mercoledì 24 marzo 2021

Fame d’aria

 

Strada Statale 68, 120km/h, notte fonda, quasi mattina. Le luci dei lampeggianti blu scandiscono il ritmo di una cavalcata che, se non fosse per il rumore assordante e ripetitivo della sirena, avrebbe un che di trionfale e, al limite, pure di romantico, di quelle missioni eroiche in cui si andava veramente bene e forte con mezzi di cui, oggigiorno, riderei per la loro assenza di caratteristiche tecniche.
Era un bel periodo, quando le Missioni eroiche andavano bene. Ah, che sbadato, ma io con quelle missioni ho chiuso, penso quando il pilota entra, in modo pressoché perfetto, nella curva a "S" che immette, dopo il ponte su un leggero rettilineo.

Sono legato con una cintura a sei punti di attacco ad un bel sedile avvolgente, e non mi capitava da 18 anni di avere ancora la sensazione delle cinture così.  Chi mi conosce avrà pensato che io fossi su una Lancia Stratos, su una Delta Integrale, o su una 124 Abarth, o su una Porsche 911 in versione pista.
Se non fossimo in avvicinamento all’ospedale, a bordo di un Fiat Ducato, 3000 turbodiesel, 180cv e 2 tonnellate di attrezzature sanitarie, di proprietà della Misericordia, questa corsa avrebbe anche questo un che di romantico e di rallystico. Sorrido, da passeggero di questo mezzo che, in teoria, andrebbe più piano di tutto quello che ho guidato. Il Ducato, oggetto tendenzialmente lento per natura, si avvicina all’Ospedale vicino a casa andando più veloce della totalità dei mezzi  Scendo, fortunatamente sulle mie gambe.

Tre ore prima mi ero svegliato di colpo, con un pensiero ed una immagine corrispondente che non riuscivo a togliermi dalla testa. Il mio passato che si abbraccia col suo futuro mi ha tolto il fiato. Ho cercato in tutti i modi di contrastare con il mio raziocinio (ribadendo a me stesso il fatto di non essermi peritato a dedicarmi ad ogni possibile ed immaginabile forma di rapporto personale e carnale con esseri femminili di una certa bellezza, nelle immediatezze dell’abbandono e di continuare a farlo sinora). Niente. Non serve. 

Il fiato si allunga, il respiro diventa frequente. NO. La sensazione di morte imminente arriva.
Ma non posso morire. Giro per casa, mi faccio una tisana. Ho paura. Tanta paura. Il cervello accelera. Il pensiero va alle polizze vita che ho, sono tante, e due erroneamente intestate rispettivamente alla mia ex moglie e alla mia ultima ex fidanzata dell’Isola d’Elba.
Con tutto il rispetto, non avrei avuto voglia che loro avessero goduto di questa mia morte.
Mi prendo anche una mezza risciacquata sul fatto che sono vaccinato dal Covid, e che come legale faccio parte di una lobby bla bla bla. Sono voci confuse.

Mentre vedo con chiarezza la mano dell'autista ballare in quarta-quinta-sesta, la stretta si fa più forte.Mi sento morire.
Mi passa davanti tutta la mia vita. Io che salgo le scale dell'asilo con Nonno Gigi. Il sole disegnato nel 1984. La Rover blu, la bretella Lucca-Viareggio. Io seduto nel cestino della bicicletta di nonna. La scuola di Sant'Andrea. Elia e Lauretta. Alice e Susanna. Filippo.
Non ero capace di giocare a pallone, ma era solo per l'ansia che era in me, l'ho scoperto ora. Le recite, la freccia Azzurra, il cane Spicciola.
La prima volta all'Elba, la nave era Oglasa e c'è ancora, due livree dopo.
La casa.
Il motorino giallo, il mio nonno a Poggibonsi. Gli occhi di serpente. Il Liceo, dove nascono le amicizie vere, con Giacomo e gli altri.
Le corse per andare in piscina a Novoli. Il bagno Lacona, le 4 estate più belle, abbronzato sul Ciao Rosso. Il bacio con Michela a Marina di Campo.
Il sesso sciatto da diciassettenni. Il sonno sulla spiaggia. Vania. Il pullman per Milano, che ondeggiava forte per il vecchio tratto appenninico. Sara.
Giulia, con cui cantavamo, amica assoluta e duratura. Se non fosse stato amore, adesso lo è e lo sarà per sempre a modo nostro.
La Punto Cabrio arancione. Il senso di tutto. L'ansia. Tanta ansia.
L'università e le storie inutili. Sara. Le ansie. Fabrizia e le ansie a lunga percorrenza.
Gaia, e la prima forte paura di perderla, infondata.
Ancora Giulia e la (sua) Punto a Metano.
Le prime Missioni Eroiche, tutte a buon fine. Il messaggio ricevuto sul divano: "Io ti amo, ne sono certa".
Il borbottio della Mito al minimo, che mi rimase impresso sotto la pioggia battente, con l'ingresso trionfale sul  viale.
Gli interrogativi: "e ora che me la sono ripresa?".
Francesca e la magica serata a Ferrara. Francesca e le litigate per colpa mia. Era vero amore, ma la fava sono sempre io.
Il messaggio "vieni a Ferrara" quattro mesi dopo tutto.

Gli interrogativi: "e ora che me la sono ripresa?".
Gli incolori 7 anni e mezzo accanto a Elena. Lo studio piccolo, lo studio grande. La stazione. Giulia la Collega di studio indispensabile e buona.
La nave quel giorno di settembre. Occhi negli occhi e le cose represse.
Il bacio proibito in un parcheggio. Le ansie, i pianti e gli stridori di denti.
I capelli lunghi e biondi. La fine ingloriosa dopo un anno in cui ci avevo creduto.
La sparizione. I clienti che non tollero. La causa di tutti questi mali, e la soluzione agli stessi.
Virginia, e le mani intrecciate ora lontane che mi davano così tanta sicurezza. Mi mancherà più lei di tutto questo. Valeria e il suo esserci nonostante tutto. I suoi occhi stupendi.
Cosa lascio? Cosa lascerei? Niente, solo incazzature e gente a piangere per niente.

Telefono a chi mi sopporta, con grande amore ora. Sono le 3 di notte, lo so. Non mi merito tutto questo.
Ma non è chi vorrei accanto qua, nell'ospedale vicino casa. Vorrei l'intreccio delle mani, vorrei essere tranquillizzato. Vorrei essere messo da una parte e sentir dire "Ci sono qua io" a qualcuno che non è colei che con grande impegno ed amore.
Non posso averla, non posso nemmeno avere un rapporto civile che mi piacerebbe coltivare per il gusto di dire a me stesso. Ecco cosa mi fa soffocare.
Rivorrei le sicurezze: rivorrei Virginia, Giulia per ricominciare, rivorrei la spensieratezza della mia macchina arancione.
Vorrei lo sguardo di Giulia, la mia amica di sempre, con cui ci supportiamo a vicenda, parlando di musica e cazzate varie.
Vorrei ancora quelle chiamate salaci in cui insultavamo tutti.
Vorrei quello che non posso avere.
Non vivo. Mi fa soffocare tutto.

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