Il pullman aprì la porta. Avevo telefonato ai miei. Avevo telefonato alla mia metà che voleva avere notizie del mio arrivo. Ero tranquillo e rilassato, stranamente. Mi misi a sedere ed ero accanto ad una bellissima mamma 35enne con figlia che avevano, anche loro, una voglia di chiacchierare che morivano, come il tassista.
Tant'è, assecondiamola. L'aereo rullava e io, fregandomene del rumore di sottofondo delle hostess che ripetevano il ritornello delle dotazioni di sicurezza, le quattro uscite centrali se si ammara, il giubbotto di salvataggio, il sentiero luminoso perché noi non siamo l'Easyjet, siamo i figaccioni della Meridiana e abbiamo l'A319 iperaccessoriato con i sedili di pelle e i cerchi tamarri, e altri ammennicoli vari, guardavo fuori per vedere gli aereini, in un impeto puerile di curiosità, largamente velata dall'espressione quasi disinteressata, quando sobbalzai alla vista di uno Skymaster anni '60.
L'aereo, finito il rullaggio, decollato un turboelica della Luxair, diede tutta manetta, fece un bellissimo Steepclimb, virò verso est, sopra il mare, sopra Villasimius dove ero io. Si vedeva una bella raffica di maestrale che spazzava le coste mentre l'aereo saliva e gli orecchi si tappavano, e i pottaioni della Meridiana servivano il caffè, l'ennesimo, della mia mattinata. E non erano ancora le 9. Una strana euforia avvolgeva l'aereo che fluido andava verso Firenze. Avevo idea di arrivare a casa, riposarmi e correre verso Grosseto dopo pranzo, perché erano 15 giorni che non vedevo la mia amata. L'aereo iniziò la discesa verso Firenze, tirò indietro i motori e fece il solito brusco atterraggio dovuto alla pista corta. Accendo il cellulare, e mi arriva un messaggio "Sono qui, vai alla libreria Mondadori". Dentro la libreria, 2 occhi. 2 cuori. Un abbraccio. 160km fatti per me, di mattina presto. Non mi era mai capitato. Ero una persona felice. Letteralmente felice.
Ora posso dirlo, è passato quasi un anno. Ero la persona più felice della Terra, quando incrociai quegli occhi.
Avevo l'idea che ogni tempesta fosse passata, in tempo breve. Vabbè, non era così, lo sappiamo come è andata, l'ho scritto mille volte. Però la felicità so che sapore ha, ed è un qualcosa di stupendo. I soldi non fanno la felicità. In quel periodo ero squattrinato ma felice. Non importa se accantoni 30.000€ in un anno in un conto corrente senza rinunce. Non importa se ce la fai adesso a comprare casa, cambiare la macchina tutto insieme senza patemi d'animo. Non importa. Non è quello che conta. La felcità, una volta assaporata, è un qualcosa di cui non puoi fare a meno ma che capita così di rado. Forse quelli sono stati gli unici mesi (agosto e settembre 2010) in cui alla domanda "sei felice?" avrei risposto senza alcuna esitazione "sì".
Adesso tutto questo è passato. Altri aerei sono partiti, atterrati, l'aeroporto di Firenze è sempre lì, pure l'A319 della Meridiana è sempre lo stesso. Ma è come una cattedrale nel deserto per me. Un senso di vuoto mi pervade quando passo accanto all'aeroporto di Peretola, sull'autostrada. Sono decollato da lì mille volte. Ma mai è stato piacevole rientrare da una vacanza come quel giorno.
Adesso mi ritrovo con un silenzio sempre più assordante. Macchina, casa, persone. Silenzio. Tanto. C'è una strada lunga da percorrere. Credevo, sinceramente, fosse più breve, lo pensavo mentre affrontavo il MIO Appennino al ritorno da Mantova, con Chiara accanto sorridente dopo due giorni da leoni.
Giorni da leoni, adesso, non esistono più. Mi sono richiuso in quel guscio che credevo fosse stato spezzato. E allora, come fare? Continuo a camminare.
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