo anno pandemico, e il mare è stupendo, come si confà a tutti i giorni in cui si ritorna dalle vacanze.
Nell'ultima domenica del secondo agosto pandemico, sono di rientro verso casa a bordo del Duetto, che per 25 giorni ha assunto il ruolo di nave ammiraglia della mia flotta automobilistica. Nonostante i 31 anni, il motore sempre originale, ecc., si è comportato benissimo, facendo sostanzialmente da "Portoferraio Shuttle" per i passeggeri che si sono alternati sul sedile di desta.
E' successo di tutto, e tutto  è stato bello.
Ufficialmente la vacanza l'ho fatta con chi ho accanto adesso, salvo una settimana centrale è andata a lavorare, in cui si è visto Giacomo, e due settimane complessive passate con Averardo e Elena. E' andato tutto via veloce, tra risate, musica degli anni '80, voli in acqua, prese per i fondelli al bagnino
Per carità, si ride, si scherza, si vive.
Ma un giovedì mattina della settimana in cui avevo soltanto Giacomo con me, la chiamata arrivò improvvisa, con la prepotenza e il mancato preavviso di chi decide che un silenzio deve finire.
Arrivò mentre camminavamo verso la spiaggia, con il mio contestuale sussulto una volta visto il nome sul telefono. Arrivò nel momento in cui credevo di aver superato la cosa, di essere innamorato di un'altra donna, nel momento in cui il Bagno Pineta trasmetteva una serie di canzoni degli anni '80 italiane a partire da "Gloria", quando nel mio Loop personale mi stavo sparando "Election day" degli Arcadia, ovvero la più bella canzione dei Duran Duran, come se non ci fosse un domani.
Arrivò nel momento in cui avevo deciso di mollare gli ormeggi ed andare via dal porto dove ero stato per un anno, inchiodato alla banchina di un sentimento che pareva malato, difficile, eroso da una serie di "non detti", di cui eravamo entrambi responsabili.
La telefonata arrivò nel momento in cui la mia pelle era abbronzata, in cui un'altra bionda da 6 mesi e passa aveva preso il posto di quella che credevo essere la donna della mia vita, a colpi di raziocinio, di feeling, di tranquillità.
Arrivò, a scompigliare le certezze che avevo, come "Un souvenir, formato tir a centoventi all'ora", come diceva l'unico Liga ascoltabile. E' arrivato lì, spazzando via qualsiasi altra cosa, a ricordarmi che la Missione Eroica compiuta da Virginia in quel freddo giorno di gennaio, forse, è servita a qualcosa e non può essere classificata nella sezione "sconfitte", ma nemmeno in quella dei "successi".
Arrivò tra le facce sconvolte di Giacomo che mi guardava e mi domandava: "non sarà mica lei?", tra le mie risposte evasive come le manovre degli aerei che schivano i razzi.
E da lì, con l'inizio dei rapporti, inizialmente ritornavano le vecchie brutte  ansie, e la voglia di vedersi e di non perdersi, e di domandrsi se c'è qualcuno nella vita dell'altro. Domande, secondo me, da entrambe le parti, inevase.
Sulla nave guardo chi ho accanto adesso, guardo il suo bel viso (anche se Sandra non lo ritiene tale), il suo sguardo a tratti interrogativo. Lei vincerebbe su tutte, col suo essere una donna eccezionale: bellissima, intelligente, simpatica, con milioni di doti positive.
Se devo trovarle un paio di difetti, è eccessivamente gelosa per le botte prese in passato, e poco ambiziosa nel lavoro.
Penso a tutti i bei momenti che abbiamo passato in questi sette mesi insieme, e mi dispiacerà quando le darò la forte pugnalata, una volta che avrò deciso di scegliere, ancora una volta, la strada difficile, in salita, alternativa alle tre corsie senza tutor, dove per mesi ho viaggiato oltre 200km/h, pensando anche che quella strada mi piacesse più delle curve.
E invece è bastato poco per riaccendere tutto dentro di me, come un fuoco che era sotto la cenere e su cui viene buttato un bel pezzo di carta imbevuto di alcool.
Credevo di essere stato accantonato, come un oggetto che viene usato e buttato. E invece no. Forse sono ancora un oggetto prezioso.
Ma anche gli oggetti preziosi si mettono nei cassetti, e magari si riutilizzano al bisogno. Non voglio fare quella fine.
Però la comunicazione altalenante c'è ed è sincera. Mi fa ridere e piangere, agitare e tranquillizzare allo stesso tempo. Mi fa sentire ancora lì, pronto ad essere riabbracciato. Forse è solo un'illusione dettata dalla contingenza attuale.
SS 223, 120km/h, Raf canta a volume alto "Siamo soli nell'immenso vuoto che c'è",  mentre la BMW riflette i raggi di sole del primo giorno d'autunno.
E' il tempo di riflettere, di nuovo, su cosa fare. Ero andato avanti, pretendendo di avercela fatta per chi se lo sarebbe meritato. Me l'ero raccontata per bene, come si confà ad un ottimo cantastorie quale io sono.
Ho riflettuto tanto, e ho scoperto che l'oggetto prezioso che avevo accantonato, ero semplicemente io. Mi ero accantonato da solo, e allora ho scoperto che dovevo fare delle cose, senza nessuno a rompere le scatole accanto.
E via, a giocare a Padel, a nuotare, a lavorare come si deve. E forse, mi riprenderò quello che ho sempre creduto essere mio. Non ho più paura di una botta nel capo, non ho più paura di nulla. Non ho paura di sentire un rifiuto.
Ho solo voglia di chiudere i conti con il passato. O di riaprirli.
Mi sono, semplicemente, tolto la polvere di dosso.

venerdì 30 luglio 2021

Pensieri sospesi: l'implosione

In nessun luogo in particolare, ma probabilmente nel tunnel sotto Victoria Harbour.

L'Alexander-Dennis biancoverde della NewWorld fa quel che può ai comandi del "capitano" (come chiamano qui gli autisti dei double-decker) che, come abbastanza solito per le corse tardo-serali della compagnia isolana, non risparmia la pressione sul pedale di destra.

Io gioco col telefono; tentativo estremo di non pensare al presente; ed al futuro, ovviamente. Ma il futuro non c'è, nei miei pensieri; assente, non pervenuto. A quel punto meglio non pensarci. Ma non pensarci significa, qui ed ora, nascondere la testa sotto la sabbia, fare finta che tutto vada bene o, come più spesso capita, semplicemente non fare menzione della verità.

Ma anche evitare di pensare ai problemi, ed evitare di parlarne, ha un limite. Ed è al raggiungimento di quel limite che inizia l'implosione.

Inizia il vuoto; inizia la solitudine, quella vera e profonda.

Certo, non necessariamente solitudine fisica, ma solitudine emozionale. Tutto resta dentro; le persone che in un modo o nell'altro mi sono state vicine vengono allontanate, vuoi tramite silenzio ed isolamento, o menzogna. Che in fondo dire "...tutto bene. Te?" è un'abitudine. Non va mai tutto bene, almeno non per me, non ora.

Il risultato è sentirmi solo; unico conoscitore del dolore che provo ogni giorno; nessuna condivisione. Sto male, e sono il solo a saperlo.

Perché se mi guardo intorno vedo solo persone che non potrebbero avere alcun interesse al mio stato emozionale. Oppure persone che già hanno provato ad aiutarmi, ma senza successo, e non me la sento di dire che ho bisogno di nuovo di aiuto. Oppure persone che si preoccupano per me e verrebbero turbate dal conoscere il vero stato delle cose. Oppure persone che hanno già il loro bagaglio di problemi di ogni giorno da risolvere, a cui di certo non gioverebbe dover pensare anche ai problemi di qualcun altro.

E allora via, a mentire. A far finta. A piangere da solo su una panchina, o nelle ultime file di un autobus semivuoto. A pensare a come anche farla finita sarebbe solo una fonte di problemi per persone che non hanno bisogno di ulteriori problemi da risolvere.

E allora l'unica soluzione resta vivere, in un angolo, continuando a soffrire in silenzio; senza sogni e senza speranze. Giorno dopo giorno, una giostra senza fine. Una lunga attesa, del momento in cui la solitudine ed il silenzio non saranno più un problema.

martedì 1 giugno 2021

Il 40esimo 4 giugno.

 


26 maggio del secondo anno pandemico, Raccordo Autostradale Firenze Siena, 120km/h, Svincolo di Impruneta. La sfanalata dei quattro fari a led della Porsche di Sandra entra, prepotentemente come è entrata lei nella mia vita, nell'abitacolo dell'Enterprise.
La telefonata era arrivata poco prima, con la semplicità di linguaggio che lei ha quando si sente (raramente nel mondo, spesso con me) a suo agio, simile a quella di un lavoratore portuale di Livorno. Eppure, è una delle donne più belle che conosco, che potrebbe sfoderare l'eleganza che ha in ogni situazione.
E invece: "Fava a che punto sei del ritorno? Si mangia insieme?". Avevo mangiato qualcosa a Padova, ma non potevo resistere.
Vengo da Portogruaro, patria della mia ex moglie. Ho alle spalle 800km di autostrada, dopo una notte pressoché insonne, 90€ di autostrada pagati e una giornata che distruggerebbe chiunque, ma non me. Ah, giusto: nel frattempo ho divorziato.
Non mi distrugge la guida, non mi distrugge niente del genere.
La risata spontanea travolge tutte le fatiche del giorno, una volta seduti a cena. Lei ha questa grande capacità: coi suoi occhioni azzurri mi guarda, coperta dalla mascherina dei Rolling Stones, e mi fa capire che, nonostante le apparenze, il mondo è semplice. E' stata il faro degli ultimi mesi di mare in tempesta, ma forse ancora non conosce la sua importanza. Lei stessa, nell'aspetto, non è semplice. Questa "costruzione" estetica e di un personaggio contrasta fortemente col suo carattere, che è semplice, diretto, immediato, come poche persone sanno fare. Non ha ancora fatto i conti con questo, e non sarò io a farglieli fare.
La sua bellezza estetica è niente in confronto a quella che porta dentro e riserva a pochi. E gliene sono grato.
Quella sera ci siamo abbracciati, e fu la prima volta: abbiamo rifiutato da sempre ogni contatto fisico in nome dell'amicizia ed è giusto e naturale così, perché è un modo per darsi ancora di più.
SS223, 120km/h.
Rientro dal Tribunale di Grosseto. Sandra è lontana. Chi ho accanto sta effettivamente comprendendo che siamo al preludio della fine del gioco, e che la fine del gioco non farà male. Per lei, la vita tornerà in "Posizione di equilibrio". Per me, come sempre, sarà il solito caos, la solita percorrenza delle strade in salita per arrivare a qualcosa che poi mi stufa.
Guardo la data e vedo che tra pochi giorni è il 4 giugno. Il 40esimo 4 giugno.
E allora mi domando che regalo vorrei per i 40 anni.
Non voglio oggetti, anche se i miei geniori mi faranno il solito regalo,  salvo poi doverli aiutare economicamente.
Non voglio niente del genere.  Non voglio nemmeno chi ho accanto come regalo, che sappiamo avere anche lei la testa altrove.
Vorrei l'abbraccio di Sandra, che mi fa sentire a casa, vorrei la chiamata di Giulia, che mi dice "ci sono".
Vorrei la donna della mia vita che si sveglia, spezza le sue risalenti catene, e spazza via ogni dubbio nei miei confronti. Vorrei un piacevole inaspettato che ad oggi non ho.
Vorrei la pazienza che non ho per recuperare quello che non posso ad oggi avere.
Vorrei smettere di lottare col mio aspetto fisico che mi fa schifo dagli anni
Ecco, vorrei pace. Pace.
Tutto questo per mia natura e per il mio carattere è impossibile. Tutto questo non è facile da ottenere.
E allora, buon compleanno, senza bilanci.

venerdì 21 maggio 2021

To the moon and back

 


Spiagga di Lacona. La mia mano abbronzata gira la rotella del volume della radio nello stabbiolo denominato senza alcun merito Reception, per alzarlo. Radio 105, l'unica che prendeva su quella spiaggia e ci accompagnava da fine giugno, trasmetteva To the moon and back dei Savage Garden.
Era la fine della fantastica estate del 1998, con i suoi tramonti stupendi, quella dei miei diciassette anni, quella del mio primo lavoro come bagnino ai Bagni Lacona, quella della metamorfosi, quella dei baci rubati alle ragazze sulla spiaggia, della prima esperienza sotto le coperte, del Ciao Rossonero che affrontava le Curve del monumento, con tutto il tempo per guardare il panorama per la sua velocità così bassa, che oggi, da pilota professionista, mi fa sorridere. Era una di quelle estati che rimangono nella vita, impresse a fuoco in ogni suo minuto.
Avevo passato un inverno impegnativo: all'epoca il corso di bagnino per prendere il brevetto FIN in Toscana lo facevano solo a Firenze. Mia madre mi pescava al Liceo, mi dava un paio di panini e via di corsa, alle piscine a cupola a Novoli, dove, per qualche scherzo del destino, a poche centinaia di metri ora sorge il Tribunale.
Avevo faticato per arrivare lì, in un anno dove ebbi la fortuna che ci fosse penuria di bagnini.
Ero bello, abbronzato, con la testa bionda e i miei primi occhiali Ray Ban Aviator, ma con le ansie costanti che iniziavano a colpirmi, e io le ignoravo.
Avevo tanta paura.
Ma quella canzone parlava di una persona ferita che ha paura di amare. E il ritornello ha un testo fantastico che fa:

"...I would fly you to the moon and back
If you'll be if you'll be my baby
Got a ticket for a world where
We belong
So would you be my baby
Ooh-ooh..."
Autostrada A12, 150Km/h,  torno da Genova, per lavoro.  L'Enterprise, nella fredda primavera di quasi 23 anni dopo, diffonde nelle casse la stessa canzone. E' facile trovarla, si pesca nelle app di musica, come Deezer e Spotify.
All'epoca dei bagni Lacona non lo sapevo cosa mi sarebbe capitato, che il mio cuore sarebbe stato sempre lì, a lottare per sopravvivere alle ansie, alle paure per "titoli diversi".
Alla destra della mia BMW da legale di successo, con 2 studi, e quote societarie in una serie di startup con la voglia di costruire un impero (che poi, parliamone a chi andrà, senza moglie né figli), si staglia la Versilia, ma tra poco dovrò uscire dall'Autostrada, a Pisa Centro, per poi prendere la FI-PI-Li fino a Pontedera, per poi esaltarsi sulle curve fino a San Gimignano.
Ho lottato per rompere il silenzio. Ho lottato e l'ho fatto rompere. E sembrava una via tracciata, Solo che ora, non si sa per quale apparente  motivo, il silenzio è tornato.
E per riaverti, altro che viaggio sulla Luna. Se solo fosse possibile andrei anche su Marte e Giove. Perché io lo so che in un qualsiasi punto dell'universo avremmo potuto essere felici, che se non avessi scassato brutalmente le palle ad una persona malata non saremmo a questo punto.
Brucio, ancora, nonostante il tempo passato sia moltissimo.
Superstrada FI-PI-LI, 120km/h: con un'arroganza assolutamente non dovuta, a colpi di fari a led Matrix, faccio scansare velocemente una 500 dalla corsia di sorpasso.
Tra poco passerò nella strada dove, a fine febbraio 2020, divenni nuovamente pilota.
Con un sapore, sempre più amaro, in bocca. In attesa del solito messaggio che, adesso, non arriva.

lunedì 26 aprile 2021

Guilty

Fermo, come sempre di recente.

Fermo, bloccato.

Bloccato dalla paura e dai sensi di colpa; bloccato in una buca profonda, che continuo a scavare.

Il pilota è appiedato da tempo, lasciato a bordo strada sui tornanti del Passo Giau un anno fa; nulla più è sotto controllo da allora, e neppure le metafore riescono a riempire il grigiore della mancanza di emozioni e di direzione, o a farlo apparire meno triste di quello che è.

Non ci sono più metafore per indicare la mancanza di gioia di vivere, la lunga lotta per cercare giornalmente ragioni per non farla finita ed arrivare a domani.

La voglia di scappare, e la paura dei sensi di colpa.

L'ansia ogni sera prima di tornare a casa.

E quell'orologio che dannatamente continua a ticchettare senza aspettare nessuno.

Ma queste parole sono noiosamente difficili da pronunciare; forse dovrei scriverle? Qualcosa dentro di me si ostina a dirmi che dovrei affrontare la situazione faccia a faccia, anche se non ne sono mai stato capace, ed ora che il tempo sembra stringere, obiettivamente non sembra una grande idea.

Così le scrivo qui, nella fioca speranza che materializzarle in qualche modo, anche se solo nella forma di pixel su uno schermo e di bit su qualche oscuro hard drive in qualche server di Google, mi aiuti a rendere queste parole più normali e ad accettare di poterle condividere con le persone a cui ho consentito (e finché non lo faccio continuerò a consentire) di tenermi emotivamente prigioniero per tutto questo tempo.

Che poi in fondo si tratta di fare la cosa giusta, per tutti.

Invece passo il tempo a sentirmi colpevole, sia di quello che faccio che di quello che non faccio.

Avrei bisogno (sai che novità...) di una pausa; non necessariamente da tutto, ma di certo da molte cose, e persone.

Percepisco il cuore che palpita, come imprigionato in una gabbia da cui si affanna per provare ad uscire; senza riuscirci. E la gabbia forse altro non è che quella distanza tra me stesso ed il mondo che ho creato intorno a me per nascondere questo disagio e questa lunga battaglia contro le mie paure.

venerdì 16 aprile 2021

Guidare la propria vita

 


Montesenario, 2 giugno dell'anno pandemico. 2 giorni al mio trentanovesimo compleanno. Le due Alfa Romeo Duetto, la prima bronzo metallizzato del 1980, la seconda Rosso Winner Micalizzato del 1990, sono parcheggiate al fresco, sotto gli abeti che circondano questo luogo. I quattro componenti degli equipaggi sono fuori a chiacchierare di argomenti che sicuramente non resteranno impressi, ma che fanno parte dell'amicizia.
Per chi non lo sapesse, Montesenario è una bellissima Abbazia posta nel Comune di Vaglia a oltre 800m di altitudine, dove la vegetazione e le strade assumono connotati montani. E' veramente un posto magico, non direi mistico ma magico, a pochi km da Firenze.
Non avevo la donna della mia vita accanto quel giorno, perché si sentiva male, o così diceva, e allora Lorenzo, grande amico appassionato di macchine come  e più di me, era venuto in mio soccorso sul sedile di destra. Eravamo monturati da piloti anni '70, con gli occhiali Carrera Grand Prix che facevano molto James Hunt.
Emanuele e Martina, con la loro dolcezza, erano con noi sulla macchina color bronzo.
Avevamo guidato forte, da Fiesole alla Torre di Buiano.  E' una strada piena di curve anche veloci, intervallate da una vista mozzafiato sulle colline fiorentine.
Non avevamo tirato allo spasimo, ma avevamo pennellato le curve tirando le marce sui 4000/4500 giri al massimo, confidando nei baricentri bassi delle nostre piccole ma cattive vetture storiche. Cambiando a quei regimi, i 2000 bialbero Alfa Romeo danno tutto, il loro meglio, e viaggi in souplesse a velocità altissime, senza accorgertene. E' la vera guida che adoro, quella da granturismo.
La macchina di Emanuele romba dai carburatori, la mia no, essendo ad iniezione, ma l'efficacia è la stessa di questi due mostriciattoli bassi su strada.
Avevamo viaggiato aperti e coi fari accesi, fino a far scansare le auto moderne al nostro passaggio.
Avevamo guidato bene. Avevamo mangiato bene in un ristorante caro alla mia infanzia.
Dall'altra parte del mare c'era l'inizio di una breve crisi, ma ogni cosa sembrava in via di risoluuzione con uno sguardo. E così fu, dopo.
Il mio 39esimo compleanno era vicino, molto vicino.
Vivevo nella speranza che qualcuno al di là del mare suonasse alla porta della stazione di Colle, ed arrivasse velocemente l'abbraccio di cui negavo a me stesso la terribile assenza in quel momento. Volevo che facesse quello che avrei fatto io. Peccavo d'egoismo, rapportando a me stesso quello che avrei preteso dalle altre pesone.
Non lo fece, e non sapevo che il mio 39esimo compleanno sarebbe stato uno dei giorni più brutti della mia vita. La scusa ufficiale era un motivo di salute. La realtà non la conoscerò mai.

Quel giorno non ci pensavo. Eravamo piloti e andavamo forte, senza pensieri con le teste tra le nuvole e il vento sulla pelle, e la dirompenza dell'inizio dell'estate.
Sì, in quel momento credevo di essere il pilota della mia vita, nonostante tutto.
Amavo i viaggi di andata, e odiavo i viaggi di ritorno, anche se rumorosi e curvilinei.
Ora quello che vorrei sarebbe solo un viaggio di ritorno.
Le basi sono sbagliate, le intenzioni erronee. Più insisti e peggio fai, brutta fava.
Oggi, forse ancora di più. Sono sei mesi che non incrocio lo sguardo della donna della mia vita, salvo una fugace apparizione di fine gennaio mentre avevo una mano sulla schiena di Virginia. 
Sono sostanzialmente 5 mesi che la mia vita è pilotata da stati variabili, umori ballerini, voglie strane, ricerca di bersagli facili da puntare, e da notti tachicardiche e insonni.
Allora mi domando il perché di tutto questo, mi domando perché mi ci vorrebbe un punto, una fine, un qualcosa di nuovo a sconvolgere questa vita che sa tanto di spettacolo teatrale. Mi domando perché non posso avere pace.
Sono proprio al punto in cui, con tutte le intenzioni che avevo a giugno, non sarei mai voluto ripiombare.
Mi accorgo che, in realtà, il mio ego razionale vorrebbe venire fuori da questo buco nero in cui sono piombato, ma l'ego irrazionale gli dà una bella pedata e lo rispedisce in fondo alla buca.
Nonostante mi sforzi, non ho elaborato il lutto di 5 mesi fa, non ho elaborato un cavolo.
Dovrei toccare il fondo, come dice la mia grande psicologa.
Solo che ho ragionato in modo serio e responsabile e non ce la faccio. Tengo la mia inquieta mente occupata, costruisco la mia realtà ad esclusivo uso e consumo delle mie idee.
Faccio di tutto, cerco "vittime" per non sentire il fortissimo rumore di fondo che ho dentro.
Prima o poi, però ce la farò ad affrontare tutto questo.
E tornerò ad essere pilota della mia vita.

mercoledì 14 aprile 2021

Mare come le montagne

 


Strada comunale delle Lellere, 80km/h. C’è ancora la zona rossa e si protrarrà per una settimana ancora, nel Comune di Colle. Chi sta passando accanto a me questo periodo della mia vita è seduto accanto, al posto di Virginia, al posto che le competerebbe in una situazione normale.
E' una persona intelligente, e non credo ignori il fatto che la mia testa è altrove, ma ha la capacità di farmi stare tranquillo nel fine settimana, e di vivere la pantomima che faccio per me stesso in modo meno traumatico. Quando sono con lei sono sorridente, simpatico, spigliato e naturale. Addirittura ho un colorito più intenso del solito. Queste cose il mio ego razionale evidentemente le conosce bene, visto che sa bene e si adatta alla bellezza e alla spontaneità del rapporto sotto cui, sicuramente, c’è un sentimento. Non so quale, so solo che sulla carta è la persona migliore che io abbia mai avuto accanto. Mentre scende dall’Enterprise, penso che sarà bello ricordare questi momenti e questa parentesi tra qualche anno, e magari dire a me stesso che sono stato un bischero, quando lei non mi parlerà più da tempo ormai.  La sua Mercedes nera si allontana, e io dovrei entrare in casa. Dovrei, appunto.

Solo che all’altezza dello stomaco arriva la fitta. Forte. Fortissima. Incidentalmente il mio sguardo si posa nello specchio.
Di colpo, le occhiaie hanno preso il posto del sorriso, dietro ai nuovi Ray Ban da vista, sono sbiancato repentinamente, con la mascella serrata.
E il pensiero va al di là dell'ora di nave della Toremar. Non ce la faccio senza te. Non ce la faccio. Non posso entrare in casa, anche se sono solo.

Spianata di Campiglia, 185km/h. Affido all’impianto frenante il compito di mantenere la mia permanenza su questo pianeta che muore. Ancora non è il mio turno. Il mio volto trasfigurato in peggio si riflette sul parabrezza, e ogni lampione, al mio passaggio,  ne rivela l’immagine rovesciata. Dopo Campiglia ci si butta a capofitto in discesa. Non è vero che “in discesa tutti i santi aiutano”. La discesa per un pilota è un problema psicologico. E allora trattengo il fiato e do tutto, è il mio sistema. L’Enterprise mi asseconda in questo essere Mr. Hyde, forte dei suoi quasi 5 metri, e mi avverte progressivamente che sta per scomporsi ma che non è ancora l’ora di controsterzare, ma di tenere il piede in fondo. D’altronde, è tedesca e sa bene quando darmi i segnali giusti, facendo il suo compito in maniera silenziosa e teutonica, appunto. 

Piazzola di Mugnano, frenata brusca. Si gira e si torna, interrompendo questo delirio di una domenica in zona rossa. Respiro. Respiro di nuovo. Torniamo a casa, mia navicella spaziale. 

Come direbbe qualcuno di là, vittima anche lei di qualcosa di ordito ai nostri danni, dentro di me c’è un “mare come le montagne”.
Siamo vittime di un braccio preso e di una frase simile a "sei solo mia". Siamo vittime di questo, ma le nostre strade ancora non si sono mai incontrate.
Un giorno ci incroceremo e ne rideremo, forse. Oppure io non avrò finito di fare le Missioni Eroiche. Spero che tutto questo finisca, prima o poi, e che, almeno stavolta, questo pollo non abbia modo di passare alla Missione Successiva. Perché, amica sconosciuta lontana, non ce lo meritiamo nessuno dei due il trattamento che abbiamo ricevuto, i discorsi alle nostre spalle, le costrizioni che ci tengono lontane le persone che amiamo, quando sarebbe tutto più semplice se tutto tornasse a posto. 

Rettilineo di Campiglia, viaggio di ritorno. L’Enterprise si piazza a 110km/h imposti dal cruise Control con la sua estrema e finanche eccessiva precisione. Spagna canta “Call me”, a ricordarmi che il Dr. Jekyll che c’è in me ha preso forma negli stupidissimi (ma belli) anni ‘80. 

D’altronde mi domando se io sia davvero il Dr. Jekyll che ostento ogni giorni, o il vero, reale, ansioso, coi denti stretti e la mascella serrata, Mr. Hyde che si butta a capofitto in preda a una botta di ansia terribile per le curve di Campiglia. La risposta è sempre quella, che termina con il proposito, mai mantenuto, di mentire un po’ meno a se stessi. 

Entro nel cancello. Il telefono suona, ed è la persona che ho accanto ora. “Ciao amore”. Respiro brevemente, affinché non capsica il mio stato d'animo. Il mio volto riprende repentinamente colore e forma:  “Ciao”. 

 



martedì 6 aprile 2021

Propositi di Pasqua

 


Variante Aurelia, 120km/h. E’la settimana di Pasqua del solito secondo anno pandemico. E’ una bella giornata oggi, anche se dormo ancora male, e rifiuto di entrare nel loop dei sonniferi farmacologici. Sandra mi aveva detto che dovevo prendere delle gocce, e le prendo, ma non fanno tutto questo granché. Già il fatto che lei mi sopporti è un passo avanti.  Sostanzialmente sto arredando il tunnel dove mi trovo. 

Oglasa, splendida quarantenne sempre sveglia, aveva fatto la traversata fino a Piombino in modo così veloce che nemmeno mi ero accorto dell’ingresso in porto, sentendomi, per un attimo, disarcionato da quel gigante cavallo biancorosso. Il tempo di fare manovra e aveva vomitato me e la fida, solita, Enterprise, sul nastro d’asfalto in uscita dal Porto. C’aveva messo poco come nel primissimo lockdown, quando le tre navi al giorno che passavano avevano l’obbligo di fare la traversata in 45 minuti, dando fondo alle prestazioni da “prova in mare” che solo da piccolo avevo sperimentato quando, a bordo della stessa nave, si ruppe un portellone e dovemmo stare fermi in mare per 2 ore. Non so nemmeno perché il Comandante sia andato così forte, però mi ha ricordato quei silenziosi giorni magici dell'anno scorso.

Sembra un altro tempo, ora, nonostante non sia passata tutta questa vita. Ero felice e ora no.

Fatto sta che oggi ho visto, all’insaputa di tutti, ma soprattutto di coloro che sono avvezzi sin troppo a giudicare e che mi circondano, un altro ufficio lì, sulla mia isola. Era un’idea che avevo da anni quella di aprire laggiù e far incazzare tutti i concorrenti, ma non l’avevo perpetuata dapprima per motivi economici, successivamente ripresa una volta nato l’amore con la Collega da quelle parti, poi franata esattamente allo stesso modo della nostra storia. Quest’ufficio non è nella comoda posizione di quello che opzionammo nel mese di settembre, sbandierando a tutti a doppia voce che lo studio avrebbe aperto: era un bel periodo all’apparenza, mi sentivo su un treno che era appena partito carico di speranze, purtroppo arrivato vuoto al Capolinea. È  un po’ defilato, però è comodo per i parcheggi.

Troppo spesso faccio così, parto carico e sbatto sugli scogli. E’ il mio grande errore, come spiegherò  più avanti.

Fatto sta che ora tento di salvare il salvabile: gestiremo la turnazione dei Colligiani sull’Elba (immaginandomi qualche ribollimento di persone che sono vicine a me) e guadagneremo qualcosa in più. Forse. O forse no, tanto è tutto a carico mio.

Ok, questa è la scusa ufficiale. Bella, carica di infiocchettamenti ad esclusivo uso e consumo della realtà che mi circonda e, perché no, anche mio personale. La realtà è che dietro tutto questo c’è altro, ovvero volontà di incrociare di nuovo la strada con qualcuno che non ne vuole sapere. Altro mio difetto: infiocchetto la realtà a mio uso e consumo e ci credo anche.

In effetti, eravamo veramente partiti carichi di speranze, poi siamo arrivati vuoti al capolinea e, se sicuramente lei ha riempito di nuovo di speranze la sua littorina, io no: o meglio, ho tutto a posto, ma niente in ordine.

Non mi sono mai lasciato andare così in modo da toccare il fondo. Non l’ho mai toccato ed ho sbagliato. È  tempo di farlo, ora, e venirne fuori. È tempo di elaborare tutta la fila di lutti che ho silenziosamente accumulato in 40 anni.  Non posso andare oltre, diversamente qualcuno tra 5 anni provvederà ad annoverarmi tra quelli che avevano una vita perfetta. Non lo voglio pensare nemmeno e corro ai ripari.

Lo dice Sandra: devo fare basta. Lo dico io, e disapprovo tutte le azioni che faccio quotidianamente. Disapprovo quello che sono adesso, ovvero un coccio rotto che sta in piedi per chissà  quale strano equilibrio, ad aspettare la colata d’oro come i giapponesi. La colata d’oro forse non arriverà mai, ma almeno ci proviamo e ci mettiamo in testa di riprovare. Non mollo, non demordo.
La mia componente razionale conosce bene la situazione, ma non si applica.

Ci sentiremo presto, quando, di nuovo, disapproverò le mie azioni. 

venerdì 2 aprile 2021

Come sono veramente

 

Qualcuno ricorda la pubblicità della BMW Serie 3 Touring del 2007? La colonna sonora era "Come sei veramente" di Giovanni Allevi, e il senso della pubblicità era quello di dire al pilota, nonostante le connessioni, i navigatori, e tutta l'elettronica: Sei ancora capace di perderti?
Eccolo, per chi non se lo ricorda: https://www.youtube.com/watch?v=Xs12tlD0LZk
SS 223, 120km/h: questa è una strada che mi ha sollevato, per anni, pensieri di ogni tipo. A partire dal 2010 fino ad oggi, qui, proprio qui, c'è stato un susseguirsi di emozioni veramente forti.
La Serie 3 che guido è di ben 3 modelli successiva a quella oggetto dell'incipit.
Sono cambiate le macchine (ben cinque, da quel periodo), sono cambiate le persone e pure il percorso originario è stato pesantemente modificato.
L'Enterprise non lo sa, ed è meglio così. Prosegue nel suo solito, teutonico e freddo silenzio iperconnesso, verso la meta che, come sempre, è il Tribunale, non conoscendo che da queste parti ci si veniva per amore, per un vortice di emozioni solo parzialmente corrisposte, e gettate nel cesso sempre dal solito Andrea.
Faccio finta di non sapere nemmeno io che proprio su questa strada avvenne la primissima presa di coscienza che avrei dovuto cambiare qualcosa, oltre 10 anni fa.
Torniamo alle emozioni. A partire dalla solita emozione che dava il "nuovo che avanza", al rapporto tossico rovinato da me, fino all'euforia che dura ancora oggi percorrendo questa strada, di qualcosa che effettivamente non era compiuto.
Poi, il tempo non aggiusta tutto, se non ci pensiamo noi.
Me lo diceva Sandra, nuova persona nella mia vita che quotidianamente e a frequenza martellante assedio per raccontare i miei problemi, e che puntualmente ci dà in pieno.
Scusami, Sandra, se rompo, ma sei te l'unica che ha capito (forse Virginia, e sicuramente la donna della mia vita, che non mi ha accettato per come sono, ma questa è un'altra storia), come sono veramente.
Ieri in macchina, circondato dal comfort e sentendomi protetto da quell'involucro blu, ho pianto per la scomparsa di un amico. E' stata tutta la situazione surreale. Appena sceso, le lacrime sono scomparse come in un automatismo da non far apparire all'esterno.
Ecco, è questa discrepanza tra il mio essere e il mio dover essere che mi sta lentamente uccidendo, buttando giù.
Ma da fuori tutti vedono che sto bene, che sembro rinato accanto a chi mi sta dando tutto, letteralmente.

Nessuno vede che sono come il Titanic con 5 compartimenti stagni squarciati dall'impatto con l'iceberg, perché ancora, da fuori, non si vede che mi sto inclinando e che sto affondando, nemmeno così lentamente.
E' quasi Pasqua.
L'anno scorso mi arrivò un messaggio in cui mi veniva detto che ero la resurrezione di qualcuno.
La SS Pasqua quest'anno dovrebbe esserlo, ma non lo è.
Sarà un giorno in cui perpetuerò la solita cazzata che tiro fuori sempre, sorridendo.
Quest'anno, la mia Resurrezione dell'anno scorso, e la mia testaccia malefica, mi stanno lentamente portando ad un declino terribile, straziante ed inesorabile.

Ho provato con tutto me stesso a dimenticare i viaggi all'Elba. Ho provato in ogni modo a rimpiazzarti, bionda del mio cuore. Ho provato a rimpiazzarti con bionde e more, addirittura dando parvenza di serietà ad un rapporto.
E questo non ha fatto altro che peggiorare la situazione, aumentando i livelli di ansia sino a misure stratosferiche.
Non ci riesco, nonostante gli sforzi costantemente profusi, nonostante un'attenzione maniacale al mio ego razionale, che ha fatto già un grande lavoro.
Come dice Sandra, la mia anima è diversa da quella che traspare all'esterno.
Non so come abbiafatto a forare la fortezza che mi porto addosso, così pesante da portare, che di recente sta davvero scricchiolando.
E no, NON sono capace di perdermi, non ancora.
Adesso non so se devo affondare in pace, con conseguenze per me prevedibili e per gli altri no, oppure se farmi lanciare il salvagente da Sandra, che manco lo vorrà.
Sarà una decisione sofferta  e lunga.

martedì 30 marzo 2021

Faccia a faccia con il nemico

 


Strada Provinciale 24, Isola d'Elba, 115km/h. L'Enterprise è in modalità Sport, con il cambio in Sport, ad azionamento manuale. Con le sospensioni tarate al massimo della rigidità, entra in curva pennellando, ed esce più forte dalle pieghe strette in salita verso il bivio de La Biodola. Entra in curva, nelle mie mani esperte, come se fosse una macchina di un metro più corta, e sfodera una rabbia inusitata in uscita.
Per essere un 2000 biturbo da 215cv va bene, molto bene.
Se esageri, fa come tutte le trazioni posteriori moderne, ovvero scoda pesantemente, e i controlli intervengono raddrizzandola.
Con le trazioni posteriori d'epoca non se ne parlerebbe nemmeno di esagerare in questo modo. Una Giulia, un Duetto, una BMW, ti disarcionerebbero e tu, povero pilota inerme, ti troveresti senza sapere come hai fatto in un fosso/campo/muro e qualuqnue altra pertinenza vicina alla strada.
E sì, sto esagerando e ne sono contento. Ergo, scoda e riprende la sua via, anche a causa delle gomme termiche, inutile acquisto, ma io controsterzo, sono bravo e so come fare. La raddrizzo prima dell'intrevento dei controlli.
In uscita dalla terza curva, al primo colpo che l'ESP assesta alle mie velleità sportive, faccio l'ulteriore favata di quella mattina: disattivo i controlli elettronici, e il cockpit si popola di spie gialle e avvisi vari, in particolare quello che mi ricorda, a lettere cubitali: "STABILIZZAZIONE DI MARCIA LIMITATA".
Mi domando, col sorriso soddisfattissimo da ebete che campeggia nella mia faccia da qualche minuto, sostenuto da "Poison" degli Alice Cooper, se avessi bisogno di una stabilizzazione della marcia nella mia vita.
Oh, sì, ne avrei bisogno, e l'avrei trovata con grandissima facilità.
Ma la voglio? Voglio la strada dritta, facile, veloce, bella? La risposta la so benissimo.
La conosco ancora meglio, quando l'Enterprise, con tutte le centraline "addormentate", scoda di brutto, torce in uscita sotto il mio esagerato piede destro e delega alle gomme termiche, già abituate a lavorare a temperature a loro non congeniali, il compito di tenere in strada questo ammasso di alluminio, pelli pregiate, e plastica.
Come avrebbe detto mio padre, vengo su "a randello".
Rettilineo, respiro lungo, rimetto tutti i controlli, sposto tutto lo spostabile in "Comfort". Ritorno in me.
Il fatto è che dieci minuti prima avevo tirato il più grosso schiaffo morale della mia vita a una persona. Con la più grossa soddisfazione annessa.
"Non si entra mai nelle case a mani vuote", diceva mamma quando ero piccino.
La donna della mia vita non si è palesata nemmeno per ridarmi le chiavi di casa. Me le ha riconsegnate la madre, che mi ritiene il nemico numero 1. Lo si percepisce dalla faccia, dal tono della voce, dagli atteggiamenti.
Sì, la mente è strana.
E allora, vado a ritirare le chiavi di casa mia da tempo latitanti, peraltro con il portachiavi della mia prima società.
Chiamo, e la consegna avviene a mezzo terzi.
Avviene che la mamma, mio acerrimo nemico, artefice del nostro destino, mi aspetta sul cancello.
Venti minuti prima, mentre percorrevo a bordo dell'Enterprise, mia fida compagna di viaggio, la stradina di uscita da casa, mi si era accesa una lampadina come nei fumetti.
Il tocco sul tasto del comando vocale ne è diretta conseguenza: "Buongiorno, avrei bisogno di un mazzo di fiori tra 20 minuti".
Pazza l'idea, pensavo mentre "Armageddon it" dei Def Leppard rimobombava nelle casse della sempre ligia Enterprise.
I 200m che separano il fioraio da casa della donna della mia vita sono il pregustarsi della scena che sto per tirare su, come un grande attore.
Scendo: scarpe Hogan nuove, jeans che non avevo mai messo in anni, trench blu di Aspesi, camicia bianca e occhiali RayBan a goccia che sono il marchio di fabbrica della mia persona da anni.
Vedo lo sguardo impietrito da 50m di distanza, mentre cammino verso il cancello. Nessuno mi farà entrare oggi, ma va bene così.
Il cane mi riconosce e mi fa mille feste. Lo adoro, lui mi adora, ed è l'unico di quella famiglia che attualmente lo fa. Era ovvio.
Mi vengono consegnate le chiavi e io pronuncio la frase più tagliente che avessi mai potuto dire in quasi 40 anni di vita: "Questi fiori sono per te".
Nei 4 secondi successivi, il silenzio di chi osserva l'altro, come se avesse assestato il colpo finale di un incontro di boxe. Sì, tu mi odi, e io ti regalo i fiori.
Sì, tu sei il diavolo per me, e io ti affronto con la gentilezza che mi contraddistingue.
Ringrazio e torno indietro.
L'Enterprise riprende vita senza fare tanto rumore, con il suo solito fare teutonico.
Sono io che ancora non ho ripreso vita, e che dovrei fare il possibile per fare ordine nella mia vita, e nonostante i propositi butto sempre troppa carne al fuoco.
Dovrei fare tabula rasa di tutto.
Virginia, che con i suoi occhioni stupendi tempo fa era accanto a me in questi luoghi, seduta sull'Enterprise, mi avrebbe dato lo stimolo per farlo anche senza dirmi niente.
Solo che non c'è e ha preso la sua via, avendo piena ragione.
Che strano questo 2021, iniziato bene, proseguito sempre in maniera eroica, lasciando tutti all'oscuro di tutto quello che ho dentro, del vortice della mia ansia che mi risucchia fortissimo.
Vorrei tante belle novità. In primis un viaggio di ritorno. E ne resto in attesa.

mercoledì 24 marzo 2021

Fame d’aria

 

Strada Statale 68, 120km/h, notte fonda, quasi mattina. Le luci dei lampeggianti blu scandiscono il ritmo di una cavalcata che, se non fosse per il rumore assordante e ripetitivo della sirena, avrebbe un che di trionfale e, al limite, pure di romantico, di quelle missioni eroiche in cui si andava veramente bene e forte con mezzi di cui, oggigiorno, riderei per la loro assenza di caratteristiche tecniche.
Era un bel periodo, quando le Missioni eroiche andavano bene. Ah, che sbadato, ma io con quelle missioni ho chiuso, penso quando il pilota entra, in modo pressoché perfetto, nella curva a "S" che immette, dopo il ponte su un leggero rettilineo.

Sono legato con una cintura a sei punti di attacco ad un bel sedile avvolgente, e non mi capitava da 18 anni di avere ancora la sensazione delle cinture così.  Chi mi conosce avrà pensato che io fossi su una Lancia Stratos, su una Delta Integrale, o su una 124 Abarth, o su una Porsche 911 in versione pista.
Se non fossimo in avvicinamento all’ospedale, a bordo di un Fiat Ducato, 3000 turbodiesel, 180cv e 2 tonnellate di attrezzature sanitarie, di proprietà della Misericordia, questa corsa avrebbe anche questo un che di romantico e di rallystico. Sorrido, da passeggero di questo mezzo che, in teoria, andrebbe più piano di tutto quello che ho guidato. Il Ducato, oggetto tendenzialmente lento per natura, si avvicina all’Ospedale vicino a casa andando più veloce della totalità dei mezzi  Scendo, fortunatamente sulle mie gambe.

Tre ore prima mi ero svegliato di colpo, con un pensiero ed una immagine corrispondente che non riuscivo a togliermi dalla testa. Il mio passato che si abbraccia col suo futuro mi ha tolto il fiato. Ho cercato in tutti i modi di contrastare con il mio raziocinio (ribadendo a me stesso il fatto di non essermi peritato a dedicarmi ad ogni possibile ed immaginabile forma di rapporto personale e carnale con esseri femminili di una certa bellezza, nelle immediatezze dell’abbandono e di continuare a farlo sinora). Niente. Non serve. 

Il fiato si allunga, il respiro diventa frequente. NO. La sensazione di morte imminente arriva.
Ma non posso morire. Giro per casa, mi faccio una tisana. Ho paura. Tanta paura. Il cervello accelera. Il pensiero va alle polizze vita che ho, sono tante, e due erroneamente intestate rispettivamente alla mia ex moglie e alla mia ultima ex fidanzata dell’Isola d’Elba.
Con tutto il rispetto, non avrei avuto voglia che loro avessero goduto di questa mia morte.
Mi prendo anche una mezza risciacquata sul fatto che sono vaccinato dal Covid, e che come legale faccio parte di una lobby bla bla bla. Sono voci confuse.

Mentre vedo con chiarezza la mano dell'autista ballare in quarta-quinta-sesta, la stretta si fa più forte.Mi sento morire.
Mi passa davanti tutta la mia vita. Io che salgo le scale dell'asilo con Nonno Gigi. Il sole disegnato nel 1984. La Rover blu, la bretella Lucca-Viareggio. Io seduto nel cestino della bicicletta di nonna. La scuola di Sant'Andrea. Elia e Lauretta. Alice e Susanna. Filippo.
Non ero capace di giocare a pallone, ma era solo per l'ansia che era in me, l'ho scoperto ora. Le recite, la freccia Azzurra, il cane Spicciola.
La prima volta all'Elba, la nave era Oglasa e c'è ancora, due livree dopo.
La casa.
Il motorino giallo, il mio nonno a Poggibonsi. Gli occhi di serpente. Il Liceo, dove nascono le amicizie vere, con Giacomo e gli altri.
Le corse per andare in piscina a Novoli. Il bagno Lacona, le 4 estate più belle, abbronzato sul Ciao Rosso. Il bacio con Michela a Marina di Campo.
Il sesso sciatto da diciassettenni. Il sonno sulla spiaggia. Vania. Il pullman per Milano, che ondeggiava forte per il vecchio tratto appenninico. Sara.
Giulia, con cui cantavamo, amica assoluta e duratura. Se non fosse stato amore, adesso lo è e lo sarà per sempre a modo nostro.
La Punto Cabrio arancione. Il senso di tutto. L'ansia. Tanta ansia.
L'università e le storie inutili. Sara. Le ansie. Fabrizia e le ansie a lunga percorrenza.
Gaia, e la prima forte paura di perderla, infondata.
Ancora Giulia e la (sua) Punto a Metano.
Le prime Missioni Eroiche, tutte a buon fine. Il messaggio ricevuto sul divano: "Io ti amo, ne sono certa".
Il borbottio della Mito al minimo, che mi rimase impresso sotto la pioggia battente, con l'ingresso trionfale sul  viale.
Gli interrogativi: "e ora che me la sono ripresa?".
Francesca e la magica serata a Ferrara. Francesca e le litigate per colpa mia. Era vero amore, ma la fava sono sempre io.
Il messaggio "vieni a Ferrara" quattro mesi dopo tutto.

Gli interrogativi: "e ora che me la sono ripresa?".
Gli incolori 7 anni e mezzo accanto a Elena. Lo studio piccolo, lo studio grande. La stazione. Giulia la Collega di studio indispensabile e buona.
La nave quel giorno di settembre. Occhi negli occhi e le cose represse.
Il bacio proibito in un parcheggio. Le ansie, i pianti e gli stridori di denti.
I capelli lunghi e biondi. La fine ingloriosa dopo un anno in cui ci avevo creduto.
La sparizione. I clienti che non tollero. La causa di tutti questi mali, e la soluzione agli stessi.
Virginia, e le mani intrecciate ora lontane che mi davano così tanta sicurezza. Mi mancherà più lei di tutto questo. Valeria e il suo esserci nonostante tutto. I suoi occhi stupendi.
Cosa lascio? Cosa lascerei? Niente, solo incazzature e gente a piangere per niente.

Telefono a chi mi sopporta, con grande amore ora. Sono le 3 di notte, lo so. Non mi merito tutto questo.
Ma non è chi vorrei accanto qua, nell'ospedale vicino casa. Vorrei l'intreccio delle mani, vorrei essere tranquillizzato. Vorrei essere messo da una parte e sentir dire "Ci sono qua io" a qualcuno che non è colei che con grande impegno ed amore.
Non posso averla, non posso nemmeno avere un rapporto civile che mi piacerebbe coltivare per il gusto di dire a me stesso. Ecco cosa mi fa soffocare.
Rivorrei le sicurezze: rivorrei Virginia, Giulia per ricominciare, rivorrei la spensieratezza della mia macchina arancione.
Vorrei lo sguardo di Giulia, la mia amica di sempre, con cui ci supportiamo a vicenda, parlando di musica e cazzate varie.
Vorrei ancora quelle chiamate salaci in cui insultavamo tutti.
Vorrei quello che non posso avere.
Non vivo. Mi fa soffocare tutto.

sabato 20 marzo 2021

Il tramonto incolore

Da qualche parte; o in nessun luogo in particolare.

Il chiarore si estingue, le tenebre prendono lentamente possesso del cielo e di quanto sta al di sotto di esso; e con il sole vanno via i colori.

Che non è che non siano più lì, solo che gli occhi non riescono più a percepirli; tutto diventa a toni di grigio, con poche luci colorate in lontananza a ricordare che forse non tutto è perduto. Ma all'apparenza sono troppo lontane, non sembra esserci alcuna speranza di raggiungerle.

Non c'è nessuno attorno a me in questa fresca serata, almeno metaforicamente (metaforicamente fresca o metaforicamente nessuno, a scelta). E con tutte le persone che ho lentamente allontanato da me, ci credo che non ci sia nessuno.

Sono solo (o almeno mi sento tale), e non è una sorpresa. Ho lentamente smesso di rispondere; ho lentamente smesso di cercare. Ed ora mi trovo solo, con una maschera che metto e tolgo ogni giorno e che pesa sempre più; pochi hanno avuto la possibilità di vedere oltre la maschera in una manciata di occasioni, ma poi l'ho subito indossata di nuovo, fingendo giorno dopo giorno che tutto vada bene, così che anche quelle poche persone che hanno visto la maschera non facciano più domande.

Dietro la maschera c'è un essere umano che fatica ogni giorno a trovare il modo di arrivare a fine giornata; ci sono pianti nascosti nei momenti più disparati, spesso la mattina o la sera andando e tornando da lavoro, negli unici momenti in cui ho qualche minuto per confrontarmi con me stesso (e cronicamente vedere la miseria emozionale in cui vivo).

Ho speso così tanto tempo a cercare metafore e modi di parafrasare che forse li ho finiti; e avendoli finiti non ho più modo di raccontare la mia vita, visto che ad usare modi diretti non ci sono mai riuscito. Così ho iniziato ad isolarmi; a concentrarmi sull'unico grande problema che non riesco a risolvere (e che apparentemente da solo diventa ancora più grande da risolvere), senza riuscirci.

Così ogni giorno è semplicemente un passare del tempo, senza più alcun piacere, senza più alcun obiettivo, senza più sorrisi veri ma solo di facciata.

E brutti pensieri.

Spesso, troppo spesso; come soluzione a tutto; come soluzione finale all'aspettare perennemente ad un'alba ed un chiarore che sembrano non arrivare mai. Soluzione al groppo in gola che sento da mattina a sera; all'ansia; ai sensi di colpa.

Eppure resta un filo di speranza, che mi tiene vivo anche di notte, che mi dice che forse un giorno l'alba arriverà e che magari domani, o la prossima settimana, sarà meglio, nonostante tutto dentro di te continui a dirti che nulla andrà meglio.

Ed ora come ora, l'unica speranza è che quel filo non si spezzi.

lunedì 1 marzo 2021

Per un altro minuto ancora

 


 Granducato De Le Grazie, cancello carraio di casa, retromarcia inserita. L'Enterprise è muta, come sempre.
Nella calda giornata del primo giorno di marzo del secondo anno pandemico, arrivo a casa, tirando il fiato. Lo tiro di nuovo. Respiro ancora.
E' troppo caldo, con punte di 22 gradi nel mezzo del giorno, un tempo inadattissimo alle gomme termiche Yokohama che monto sulla mia nave ammiraglia e compagna di tante curve e rettilinei.
Pensai che quest'anno non avrei dovuto cambiarle, tanto non servono a nulla.
L'Enterprise da venerdì ha una ferita sul paraurti posteriore lato guida, dovuta ad una signora che, per controllare la propria Ford Fusion del 2006, ha dovuto appoggiarcisi sopra violentemente. Poco importa, adesso. L'assicurazione pagherà. Non mi sono nemmeno arrabbiato, stranamente.
Nella Via nova, tornando a casa ho guidato forte, veramente forte, esattamente come nel giorno in cui tornai pilota l'anno scorso, a metà febbraio, quando tornavo da Livorno.
In quell'occasione il motivo della guida perfetta era ben diverso: ero all'inizio di un percorso in cui credevo di essere invincibile, carico di speranze e da cui, quasi un anno più tardi, sono uscito bastonato, con mille punti interrogativi, un grappolo di belle foto da conservare e una serie di ricordi impressi a fuoco nell'anima in maniera indelebile.
E' passato un anno, cavolo, eppure sono ancora lì a bussare e a pugnalarmi.
C'era un punto fermo dal 24 novembre, da queste parti. Era un punto più fermo di quanto io potessi pensare,  o per lo meno mi ero deciso a farla diventare qualcosa di simile.
Guardo nello specchietto, e ripenso a quello che Virginia mi ha detto prima di pranzo.
Ho sfoggiato un aplomb che tempo fa non avrei mai tirato fuori. Quando si muore dentro per un attimo si cerca di sorridere e dire "Non mi avrai".
Ma con te non ho mai litigato, con te eravamo al limite della vicinanza, dell'attrazione come due poli uguali della calamita che si avvicinano quando sono lontani ma che poi si respingono quando sono troppo vicini per toccarsi.
E allora, giustamente, fai bene a prendere la tua via, a seguire le tue attitudini. Devi farlo, e sarò sempre con te.
Fai bene a cercare di seguire quello per cui hai studiato.
Pensavo di non rivestirmi più del mio vecchio "sorriso di facciata". Era tanto che non lo facevo, ma oggi mi sono visto costretto a farlo ancora, più volte.
E sai perché? Perché abbiamo diviso tutto e ci siamo dati tutto. Ci siamo letti gli oroscopi, capiti alla prima. Abbiamo semplicemente vissuto.
La vuota Enterprise continua ad andare veloce verso la sua meta, la casa.
Le mancherai, mancherai a me. Mancherai alle mie mani. Mancherai alle mie braccia che ti hanno stretto quando avevi bisogno.
Mancherai, punto, qualunque cose ne dicano gli altri, che non sanno niente.
E allora, cari miei vicini, colleghi, collaboratori, concedetemi di piangere in terrazza per un motivo che so solo io, anzi, che sappiamo solo io e Virginia.
Non c'è niente di strano, ma voglio piangere in terrazza, lontano dai vostri sguardi che giudicano tutto quanto si muove intorno a me.
Voglio piangere, poi torno in me.
Concedetemelo, per un altro minuto ancora.




lunedì 22 febbraio 2021

Avere ragione e non farsene di nulla




Superstrada Firenze Siena, 120km/h costanti, grazie al Cruise Control. Un tempo non amavo le macchine tecnologiche, ma da quando la mia mamma mi contestava di guidare scostante, il cruise control mi ha dato nuova linfa, per dire, barando: "sono maturato". In realtà se non lo metto vado a scatti, direi più a fiammate.

In ogni caso, il febbraio del secondo anno pandemico mi porta a ragionare, ancora una volta.
Dopo la donna della mia vita, ho trovato una donna eccezionale, viva, interessante, sorridente, colta, disponibile e vicina. L’Enterprise, col suo silenzio imperturbabile, mi ricorda che devo fare teutonicamente quello che devo. Gli occhi di Virginia alla mia destra mi guardano come se fossi un oggetto strano, ancora legato al passato. Lei non lo sa, ma potrebbe abbracciarmi, sparigliare le carte dei 40 anni precedenti, ed indicarmi la strada. Non lo sa, ma forse è meglio così. Sarebbe lei l’unica persona in grado di dirmi che il mio futuro è altro, che la Maserati che guido ora non va bene.

Autostrada A1, 135 km/h. Dovevo telefonare e lo feci. Lui era l'ultima spiaggia per me. Ero solo in macchina e in quel momento tornavo da Firenze. Il vivavoce dell’Enterprise fece irrompere la voce di Benedetto nella mia macchina. “Ciao Collega”. Lui era il Collega di studio della donna della mia vita.  Avevo bisogno che mi facessero un pignoramento e sarebbero stati disponibili. La conversazione poi si spostò sul personale: era un aspetto non richiesto al Collega di Studio della donna della mia vita. Mi chiusi a riccio, ma lui mi disse: "Muoviti".

Appresi informazioni che non avrei mai voluto sentire. Lei era stata male, ecc....tutte informazioni del cavolo. No, non mi sarei mosso. O forse sì. O forse no. O forse non lo so.
La paura di dire le cose è sempre stata la sua sfortuna, la mamma e il lutto la stessa cosa.
Certe cose che sono venuto a sapere dopo mi hanno fatto arrabbiare, però te le perdonerei. Ti perdonerei tutto e accetterei qualunque verità. Ma tu non chiami.

AVEVO RAGIONE.

L'Enterprise viaggia, silenziosa come sempre. E' il suo lavoro, lo fa bene, benissimo.
Solo che ora il contachilometri segna 200km/h. Il mio piede è andato giù, nemmeno di tanto.
Tu non mi cerchi, e io sto prendendo un'altra via, col collo girato dall'altra parte, anche se chi c'è accanto nemmeno se ne accorge.
Ma tu non mi hai mai amato? Oppure mi ami ancora?
Virginia è la mia comfort zone. Verrebbe da me e disapproverebbe. Mi abbraccerebbe, mi bacerebbe forse se non fossimo bloccati dalle rispettive posizioni, e forse mi direbbe che sono uno stupido.
Ma tu, Avvocato elbano pieno di problemi, ma con una pelle fantastica e una sintonia nel parlare non comune, dove sei?
Ho scoperto ora, riesaminando tutto, che sei fragile. Troppo fragile. Ho scoperto ora che ero quello giusto per darti sicurezza.
E non ci sono riuscito.
Avevo comunque ragione.
Sono stato uno stupido. Ma non avrò mai la possibilità di fartelo capire.
Anche in questo avevo ragione.
Adesso, ci vorrebbe Virginia a sparigliare le carte, come fa lei con me sempre, con i suoi occhi nocciola, che ha la capacità di tranquillizzarmi e di farmi sentire me stesso come nessuno.
Ma devo camminare da solo. E forse lo farò.


mercoledì 17 febbraio 2021

Mano nella mano



Strada Comunale delle Lellere, 100 km/h.  Sabato sera, ore 20:30.
L’Enterprise è in modalità  Sport, con il cambio in modalità manuale. Queste impostazioni la rendono una bestia feroce che risponde subito a tutti i comandi, che ti fa sentire pure la rughetta microscopica dell’asfalto. Non è  più la comoda passista autostradale su cui io e Virginia andiamo in Tribunale o dai clienti, ma si è trasformata in Mr. Hyde, ovvero un oggetto velocissimo e brutale. Per una volta, fatemi giocare.

Comunque, sono uscito in ritardo bestiale dalla curva che immette sul rettilineo in salita e, nonostante la neve in terra, ho corretto la traiettoria dell’Enterprise, che altrimenti sarebbe finita su una fila di birilli posti nel mezzo della carreggiata, a proteggere il distributore di benzina posto alla mia destra. Sorrido, e penso che per me queste manovre siano ordinaria amministrazione: d’altronde, prima che Avvocato e imprenditore, sono sempre stato un pilota. Negli altoparlanti della mia astronave suona True Faith dei New Order, perché mi professo rocchettaro però adoro sempre più le canzoni del cavolo anni '80, con il loro ritmo sincopato e spensierato. Il periodo è così, e va così. Merita comunque cavalcare l’onda di tutto questo momento.

In un’ora tutto si è consumato.
Mi hai chiamato, con lo scetticismo che ti contraddistingue quando si tratta di chiedere aiuto, e di chi cancella il messaggio su whatsapp e che invece non avresti dovuto fare. Non lo fare più di farti problemi.
Mi hai chiamato e sono corso, con una bottiglia alla mano, che non fa mai male. Ti ho abbracciata. E il dolore è forse passato, anzi, si è convertito in rabbia. Hai santa ragione ad arrabbiarti.
I pianti non devono mai essere giudicati, solo capiti e smorzati. 

Ed eccomi qua, la mia mano nella tua mano. È una sensazione strana, un po’ come Dottor Jekyll e Mr. Hyde. Capo severo durante la settimana, nel fine settimana qualcosa di strano ma bello. E non voglio niente di diverso. Voglio continuare ad essere questo oggetto strano ma bello senza definizione, indefinito ed indefinibile. 

La tua mano è  nella mia anche il giorno dopo, che è un po’ come premere il tasto Sport dell’Enterprise, quando nel mondo siamo circondati da fave che si vestono da acchiappafantasmi e sembriamo nettamente superiori con uno sguardo. 

Da lunedì si rientra in modalità “Comfort”, ed è giusto e doveroso. 

Mi sono domandato molto spesso perché noi, che passiamo la giornata insieme, siamo così flessibili nei nostri modi di pensare e di vivere le cose. Alle volte penso che siamo due illuminati che sanno scindere gli ambiti, come le navi hanno i loro compartimenti stagni e non affondano. 

Altre volte penso che non ci sia niente di sbagliato ad essere amici/Colleghi/sostanzialmente complici in tantissime cose. Altre volte invece credo che nessuno di noi sbagli a esserci così, brutalmente l’uno per l’altra e l’una per l’altro. 

E non importa se la gente e gli altri non capiscono, e nel loro essere riduttivi e ridotti vivono di bianchi e di neri, senza assaporare tutti i grigi presenti nelle nostre vite. Il più bel grigio, cari amici che vivete di certezze, stereotipi, cose scontate, ve lo perdete e non sapete nemmeno com’è. Il grigio è per pochi fortunati. 

Non dirò mai che c’è qualcosa di sbagliato. La mia mano nella tua non lo è.

Noi siamo il verso di Rumi: “Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò  laggiù”.


lunedì 15 febbraio 2021

Dove non arrivano le rondini


Victoria Harbour, 09:20, Star Ferry (non so quale dei traghetti di preciso).

Un cielo insolitamente (per la stagione) grigio fa da sfondo alla commute mattutina (perché non c'è un'unica parola italiana con cui tradurre "commute"?). La musica è a medio volume, come sempre, cercando di non danneggiare l'udito ma pur sempre di sentire tutte le sfumature che le Sennheiser IE400 fanno emergere dalla musica raccolta negli anni e quasi mai più aggiornata.

Un giorno qualsiasi in cui ho sentito di non essere particolarmente in ritardo e allora ho continuato a bordo del rosso Dennis Enviro 500 KMB fino al ferry invece di scendere prima e prendere la metro come spesso faccio. Perché in fondo mi sento quasi sempre in ritardo.

Ma un po' alla volta il ritardo diventa altro, e non sai più veramente perché io mi senta in ritardo (a parte quando mi mettono una riunione alle 10); in ritardo su cosa? In ritardo verso che obiettivi?

Mancano gli obiettivi, manca la prospettiva, manca uno scopo.

Più e più volte negli ultimi mesi mi sono trovato a tu per tu con la sensazione di non avere più nulla per cui vivere, nulla da raggiungere; e la parte peggiore è che ho continuato a nascondere questo malessere, indossando ogni giorno una maschera sempre più spessa ed elaborata facendo finta che tutto vada bene; quando poco o nulla va veramente bene dentro.

Non ci sono più strade, non ci sono più curve, non ci sono più rettilinei.

Non sono più alla guida, ma assisto inerme, passeggero, ad una rocambolesca discesa, che non sembra mai finire; la sensazione è quella di essere sempre nella traiettoria sbagliata, rischiando di finire fuori ad ogni curva; e non c'è nulla che io possa fare, non ho il controllo del veicolo e non ho la forza di assumerlo.

Ho pensato più volte di rimuovere la costante principale, aprire la portiera, buttarmi giù e lasciare che la macchina si schianti finalmente ponendo fine a tutti i problemi; ma non so mai se sia la codardia oppure un barlume di speranza di riuscire un giorno a riprendere il controllo a tenermi lì, aggrappato, trattenendo le urla ad ogni tornante.

Il pilota è sceso un po' di tempo fa, si è seduto a bordo strada e guarda il vuoto.

Non ci sono più oceani, più tramonti; solo un gran rimorso; e la paura.

Paura che il sole un giorno non sorga più per lui.

sabato 13 febbraio 2021

Maserati Gransport e Panda battuta



Strada Statale 68, 100km/h. Il motore V8 Ferrari della Maserati Gransport Spyder del 2006 urla, tenuto a bada dai pochi controlli elettronici, e arriva squarciando il silenzio fino a 8000 giri. 

Come una donna che si lascia andare, non chiederebbe altro che “ancora”, finché il cambio robotizzato smorza l’urlo che quasi immediatamente riprende vigoroso. Si arriva a velocità altissime senza saperlo. Questa Maserati me la fanno provare, ma non la prenderò. Ho altri investimenti, altre spese da fare.

I suoi lati migliori non sono quelli che leggi nella scheda tecnica: non è il motore, che con 400cv è una bestia assoluta ma allo stesso tempo è guidabile: non è la linea senza tempo, no. Sono stupendi entrambi e di sicura rivalutazione nel tempo. Il bello di questa supercar è la comodità, che si concilia allo stesso tempo con le meravigliose prestazioni. Ecco, questa è l’essenza della Maserati, del vero Granturismo, il poter prendere la tua ragazza ed andare con stile e godimento sportivo in un Grand Hotel a Gardone Riviera e girare aperti, ma allo stesso tempo galoppare trionfalmente sui tornanti di Volterra.

Rettilineo prima di Castel San Gimignano: una Pandina si pianta davanti, ma basta dare un minimo di gas alla seconda e l’utilitaria sparisce negli specchietti, dietro le sinuosità della strada. Rimane giusto il tempo per me, pilota concentrato, di notare la botta che ha davanti. Pace, passerà. Non riesco, nemmeno nelle curve successive, a staccare gli occhi dagli specchietti retrovisori, che inquadrano quella Panda.

Ok, pare una prova di Quattroruote, ma non lo è.

Ho accanto una persona che mi dà tanto quanto la leggendaria Maserati Gransport Spyder. E allora perché, se la Panda mi aprisse lo sportello, ci salirei? Perché preferirei arrabbiarmi su una Panda che godere su una Maserati? Non sto più parlando di auto. Perché vorrei davvero che la Panda oggi mi aprisse lo sportello, mi promettesse ancora di andare più della Maserati e non lo mantenesse, per un attimo? Perché continuo a non volere realmente la Maserati, anche se con qualche anno di più della Panda, che potrebbe darmi tutto, e invece vorrei soffrire, come tutti i comuni mortali, sulla Panda? 

Sono strano, forse, a vivere in perenne attesa di un segnale che, forse, non arriverà mai, ma di cui mi ostino a pensare che sia fermo per fattori esterni alla mia volontà.

Vorrei davvero avere la forza di dare tutto l’acceleratore a questa Maserati. Non ce la faccio, adesso, nonostante la Maserati non chieda altro che di correre veloce su tutte le strade che conosco. E la Maserati la baratterei ancora una volta con la Panda.

mercoledì 10 febbraio 2021

Ritorni immaginati



E’ passato molto tempo da quando il mio sguardo e quello di quella che definivo, a torto o ragione, la donna della mia vita, non si sono più incrociati.

Entrambi siamo andati avanti, come è  giusto che sia. Personalmente, ho trovato chi, nella sua semplicità, tranquillità, cultura, bellezza e chi più ne ha più ne metta, mi fa sentire bene. È amore questo? Sì, lo è. Non ce lo vogliamo dire, ma almeno una forma di amore, indefinita, lo è. 

Tuttavia, la sensazione di incompiuto, di intentato, di non terminato, di qualcosa che è ancora lì a premere contro le pareti del mio vuoto cranio, non se ne va. Non se ne vanno le navi che abbiamo preso, non se ne vanno i gesti, i sogni, le promesse non mantenute, le litigate, i “dobbiamo parlare” che finivano in baci fortissimi, gli abbracci la notte, i piedi sotto il letto, le urla e forse anche i momenti piacevoli passati. 

E allora mi piace immaginare che lei torni, una mattina, senza preavviso come ha sempre fatto, qui da me. Immagino la sua lunga, lunghissima riflessione, i suoi occhi mentre fa l’amore con un’altra persona, puntati verso quello che eravamo, ovvero qualcosa di profondamente sbagliato ma allo stesso tempo anche giusto, perché l’amore non è mai e dico mai un errore. Immagino tutto, momento per momento, e non oso chiedere. 

Il campanello suona, e tu rispondi col tuo nome. La voce familiare, sin troppo, senza la quale avevo per mesi vissuto, rimbomba nel citofono, ma pare ieri l’ultimo giorno in cui l’avevo sentita. Mi guardo pensando che sia la collega di studio che è omonima e no, è nella sua stanza.

Mi giro, guardo Virginia, mia supporter principale e compagna di avventure che non possiamo raccontare, custode dei miei peggiori segreti: come tutti i miei tifosi da stadio nella Stazione, disapprova adesso, avendo approvato prima. Tutti disapprovano. Anche io, alle volte. 

Disapprovo il fatto di gettare in un secchio chi mi ama, anche se da poco, in modo vero e genuino. Disapprovo perché so che tra tre o quattro mesi saremo ancora a piangere, perché siamo forse incompatibili, oppure lo siamo troppo.

Disapprovo perché ti conosco, e so che i muri che il tuo ambiente tira su non sono sormontabili. C’è il mare, la nave, il lavoro, e la scusa dell’iscrizione a medicina e di essere presi a Siena è sfumata, e non puoi più dire a nessuno, nemmeno a te stessa, che vuoi stare qui. Disapprovo perché tu alle volte mi fai paura. 

Ma ti amo.

E allora getto tutto davanti, scendo le scale velocissimo. L’ingresso della stazione diventa teatro di un lunghissimo abbraccio, e la panca del 1885, che ha visto tanta gente seduta in attesa del treno e delle proprie amate, è l’unica spettatrice di quello che avviene. Lacrime nei miei due occhi. Lacrime nei tuoi due. Ora ho un grosso problema da affrontare. Anzi, ne abbiamo due. Saremo in grado di dire tutto e ripartire? Non lo so. 

La risposta del mio ego razionale sarebbe: no, non ora, ma solo se facessimo dei percorsi mirati sarebbe possibile. Oggi, no. È stata dura, in effetti.  Avrei voluto pensare che sia stata dura anche per te.

Tutto questo forse non avverrà o forse sì. Forse avrò la forza di contrastare questo ritorno pieno di amore e di genuinità, che probabilmente io e te ci stiamo costruendo nuovamente. Forse cederò come il peggiore miserabile, contro tutto e contro tutti, come fatto 10 anni fa. 

Forse cederò e abbandonerò chi non se lo merita per niente. Fatto sta che, alle volte, sarebbe bello un semplicissimo ritorno ai normali rapporti con chi ti ha dato tanto e ha ricevuto tanto da te.

Sogno? No, forse realtà. 

La morale è che troppo spesso ci facciamo fagocitare da stereotipi, dal contorno, e rinunciamo a quello che proviamo in nome di “immagini da tenere con noi stessi”.

Guardo avanti, ma a tratti guardo indietro. E questo non può che fare, ancora, molto male. 

lunedì 8 febbraio 2021

Ode a Virginia


Superstrada Firenze-Siena, 120km/h. L’Enterprise va forte col suo equipaggio classico, quello naturale. In effetti, sei arrivata quando l’Enterprise era nuova, quando avevo già fatto casino dall’altra parte del mare.

C’eri nei momenti peggiori, quando tutti gli altri fuggivano. C’eri nelle


drammatiche domeniche di dicembre, quando la nave affondava. C’eri quando qualcuno mi amava ad intermittenza, ma non vedevo che era una finta. C’eri quando dovevo dire a me stesso che era finito tutto e che dovevamo ripartire. C’eri quando in nave, dopo aver ribollito, ti ho detto: “Abbiamo fatto una cazzata” e tu, con l’innocenza dei 25 anni hai risposto al tuo capo “La stronzata l’hai fatta te”. Niente di più vero.

C’eri, con il tuo silenzio e, alle volte, con le tue battute, e questo mi bastava. 

La nostra nave ammiraglia viaggia, tranquilla, mentre Kim Wilde canta con la sua voce ultratrentennale “Hey Mister Heartache”, che appartiene ad un mio passato lontano, alle volte anche troppo presente. Sei arrivata ed ho insistito perché tu tornassi: credo in te, ma non te lo dico, perché lo dovresti scoprire da sola. In questo periodo di “forzata convivenza” ho imparato a conoscerti, perché in tante cose io e te siamo uguali e compatibili. I sentimenti di ogni natura sono la nostra forza, ma soprattutto abbiamo entrambi la brutta, bruttissima abitudine di tenere tutto dentro. Ricerchiamo la reciproca approvazione, perché nei nostri cuori sappiamo entrambi che, alle volte, le regole non sono ben definite, e che nel cuore, sin troppe volte, le cose non finiscono mai.

Ho lanciato sin troppe volte la mia mano destra in cerca della tua, poi sin troppo spesso ritirata pensando “Chissà cosa pensa”. 

Tu sei qui, e io sono tranquillo. Tu sei qui, e io sono felice perché non sono solo. Io sono qui e sai che qualcuno è con te. Ti lancerò nel mondo che meriti, che ti piace, e lo farò nella maniera più minuziosa.

Ho imparato che mandi giù sin troppe cose, che alle volte pretendi troppo da te stessa, che non hai un momento in cui ti siedi, piangi e riparti. Dovresti averlo, dovresti fidarti, dovresti alle volte lasciarti un attimo andare con chi non giudica niente e nessuno.

Dovrei farlo anche io. Se lo fai tu lo farò anche io.

Sarai accanto a me quando arriverà il “secondo round” dall’Isola d’Elba? Sarai accanto a me quando metterò le scelte sbagliate avanti a quelle giuste? Sarai accanto a me quando tutto sembrerà perduto ancora una volta, quando il secondo round finirà e avrò abbandonato la Maserati che sapevo guidare in favore della Panda? 

Ti prego, dimmi di sì. 

Senza te, in effetti, sarei perduto. E non professionalmente. Sarei perduto, punto.

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