martedì 30 agosto 2011

La via dei prepotenti.

Oggi sono in vena di provocazioni, e se proprio devo provocare perché non farlo in modo ironico?

Per questo motivo, mi limiterò a scrivere un saggio breve, dedicandolo a tutti coloro che nella loro “carriera automobilistica quotidiana” hanno frequentemente speso il loro tempo collezionando multe, a volte giuste, a volte ingiuste, a volte condite della leggendaria affermazione: “Cosa? Non lo sapevo!” poco credibile e soprattutto inutile, specie se con cotale stratagemma si intende evitare l’inesorabile mannaia del codice stradale (ignorantia legis non excusat).

Dedico questo saggio a tutti quegli eroi che scendono in pista ogni santo giorno per esigenza, partendo dal presupposto: “se proprio devo mettermi al volante perché mai non cogliere l’occasione per divertirsi un po’?”. In un mondo in cui il lavoro scarseggia, e quel poco che c’è è sempre più frenetico e dettato dai tempi, arrivare prima a destinazione è tra le altre cose, un fattore molto producente.

Tuttavia, in contrasto con questa premessa, il seguente saggio non parlerà dei soliti “cornuti e mazziati”, bensì di chi al contrario le leggi le approva, predicando bene e razzolando male, invitando gli automobilisti alla cautela, trasmettendo spot surreali sulla sicurezza stradale ed essendo spesso i primi ad ignorarle del tutto. Con questo non intendo certo giustificare i sinistri degli automobilisti indisciplinati, per carità, invito solo all’equità alcune categorie che a parole danno il buon esempio, ma in pratica no:

Nella loro nuova opera “Vandali”, G.A. Stella e Sergio Rizzo aprono le danze con un capitolo intitolato “La storia sotto le ruote delle auto blu”:

“Se non fosse per il fastidioso selciato millenario che a tratti obbliga gli automobilisti a rallentare, l’Appia Antica sarebbe proprio una bella bretella autostradale. Niente semafori. Niente traffico. […] Direte: ma percorrere la meravigliosa e delicata Regina Viarum in macchina non è proibito da decenni? Certo. Fatta eccezione per i mezzi di soccorso e le autoblu. Vuoi mettere la comodità?

L’Appia antica è stata spesso amata dai prepotenti. Scortato dai pretoriani, Commodo la percorreva speditamente per raggiungere la splendida villa dei Quintili.

[…] Per farsi largo sulla strada, il sanguinario imperatore e la sua guardia usavano la frusta. I consoli e i proconsoli del potere d’oggi usano i lampeggianti sul tetto. […] sfrecciano a cento all’ora sui sampietrini del primo tratto ignorando il limite di quaranta, inchiodano appena passata la tomba di Cecilia Metella per superare lentamente duecento metri di basolato, che sarebbero fatali per le sospensioni delle monumentali berline […] ”

Con Vandali, Stella e Rizzo (La Casta, La Deriva, per citare le opere più rappresentative), tornano nuovamente a puntare il dito contro la casta politica odierna. L’opera si concentra in particolar modo sui beni culturali del nostro bel paese, di cui andiamo particolarmente fieri ma che spesso trascuriamo (ad iniziare dai piani alti).

Per quanto riguarda questo blog, mi è sembrato appropriato citare l’episodio introduttivo dell’opera, invitandovi a pensare, quando il baldo ufficiale vi annota sul verbale per un parcheggio di un millimetro al di fuori dalle strisce bianche, di come chi beneficia del nostro denaro faccia decisamente di peggio (deturpando ad esempio una via millenaria per amor di un autoblu).

Quindi, al momento che venite multati per un sinistro di poco conto, vi invito a non sentirvi troppo in colpa, inscenando paranoie del tipo: “Sono un criminale!”.

La cosa “ammirevole” è l’amore esasperato con cui, tali fidi governanti trattano le loro vetture, disposti a sacrificare un’opera d’arte pur di non danneggiare gli ammortizzatori.

Non adiratevi dunque quando vi giunge voce del folle parco macchine di Montecitorio, siate felici invece, i vostri (o meglio i nostri) denari sono ben spesi, le autoblu le trattano bene, sicuramente meglio di noi … che volete di piu?

Maestri inconsapevoli e consapevoli allievi

Quanti maestri abbiamo avuto nella nostra vita? Chi sono i nostri maestri? Ma soprattutto quanti di loro sanno di esserlo o di esserlo stati?
Quando cresciamo abbiamo bisogno di persone di riferimento con cui confrontarci, persone che, per lo più di fronte ad allievi consapevolmente silenziosi, assumono a loro insaputa il ruolo di inconsapevoli maestri. Come dimenticare i tanti passaggi in macchina di Beppe per andare a cantare in giro per il Veneto? Decine e decine di minuti passati, tra poche parole, a cercare di carpire i segreti della sua guida dolce (ma non sdolcinata) e sicura da perfetto "autista" navigato.
Dai maestri di guida ai maestri di vita; uno sopra tutti non potrà mai più saperlo di essere (stato?) mio inconsapevole maestro (ciao Salvatore!), ma resterà sempre un modello per me e per molti altri. Poi ci sono i maestri-amici (sempre inconsapevoli), a cui devo buona parte del mio tortuoso percorso di ricerca di me stesso; maestri-amici con cui ho condiviso la camera in viaggio, diversi trasferimenti in auto, che sono passati prima di me su alcune delle erte salite su cui mi sono incoscientemente incamminato negli ultimi anni, che ho ammirato quando l'hanno fatto loro; maestri da cui voglio imparare ma di cui devo imparare a riconoscere ed accettare le differenze rispetto a me per non rischiare di identificarmi troppo in loro e per trovare, nonostante tutto, una mia via, una mia verità ed una mia vita; maestri da cui devo imparare anche a distaccarmi quando gli obiettivi iniziano ad andare in conflitto, per il rischio di perdere quel poco di stima di me stesso che stavo acquisendo; maestri piloti forse più per necessità che per passione.

Ships


Navi. Probabilmente la maggioranza delle persone che è salito su Marmorica/Oglasa (visibile nella foto, sono gemelle), non ha fatto caso a niente ed ha caricato la macchina a Piombino, l'ha ritirata fuori a Portoferraio ed è sceso per raggiungere la propria destinazione.
Dal 1989 il viaggio in traghetto per questa breve tratta marittima per me assume un significato particolare e indescrivibile.
Ricordo la prima volta che ci salii: avevo 8 anni, tu non eri ancora nata, e fu Oglasa a darmi lo shakedown marittimo sulla tratta Piombino-Portoferraio. Mi domandai per un anno cosa volesse dire quel nome, così come Marmorica, la navona imponente che era accanto a lei, Planasia ci arrivavo da solo anche se ero piccolissimo....erano le isole dell'arcipelago Toscano! Marmorica è il nome romano di Capraia, Oglasa è Montecristo.
Quel viaggetto di un'ora, in cui si sono susseguiti sempre e dico sempre tanti pensieri, era uno dei pochi momenti in cui riuscivo a fare silenzio.
Andavo a prua, piccino, mangiavo il toast del bar della Toremar (non siamo mai stati amanti della Moby, che allora si chiamava NAVARMA, costosissima e che ha sempre le solite navi-troiaio di derivazione danese tutte ricolorate per abbindolare i milanesi), guardavo fuori, a destra (anzi, dritta) c'era Salivoli, a sinistra l'isola di Cerboli, bella sfondata dalla cava piena di vaporierine (appresi così a metà anni '90). Mentre l'aggeggione biancoblu procede la sua corsa sfumacchiante verso Portoferraio, a sinistra troviamo Palmaiola col suo faro che ho visto acceso forse 2 volte in oltre 20 anni. Restavo ammaliato dalla scia bianca spumeggiante del traghetto. Dopo l'isola dei Topi a sinistra iniziavano le zone impervie dell'Elba, con le calette rosse (Cala Mandriola, Cala del telegrafo e via dicendo, a sinistra se hai una buona dose di fortuna vedi anche Capraia nelle limpide mattinate di giugno), Magazzini, Ottone, a destra Scoglietto, fortezza medicea, attracco, sbarco.
Speranza.
E queste cose, nella vita, questo mio infantile rimanere ammaliato da un banalissimo viaggio su un trentunenne traghetto, avrei voluto spiegarlo a chi se lo sarebbe meritato e farglielo capire, passo passo, minuto per minuto.
Purtroppo, adesso, non sarà così....per lo meno non per ora.
Ma rimango sempre affascinato dal fatto che loro, ora che c'è la nave nuova, sono lì a rincorrerla, ma in navigazione più veloci: dove perdono è in manovra. Cedono il passo alla tecnologia, le regine del Canale di Piombino.
Io sono come loro. Arrivo, navigo veloce, velocissimo, ma attracco male.
Ho 30 anni da cui fuggo a tutta velocità, in questo mare in tempesta. Ma quando il sereno sarà arrivato, e le tratte si allungheranno, e il tempo mi darà ragione, il tempo di attracco non conterà, sarà utile solo la navigazione. Perché Marmorica e Oglasa, ogni volta ce la fanno. Da 31 anni sono lì, espressione di uno standard che non può essere battuto.
E io sono cono loro, e ogni volta ci salgo sempre più volentieri. Non sono le più belle, non sono le più efficaci, ma sono le più veloci e soprattutto le più affascinanti. E questo conta, per me. Voglio vivere la mia sensazione di libertà, adesso, voglio vivere questi 30 - 10 anni che mi sento. Voglio vivere e non esistere. E sono convinto che il resto arriverà.

domenica 28 agosto 2011

Viaggio in formazione. Le due lepri.

SS223, 150km/h: le due vetture, una blu metallizzata in testa e la rossa dietro, camminano imperterrite e, sembra, quasi imperturbabili.
Due benzina. Un mille a 3 cilindri. Un millequattro con 2 turbosoffianti che portano su di giri la rossa, in una danza liscia, lenta, regolare, fluida. La rossa davanti, dentro ha un "rumore di strada da fare", ma forse urla come un trapano causa andatura "quasi tutto fuoco", è a quota centomila km e non vuole saperne di fermarsi. Come la speranza di chi la guida, Marco, che a 21 anni sa dove andare, sa cosa fare. Di già.
La rossa dietro, a quota venticinquemila, una dose di cavalli da rabbrividire e il cruise control saldamente bloccato a conferire la parvenza di un'andatura regolare seguendo la Yaris.
Si va in formazione, adesso. Uno dietro l'altro. Chi ne ha di più sta dietro.
Non siamo soli, ed è bello così. Non è una gara. Ci si aiuta per arrivare prima possibile a destinazione, a vicenda. La rossa fa la chioccia alla blu metallizzata, allo stesso tempo lepre e pulcino, in un carosello di sorpassi in cui in due bolidini minuscoli vanno veloci, al pari delle speranze dei piloti.
Diversi. Il primo, in testa, 21 anni, illuso che l'amore cambi tutto, maturo per la sua età, come lo ero io. Il secondo è rimasto uguale, forse regredito, sulla rossa cattiva, velocissima.
Il secondo cerca una fuga dalla realtà, in cui i pensieri vanno per conto loro, dove non dovrebbero, a differenza delle macchine domate, delle nostre 2 macchine che raggiungono la stessa destinazione.
E' bello sapere che c'è qualcuno che ci crede ancora, di nuovo, in modo genuino e non smorzato più di tanto dalle delusioni.
E' bello sapere che la lenta lepre-pulcino davanti si fida della protezione del sottoscritto, del sorpasso prima dell'uscita.
Vai, Marco, vai. Raccogli il testimone e porta al successo quello in cui non sono riuscito. Sarai fortunato, un giorno. Lo dice l'esperienza che non sempre si può perdere.
Il sorriso perduto si ritrova, grazie agli amici. E' tutto. E' la lunga lunga strada, ancora in progress, per ritrovare quello che sono. Sto iniziando a conoscermi, a guardarmi dentro quando sono per strada. Presto saprò qualcosa di più. E ritroverò la speranza e la fiducia negli altri che ha Marco, la forza dei 20 anni che non ho avuto, la presuntuosa e inesistente saggezza dei 30 che non voglio avere.

sabato 27 agosto 2011

Lepre, pulcino e chiocchia - Voli in formazione


SS223, 150km/h, di ritorno da Grosseto. Provo in tutti i modi a costringermi a sentire una qualche emozione rivolta al passato, con la musica triste, ma ogni tentativo risulta piacevolmente vano.
E allora, ricordo i tempi in cui le auto storiche erano la mia passione e, da piccino, il mio babbo mi portava al bivio di Staggia, allora privo di rotatorie, e del mega ospedale che 15 anni dopo sarebbe sorto a rovinare il panorama, a guardare passare le vecchie macchine in gara per la Mille Miglia storica. Ricordo che ai tempi passavano da sole, senza ausilii di vetture. Ricordo che c'era anche Pozzetto su certe macchine stranissime....
10 anni fa ci tornai con Federico. La Mille Miglia passava da un'altra parte, sulla MIA Chiantigiana.
Ma lo spirito era diverso. Era una mera esibizione e nessuno tirava quei costosissimi, rari e soprattutto anziani bolidi.
Davanti ad ogni auto storica c'era una vettura nuova e dietro una analoga, della stessa marca.
Sembra quasi un volo in formazione, tra aerei, tutti dietro alla star della giornata.
Nel gergo aeronautico si chiamano "chaseplanes", gli aerei che ti seguono in questo volo, per proteggerti e controllare che tutto vada bene.
Nel gergo automobilistico, la macchina che precede la vettura storica si chiama "lepre". La lepre dà il passo al pulcino che è il protagonista indiscusso. E' guidata da chi sa bene quanto può dare l'anziano pulcinotto che segue, e la protegge davanti.
Dietro c'è la chioccia, per parare quello che c'è dietro e proteggere dalle incursioni posteriori.
La macchina corre, di nuovo, su questa superstrada. C'è un modo e un tempo per tutto.
E allora, sono certo di aver fatto la chioccia alla pulcinotta che è stata davanti a me, l'ho seguita in tutto, solo che non ha mai dato spazio alla lepre.
Vorrei essere chioccia e lepre, custodire e coccolare il pulcino nel mezzo della via. Voglio vivere per qualcuno essere di nuovo una cosa sola: voglio volare in formazione con chi se lo merita, ognuno al suo passo, e quello più veloce segue il pilota più lento. Vorrei davvero poterlo fare, ed essere al 100% una cosa sola.
Ma chi se lo meriterà? Chi verrà qui a riprendermi?
Ho voglia anche di trasformarmi da chioccia in pulcino...

L'aquilone

L'aquilone si libra nel cielo, sospinto dal forte vento di scirocco, coi suoi colori sgargianti che si stagliano nell'azzurro del cielo di fine agosto. Il cervo volante è bello, si muove regolare, regolarissimo, ondeggiando, imbardando, rollando, beccheggiando, ma sta lassù nel cielo. Chissà che spettacolo si gode da 50 metri di altitudine, ancorato a terra. Non va da nessuna parte.
Lo paragonerei a dei sentimenti rimasti lì, abbandonati. Volano, come le persone che li provano, per un momento, stanno alti, altissimi.
Poi però scende e rimane a terra. Non risale.
Ma il volo dell'aquilone, per la sua effimera durata, è comunque stato un volo. Vale la pena di essere aquilone, godersi un effimero innamoramento, volare per poco e atterrare di nuovo.
Dico sì. Abbiamo volato tanto, in realtà, per oltre un anno. Ci ripensavo ieri, mentre invadevo Grosseto, di nuovo, mentre ripercorrevo la SS223, che tanto aveva significato nella mia vita, ma non ho stranamente sentito niente. Non so come mai, non credevo.
In realtà, l'aquilone e il suo manovratore da terra potrebbero anche essere paragonati a una coppia squilibrata sentimentalmente. L'aquilone non è libero.
Uno dei due, innamorato, cieco, che si sente volare, sta lassù, nel "settimo cielo" non vede che in realtà è saldamente ancorato all'altra persona che da sotto lo aggeggia, lo manovra, ha il potere di lasciare il filo.
Così è stato, in passato. Quando volavo altissimo qualcuno ha tagliato il filo. E allora ho preso vento, senza più un percorso, senza una guida, mi sono imbardato, ho subito preso una brutta traiettoria. E sono caduto.
Mi sono fatto male, molto male.
Ma poi ho imparato che posso volare anche da solo. Hanno inventato i motori apposta. E allora, gli aquiloni si evolvono in aerei, che non sono vincolati a nessuno in terra, nessun freno, nessuno che ti comanda da terra e ti illude di volare ma poi ti tradisce e lascia il filo per scappare.
Da aquilone ad aereo. E' una evoluzione necessaria per chi ha sofferto e per chi sa che non si può più volare a occhi chiusi.

giovedì 25 agosto 2011

Il ritorno sulla SS223


C'è stata una strana, stranissima atmosfera, quando la Moby Love mollò gli ormeggi e si diresse verso Piombino a 14 nodi di media. Ci mise più del dovuto, tipico della sua natura di nave-truffa, ma a quell'ora non c'era alternativa. La mia bella Aethalia era ferma nei giorni infrasettimanali.
Sapevo che la traversata sarebbe stata quasi tesa. O meglio, me lo aspettavo. E invece ho fatto il viaggio in apnea, alla televisione, circondato da gente malvestita, apparentemente senza cultura. Pochi libri, su questa nave, e tanta televisione. E' la nave di chi ha fatto il biglietto senza informarsi. E io appaio l'unico che sa come scappare da quest'isola spendendo meno, sapendo dove e come andare via.
Ma stavolta la meta non è la stessa di sempre. Stavolta la meta è particolare. E' quella dell'anno scorso, quando venni via da quest'isola e mi diressi verso Grosseto, ma adesso la finalità è diversa, la macchina è diversa, la musica è diversa. Sembra quasi che mi stia dirigendo a 150km/h verso una rappresentazione del dolore, verso un "territorio nemico", a due passi da dove ho trascorso giorni e notti.
"Nothing in my way" dei Keane accompagna il sin troppo lungo viaggio da Piombino a lì, verso un parcheggio che era divenuto pressoché abituale e dove prima la Lancia e poi l'Alfa dormivano come minimo due notti a settimana.
La macchina si sente a casa, ed ho Frank dietro.
La macchina è in un posto che ricorda sin troppo bene. Un luogo da cui è partita certe volte troppo presto, cacciata via da impegni altrui troppo impellenti e dallo scetticismo che imperava. La macchina queste cose se le ricorda, in effetti.
Sarebbe bastato andare pochi metri più in là, per rivivere ricordi, silenzi, urla, sorrisi, pianti, felicità, gioie, sudore, sangue.
Suonare un campanello e dire "ci sono".
Non l'ho fatto: semplicemente perché non volevo o perché mi giustifico aggrappandomi al fatto che stavolta la finalità è diversa, scevra di emozioni. Stavolta si attraversa la strada, ci si allunga il percorso di nuovo, si ride e si scherza con gli amici. E trovo una superba innocenza nei loro sguardi. 20 anni, nei loro occhi, nelle loro speranze e nei loro stupendi sorrisi. Sono pieni di voglia di vivere e io li scruto, mentre parlo con loro. Sara ed Elisabetta sono felici. Mi sono vicine.
Mi restituiscono i 20 anni che non ho mai avuto, in quel 2001 in cui ho dovuto lottare contro responsabilità affibbiatemi da giovane e da cui, adesso, 10 anni dopo, fuggo ancora. Fuggo da me stesso, adesso, e da quello che un'età così importante prospetta.
Ma sono libero, tremendamente libero, in questo viaggio di ritorno, in questa estate tutt'altro che riposante che sta volgendo nella sua fase discendente.
Un locale come un altro, in un posto come un altro, teatro di amicizia. Vera. Dove tutta la falsità si era consumata, questa sera sento che c'è una dose di vero che compensa tutto il vecchio polveroso passato, ormai andato, in cui ho sperato sin troppo, sino a poco tempo fa.
Già, con questi sorrisi l'estate ora è proprio finita.
SS223, la fine dell'estate, 130km/h e arrivo veramente a casa presto. Pare un copione già visto ma non lo è. Stavolta le emozioni non ci sono. Stavolta questa strada è una come un'altra.
E ci attende un inverno da baciare e da portare dentro di noi.
Nessun ritorno. Ora si guarda avanti. Ogni viaggio, da adesso, sarà un'andata.

martedì 23 agosto 2011

Traiettorie

Che cosa è una traiettoria? E' una linea immaginaria, in macchina, che segna il percorso più veloce, ideale o sicuro. La traiettoria si sceglie, imprimiamo noi il movimento al mezzo per percorrere la curva, il rettilineo, e la curva successiva.
Diamo una traiettoria all'andata e una al ritorno, e non sempre sono uguali.
La traiettoria del ritorno è sempre quella più difficile da percorrere. Innanzitutto, andare via, scappare è sempre più facile che ritornare.
Quante volte sono ritornato? Personalmente, poche, forse nessuna. Ricordo un ritorno piacevole, che non ho fatto io. In un sogno recente si concretizzava, con una traiettoria strana, una piacevole sensazione di vittoria e di amore. E io dicevo "quanto ci hai messo a tornare? Sono mesi che aspetto solo te."
Aspettare, vincere. Ma prendere le reali decisioni e le traiettorie perfette non sempre è possibile.
SS1, 130km/h. I Keane mi ricordano che è un altro giorno, e che nella mia vita c'è poco adesso, da quando la veloce, velocissima e improvvisa andata si concretizzò.
Inultile immaginare, in questi responsabili 30 anni, che il bambino dentro il sottoscritto si offuschi, che la mia reale coscienza prenda la via giusta. Ma qual è? Dentro di me, la conosco perfettamente. Ma dove è il confine tra il giusto e sbagliato? Si sposta sempre, nelle fasi della nostra vita. Ciò significa che è un confine personalissimo, che solo noi conosciamo. Alle volte i fatti, le sofferenze, gli episodi, lo muovono.
E non è detto che tutto questo sia indolore, anzi. Fa così male, adesso, comprendere che ognuno ha un separato modo di pensare diverso.
Ma ogni giorno proseguo sulla mia via, che appare tracciata dalla sostanziale rottura con i miei schemi precedenti, con tutto l'amore che ho provato, anche quando non dovevo e avrei forse potuto capire che era il momento di tracciare un'altra strada. Effettivamente, non riesco a non sperare in un futuro roseo, adesso, nonostante le ferite, apparentemente cicatrizzate, siano lì a bruciare, alle volte.
La mia traiettoria l'ho scelta e, adesso, sono in grado di portarla avanti. Ma che traiettoria farà il ritorno? Che strada farà la macchina quando da inerte ammasso di metallo si trasformerà in viva trasportatrice di sogni rinati?
Dopo la SS439 ci si invola in provincia di Grosseto, sotto Massa Marittima, a 150km/h. E allora proseguiamo per questa via. Speriamo. Continuiamo a sperare, pieni di amarezza, ancora, pieno di amore.
No, there's nothing left to say.

lunedì 22 agosto 2011

Sequenze e conseguenze

Esco forse un po' dal tracciato, non me ne vogliano i lettori, per parlare di problemi che riguardano la crisi di un terzo di età di un trentenne in cerca disperata ed infruttuosa di soddisfazioni e gratificazioni, perché le strade ogni tanto vanno guardate in prospettiva dall'alto e percorse con i mezzi altrui, per rendersi conto dell'inadeguatezza o della sopravvalutazione dei propri.
Ricerca disperata ed infruttuosa perché provengo da alcune settimane che mi hanno portato a ridimensionare, quasi fino a scomparire, praticamente tutti i miei sogni per il futuro prossimo; devo ricominciare da capo, una cosa alla volta, come consiglia a cuore aperto il buon Guido, rimettendo in fila tutti i pensieri sconnessi di questi ultimi, inutili, mesi.
Certo, ottimisticamente potrei pensare che sia una casualità che tale sequenza di avvenimenti si sia verificata in quest'ultimo periodo di tempo, ma nulla toglie che siano conseguenze di azioni passate dovute solo ed esclusivamente a me; a poco serve Nelly che canta "It's only just a dream...", ad ogni piccolo gradino scalato per riprendere un po' di autostima arriva regolarmente una tegola che mi fa cadere e mi riporta giù per terra a riprendere contatto con l'insensibile ed ineluttabile crudeltà della realtà. ...e non sto tanto a menarvela; si, ci sono di mezzo soldi che escono, più di quanti ne siano entrati da inizio anno, buttati, per lo più nel cesso.
Perché mi preoccupo tanto, mi chiedete? Perché per me, in questo momento della mia vita, questo significa non poter offrire ad un'eventuale mia discendenza (si, lo so... mancano le condizioni per averla, una discendenza, ma a questo punto non so più cosa sia conseguenza di cosa) quanto ho, fortunatamente, avuto io. Questa penso sia la delusione più grande che una persona possa avere.
Forse è solo la paura di non averne la forza, la paura di confrontarsi, ma finché non riuscirò ad affrontare queste sfide con me stesso, difficilmente riuscirò ad affrontarle verso gli altri, ma la consapevolezza di aggiungere un ulteriore anno di ritardo rispetto a chi mi corre intorno rende la salita ancora più ripida; e a nulla serve imparare a scalare le montagne di roccia per sentirsi per qualche minuto più in alto, dove gli altri non arrivano, se non so poi superare le montagne che si ergono dentro di me, sbattendoci contro appena scendo da quelle di roccia.

domenica 21 agosto 2011

Ripartenze

Ripartenza, domani. La nave mollerà gli ormeggi e io sbarcherò con la mia rossa macchina a Portoferraio. Sbarcherò con il mio carico di pensieri dopo 125km di curve, al porto di Piombino.
L'anno scorso ricordo che scesi dalla nave e arrivai, 40 minuti più tardi, nella città fortificata, a ricercare i baci più belli che esistevano, allora, su questo pianeta. Accecato dalla voglia di rivalsa, di forte sentimento, non vedevo tutto quello che c'era intorno, ovvero il deserto che stavo creando intorno a me.
"The way it is" di Bruce Hornsby risuona mentre metto a posto tutto in casa, mentre metto le camicie nella borsa.
Di quel lungo periodo, di quella lunga lunga strada che poi non avrebbe portato a niente, adesso non rimane che amarezza, e la voglia di riprovare ormai è andata in un cassettino chiuso a chiave.
Avevo perso di vista il percorso giusto, perché non riuscivo a concepire una storia che fosse travagliata e dura, difficile, guadagnando ogni goccia d'amore con litri di sudore e difficoltà. Non era così, in realtà.
Dovrebbe essere tutto facile, l'amore dovrebbe alleggerire ogni peso e invece aumentava la tensione, la tachicardia, la paura di perdere la persona accanto.
E' una lunga strada, quella per cui tu impari davvero cosa vuoi e cosa non vuoi. Non è detto che le emozioni non esistano se uno si sente tranquillo: anzi.
Le emozioni esistono, sempre.
L'amore esiste e ognuno ne ha la propria concezione, ma non era quella, a cui io, cieco perché innamorato, stavo vivendo.
E allora ognuno viva a suo modo, ma l'amore è amore. E sempre sarà.
Vale la pena di soffrire, lottare, sognare e tentare. Sempre.

sabato 20 agosto 2011

Uscite

Le uscite "Cortona" e "Pietraia" passarono con estrema rapidità. La macchina era docile, ed era entrata nell'idea seria che probabilmente quella sera sarei arrivato a destinazione e, quindi, si trasformò in un gattino docile e silenzioso, che fa le fusa.
L'uscita, quella dopo, è la nostra.
La macchina prosegue liscia, lenta, con delle caratteristiche che non sospettavo avesse, rientrando nelle mie grazie.
Prima, a Siena, la Tangenziale si biforca: a destra si va verso Arezzo/Perugia, passando per il Trasimeno. A sinistra si va in un altro posto che ricordo bene. Sulla rampa indugio a sinistra poi giro a destra, la direzione diversa. La ragione ufficiale è "la traiettoria perfetta", la ragione reale è che mi diverto e alimento me stesso e i ricordi per un infinitesimo, illudendomi di proseguire per quella via, ma il ritorno alla realtà è breve e i sogni, i ricordi lasciano spazio all'asfalto, a quel tratto atipico di SS223 che prosegue verso l'E78 in direzione Perugia.
La persona accanto a me parla, ride, scherza, è bellissima ed ha un bellissimo anello sul suo quarto dito sinistro, con un solitario fine ed elegante.
Un amaro quanto breve sorriso mi percorre alla vista di quel bellissimo gioiello che, un giorno, avrei voluto regalare in uno scenario veneziano.
Non ho mai avuto fortuna con gli anelli, però, sempre in quel clima di amarezza, mi domando dove sia quell'anello che ho regalato.
Altrettanto amara è la voglia che alberga in me di sapere dove è finito, in quale cassetto, se ti giri quando la musica ti ricorda qualcosa, se sono così sparito dalla vita e del passato recento. Si tratta di mera curiosità, la stessa che albergava dentro di me, nel preciso momento in cui iniziavo, a Rioveggio, in quel fine giugno magico e strano, che aveva un sapore di resa dei conti, di ritorno da Mantova.
Quella curiosità si estende ancora di più, quando domando a chi ho davanti come ce l'ha fatta, come è stato bello vincere, come sono le storie che funzionano, come è la sensazione, mai provata, che l'altro ci sia.
Il lago era lì, sotto di noi. Lontano si vedeva, verso nord, Cortona. A sud Montepulciano. Posti eccezionali, accompagnati da un venticello che ci faceva bene allo spirito.
Guardo gli altri che ce l'hanno fatta. Guardo me stesso, in ogni maniera cerco davvero di svoltare.
Sapere dove sono quegli anelli mi farebbe solo bene.
Ho necessità di guardare avanti, a quel bivio che dicevo. E non mi dovrei più girare, ma la curiosità mi porta davvero a pensare di continuo ai perché e ai motivi per cui nemmeno una voce né 160 caratteri tranquillizzanti arrivano da giorni.
Da passeggero, al ritorno, ascolto la musica, guardo il bel viso di chi guida, che sorride sapendo di essere felice con la persona che ha accanto.
E io stavolta vorrei farcela. Di nuovo. A sperare, a vivere, a sorridere. Come un anno e mezzo fa. Ne ho il pieno diritto.
Ho il diritto di prendere l'uscita giusta, come sliding doors, stavolta. Ho diritto di sapere che fine ha fatto il mio passato, e quale sarà il mio futuro. Chi lo sa? Quello che so è che ho imparato ad amare. Nel bene e nel male.


venerdì 19 agosto 2011

La notte in cui.....

C'era un tratto di liguria, in quell'estate strana, avvolto da un'atmosfera quasi magica. La Lancia correva con il suo carico di cuori infranti e cicatrizzati, portando a destinazione il primo, forte, bellissimo tentativo di recupero e di incollaggio di un coccio rotto, forse troppo.
C'era qualcosa, in quella magica atmosfera, che faceva pensare e presagire che probabilmente quei due cuori feriti sarebbero tornati una cosa sola.
C'era il velocissimo ma inconcludente che non voleva concludere nulla.
C'era un qualcosa che sarebbe divenuto bello e straziante allo stesso tempo e che non si sa come mai è finito.
C'era il mare mosso, a Tellaro, quella sera. La nave lontana passava con il suo carico diretto sicuramente a Genova, al porto, perché La Spezia era passata, mentre il tempo sembrava essersi fermato e il passato allora recentissimo sembrava non contare, apparendo superato dalla voglia di stare insieme, di passare giorni stupendi nonostante tutto.
Il battello di linea mollava gli ormeggi di Vernazza quando, fiducioso del futuro e dell'amore allora forte e indiscusso, di un abbraccio, di quegli occhiali Wayfarer che mai ho detto che mi piacevano, sapevo che avrei vinto la battaglia contro i miei errori.
Stavo imparando la lezione, forse. Stavo imparando a non essere dispersivo e a capire cosa volevo.
Al ritorno in macchina, la fiducia era massima quando non doveva esserlo. Il coccio pareva ben risaldato. E invece no.
La strada è lunga, lunghissima, per tutti. Tornando indietro, rifarei tutto.
L'incollaggio è andato avanti per molto tempo, ma la colla si è seccata fin troppo presto, l'amore che ci teneva insieme non è bastato.
E adesso l'imperativo è voltare pagina.
Ma non è così semplice.
Ci sono sere in cui qualunque cosa ti ricorda il passato, e il futuro appare sì, radioso, da una notevole analisi razionale. Però non è così facile. Non lo è, anche se le basi ci sono e sono solide.
La musica, forse, sta cambiando. E chissà che quel tratto di liguria non diventi un appuntamento fisso...
Ma c'è una ricerca continua, in ogni cosa, in ogni mossa, in ogni cosa, ci sarà parte di quel bell'amore ormai andato.
E quel telefono, muto....

giovedì 18 agosto 2011

Ci sono sere... I

Ci sono sere in cui ti attardi a scrivere la tua vita da qualche parte, in cui le 3 scoccano con una rapidità estrema e devi in qualche modo andare a letto.
Ci sono sere in cui senti il bisogno di andare lontano e di sperare, ed è qualcosa che ti tiene vivo, vivissimo, quel viaggio in macchina verso un piccolo obiettivo lontano.
Ci sono sere in cui la strada è quella vecchia, ma la gente è differente, l'amore non c'è più e a quel bivio a metà giri a sinistra invece che a destra.
Ci sono sere in cui in quella stessa strada impari ad amare il tuo passato che è lì, sempre presente, che non vuole andarsene.
Ci sono sere in cui la canzone "I Can't stop loving you" di Phil Collins suona forte, quasi rimbomba, e tu mentre vai la canti fortissimo, la urli, come se fosse diretta a qualcuno in particolare, come se quelle parole venissero davvero da te.
Ci sono sere in cui hai bisogno di camminare, e il luogo in cui cammini e la compagnia che ti sei scelto ti fanno sembrare agli occhi degli altri una persona che è arrivata.
E invece non lo sei.
Ci sono sere in cui il telefono è muto e non vuol saperne di suonare. Ci sono sere in cui vorresti veder apparire un nome sul telefono ma sai benissimo che la paura è tanta anche solo di riparlare.
Ci sono sere in cui "....That part was fun but now it's over..." e tu non riesci a fartene una ragione.
Ci sono sere in cui parli con l'ignara passeggera accanto di quello che potrebbe essere il tuo futuro con una spontaneità mai vista e che non sapevi nemmeno di avere.
Ci sono sere in cui la tua macchina, da ghepardo voglioso di correre si trasforma in piccolo gattino fuseggiante che ti coccola nel viaggio di andata.
Ci sono sere in cui, per un attimo, non soffri.
Ci sono sere in cui hai la presunzione di essere uscito da quel tunnel, ma in realtà era solo una piccola prosecuzione della strada all'aperto. Ce ne sono altre in cui sei dentro quello stesso tunnel con le quattro frecce e non sai che direzione prendere.
Ci sono sere in cui piangi perché il tuo futuro non è quello sperato.
Ci sono sere in cui hai voglia di parlare e lo fai, ma ti rendi conto di aver rasentato l'insopportabilità.
Ci sono sere in cui speri, altre in cui non vivi. Ci sono sere in cui, forse, quell'abbraccio ritornerà, insieme a quel tratto di Liguria e quella canzone dolce, a quel treno a due piani e al battello grigio chiaro.
Ci sono sere in cui ti accorgi, al contrario, che gli idilli non possono durare, altre in cui sei fiduciose.
Ci sono viaggi di ritorno in cui urli e ti guardi dentro, e, purtroppo, non trovi niente.

Back home but.....

La nave mollò gli ormeggi, un'altra volta, passaggio inevitabile perché, alla fine, un'isola è sempre staccata dal continente e ci vuo La bella commessa del negozio di profumeria a bordo del traghetto è sempre lì che accoglie i clienti, mentre sono seduto al bancone del bar.
La Moby Baby tenta di speronarci e di ripetere una tragedia di 20 anni fa a Livorno, ma questa è un'altra storia.
La nave insegue la Moby Baby. Sto tornando a casa, in un giorno di mezza estate. Mi aspettano 125km di viaggio attraverso curve, bei panorami, attraverso le province di Livorno, Grosseto e Siena.
E allora, va per la superstrada, SS1 in variante, 130km/h. I Genesis, I Mattafix, Phil Collins mi ricordano che la strada è lunga. E che non sto bene. C'è una strana atmosfera, oggi. C'è l'idea del rientro, con questi 34°C. La SS1 prosegue verso Grosseto, ma io esco a Follonica est, in questo stupendo scenario. Lontano c'è Massa Marittima. SS439, 150km/h, qui si inizia a tirare, a bestia, con 192cv vivi, veri. La sagoma aggressiva del frontale dell'Alfa si riflette sulla vernice lucida di una Mini davanti a me.
E inizio a pensare che questo mondo sia per me una prova. Una prova di sopravvivenza alle avversità. La mia testa è altrove, oggi. La mia testa è ancora lì.
Basta piangere. La Mito corre e non sa cosa pensa il suo pilota. Esegue solo le sue direttive, come chi crede in qualcosa e si fida ciecamente del suo guidatore e dà tutto. Io non mi fido più di me stesso. Ho preso una direzione che la mia reale volontà forse non voleva. Ma proseguo, coerente. Chissà che questa strada non mi piaccia.
Triste, sogno ancora, ad occhi chiusi ed aperti, quello che voglio. Sperando sempre che la felicità costruita e voluta arrivi d'improvviso. E allora, quella strada, non la ripercorrerò.
Ripercorrerò questa, volta dopo volta, per arrivare sul'isola, sulla nave, e per tornare a casa. Ma allora, perché adesso? Perché ancora adesso? Eppure spero, vivo, e amo. Ancora. E come dice Phil Collins "I can't stop loving you. Why should I even try?".
Joan Osborne si domanda cosa succederebbe se Dio fosse uno di noi e se avessimo solo una domanda per lui cosa chiederemmo.
Io so cosa chiederei. Lo so benissimo. E allora, chiedo. Continuo a chiedere la sola domanda, l'unica domanda per me, adesso possibile. Ma da Lui ancora nessuna risposta.
E allora, via, verso casa, al ritmo di sorpassi da scuola.
Col solito carico di stridore dantesco di denti, di tristezza, di poca felicità. E di sguardi nello specchietto retrovisore, e fuori dalla porta. Se alle volte i miracoli fossero possibili, mi tengo una porta aperta.

lunedì 15 agosto 2011

Una vita da finto pilota

Sapendo quanto mi piaccia guidare, fare più di 6000 km in tredici giorni da passeggero (dannate assicurazioni delle macchine aziendali!) obbliga a fare delle riflessioni; lasciando ad un altro post le riflessioni che ho iniziato a fare sul ruolo dei maestri e degli allievi nella vita, provo a concentrarmi su un altro argomento che mi frullava in testa in quei giorni da passeggero.
Che differenza c'è tra guidatore, autista e pilota? (o anche, "perché hanno guidato guidatore e autista e non il pilota?"). Guidatore è quella persona a cui, indipendentemente dal mezzo, basta arrivare a destinazione; autista è colui che, indipendentemente dal mezzo (che comunque però cerca di conoscere), punta a portare a destinazione sani e salvi i propri passeggeri ed il proprio mezzo; pilota è colui che, imparando a conoscere il mezzo e la strada (ma spesso basta solo il mezzo), indipendentemente dalla destinazione e dei passeggeri, vuole guidare al meglio delle possibilità, siano queste, non volendosi limitare al pilota "da pista", anche di efficienza e comodità piuttosto che di velocità (relativa o assoluta che sia).
Chi sono io? Tendenzialmente un pilota, anche se quando ho qualcuno in macchina faccio finta di fare l'autista ...o forse è il contrario? Senza pormi troppe domande credo che inserirò anche questo nell'elenco dei dualismi indecisionali che mi riguardano. A meno che... a meno che anche il mio modo di essere autista, cercando di non far quasi nemmeno percepire ai miei passeggeri gli attimi in cui la frizione stacca per cambiare marcia, cercando di calcolare traiettorie e accelerazioni in modo da ridurre l'accelerazione laterale nelle curve, l'evitare le frenate brusche ...solo per i passeggeri che ho a bordo e che molto probabilmente sono ignari di questo mio comportamento? Si, forse in macchina mi fa essere un finto pilota.
Perché finto? Perché appena esco dall'auto finisce il gioco ed è la vita che ha in mano me e fa di me quel che vuole; divento passeggero, quasi passivo, di un destino che sembra quanto mai ineluttabile, qualsiasi esso sia.

venerdì 12 agosto 2011

Ferryboating



La macchina non aveva corso granché, quel venerdì. Ero partito con estrema calma, con l'idea di chi sa bene dove sta andando e di chi sa dove esattamente deve arrivare. Una decisione che non spetta mai alla mia personam, se non su percorsi estremamente sicuri e civili, nonché conosciuti. Ero partito con la calma di chi sa che a quell'ora non c'è traffico, col traghetto prenotato e con mezz'ora di comporto. Insomma, ero dotato di un senso di infallibilità che pochi avevano quel giorno d'inizio agosto.
E' una strana serata questa. Il vento di maestrale raffresca l'aria. Non so dove tu sia o cosa tu faccia. Non so più nemmeno, alla fine, chi posso essere io per te, se non qualcosa che somiglia a un libro di ricordi vecchi che hai messo su un remoto scaffale. Perché, in effetti, il tempo passa, inesorabile. I capelli si allungano, e non ho voglia di tagliarli. Mi viene da piangere sempre più spesso, per la mancanza di coraggio di chiederti come stai, come va adesso, se hai trovato amore. Il tempo passa: le nuove persone della mia vita sono lì che attendono come cagnolini di essere portate fuori, ma non lo faccio per paura. Perché ogni giorno, tu ci sei.
Attendevo che tu mi chiedessi come stavo e non so come mai io non riesco a non vivere ancorato al nostro passato, vecchio, finito, ma bellissimo amore, che per te poi non rappresenta lo stesso.
Avrei voglia di venire da te, adesso, e piangere tra le tue braccia.
Non ho voglia di vivere, stanotte, senza te.

lunedì 8 agosto 2011

Tempo di bilanci



“E quando fuori dalla tua finestra il cielo si fa più grigio... e quando dentro ai tuoi pensieri si insinua un senso di amarezza... e quando avverti una crescente mancanza di energia... e quando ti senti profondamente solo... ecco, quello è il giorno dell'appuntamento col bilancio della tua vita.”


E’ da un po’ di tempo che rifletto e, in modo lento e graduale, mi sono sentita quasi spontaneamente in dovere di trarre un bilancio della mia vita. Non uno in particolare, ma uno dei tanti, di quelli di fine anno, anche se spesso vengono redatti in modo distratto, più nell’amarezza o felicità di un momento che non tramite un’accademica disamina.

Improvvisamente ho avvertito un cambio di marcia, come se tutto il panorama intorno si fosse alterato. Coloro che venivano a portarmi il pane non passano più davanti alla mia porta, le mani non vengono più strette, niente favori, niente parole di conforto, niente di niente. Il mondo ha smesso di girare intorno a me. Questa strana sensazione mi incalza e lascia fluire vari interrogativi attraverso la mia mente. In qualche modo sento di aver esaurito ogni credito. Il cassetto delle cambiali che stava sotto al mio tavolo, sempre a portata di mano, appare adesso vuoto ed emette un suono sordo al tocco del ginocchio che, impaziente, ogni tanto lo urta.

C’era un tempo in cui tutto era da desiderare, in cui non si aspettava la famosa manna dal cielo ma si credeva che qualcosa, bene o male, in ogni caso sarebbe arrivato. Una proposta, una persona, un biglietto aereo.
Si siede in attesa dell’inaspettato giocando nel frattempo a scorgere segnali di quel cambiamento, con occhi da bambini: grandi e curiosi. E lo si sente, si sente sempre. E’ la sensazione di chi aspetta, di chi si sente confinato su una piattaforma instabile. Molte volte mi sono sentita come se tutto questo fosse solo temporaneo, come se da lì a poco sarebbe arrivata una svolta, anche non sapendo quale.

Forse siamo noi stessi ad accorgerci di quanto il presente sia precario o di quanto si voglia porre fine ad un frammento di vita troppo insoddisfacente. Perché fin quando non si giunge alla soddisfazione, sebbene non piena, si tende sempre a guardare più lontano del nostro orticello.
L’uomo è un essere dinamico, diventa sedentario quando non sa più dove andare, come se in quei pochi passi avesse già girato tutto il mondo.
Ed eccomi qua. Siedo ed un giorno come tanti altri mi accorgo di ciò che mai avrei notato. I cambiamenti nella vita a volte avvengono lentamente, come un’abitudine che pian piano si perde, senza sentirne la mancanza, senza saperne il perché. Come l’albero invecchia lentamente, perde le foglie una ad una, ma noi riusciamo a notarlo solo quando è completamente spoglio, ripensando a quando era forte e rigoglioso.

Non siamo acuti osservatori, spesso dobbiamo giungere al culmine prima di capire. Ma forse anche questo piccolo dettaglio porta con sé una goccia di bellezza. Chi di noi vorrebbe vedersi pian piano invecchiare? Nessuno, almeno spero.
Forse è meglio così: un giorno ti svegli e i tuoi capelli sono grigi, la tua pelle raggrinzita e le gambe più deboli. L’inconsapevolezza fa parte del percorso.

Quindi oggi mi sono svegliata e, come l’anziano in questione, mi sono guardata allo specchio interiore. Non mi manca più niente, non saprei cosa chiedere alla vita, non saprei cosa chiedere a me stessa. Certo, le piccole cose sono infinite, ma non sto certo a parlare di dettagli. E’ come se avessi finalmente realizzato un progetto lasciato sulla scrivania per troppo tempo, aggiungendo di tanto in tanto qualche segno di penna atto a completarlo. Non so più dove andare, non voglio più guardare oltre, non ne ho più bisogno. Sarà ora di restituire alla vita ogni singolo favore e stringere le mani di coloro che sono in attesa.
Finalmente vivo da protagonista.

domenica 7 agosto 2011

Takeoff

Quella mattina di giugno, mi balenò l'idea di concretizzare quella balzana idea che mi bussava da anni nelle pareti del cranio. Ero sempre stato appassionato di aerei, mi sono sempre interessato all'aviazione di linea e non della General Aviation. Primi di luglio e il noleggio, costosissimo, fissato da un aeroporto famoso per la general aviation.
Il Piper Seminole è lì, perché quando vuoi fare le cose le fai in grande, secondo me. Il viaggio d'andata verso l'aeroclub è stato piuttosto strano. Non ho scelto uno di quelli vicini a casa come Ampugnano, Firenze, Pisa, Tassignano, Grosseto e altri, ma sono andato in Emilia. Un bell'aeroporto, fiorente general aviation hub. Il Piper è lì, splendente, nonostante i 23 anni di vita. Un po' troppo elettrizzato dall'idea di volare avevo fatto i tornanti appenninici un po' troppo allegramente, pervaso dall'euforia che avrei, adesso, volato su un aereo tutto mio, un aereo noleggiato da me. Mi sarei seduto al posto del secondo pilota, pagando naturalmente tutto io ma non me ne importava niente, in quel momento. La pilota, 33 anni, giovane, decisa, vestita in modo sobrio e sportivo, mi attacca discorso, parliamo di aerei, di quanto è bello il Seminole che ci aspetta. Ed in effetti lo è. Due Lycoming turbocompressi da 180cv l'uno, ben 12 cilindri che rombano fino a 360km/h in volo, e la libertà che ti imprime lui con la sua bella linea, con la fascetta azzurra che corre lungo la fiancata, il suo muso che fa tanto anni 80, le sue eliche, il suo sguardo sornione che sa tanto di avventura. Ci guardiamo, parliamo, e siamo pronti. La bella carlinga si apre. Mi metto a sedere, a destra, nel posto del secondo pilota. Ray Ban aviator saldi addosso sugli occhi di entrambi. I due Lycoming prendono vita, a spese mie. Si accendono e le eliche girano. Ci allineiamo.Diamo tutta manetta, la sua mano sulla mia, e l'aereo con una spinta impressionante prende velocità, 80 nodi, il muso si alza e non siamo più sulla terra. Il rateo di salita è positivo, direzione Corsica. Parliamo e ci capiamo. Non siamo più sulla Terra, dove ci sono state lacrime, sangue e perdite di conoscenza, stiamo volando verso la Corsica. L'aereo alza il muso e noi lo seguiamo con il pensiero il suo andamento, per dire al mondo "noi siamo quassù (a caro prezzo) e i pensieri stanno a terra, provate ad acchiapparci". Giornata magica, per un attimo credevo di avere il comando dell'aereo. La mia pilota ride a ogni mia battuta, l'aereo atterra, dopo un'ora.
E i miei pensieri non ci sono stati. Mi getto in una dimensione nuova del motorismo mentre torno a casa. Ecco, la vera sensazione di libertà l'ho appena provata, da solo, e non ne posso più fare a meno. E alzo gli occhi e guardo il cielo, ed ogni volta cerco e trovo il mio Seminole, la mia bella pilota e una giornata che non potrò dimenticare. Che nessuno sa. E a settembre ci torno.

mercoledì 3 agosto 2011

Inattesa spensieratezza


C'era un'atmosfera di spensieratezza inattesa, in quel giorno di aprile. Il cielo stava per restituire il suo miglior tramonto. Sulla destra, la sagoma incredibilmente affascinante di Radicondoli era perentoriamente aggrappata alla sua collina. Ancora più a destra, la Val di Cecina con tutte le sue rughe intagliate dal sole, dalla pioggia di migliaia di anni, faceva da culla al sole che scendeva e che andava a riposarsi.
C'era un dettaglio di quel crepuscolo che mi faceva pensare che tutto il male fosse passato, ma non era così. C'era aria di vittoria contro il dolore lancinante e costante.
Quella spensieratezza era, capii solo dopo, una sensazione illusoria, perché in realtà ho compreso in questi mesi che c'è chi vince, alle volte immeritatamente, le battaglie che altri combattono con tutte le loro forze per mesi, anni, decenni.
Per un arcano motivo questo mondo è sbagliato, premia chi non è buono, e chi lo è deve accodarsi, prendere le cose e le persone di seconda scelta.
Il sole tramonta ma poi risorge: riesco a pensare di non aver mai avuto nessuno con cui dividere questo bello scenario sinora. Qualcuno che si emoziona davanti a questo strano, forse banale perché quotidiano, spettacolo naturale.
Uno spettacolo che può permettersi ogni imperfezione perché tanto ha la possibilità di ripetersi giorno dopo giorno. Il sole ha vinto.
La terra gli ruota intorno, come ho fatto per tanto tempo con te. E invece, qualcun altro ha vinto la battaglia che ho combattuto, con immense difficoltà.
Ma in fondo, senza l'amore, nella vita, dov'è la vittoria?
Lo cantava anche Sting, "There are non victories in all our histories, without love".
E quando sarà la mia vittoria? Quando? Me lo domando ogni giorno. Tanto è inutile vendicarsi, fare pazzie.
Avevo atteso, per lungo tempo, il tuo ritorno. Senza fare mosse eclatanti, senza prendere e andare a Roma come feci un tempo.
Alle cose, in effetti, si attribuisce un significato. Un anello è solo un pezzo di metallo con un nome inciso dentro. Un nome che il trascorrere del tempo ha fatto trapassare dalla tua mente. Un gesto che non ti piacque. Lo ricordo benissimo, il giardino degli aranci. Sembrò quasi che io mi fossi costruito ad arte quella realtà per riconquistarti, per guadagnare la tranquillità del "Sì, sono la tua ragazza" quando poi trattavasi di una buccia priva di polpa, una scatola vuota, un cartellone pubblicitario senza prodotto.
Per questo non mi sono mosso: forse anche io ero ancorato ad un'idea, a un pensiero. Ad un qualcosa che diveniva fissazione. Certo è che di strada con te ne avrei fatta. Tanta. E magari saremmo anche stati bene. Ma quando l'amore finisce le strade diventano larghe e piatte e non si arriva mai.
Svuotato dell'amore, ogni elemento cambia faccia, sostanza e forma.
E allora, "There are no victories, in all our history, without love".

Perfect landing

La chiamata del volo fu chiara e precisa, quel 28 agosto 2010. Io ero lì, in prima fila, agli imbarchi, da più di mezz'ora, per vincere la mia ansia di perdere gli aerei e allora giù di caffè, Corriere della Sera ecc....L'aereo bianco e rosso fischiava con l'Auxilary Power Unit che faceva da generatore, mentre il pullman portava 140 passeggeri verso l'A319 della Meridiana. Poco prima, con l'alba che sorgeva, il taxi mi stava portando all'aeroporto di Cagliari, lungo la SS425, con un autista che aveva una voglia di chiacchierare che moriva, quando io ancora non avevo acceso nemmeno mezzo neurone. Torno a casa da 15 giorni di vacanza fantastici, con gli amici a Villasimius. Giorni in cui ho ritrovato me stesso e l'amicizia di persone care. Avevo ridotto, sino ad allora, la loro amicizia, ad un mero rapporto di risate, condivisione, conoscenza...e invece no. Quando ero su quel pullman aeroportuale ero un'altra persona. Cosciente che agli amici si è vicino, come loro sono sempre stati a me. Ero stato cieco, sino a quel momento. Non avevo visto che avevo dei fratelli. Una persona nuova stava davvero salendo su quell'aereo, per un breve volo di un'oretta. Partenza ore 8:45. Alle 6:30 ero in aeroporto per il Check-in. Raffica di caffè, pastarelle, una puntatina in qualche negozio. Con una strana euforia. In quel viaggio avevo pensato. Molto. Avevo una storia a cui avevo dato una bella pugnalata, un mese prima. Sempre dopo questa pugnalata, mi sono accorto che stavo sbagliando in una maniera bestiale, e tutto il mese precedente mi ero dedicato all'attività di recupero della fiducia. E allora ci rifidavamo. Ero in Sardegna 15 giorni. Avevo capito che nei primi mesi di quella storia avevo ignorato dei segnali, avevo prestato poco ascolto a chi mi amava per davvero, prendendo vie strane, fughe dalla realtà per la paura di aprirsi e dire i problemi.
Il pullman aprì la porta. Avevo telefonato ai miei. Avevo telefonato alla mia metà che voleva avere notizie del mio arrivo. Ero tranquillo e rilassato, stranamente. Mi misi a sedere ed ero accanto ad una bellissima mamma 35enne con figlia che avevano, anche loro, una voglia di chiacchierare che morivano, come il tassista.
Tant'è, assecondiamola. L'aereo rullava e io, fregandomene del rumore di sottofondo delle hostess che ripetevano il ritornello delle dotazioni di sicurezza, le quattro uscite centrali se si ammara, il giubbotto di salvataggio, il sentiero luminoso perché noi non siamo l'Easyjet, siamo i figaccioni della Meridiana e abbiamo l'A319 iperaccessoriato con i sedili di pelle e i cerchi tamarri, e altri ammennicoli vari, guardavo fuori per vedere gli aereini, in un impeto puerile di curiosità, largamente velata dall'espressione quasi disinteressata, quando sobbalzai alla vista di uno Skymaster anni '60.
L'aereo, finito il rullaggio, decollato un turboelica della Luxair, diede tutta manetta, fece un bellissimo Steepclimb, virò verso est, sopra il mare, sopra Villasimius dove ero io. Si vedeva una bella raffica di maestrale che spazzava le coste mentre l'aereo saliva e gli orecchi si tappavano, e i pottaioni della Meridiana servivano il caffè, l'ennesimo, della mia mattinata. E non erano ancora le 9. Una strana euforia avvolgeva l'aereo che fluido andava verso Firenze. Avevo idea di arrivare a casa, riposarmi e correre verso Grosseto dopo pranzo, perché erano 15 giorni che non vedevo la mia amata. L'aereo iniziò la discesa verso Firenze, tirò indietro i motori e fece il solito brusco atterraggio dovuto alla pista corta. Accendo il cellulare, e mi arriva un messaggio "Sono qui, vai alla libreria Mondadori". Dentro la libreria, 2 occhi. 2 cuori. Un abbraccio. 160km fatti per me, di mattina presto. Non mi era mai capitato. Ero una persona felice. Letteralmente felice.
Ora posso dirlo, è passato quasi un anno. Ero la persona più felice della Terra, quando incrociai quegli occhi.
Avevo l'idea che ogni tempesta fosse passata, in tempo breve. Vabbè, non era così, lo sappiamo come è andata, l'ho scritto mille volte. Però la felicità so che sapore ha, ed è un qualcosa di stupendo. I soldi non fanno la felicità. In quel periodo ero squattrinato ma felice. Non importa se accantoni 30.000€ in un anno in un conto corrente senza rinunce. Non importa se ce la fai adesso a comprare casa, cambiare la macchina tutto insieme senza patemi d'animo. Non importa. Non è quello che conta. La felcità, una volta assaporata, è un qualcosa di cui non puoi fare a meno ma che capita così di rado. Forse quelli sono stati gli unici mesi (agosto e settembre 2010) in cui alla domanda "sei felice?" avrei risposto senza alcuna esitazione "sì".
Adesso tutto questo è passato. Altri aerei sono partiti, atterrati, l'aeroporto di Firenze è sempre lì, pure l'A319 della Meridiana è sempre lo stesso. Ma è come una cattedrale nel deserto per me. Un senso di vuoto mi pervade quando passo accanto all'aeroporto di Peretola, sull'autostrada. Sono decollato da lì mille volte. Ma mai è stato piacevole rientrare da una vacanza come quel giorno.
Adesso mi ritrovo con un silenzio sempre più assordante. Macchina, casa, persone. Silenzio. Tanto. C'è una strada lunga da percorrere. Credevo, sinceramente, fosse più breve, lo pensavo mentre affrontavo il MIO Appennino al ritorno da Mantova, con Chiara accanto sorridente dopo due giorni da leoni.
Giorni da leoni, adesso, non esistono più. Mi sono richiuso in quel guscio che credevo fosse stato spezzato. E allora, come fare? Continuo a camminare.

martedì 2 agosto 2011

Both sides of the same story - Perdersi.

C'è una storia che custodirò sempre nel cuore. C'è un momento che, nella mia vita, ha sancito un punto di svolta nel mio personale modo di pensare. E stavolta non c'è la SS223 a fare da contorno.
C'è una storia che le "versioni ufficiali" della mia vita raccontano distorta, con personaggi diversi, macchine diverse. I miei, ad esempio, non lo sanno. Mi sono inventato un fantomatico aperitivo con un amico per giustificare il ritardo.
15 aprile, Monza. Giacca scura, cravatta rosa. Abito stupendo. Fine di un lavoro eccezionale lì. Dal finestrino della Freccia del Bernina tornavo da Monza in Centrale, per correre a prendere il treno per tornare a Firenze. Avrei dovuto fare una corsa e così feci. Macchinetta fast, biglietto di prima classe, partenza 18:15, treno 9553. Accanto c'è il 9653, che va a Roma non stop. Salgo su quello, per errore. Il posto a me assegnato (sull'altro treno) è lì. Sembra il mio: "buonasera", saluto gli altri passeggeri dei quattro posti vicini. Il treno, col suo ronzio metallico, parte alla volta della sua meta di cui sono ignaro. Il Controllore mi dice con una certa nonchalance che ho sbagliato treno e che prima di Roma non si scende. La drammatica prospettiva che non ci siano treni per il ritorno mi impone di spiegare a casa il fatto che dormirò a Roma.
Ma invece no. Alzo il telefono, quel numero che può salvarmi la vita. "Ciao". "Ehm, senti, non è che potresti venire a ripescarmi a Roma?" "A Roma? Ma non eri a Milano?" "Storia lunga". Inizia da lì, senza esitazioni, l'accordo per Orte. E mentre il treno andava, la Lancia si muoveva verso Orte, verso il "recupero del sottoscritto bloccato". E nel frattempo si consumavano drammi torinesi, mentre appariva all'orizzonte lei, la mia salvavita. Pioveva, in quel giorno di aprile. Pioveva forte e l'A1 non finiva mai. Sosta carburante, sosta cena, breve, ripartire verso quello che sarà l'arrivo ad un orario strano, lungo e lontano.
I lampioni gialli dell'autostrada A1 lambivano il parabrezza della Lancia Ypsilon nera che procedeva a 140km/h, dove NON DOVEVA ESSERE, dove non dovevamo essere. L'arrivo a Firenze era previsto per le 2. Nel frattempo per il mio passato ancora allora presente si consumava un dramma a Torino, e mi arrivavano dei messaggi strani, stranissimi. Ilaria era lì accanto, che guidava e vedeva le mie facce totalmente interrogative. Ilaria era lì che mi stava salvando letteralmente la vita.
La macchina, col suo familiare rumore di crociera, che per troppe volte ho sentito, che tanto mi ricorda quella SS223, risale a 140km/h l'Italia, dove mi sono perso. Perso a lunga percorrenza, in un treno da cui non potevo scendere. E' così bello sapere che puoi contare su qualcuno che senza esitazione ti viene a salvare, pensavo. La macchina correva, ancora. Valdichiana, lassù ci sono tanti lampioni. Il cambio di pilota all'area di servizio è stato fatto rapidamente. Adesso sono io il secondo pilota che non vuole guidare e ho qualcuno che mi porta, e lo fa col sorriso. Che avventura che stiamo affrontando, che rimarrà il nostro piccolo segreto che porteremo nella tomba. Mi viene in mente l'ultima volta che percorsi con la macchina questo tratto. Era uno speranzoso e nebbioso rientro di dicembre, quando tutto pareva essere tornato per il verso giusto. Adesso sta tornando tutto per il verso giusto. Stiamo tornando a casa. La tappa Firenze-Colle sarà breve e arriverò a casa stanco ma felice.
Non l'avrebbe fatto nessuno per me questo favore. Non l'avrebbe fatto nemmeno chi diceva di amarmi. Nemmeno in casa mia. L'avrebbe fatto Federico, l'avrebbe fatto Giacomo ma sono su a Milano e Biella. E Orte è lontano.
Eppure sono qui, con te che mi hai letteralmente salvato, che hai fatto 300km per salvarmi la vita senza volere niente in cambio. Vedi che amicizia forte?
Per un attimo parve risuonare una musica nuova, nella Ypsilon turbodiesel, quella sera. Per un attimo parve che la via del recupero fosse spianata. E' sembrato quasi un crescendo, certo qualche volta sono inciampato. Poi Mantova e il buio, il "Tirare il freno d'emergenza".
Ma questa è un'altra storia, rispetto al salvataggio che mi ha fatto Ilaria quella sera. Ci guardavamo con sguardo complice, mentre lei guidava e mi teneva quella mano fredda che avevo, per la pioggia. Mi ha ripreso dove non dovevo essere, per un errore, proprio mio, a guardare, nella fretta, il numero del treno. La lenta risalita verso nord si sta trasformando in una delle serate più piacevoli di tutta la mia vita, di quei (quasi) 30 anni che erano lì, in agguato, pronti ad arrivare con il loro carico di riflessioni, obblighi, domande dagli altri ("quando ti sposi?" "ma non è l'ora di mettere la testa a posto?" "Sei un pinzo (colligiano per vecchio non sposato)"). E invece no. Prendiamo questa notte, questa pioggia, questa Ypsilon con le gomme un po' sgonfine (rigonfiate all'area di servizio Monte San Savino), questa musica, quei messaggi che arrivavano da Torino che mi facevano sentire un uomo che ce l'avrebbe fatta ad uscire dalla tempesta prima dell'altra parte, uno che ce l'avrebbe fatta a rimettere a posto le cose e a dare il 100%. Mi sbagliavo, in un senso o nell'altro. Ilaria è lì che mi sta salvando e non se ne accorge. Non avevo voglia di tornare a casa. Non avevo voglia di vivere, oggi. Fino alle 22:40, quando Ilaria compariva dal nulla che sovrastava Orte, a pescarmi sotto la tettoia di un distributore vicino alla stazione, col sollievo dei piedi, il sollievo dell'anima.
Oggi, Ilaria mi risalverebbe la vita. E io a lei. Perché queste cose legano, fortificano l'amicizia, la nostra amicizia nata come una storia strana che pochi capirebbero.
E allora custodirò nel cuore questa grandissima notte. Pazzia, strada, viaggio. Lenta risalita verso nord. Un apparente ritorno alla vita, che mi faceva sentire vivo, speranzoso di affrontare il tentativo di rivoluzione che mi balenava in testa e che, naturalmente, è rimasto lettera morta.

lunedì 1 agosto 2011

Mollare gli ormeggi

La nave partì, con l'inusuale traiettoria di chi sa che non deve fare tante manovre e di avere una marcia in più rispetto agli altri. Con una quasi inspiegabile velocità di manovra, tipica delle navi quasi nuove, l'Acheos salpò alla volta della sua meta. Lentuccio in crociera, veloce in porto. Al ritorno perché non gira ed ha due prue dà un quarto d'ora alle altre navi in servizio.
Molla gli ormeggi, e va. Dentro ha un bellissimo bar, una boutique di quelle vere. E' una nave bidirezionale ma veramente favolosa. Strano a dirsi, la nave in questione si muove con una sorprendente agilità.
L'agilità di una persona che molla gli ormeggi dal suo passato, con la spavalderia che dovrebbe contraddistinguere chi si libera del medesimo.
Il mio passato è morto. O meglio: quel passato è ancora vivo ma quella persona è morta. Non è più lei. E forse non stava bene con me proprio perché mancavano quei giochi che faceva con altre persone, che minano la fiducia e la felicità nella coppia, che distruggono la tranquillità.
Ecco, quella persona è morta. Con lei è morta l'idea che, forse, sotto quella cenere, covasse ancora qualcosa. E invece no. Dispiace sempre non sapere la verità.
Come Acheos che proseguì nell'alba la sua corsa, dovrei correre io. Oddio, in queste condizioni sono piuttosto inabilitato ma...gli ormeggi sono mollati. E non fa bene una cosa del genere. Ma prima o poi, se la nafta non finisce, ad un altro porto ci si arriva.
Alle volte, nella mia vita, ho finito la nafta in mezzo al mare, quando c'erano le tempeste. All'S.o.s. non rispondeva nessuno. E allora dovevo governare da solo questa nave in balia della corrente. Tante altre navi passavano e non si fermavano. Ecco. Fine. Speriamo di aver imboccato la via giusta, come a scomporre il passato e ricomporlo, ricostruendolo dopo la tempesta. Te, rottame incagliato su uno scoglio ma non ancora affondato, vieni recuperato da un rimorchiatore, trainato in porto, riparato, e poi sei pronto nuovamente a solcare i mari. Specialmente quello della vita.
Ma per fare questo, per arrivare al porto, si deve attraversare una brutta tempesta.
E dentro di me c'è un po' di tempesta ma c'è anche il porto con le sue luci.
Acheos arriva, non fa manovra, frutto della modernità. Apre la pancia e 140 macchine escono. La mia uguale. Grazie, Acheos, di essere entrato nei miei ricordi ed avermi fatto riflettere che il mare in tempesta fa sempre bene, quando si arriva in porto.
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