mercoledì 30 novembre 2011

La guida perfetta viene sempre nelle circostanze peggiori

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SS68, l'ultima rimasta di una lunga serie di strade che ho percorso, 100km/h. Metto dentro la quinta a giri piuttosto bassi.
Sto guidando alla perfezione. Con una pulizia mai avuta negli impeti di un pistard giovane e forse sin troppo sicuro di sé.
Le ruote non slittano. Non eccedo con l'angolo di sterzo, in queste curve a destra. Non eccedo nemmeno nel tiro delle marce, non vado oltre 4500/5000 ma costante. Velocissimo, ti trovi in quinta oltre 4500 giri ad oltre 160km/h. Mi ci trovo pure io, a dire il vero. Dovrebbe essere un giorno qualunque. Lo è solo in teoria.
Mentre l'indicatore delle turbine viene soppiantato da quello della musica, e Imogen Heap reinterpreta Thriller di Michael Jackson, l'Inutilmente Eroica (perché l'Impresa Eroica fu inutile), velocissima come sempre e forse più di sempre, tenta di coprire col suo rumore pieno, pienissimo, il silenzio che è riapparso come la nebbia ad invadere questo abitacolo.
A tratti devo dire che ci riesce, torcendo brutalmente a colpi di "g" laterali il mio collo nelle curve. E' la cosiddetta guida a denti stretti. La guida che fanno i piloti in rimonta. Quelli che non hanno più niente da perdere, quelli che a Le Mans rincorrono il gruppo di testa che se ne va. Anche alla 6 ore di Vallelunga era così.
La mia guida da ieri è così.
Prolungo la fase di rientro dei sorpassi, e adesso sono di nuovo per questa salita a 150km/h, con le due overboost inserite, e le Pzero Corsa che usano tutta la loro speciale spalla rinforzata, stringendo la traiettoria e tenendo tutto giù, di nuovo.
SS68, scolletto di Maltraverso, 140km/h, benvenuti al limite. Se avevo l'assetto vecchio a quest'ora ero morto. A tratti mi domando se sto facendo la cosa giusta. Ho perso tutto e ho un futuro da costruire. E' arrivata la mazzata. Quella che doveva arrivare da tempo, riesco a pensare, mentre supero 170km/h prima del curvone e ci butto, addiruttra, una quarta a 7000 giri. Nemmeno una piega, né un minimo intervento dell'ESP fermano questa corsa folle su strade che se potessero si scanserebbero. Questa corsa che serve a far ricircolare un sangue che si è fermato di nuovo di colpo, per un piccolo evento, superabile.
Lo ha detto JR, potenziale anima scrittrice di questo blog: Se va come credo paradossalmente sei sulla buona strada...dopo l'incazzatura tutto è in discesa. Dovresti aver scollinato.
Ha ragione JR, ma è la discesa che mostra i veri piloti. Fa selezione su chi ha paura e alza il piede.
Ho scollinato, in questo preciso istante.
Ho guidato nel modo migliore che potevo, come da 12 anni non facevo, da ieri sera. Sono davvero uno che ci sa fare. Niente spettacolo, niente traversi. Ora, solo pulizia. Sono un pilota evoluto.
Pulizia in ogni senso. E devo diventare una persona evoluta. Dovevo diventarlo mesi fa, in effetti.
Ma non è così per tutti. Non ci sono riuscito prima e forse non ci sono nemmeno riuscito adesso, per quanto abbia imposto a me stesso
Torno nel mondo reale ed arrivo a destinazione, contrastando quel magone che il sonno arretrato e la tristezza attuale, nonostante fatti positivi, fanno premere fortissimo presso la mia gola, che solo l'acceleratore toglie, la spinta bruciante di tutti questi cavalli sembra seminare. Ma alla prima frenata tutto ritorna lì dov'è, a fare male, a ridirmi "ehi, guarda che qualcuno che nemmeno se lo merita è lì dove sei stato tu e si gode i frutti del tuo lavoro". Tutto vero.
Adele canta Someone like you a voce alta, mentre l'Inutilmente Eroica borbotta al minimo il suo bel rombetto da piccolo ma cattivo turbo benzina.

I heard that you're settled down
That you found a girl and you're married now.
I heard that your dreams came true.
Guess she gave you things I didn't give to you.

Old friend, why are you so shy?
Ain't like you to hold back or hide from the light.

I hate to turn up out of the blue uninvited
But I couldn't stay away, I couldn't fight it.
I had hoped you'd see my face and that you'd be reminded
That for me it isn't over.

Never mind, I'll find someone like you
I wish nothing but the best for you too
Don't forget me, I beg
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead,
Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead,"
Yeah.

You know how the time flies
Only yesterday was the time of our lives
We were born and raised
In a summer haze
Bound by the surprise of our glory days

I hate to turn up out of the blue uninvited
But I couldn't stay away, I couldn't fight it.
I had hoped you'd see my face and that you'd be reminded
That for me it isn't over.

Never mind, I'll find someone like you
I wish nothing but the best for you too
Don't forget me, I beg
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead."

Nothing compares
No worries or cares
Regrets and mistakes
They are memories made.
Who would have known how bittersweet this would taste?

Never mind, I'll find someone like you
I wish nothing but the best for you
Don't forget me, I beg
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead."

Never mind, I'll find someone like you
I wish nothing but the best for you too
Don't forget me, I beg
I remember you said,
"Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead,
Sometimes it lasts in love but sometimes it hurts instead."

Ecco cosa succede. Il tempo vola e c'è chi sa come utilizzarlo. C'è chi sa arrivare in fondo, fermarsi un attimo, e poi ripartire anche meglio.
Ma altri vivono di speranze che coltivano rimanendo fermi ad un palo, morendo lentamente, giorno dopo giorno, e non sono in grado di lasciar andare le persone, non sono in grado di capire, di sentire quello che è meglio per tutti, di guardare oltre quella maledetta bassissima siepe oltre la quale c'è un mondo nuovo e una strada nuova, assolata e senza buche.
Una strada che ti eri forzato a non vedere tenendoti col campo visivo su quel terreno circoscritto

Adesso basta. Questa gara è durata sin troppo. Alla fine era una gara contro me stesso, lo è pure ora, ma molto meno. Abbiamo corso, forte, nella stessa direzione. Abbiamo poi corso paralleli e poi in direzioni diverse. Qualunque cosa sia successa dopo non dovrebbe importare, anche se poi di fatto
E' vero.
E ora, bandiera a scacchi. Anche l'ultima gara è finita. Si impacchetta il palco inesorabilmente vuoto della premiazione, del podio, si impacchetta tutto. Non ci sono più gare, adesso.
E' quasi dicembre, la stagione è finita. Del tutto. E non c'è modo di ricominciare. E' tutto sotto controllo adesso. Quel "sotto controllo" che sa di tremendo, scoraggiato, e forse anche rassegnato alla sconfitta contro un equilibrio che sapevi essere prefissato e che era lì, e prima o poi sarebbe tornato in prima fila. Al posto tuo.
E' finita una stagione. E non so se davvero ne ricomincerà un'altra. E i VOSTRI sogni diverranno realtà a differenza dei miei. Aiuto. Aiuto. Aiuto.
La mia nave affonda, adesso. E non ci sono scialuppe.

martedì 29 novembre 2011

Panorami di una costa scoscesa

La barca è ferma al porto per manutenzione straordinaria; motore, chiglia, vele, elettronica di bordo... tutto ha bisogno di una revisione urgente e di qualche rinforzo per riprendere la navigazione; allora da passeggero ho preso la comoda e velocissima navetta gommata in compagnia del maestro pilota, verso un alto promontorio a picco sul mare. Scambiamo poche parole, come d'abitudine, scherzando leggermente sul nostro presente e sugli ignari passanti, poi il tono della voce inizia a farsi più serio e capisco che è ora di una lezione: pochi concetti, chiari e diretti; questa volta ben più che semplici consigli.


Dopo avermi lasciato sul mio promontorio, la navetta con il maestro pilota prosegue il cammino verso il suo capolinea, ed io resto da solo a bordo strada con la voglia di andare a buttare un occhio verso il mare, anche se ci sono dei rovi ad ostruire il passaggio. Mi apro la strada un po' a fatica e rimedio qualche graffio, ma ora la vista è migliore; in basso si vede il porticciolo con la barca in riparazione, mentre, con una brezza leggera da sud-est che mi scompiglia ancora lievemente i capelli, lo sguardo volge al tramonto, con il sole che crea riflessi in continuo movimento colorando l'acqua di oro e argento con sfumature verdi e blu.

Ora resto in attesa dei preventivi per la riparazione, con la ragionevole paura per il costo e per i sacrifici che dovrò affrontare, ma in fondo è giusto così, per prendere seriamente il mare, in qualunque direzione, bisogna essere preparati; certo, qualche uscita a mare l'ho fatta, ma evidentemente né io né la barca abbiamo l'esperienza e l'attrezzatura necessarie per imprese eroiche come quella dell'onorevole Aethalia del Velocissimo ma Inconcludente, tornata purtroppo anche lei nel porto di partenza, anche se ora continua a prestare servizio sulla propria rotta.

Certo però, qualche rischio devo comunque imparare a prenderlo senza poter sempre calcolare tutto; a quanto pare è questa la prossima sfida...

lunedì 28 novembre 2011

La replica (parecchio più a sud e parecchio più tardi) del volo su Vienna

Era il 9 agosto 1918. Una squadriglia di biplani Ansaldo SVA sgancia, da 800m di quota, capitanata da un certo Gabriele D'Annunzio, sgancia una raffica di volantini su Vienna.
Nove apparecchi compirono l'impresa, giungendo su Vienna alle 9:20 e lanciando 50.000 copie di un manifestino in italiano preparato da D'Annunzio che recitava:

« In questo mattino d'agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l'anno della nostra piena potenza, l'ala tricolore vi apparisce all'improvviso come indizio del destino che si volge.
Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro. È passata per sempre l'ora di quella Germania che vi trascina, vi umilia e vi infetta.
La vostra ora è passata. Come la nostra fede fu la più forte, ecco che la nostra volontà predomina e predominerà sino alla fine. I combattenti vittoriosi del Piave, i combattenti vittoriosi della Marna lo sentono, lo sanno, con una ebbrezza che moltiplica l'impeto. Ma, se l'impeto non bastasse, basterebbe il numero; e questo è detto per coloro che usano combattere dieci contro uno. L'Atlantico è una via che già si chiude; ed è una via eroica, come dimostrano i nuovissimi inseguitori che hanno colorato l'Ourcq di sangue tedesco.
Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell'arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremo osare e fare quando vorremo, nell'ora che sceglieremo.
Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino.
Tuttavia la lieta audacia sospende fra Santo Stefano e il Graben una sentenza non revocabile, o Viennesi.
Viva l'Italia! »

Impresa eroica, senza dubbio. Bell'aereo. I più storceranno il naso, perché non amano D'Annunzio.
Ma uno come me, che una volta, la prima, è stato paragonato al Conte Andrea Sperelli (cit.), non può non tentare una cosa simile.
E allora, iniziamo a raccontarlo.
SS223, 110km/h...no, questa è un'altra storia. Ma i luoghi sono gli stessi. Ripartiamo.
Era una non meglio precisata domenica di un brutto, solitario, e a tratti anche stupido mese di settembre di quest'anno. Un mese in cui facevo finta di aver svoltato, mi rimostravo forte come un'armatura di acciaio, ma dentro l'anima era di pastafrolla.
Alzai il telefono e chiamai quel numero, quello strano numero con tanti "9", e la sua voce rispose felice: "Andrea!". "Laura!".
E iniziai a spiegare l'idea malsana che avevo. Lei approvò in pieno, tanto doveva andare a Reggio Calabria.
Benissimo. Quella domenica mi alzai presto, allora. Dissi a casa "torno per pranzo". E così feci.
Da lontano, puntualissimo, lo vidi arrivare. Era l'aereo di Laura, che dolcemente atterrò sull'aviosuperficie, fece rapidissimamente manovra e mi si fermò accanto.
Non siamo una squadriglia di aerei Ansaldo, ma il nostro classico Seminole, Classe 1979. Rumoroso, ma tremendamente veloce.
I volantini non erano 50.000 ma 50, e c'erano scritte solo 3 parole, a differenza di quanto scritto sopra da D'Annunzio.
Appena Laura aprì lo sportello io mostrai il nostro carico di bombe da sganciare. Rise, trincerata dietro i suoi occhiali uguali ai miei e alle sue stupende rughette d'espressione. Guardando ai lati di quegli occhi mi viene da pensare come il trascorrere del tempo abbia reso quel viso ancora più affascinanti.
Siamo 3 coetanei. Laura, Classe 1976. Il lucidissimo bimotore Piper, 1979. Io, 1981, il giovincello del gruppo. Coetanei e proiettati verso una bellissima missione. Stranissima.
Laura si sposta sul sedile del copilota, fa la checklist e parte.
Il Seminole nostro coetaneo decolla con la forza di sempre, con i due motori sotto sforzo che fanno vivere un sound di altri tempi, da macchina d'epoca, mentre il sole lambisce i nostri visi. Non è come il volo di D'Annunzio, di 9 ore di durata. Qui in 40 minuti si va e si torna.
Dall'alto sembra quasi che questi campi siano uno scenario surreale che fa da cornice ad un viso speranzoso e ad un altro pressoché divertito, che vanno a compiere la missioncetta eroica, a consegnare in un punto preciso della Toscana 3 parole che si spera arrivino a destinazione.
Laura ride, sembra quasi prendermi per i fondelli, e porta il Seminole a 380km/h verso la nostra meta, coi motori al 100%. Queste robe sono a me aliene ma lei è donna. Donna che domina questo ammasso di lamiera, con una piccola pancia che fa trasparire il fatto che c'è qualcun altro a bordo con noi.
Mi dice che dobbiamo fare un giro per puntare l'obiettivo, abbassarsi e per questo devo prendere i comandi io.
Poi lanceremo, letteralmente, la sfilza di volantini sul nostro punto di sgancio, 3 secondi prima. Lei deve essere esperta in questo, mi immagino.
Voliamo bassi, e la gente guarda il nostro aereo lucidissimo a piena potenza, rumoroso come una vecchia Fulvia HF: ci sono tanti occhi alzati al cielo, a guardare qualcosa che li fa sentire vivi, vegeti e stranamente, per un attimo, con la testa tra le nuvole.
La bella pilota sa come fare. Alza di nuovo il muso, dà piena potenza.
"Andrea, prendi i comandi, abbassa il muso, siamo in traiettoria. Mantieni la velocità e non esagerare".
Abbasso il muso. Levo un po' di gas, mantengo sui 150 nodi, pari a 300km/h circa. L'aereo scende. Sembra furioso. Il mio cuore batte a 1000. Quello di Laura sembra fermo, da come è fredda. Apre leggermente la botolina. Lascia il carico in un punto preciso. "Tiralo su e vai!". Lo tiro su e do tutto.
Non riesco a non guardare fuori, l'incredibile spargersi dei 50 volantini in quel punto preciso dove dovevano arrivare, in quella via, vicino a quella porta.
Laura riprende in mano la situazione. Con una mascolinissima virata a destra riporta il mostriciattolo volante in quota, lo domina docile, mentre il suo collo attraente mi fa stare bene, mi fa sentire vivo, vegeto, e il suo profumo mi riporta diretto inverni lontani in cui beccheggiavo, col cappotto nero, per gli avvallamenti della Via di Sottobosco, con lo stesso carico di delusione di oggi.
20 minuti di volo, l'aereo atterra. Laura ride. Io meno. Inizio vorticosamente a domandarmi se quei volantini saranno presi dalla persona a cui erano realmente destinati, se qualcuno mi farà oggetto di prese per i fondelli drammatiche, se passa la pulizia della strada e se li tira su, se l'obiettivo è raggiunto.
Naturalmente, adesso posso dire di no. Probabilmente se li sono tirati su gli spazzini. Probabilmente non li ha visti chi doveva vederli. Insomma, non ho avuto risposte.
E alle 12 il mio "Volo su Vienna" era finito, Laura doveva portare la bestiola a Reggio Calabria, e io mi sentivo di nuovo solo e senza speranze.
I due motori si riaccesero. Laura abbassa il finestrino e mi fa cenno di venire da lei.
"Andrea, non ti merita. Meriti di meglio. Scusa se mi sono permessa".
Quello che volevo era tornare a volare. E non ci sono ancora riuscito, nonostante tutto. A tratti mi sento decollare, ed è un bene.
Bene, a questo punto la conclusione è: torneremo a volare?
Mi forzo a non trovare risposte negative. Ma mi rimane difficile sorridere. Ancora una volta.

domenica 27 novembre 2011

Il ritorno di chi manca da troppo tempo: il secondo pilota

SS2 Cassia, tratto Siena-Monteriggioni, 120km/h. L'inizio di una giornata, quando la macchina inizia a correre paciosa, con le turbine in basso che spingono sempre, è un piacere.
La sera stessa la protagonista dei nostri sogni e incubi sarebbe stata l'Autostrada A1, direzione Piacenza.
Fuori il cielo minaccia pioggia ma non la vuol dare, come se volesse farci capire che non tutto ciò che sembra all'orizzonte si realizza. La pioggia si trasforma in nebbia e avvolge 8 ragazzi in cerca di emozioni.
Siamo in cerca di qualcosa, verso questo evento.
Cosa cerchiamo? Emozioni che non arrivano, alle volte.
E allora non è vero che noi, telegraficamente, siamo completi.
Lo siamo solo quando davvero abbiamo il secondo pilota, così come avevamo prima. E questa potrebbe essere l'occasione per ripartire, di nuovo. Ogni sconfitta una ripartenza.
Possiamo sentire tutte le mancanze che vogliamo. Ma dobbiamo ripartire. Evviva la riaccensione. Evviva la ricerca, e il ritorno, del secondo pilota.

mercoledì 23 novembre 2011

Aspettando il 47

Non è stagione di Scirocco... aspetto che torni il vento del Nord a gelarmi la faccia per farmi riscoprire la sensazione di libertà che sa regalarmi con i suoi ricordi lontani nello spazio e ormai sempre più anche nel tempo; cerco di mantenere una qualche parvenza di serenità per non farmi trascinare nelle burrasche che vedo all'orizzonte; ma torno in porto senza aver raggiunto alcuna meta, come sempre. E da lì immagino di tornare dove ho avuto i più bei incontri con il vento del Nord.


Inizio a ricordare il viaggio verso Kvikkjokk, e immagino di salire di nuovo ad Älvsbyn sul simpatico bus bianco, rosso e blu della linea 36 in direzione Jokkmokk; tre ore di foreste e colline con qualche raro gruppo di case sparso qua e là, attraversando il Circolo Polare Artico poco prima di arrivare. Altri pensieri mi attraversavano la testa allora, forse ancora troppo acerbi, mentre il caldo e comodo autobus a base Volvo, modificato per adattarlo all'uso in quelle terre nordiche, così diverse dalle nostre, incredibilmente affascinanti, correva a 80 all'ora senza alcun timore su quelle strade ghiacciate che stavo imparando a conoscere e ad amare, verso un'altra tappa di quel lungo viaggio.


Ma ora non vedo ancora la linea 47 che mi aspetta per l'ultima tappa; è già buio, com'è giusto che sia a quelle latitudini dove d'inverno il sole non si vede, ma la vita a Jokkmokk è ancora frenetica, nonostante la temperatura  sia 20 gradi sotto lo zero (per quanto frenetica possa essere la vita di un paesotto in terra lappone d'inverno...). Mi metto comodo nel caldo della sala d'attesa, faccio un giro al supermercato, in libreria, e attendo ancora il Larsson-Scania della linea 47, fiducioso. Anche se questa volta potrei decidere di scegliere un autobus diverso, verso un'altra meta...

Ed in questa attesa speriamo che le terre emiliane facciano il loro lavoro di bonifica mentale, almeno temporanea.

martedì 22 novembre 2011

Gocce sul vetro

Che colore ha la delusione?

Riprendo ad iniziare a scrivere con una domanda, come i primi giorni di quella che è diventata la grande delusione; non ci sono scuse, ormai continuo giorno per giorno a deludere me stesso e soprattutto quelle persone che non vanno deluse, trascinando da mattina a sera un corpo scarico, con le batterie costantemente in riserva, svegliandomi la mattina sperando solo che arrivi la sera e andando a letto la sera sperando solo che arrivi la mattina; un insensibile e sordo automa ormai solo in fase di manutenzione, senza cambiamenti in vista.


L'orizzonte è più vicino che mai, la nebbia oscura tutto quanto sta intorno e gli obbiettivi non si vedono più, si percepisce solo il limite del ripido pendio che corre a fianco in cui rischio di cadere ad ogni passo; qualsiasi direzione sembra la stessa e quei pochi momenti di gioia sono sempre più momentanei ed evanescenti; meteore in un cielo che si sta rannuvolando. L'impressione è quella di non riuscire più a fare progetti, che siano personali o lavorativi, motivo per cui apprezzo ed ammiro sempre più chi ha la voglia ed il coraggio di farne; io evidentemente non ne ho la forza.

I problemi si accumulano, da soli non se ne vanno e io non ho il coraggio di affrontarli, né di chiedere aiuto perché in fondo sono problemi miei e devo imparare a risolverli io; ma così come continuo a non imparare a risolvere i vecchi problemi di ogni giorno, allo stesso modo ho paura di affrontare quelli nuovi e non riesco a venir fuori dalla bolla di pessimismo che non mi fa vedere soluzioni ma solo conseguenze. Le gocce si accumulano sul vetro ma il tergicristallo non funziona; le lacrime escono quando nessuno le può vedere e ora non servono neanche più da sfogo; stamattina ho pianto ma non è servito a buttare fuori niente; neppure la punta di 190 sull'amata-odiata A4 ha sortito effetti liberatori.

Il sassolino sta diventando un macigno ed è sempre più difficile da trattare.

domenica 20 novembre 2011

Nebbia di un tranquillo rientro

SR 308, 100km/h in cruise, notte fonda, nebbia non troppo fitta di un classico autunno veneto, un caro amico ritrovato alla mia destra; discorriamo delle nostre vite e dei nostri sogni su questa strada colma, per me, di troppe recenti memorie che non voglio ancora far riemergere, mentre da altre strade arrivavano notizie poco confortanti; notizie di piloti che stanno correndo una gara dove le condizioni meteo cambiano e rischiano di farli uscire di pista; notizie di navi che si incagliano e rischiano di affondare.


Il mio fedele Trattore continua a macinare strada senza lamentarsi, mentre alle spalle si lascia una serata piena di sorrisi e di memorie riscoperte, di vecchi compagni di viaggio eppur ancora di nuove sensazioni, fomentate da discorsi su una maturità con cui non sembro aver ancora nessuna voglia di confrontarmi, nonostante inizi ad accorgermi di esserne fortemente attirato.

Certo ogni tanto gli occhi guardano a Est, sempre con la paura di trovare un muro, con la paura di sbagliare, la paura di farsi male, ma come la nebbia sulla strada nasconde gli ostacoli lontani, così la nebbia nella mente offusca e confonde i pensieri, e la razionalità va a quel paese; e nonostante i silenzi sembrino diminuire restano le insicurezze e l'enorme egoistico bisogno di conferme che ad ogni minimo passo falso mi fanno ricadere nel ripido e cronico baratro della depressione, dei sabati mattina lunatici e delle mancate evoluzioni.

Anche la vecchia voglia di scappare, sempre pronta a riemergere nei momenti di difficoltà, è sopita e annebbiata, quasi vinta da un inutile e fortemente odiato fatalismo, che mi toglie le forze e le speranze di contrastare un destino che sembra sempre sfuggente, come un treno su cui puntualmente non riesco a salire; una tratta in cui non è possibile prenotare un posto sul viaggio successivo quando non ci sono più posti su quello che sta per partire.

Velocità di crociera

Superstrada Due Mari, tratto Monte San Savino-Arezzo, 150km/h. L'Eroica è lì, in corsia di sorpasso, che ci vuole restare quale fosse quasi a casa, ad alta velocità. Col Cruise control impostato, l'Alfa ritorna una bambina silenziosa.
Lo sentii per la prima volta, mi pare, al ritorno da Roma in un freddo e quasi particolare 8 dicembre pieno di sorrisi, quando la Mito, da poco fregiata del titolo di Eroica, teneva 140 di crociera e qualcuno accanto a me disse "ma non fa rumore?" e io tutto gonfio di piacere per il nuovo acquisto (e per la felicità riacquistata) risposi: "no, nessun rumore. Bella eh?".
La Mito, allora Eroica da qualche giorno, non si rendeva ancora conto di quello che aveva aiutato il pilota a fare, mentre l'ignara passeggera dormiva, sorridendo. Passavano semafori, il sole calava, in quel dopo pranzo di dicembre, mentre il pilota si levava gli occhiali, impostava il cruise alla velocità "poco sopra il limite autostradale", e Civitavecchia si avvicinava, mentre un inebriante, dolce e forte profumo di Trussardi invadeva l'abitacolo e il silenzio non faceva male, con quei capelli castani davanti ai miei occhi quando giravo lo sguardo, con quel collo sbilenco negli scomodissimi sedili dell'Alfa non facevano male alla gioventù dei 19 anni con la sua invincibilità.
La Mito pareva una servitrice affidabile, ma non aveva ancora palesato i suoi difetti che tante migliaia di € in questo ultimo anno mi hanno fatto spendere, per renderla il mostro che è adesso e per alleviare temporaneamente dei dolori.
Sceso il carico e fatta la solita 223, a casa iniziò una parabola di felicità.
Ci ripenso. Ripenso a quella velocità che io prendo: a cosa serve procedere in crociera medio/alta? Serve a raggiungere la felicità.
Semplice.
L'obiettivo lo sappiamo tutti in teoria. Le rotte le sappiamo costruire, col compasso e le carte nautiche. O almeno, io conosco questa strada, mentre l'Eroica evoluta, che in questo anno di vita ha cambiato la sua personalità, come chi dormiva accanto sul sedile di destra.
Il tempo passa, la gente cambia: e so bene che nella lunga durata di questo viaggio ho sperato in secondi piloti che mai si sono palesati, ma questa è un'altra storia.
Ora sono a velocità di crociera, non alta a dire il vero. Quei sani 140km/h che ti fanno fare la strada giusta senza strappi, senza frenare troppo.
Sono quei 140km/h che ti consentono di capire che tracciare rotte precise, ma soprattutto seguirle, è difficile.
E allora continuo. Il deserto c'è di nuovo ai lati. Non ci sono stazioni di servizio per 200km ma il serbatoio è pieno e tutto è efficiente. C'è una palese sensazione di mancanza, che permea ogni momento, ogni istante che la mia notte sin troppo lunga mi offre, e che mi fa percepire quella sensazione di inutilità, di difficoltà, adesso, di farmi capire col mio linguaggio.
Forse le persone capiscono più le parole vuote della maschera straparlante che ero prima di adesso.
E allora proseguo. Ancora. E rifiuto ogni, ancorché provvisoria, parvenza di perfezione, ricercando invece, in ogni mio gesto, di carpire i difetti affascinanti che posso avere, le note stonate che ti fanno girare, il tocco leggero della pelle sul volante.
La velocità di crociera è questo: crederci ed arrivare. Buon proseguimento, piloti, nel viaggio della vita. La cui meta chissà qual è. E se c'è.

sabato 19 novembre 2011

Where did it all go wrong?

SS68, tratto Colle-Poggibonsi. Tutti i Colligiani distratti questa la chiamano la Cassia, ma non lo è. E' l'ultimo tratto di Volterrana, che ci confluisce a Calcinaia, ,a questa strada, quasi in modo clandestini, si fregia di un titolo non suo ormai da decenni. La Cassia è storica.
Questa strada si inerpica sul colle di Maltraverso e ti fa gettare a capofitto, quasi in un tuffo "di testa" nella vallata sottostante di Campostaggia.
Accanto corre una comoda e veloce superstrada. Forse, comoda e veloce non direi, a causa delle sue buche ma ho il mio percorso prefissato per evitarle, e l'Eroica corre, ogni volta, sicura tra le mani del suo pilota.
C'è la notte, quella con i fari delle macchine che bucano il freddo dell'aria, armate di gomme termiche per avere la sensazione di essere sicuri quando il freddo coglie questa parte di mondo.
C'è un freddo che annichilisce le membra, che si intrufola tra le mie fibre e tutto intorno brina l'erba. C'è una nebbiolina di quelle che ferma come fosse una barriera chi non ha i fanali giusti per penetrarla e allora ti costringe a rallentare.
La mia corsa prosegue, verso casa.
Le casse dell'Eroica sono riscaldate da una versione live di "Where did it all go wrong?" degli Oasis.
Noel Gallagher si domanda come abbia fatto a finire una delle cose più belle che gli sono capitate.
Alle volte ci si può domandare di tutto ma la conclusione è che ci sono emozioni e sensazioni, anche brutte, che non sei in grado di controllare. Magari restano sopite, e tu prosegui la corsa della tua vita su quello stesso binario che ti porta via, veloce, ma quando meno te lo aspetti ti trascinano nuovamente in quel solito vortice da cui credevi di esserti allontanato a piena potenza.
Ma è bene continuare a vivere per la propria via, in fondo. L'amore, forse, è anche autocostrizione, è anche voler creare qualcosa che non c'è in un preciso momento e che manca.
E allora, proseguo su questa rotta/binario della mia mente. Ma mi concedo di guardarmi indietro.

venerdì 18 novembre 2011

Venti di speranza

La strada è lunga, la terra non si vede, il mare è calmo; dopo la leggera brezza dei giorni scorsi è tornata la bonaccia a far riemergere la paura di non arrivare mai al porto. Questa anonima barchetta, apparentemente solida, ma altrettanto pesante, fa fatica a muoversi, carica com'è di sentimenti inespressi e di ricordi non ancora vissuti.


Per ora sono tornato al ponte di comando alla ricerca della rotta, forse verso Est, verso l'alba, lasciandosi alle spalle spettacolari tramonti come quello di Volterra prima della mini-avventura alla guida dell'Eroica, come quelli che vedevo ogni sera sulla noiosissima A4/A57 quando la stagione lo permetteva ...ma il sole è ancora sotto l'orizzonte e l'alba è solo un bagliore lontano e nulla più. È ancora notte a Est e gli occhi restano chiusi, i sogni rimangono nella mente.

Quante cose non dette, solo per paura di sbagliare; quanti chilometri non fatti, per paura di disturbare; quanti rimpianti, per paura di.... vivere?

giovedì 17 novembre 2011

Paura di amare - citazione da.......


Questo non è mio. Ma della "Conservativa che arriva in fondo" ed è una delle sue creatura di prima di entrare nella nostra squadra. Prendila come un tributo alla tua opera e al tuo talento.




"...Guardo fuori; il cielo è grigio. Di quel grigio argenteo sottile in cui quasi rivedi la tua immagine riflessa, quel grigio che ti rispecchia, che rispecchia il tuo umore, che ti copre e ti protegge da un cielo azzurro nascosto; troppo vasto, troppo puro, al quale ancora non puoi arrivare, al quale forse non arriverai mai. Rimarrai semplicemente lì, immobile, incantato, in quella posizione eroica e solenne con il braccio disteso ed il dito in alto a puntare a non si sa quale stella invisibile, una ben precisa stella sospesa tra tante altre. Una stella che non splende di più, ne di meno. Una stella impropriamente detta “qualsiasi” in un oceano qualunque, perche’ ben poco importano le determinazioni, i nomi, gli epiteti, quando vedi lo splendore e l’incanto di qualcosa di straordinariamente comune. Così rimango io, ferma a puntare al cielo coperto dalle nubi protettrici, cariche di pianto stellare, cariche di accumuli gassosi che come pensieri si spostano: passano, ritornano, si smontano, rinascono, simili ma sempre diversi. Apparentemente uguali, perche’ nessuno vede cosa succede dentro ad una nuvola. La mia giornata è triste, come questo cielo. I ciliegi nel parco che intravedo dalla mia porta finestra sono in fiore e risplendono di quel rosa pallido su una distesa d’argento. Il prato è ancora, come fosse una contraddizione della natura, paradossalmente verde e rigoglioso. Tutto questo non basta a rallegrarmi. Non bastano i fiori rosa del ciliegio, non bastano i diamanti preziosi dei fili d’erba, ne’ la consapevolezza di un cielo dietro alle nubi, nemmeno la perfezione dei cipressi in questo panorama così toscano, ricco di tempo e di poesia.


Ho la consapevolezza di avere perso, ho la consapevolezza di non aver avuto la forza di amarti. Saperti felice lontano da me è al tempo stesso una consolazione ed uno strazio. Vorrei essere io a renderti felice, vorrei poterlo fare davvero, senza pensieri, senza rancori. Eppure questa rabbia che ancora porto in corpo si comporta come una palla al piede o come un bambino capriccioso che trattiene la mamma frettolosa in procinto di andare a fare la spesa. In ogni mio gesto tu la vedi, la senti e questo ci porta ad inutili lunghissime discussioni, questo ci previene dall’essere felici insieme. Lo ammetto, non ci credo più. Vedo solo l’apparenza, l’apparenza che ti fa stare bene via lontano da me, quando esci e fai la tua vita, che non è la mia, lontana dalla mia. E tutte quelle cose che avrei voluto fare cadono in un vortice di tristezza, come una morte consapevole a cui ci si abbandona quando non si hanno più speranze. Vorrei riprenderli, ma non ci riesco, sono troppo ferita, non ho la forza. Mai e poi mai vorrei giornate come queste… quanto vorrei salutarti sempre col sorriso sulle labbra, guardarti e pensare che non esiste uomo che mi renderebbe più felice. Non ce la faccio. (...) Non posso combattere ne’ quel che credo essere giusto, ne’ quel che provo. Sono costretta tra due muri, senza sapere quale dei due dovrei buttare giù, entrambi sembrano infrangibili, ma finche’ non lo faccio potrò solo scorrere in avanti, per sempre intrappolata. Quanto vorrei crederci ancora… peche’ io lo so che potremmo essere felici, che in un qualche altro universo in un’altra situazione lo saremmo stati, che puoi dare tanto, che non sei la persona che ho dipinto per proteggermi, che se 8 anni fa fosse andata diversamente avremmo iniziato in modo migliore, ci saremmo trovati all’istante, senza nemmeno bisogno di parlare o di chiarire. Invece tutto è andato storto, due volte a distanza di così tanti anni. Incomprensioni, ferite, rabbia repressa e conservata in tutto questo tempo… tra di noi ci sono barriere enormi, insormontabili inizio a temere, eppure la parte più intima di me vuole distruggerle. Si dice che volere è potere, ma non ci riesco, inizio a dubitare anche quello. Metà di me stessa vorrebbe solo escluderti dalla mia vita, fuggire via lontano, trovare qualcuno che mi ami con cui essere me stessa senza bisogno di cambiare, di aggiustarsi, di strade per migliorarsi, ma solo per migliorarci. L’altra parte di me sa che probabilmente tutti questi pensieri non sono che frutto di questa rabbia, di una visione che ho creato non potendola avere completa e chiara. Non ho certezze in mano, non ho niente, non so nemmeno più quello che sento, tanto sono confusa. Vorrei che queste due metà di me si dividessero ed evitassero di creare questo miscuglio velenoso che sono diventata. Non faccio che caricarti di colpe, fartele vedere anche quando non ci sono o quando proprio non ne avresti bisogno. E tu, tutte quelle cose che dici sono vere, ma io non sono questa. Non sono la persona che sto mostrando, quella fredda, triste, malinconica e priva di fiducia. Non sono la persona che non dice ti amo. Il problema è che non so se con te riuscirei davvero ad esserlo. A non sentirmi giudicata, a sentirmi voluta ed apprezzata per quel che sono, a fidarmi di te, a sentire che non desidereresti essere da nessun’altra parte del mondo senza di me, che non riesci ad immaginare i tuoi giorni con me lontana, che tutti questi pensieri erano un’assurdità perche’ tu mi hai sempre voluta vicina ed è per questo che non ci siamo mai divisi, nemmeno nei giorni più bui. Allora forse potrei essere me stessa, ma chi ti spingerebbe a sentire tutto questo nei miei confronti? Adesso solo la realtà mi guarda in faccia, una realtà triste in cui non ti rendo felice, in cui rovino le tue giornate, in cui ti tratto come se fossi un mostro. La malinconia, l’amarezza, la tristezza fanno da sfondo alle nostre chiacchierate sempre così ansiose ed in pena come fossimo due condannati a morte che si incolpano a vicenda. Quanto vorrei spazzare tutto via, crederci pienamente e cancellare ogni malinconia, lasciar spazio al pensiero che noi ci siamo, che noi…siamo. Condividere tutto, stare insieme, rimediare alle nostre colpe, dimostrarci ogni giorno quel che sentiamo. Invece tutto ciò mi causa un’enorme paura. Ho paura a stare con te senza maschere ma anche di non stare con te. In parte penso che se ti perdessi dovrei evitarmi tutto questo liberarsi dalle maschere, questo rivelarsi quale noi stessi ed il pensiero spaventosamente mi allieta. Ho paura a mostrarmi come sono, a sentire la mia voce che ti parla, a comunicarti. Ho paura quando mi mandi un messaggio, temo di leggere ancora la tua tristezza e rassegnazione tra le righe. Ho paura di un addio imposto dal pensiero che non riusciamo ad essere sereni, ad essere felici. Ne ho la consapevolezza, non ci riusciamo, dentro di me non ti ho perdonato ma lo voglio fare, voglio andare avanti ed essere felice. Vorrei solo sapere qual è la strada, qual è la strada che ti fa sembrare le tue ferite così piccole, che ti fa correre con le ossa rotte ed i legamenti indolenziti, che non ti fa vedere gli errori dell’altra persona ne’ fa ingrandire il tuo malessere, che invece di farti chiudere ti apre ancora di più fino a mostrare anche l’anima, perche’ ci credi, perche’ stare con quella persona vale più di ogni altra cosa al mondo, di ogni ferita infliggibile, di ogni sofferenza durante la corsa. Vorrei tanto trovare quella strada, ma temo di non riuscirci, temo di avere già perso, più di tutto temo che anche lui tra poco potrebbe rassegnarsi allo stesso pensiero.. Ho paura di non riuscire più a credere a niente, perche’ in fondo è questo che sono: una persona che non sa credere, che non crede, tantomeno a quello che vorrebbe credere, nemmeno quando quella scommessa vale tutta la sua vita. E un fiorellino si stacca di ciliegi color rosa antico. Da lontano lo guardo e spero tanto di non dover fare la sua fine, spero per noi di non appassirci, di non piegarci a questo vento, di rimanere attaccati al ramo che siamo noi, di essere sempre più forti e di poter splendere in un bel giorno di primavera che non tarderà ad arrivare, sotto un cielo azzurro ed un sole caldo e che così possa essere finche’ il tempo sarà con noi e continuerà a scorrere, per tutte le stagioni di tutti gli anni che ci saranno. Lo spero, e con questa speranza è ancora più triste constatare che non riesco a crederci, non riesco a credere nelle cose belle, a quelle per cui vale la pena vivere. Spero solo che esista una salvezza, da qualche parte, in qualche nube, fiore di ciliegio, filo d’erba o forse nel cielo azzurro. Ho bisogno di credere...."

martedì 15 novembre 2011

Roll the bones - Wild card in punta di piedi (ospite)

“Why are we here? Because we’re here. Roll the Bones”.
“Why does it happen? Because it happens, Roll the Bones”.

Tanto, tanto Prog per cercare un po’ di pace dalle domande che si fanno incalzanti.

Ho già detto di essere un pilota anomalo.
Sorrido e sono contento di ciò che la vita mi offre, cerco di mordere la strada, la mia strada fatta dal delicato equilibrio tra testa e cuore, l’uno al servizio dell’altra e viceversa.
La mia anomalia si concentra nella mia malsana curiosità per il mondo che mi circonda. Ho sempre visto questa dote come quella dei personaggi di Herman Hesse, mi sono sempre riconosciuto nella loro inquietudine convulsa ed esploratrice che si frammischia ai facili sussulti dell’anima in pena del Giovane Werther di Wolfgang Goethe.

Certi pensieri fanno male o quantomeno non fanno bene, indipendentemente dal tempo cui sono orientati, sia esso passato, presente o futuro.
Il mio essere curioso per fortuna tralascia il primo tempo e cerca quantomeno di concentrarsi sugli altri due; non pecco di tracotanza, so bene qual è il mio limite. Bastano già i tanti interrogativi volti all’oggi ed al domani mentre ieri, per quanto sia stato spiacevole, è sotterrato come consuetudine li dove non può più ripresentarsi.
Non posso e non voglio pensare alle occasioni sprecate, alle opportunità perse ed alle persone vicine e lontane oramai quasi dimenticate, so già che mi costringerebbero ad una analisi troppo ampia, troppo profonda: per il mio bene non posso domandarmi “dove ho sbagliato e perche”.
E’ il presente, assieme al futuro, a riservarmi degli interrogativi meritevoli di ottenere una risposta che, nel mio stile, sarà sempre e comunque razionale e ponderata fino alla morte; degno parto di una mente che sogna ma in maniera fin troppo concreta. Spesso penso sia meglio non farmi troppe domande, in fondo non sapere ed ignorare qualcosa vogliono dire esclusione di ogni possibile attività di raziocinio in merito ma puntualmente ogni volta ci ricasco; devo sapere, voglio sapere. Non sono un pettegolo ma soltanto un pilota che non solo è perennemente sfiorato dal dubbio ma con esso vive e di esso si nutre.
“Potevo far meglio?” recitava l’intestazione di un vecchio libro di filosofia; esiste forse una domanda così crudelmente bella?

In questi momenti, stranamente, cuore e cervello viaggiano sempre in sincronia verso la stessa risposta alla mia voglia di curiosità: “si, potevi far molto meglio”.
A questo punto la mia guida diviene poco concentrata, segno che qualcosa di maggiormente assillante è tornato a farsi strada tra i miei pensieri; la musica nell’abitacolo si dissolve e quelle canzoni che amo, nella loro casuale alternanza, sembrano quasi rivelarsi fastidiose. La mia musica ora è il suono ridondante di alternative, analisi, previsioni, supposizioni ed ogni altra considerazione una testa troppo piena possa sentir rimbalzare dentro se stessa.
La mia voglia di sapere, la mia curiosità, in questi momenti diventano crudeli e si spingono in pensieri al limite della paranoia profonda.
E’ in momenti del genere che mi dico: “L’ignoranza è una benedizione, in fondo non faccio altro che pensare e questo a cosa mi ha portato? Non certo a stare meglio”.

La conclusione, forzata dal dover giungere alla meta, è sempre la stessa, concretissima, scritta nella pietra: il pilota sa affrontare curve e chicane, sa tenere il piede sul gas finchè il suo mezzo glielo permette ma, purtroppo, il pilota non sa tramutare lo slancio della sua anima in azione.
Continuo a pensarci, razionalizzo, mi convinco che in fondo tutto andrà bene ma in realtà, come tante altre volte, inganno me stesso e cerco soltanto di sopire in maniera goffa quelle voci scoraggianti che mi dicono di stare dove sono, di non muovermi.
Tante volte la mia testa mi ha suggerito la cosa giusta, mi ha ricordato come ci fossero cose non sacrificabili, come fosse giusto accontentarsi di ciò che già si possiede o come certe sfide semplicemente fossero in partenza fuori dalla mia portata.
Qui la mente mostra anche il suo lato perverso, fatto di una negatività che ha gioco fin troppo facile anche nei confronti dell’anima impavida (ma evidentemente troppo debole) del mio cuore che rimane così confinato ad una mera e sterile teoria sul ciò che vorrei o potrei fare. Il mio muscolo pulsante altro non sembra che un laureato in Legge che si rinchiude a insegnare Diritto Privato alle scuole superiori solo perché ha paura di affrontare il mondo esterno, di entrare in un’aula di Tribunale.

Fattivamente ancora non riesco ad uscire da questa spirale così strana. Forzatamente quieto ma internamente agitato.
L’unica cosa che mi salva, anche se solo in maniera incompiuta, è un reprise orgoglioso delle parole con cui ho cominciato a scrivere queste righe che riescono a traghettare il momentaneo sollievo dato dall’affacciarsi dell’idea che, forse, sto guardando la prospettiva in maniera troppo negativa e che le cose non in fondo così gravi.
Non so come sono giunto a questo punto ma in qualche modo devo esserci arrivato, certe cose succedono perché devono succedere e allora “roll the bones”, lancia i dadi e corri i tuoi rischi, non può rosicare che non ha risicato.

Ancora una volta il mio amato power-trio canadese mi viene in soccorso con le sue note ed i suoi testi. Rischia se devi, “get out there and rock”.
Non mi fanno riprendere la guida decisa dei momenti più spensierati ma quantomeno mi danno quello scatto, quel barlume, quella “glimpse” di cui ho bisogno per non addormentarmi sul volante. Il mio abitacolo si riempie di buoni propositi ma io rimango comunque sulla terra, non mi sento invincibile, non mi dichiaro pronto a conquistare il mondo ma per lo meno posso abbozzare un sorriso e soprattutto mi ricordo che quello per cui vorrei buttarmi vale comunque la pena.

Si, questa è la volta buona, l’equilibrio tra testa (quella che pensa positivo) e cuore (quello impavido) sta per essere ritrovato ed io mi sento pronto a lanciare la mia inquietudine positiva, a trasformare i miei sussulti in energia, ad essere di nuovo cercatore.

Si, questa è la volta buona. Fino al prossimo momento in cui il mio raziocinio perverso mi suggerirà di stare al mio posto.

Si, questa è la volta buona. Finchè non mi accorgo di aver dato troppo ascolto alla mia malsana tendenza all’elaborazione, finchè non mi accorgo che ciò che voglio mi è scivolato via dalle mani.

lunedì 14 novembre 2011

Perdersi - Both sides of the same story


Era un tempo indefinito, un mese tiepido di un anno buio.
L’aria mi scompigliava appena i capelli, nuocendo al mio turbine nero di pensieri sempre pronti a darmi l’assalto, a non vedere una luce alla fine del buio.

Niente sole dopo la notte.

Questo pensavo. E fu in un periodo come questo quando, sola come non mai, mi ritrovai in una storia altrui, diversa ma uguale. Così iniziai a sfogliare quel diario virtuale, pieno di una forza tale che permetteva persino a me stessa di andare avanti.
Lui era il passante distratto, quello che ho citato nei miei pensieri, quello che avrebbe dovuto darmi la mano e dirmi che c’è ancora speranza, che bisogna rialzarsi e correre su quella strada, fino allo stremo delle forze.
Era colui che avrebbe dovuto indicarmi la via.
Lui aveva vinto, perché non avrei potuto farlo anche io?

Attaccata a quel barlume di speranza mi spinsi forse troppo su quella via, non presi la mano per alzarmi, ma la seguii in posti remoti, e dopo averla lasciata, sull’onda di un triste amarcord, la ricercai in un posto lontano.

La telefonata giunse inaspettata. Non so perché partii, per molto tempo dopo me lo sono domandata. La risposta, sebbene incerta, è che quella fu la prima volta, dopo tanto tempo, che finalmente non mi sentivo sola, avevo un alleato, qualcuno che mi credeva capace di cose che mai avrei immaginato. Lo stesso lui che mi doveva solo indicare la strada mi aveva al contrario fatto perdere nel deserto, ma in un deserto senza oasi, senza appigli, dove si sa che tutto è transitorio. Ma il pensiero non basta a farti trovare una via d’uscita od a desiderarlo.

Con quel poco che avevo mi misi velocemente in viaggio, senza curarmi di niente, sola con il mio vortice di speranza, verso quel dolore condiviso, quell'empatia nuova e confortante.
Passavano i paesaggi, bui, scrosciava la pioggia, vigorosa, sul mio parabrezza, a tratti il tutto si offuscata. Ed infine l’arrivo, in quel luogo trasognato dove sarei poi tornata, una volta uscita dal deserto.
Il passante sbadato entra. Due risate, uno stop all’autogrill e poi un’alternanza al volante fino a casa. Quel passeggero non avrebbe dovuto essere nessuno, praticamente non lo era, ma quel dolore che ci univa trovava nella condivisione un certo sollievo.

Il viaggio mi ha rialzato, quella missione di salvataggio è riuscita ad essere utile anche a me stessa, pur gettandomi nel deserto perdendo di vista la strada sulla quale avrei voluto correre e correre con tutte le mie forze.

Questa storia non è che una storia come tante, di viaggi, pensieri, vicinanza e speranze. E' in viaggi come questi che si conoscono veramente le persone ed in cui si creano legami al di là di quel che, nella vita normale, sarebbe accaduto. Ma ciò che più importa è che questa storia ha una morale.
Qualche volta per ritrovare la volontà di percorrere una strada, bisogna perdersi, non esistono passaggi, non esistono frasi poetiche che infondono forza e coraggio. Esistono uomini che ti mostrano un’altra via, un’altra vita. Esistono uomini che ti mostrano quanto tu in realtà sia in grado di camminare, che non c’è niente di sbagliato, che in questa vita si può tutto, anche l’impensabile, ma c’è una sola strada che può essere percorsa.
Grazie A. per avermi fatto capire quale essa fosse.

Taversate oceaniche e vie del ritorno.


Il motorone dell'Eroica prese vita, di nuovo. Non è grande di cilindrata, solo 1368 miseri centimetri cubi, ma con due turbine, e una serie di accorgimenti seri e costosi era un vero mostro da 240km/h e con uno 0-100 in meno di sette secondi. Ha la coppia di un diesel in basso e l'erogazione di un benzina in alto.
Il profumo d'inverno era sempre lì, a far da padrone, con la luce più bella dell'anno, quella del mese di novembre, quella che ispirerebbe tanti viaggi imbacuccati, per godere dell'ultimo sole, così effimero, così chiaro, così ricco di pace, davanti a un mare calmo e sereno.
La macchina voleva ripartire. Voleva ripercorrere strade che aveva sognato quando, ancora, il suo sviluppo non era terminato.
E invece no. Siamo tutti inchiodati ad una mera convinzione, quella del luogo comune delle ferie di agosto.
E invece no. Sabato a Volterra il vento soffiava, forte. Il sole era rosso, e ci aspettavano diversi Km seguendo la direzione del compasso aperto, stavolta, dall'altra parte della Toscana.
Ci sono tratti atipici di strada da condividere, discussioni su cosa è un non meglio precisato morbo.
L'attesa dell'atmosfera "Multi Style" che solo noi conosciamo, ci inerpichiamo per queste curve in discesa che tanto fanno Toscana.
E c'è da pensare. Pensare a un qualcosa di naturale, di amichevole.
Pensare che il futuro è dall'altra parte del compasso rispetto a prima.
E mi viene in mente qualcosa che scrissi un tempo:
"...L'aquilone si libra nel cielo, sospinto dal forte vento di scirocco, coi suoi colori sgargianti che si stagliano nell'azzurro del cielo di fine agosto. Il cervo volante è bello, si muove regolare, regolarissimo, ondeggiando, imbardando, rollando, beccheggiando, ma sta lassù nel cielo. Chissà che spettacolo si gode da 50 metri di altitudine, ancorato a terra. Non va da nessuna parte.
Lo paragonerei a dei sentimenti rimasti lì, abbandonati. Volano, come le persone che li provano, per un momento, stanno alti, altissimi.
Poi però scende e rimane a terra. Non risale.
Ma il volo dell'aquilone, per la sua effimera durata, è comunque stato un volo. Vale la pena di essere aquilone, godersi un effimero innamoramento, volare per poco e atterrare di nuovo...".
Magari non sto volando, ma sono in fase di decollo. E tutto questo mi piace.

domenica 13 novembre 2011

Dove le strade si incrociano e si dividono

SS68, 120km/h, un rientro insolito da Volterra, alla guida dell'Eroica in configurazione definitiva, in un tramonto che non vuole finire, regala nuove emozioni ad un pilota ancora curioso e avido di panorami; in questa occasione però il pilota, per quei pochi intensi minuti che sono seguiti ad un veloce pit-stop, non è il Velocissimo ma Inconcludente padrone di quei luoghi, oggi inusuale attento passeggero; sul sedile di sinistra è salito un Costante ma Improduttivo intruso, carico di sogni irrealizzati.


Le turbine trascinano ad ogni accelerazione, prima solo una e pochi istanti dopo anche l'altra, con prepotenza, un cuore deluso. Mentre cambio e volante mi danno confidenza (forse quasi troppa), affondo il piede destro sull'acceleratore qualche volta e mi rendo conto del gran lavoro fatto da Andrea per addestrare il suo destriero, che ora (per quanto io prima non lo conoscessi) risponde, praticamente senza esitazioni, anche agli imperfetti ed approssimativi comandi che provo ad impartire con una certa diffidenza iniziale. In quei momenti non c'erano pensieri, non c'erano domande a cui non potessero non arrivare risposte, c'erano solo la strada, con le sue curve ed i suoi rettilinei su cui prendere per un attimo paura guardando il tachimetro, e due amici che provano, con obbiettivi e motivazioni diverse, a guardare avanti.

Per due giorni quelle strade, luogo di cuori infranti e cicatrizzati, sono diventate parte anche del mio mondo; mi sono immerso in terre non mie, assorbendone il calore e ripercorrendo le storie, sempre non mie, che me le hanno fatte indirettamente conoscere e sognare. Quelle strade su cui due amici piloti, uno finto ed uno vero, ragionano delle loro navi, rispettivamente da abbandonare e da guidare in porto; convinti entrambi, ne sono abbastanza sicuro, che la felicità esista e che la vita non sia fatta solo di fasi con diversi tipi di problemi, solo di strade che si incontrano e si dividono, ma di percorsi da affrontare e di difficoltà da superare; non da soli.

Ora, tornato a Nord-Est, mi trovo nuovamente in mezzo al Mare con la bonaccia e senza benzina, con le vele spiegate ma che non si riempiono, a guardare all'orizzonte in cerca sia di un porto che di un po' di vento che mi permetta di condurre lì la mia apparentemente anonima barchetta; perché la cambusa non ha rifornimenti per sempre.

giovedì 10 novembre 2011

Emozioni filtrate

Tante emozioni ...eppure resta tutto dentro, nascosto, inespresso, bloccato dalla paura di sbagliare, di non poter tornare indietro; avrei solo voglia di uscire da qui e urlare. Ora tutto ciò si fonde con gli obbiettivi non raggiunti per cui, come al solito, riesco a dare la colpa solo a me, accrescendo ogni volta quell'insoddisfazione che non fa altro che aumentare, pur sicuro di essere io, in ultimo, a non voler cambiare ...cosa ci vuole in fondo, per iniziare a cambiare qualcosa, se non un po' di volontà? Già è difficile di per sé, se poi quella volontà manca, non andrò mai da nessuna parte. Solo il mio Trattore continuerà a portarmi in giro finché resisterà a tutti gli inutili chilometri che si deve sorbire giornalmente.

E non serve a niente cercare di scaricare le colpe della mia instabilità e della mia rassegnazione su inconsapevoli capri espiatori, sul passato, sia recente che remoto, che continua a ripresentarsi e a chiedere il conto, o sulle solite quattro ruote che ora, non più in configurazione estiva, vanno anche conservate con più cura. Torna sempre più forte la voglia di nascondersi, di isolarsi, di ricercare una pace interiore indipendentemente dal mondo che mi circonda; perché forse tutti questi sbalzi di umore significano semplicemente che, appena viene a mancare l'apporto benefico degli amici (senza cui, obbiettivamente, non saprei come fare e non saprei che piega avrebbe preso questo altalenante autunno), la base non è solida e cammino ancora in un pericoloso equilibrio instabile.

Allora mi faccio domande che non dovrei (o non vorrei?) farmi, diviso tra una testa che guarda timidamente in una direzione, un cuore che non vuole saperne di smettere di spingere (e di andare a sbattere) da un'altra, e vecchie-nuove sensazioni che saltuariamente affiorano in superficie rendendo il tutto ancora più confuso; ma per quante direzioni possano esistere per i miei pensieri, io resto fermo, incapace di proseguire in qualunque di queste, incapace di camminare, di rischiare, di gestire la situazione quando ci sono altre persone di mezzo e non sono solo io contro me stesso, alla ricerca, quale novello Jonathan Livingstone, di un'affascinante quanto inutile perfezione.

lunedì 7 novembre 2011

Invito al viaggio

Seduta, colgo un pensiero come una stella cadente che lascia la sua polvere brillante tra le mie mani. Ed eccolo il primo scintillio che mi balena per la mente, ma che non riesco a decifrare.
E' un pensiero che parla di vie, di strade aperte e di piste da seguire.
Chiunque ha bisogno di trovare la strada: quella precisa traiettoria che sente dentro di sé, ma che ancora non vede.
Ad oggi basta un cretino qualsiasi che spalanchi una porta ed il giorno dopo quella stessa piazza, sulla quale si è aperto lo spiraglio, è piena di gente, in cerca del proprio scopo.
C'è chi ha visto l'america latina ed ha gettato in pasto ai pesci un pensiero di umanità, di eguaglianza, di democrazia, ed ha creato un impero dietro di sé. C'è chi vende una certezza futura, il fato imbottigliato in tetrapak, e coltiva una schiera di schiavi fedeli, pronti a tutto per una verità inventata.
Vendere un sogno, questa è la chiave.
Chiunque cerca un'appartenenza in chi sa di non appartenere, una protezione divina, una fede pronta all'uso.
Imbecilli, ma umani.
Cos'è in fondo una macchina ferma? Una pedina immobile? Un mero soprammobile di un'inutile esistenza.
Dunque apriamo le porte delle vie convenzionali, scopriamo nuovi sentieri, sprigioniamo i nostri pensieri. Purché si viaggi, sempre.

Impalpabile profumo d'inverno

23C'è uno strano profumo nell'aria, oggi. Non riesco a comprenderne la precisa fragranza, né a categorizzarne l'essenza. I primi di novembre sono caldi, caldissimi, come la febbre che oggi se n'è andata, come la pioggia sferzata dal vento di scirocco che sta martoriando questo Paese che sta sempre più male.
C'è il vento da sudest che fa sentire e percepire il netto, nettissimo cambiamento che tutta Italia si aspetta. Un cambiamento generale, direi.
Lo definirei profumo d'inverno, di stoppie bruciate nei campi, di sole basso e piacevole. Viene voglia di tuffarsi nel passato, quello che ci faceva sentire sicuri e abbracciati nel caldissimo piumone fiorentino, quello che conferiva sicurezza, tanta sicurezza, ma poca emozione.
Ma la voglia di salutare è tanta e allora parto. Come sempre.
Ss2 Cassa Sud, km 204, 115km/h. Ritorno da Montalcino, ho fatto un tuffo nel passato, stasera. Un piacevole tuffo nel passato.
Dopo la febbre, la macchina nuova si sente parecchio a suo agio nei tornanti di Montalcino, nella salita del Punte d'Arbia. E' un misto veloce, quello della Cassia, adattissimo alle caratteristiche dell'Eroica, potentissima ed esuberante, piattissima nelle buche, sempre piantata in terra.
Ma questa strada non è sua. Eroica, mi spiace, questa Cassia è dell'Ammiraglia. Qui dava il massimo. Si saltava, a Ponte d'Arbia, si stringeva la traiettoria quasi in modo repentino, a 3000 giri in quarta e un rombetto che rasentava quasi lo sportivo, con una cupa tonalità da turbodiesel.
Le emozioni effettivamente risultavano circoscritte a quel momento preciso. All'andata e al ritorno. Tutto il resto, non mi apparteneva.
L'eroica corre, velocissima. I 190cv sono piuttosto paciosi quando cerco di mettere la sesta marcia, non ricordando loro che in alto, con la nuova centralina che "mura" a 7000 giri, c'è un mondo nuovo.
La scarsità di emozioni di quello sciapo inizio 2010 fu proprio la causa del repentino stop dei miei passaggi sull'indimenticata Cassia. Andai a cercare le emozioni sulla 223, e le trovai. Ne trovai sin troppe.
E allora, nel silenzio dell'Eroica in crociera, sento con tutto me stesso che nella mia vita ci sono degli equilibri che sono stati ristabiliti. Il mio cuore ribatte. Il mio sangue circola di nuovo, oggi come un tempo.
Nelle vite altrui ci sono altrettanti equilibri ristabiliti, adesso: equilibri che a me fanno male, in quanto avevo creduto nella possibilità di scardinarli.
Equilibri che credevo, in terra costiera, che fossero forzati oer loro stessa natura, che fossero frutto di una sofferenza presente prima dell'arrivo del sottoscritto. E invece no. L'equilibrio è tornato, è quello di sempre, con gli stessi (forse) protagonisti. Un equilibrio strano che non mi riguarda.
Ci sto credendo ancora, dall'altra parte, stessa distanza. Sembra quasi che abbia preso il compasso e misurato la lenta, lunga apertura dei miei raggi d'azione. Ma i sentimenti non si misurano con strumenti tecnici.
Mi sono sempre domandato perché ho amato donne sbagliate e buttato al vento dei veri e propri terni al lotto, così come quella persona che ho visto stasera, così amica, così vicina, nonostante tutto.
Sapevo bene che di me aveva una considerazione elevata. E me l'ha spiegato cosa è l'autostima, come ricorstruirla.
E' un'amica, Giulia, adesso. Forse lo è sempre stata, anche quando eravamo insieme, complici di un destino che sapevamo bene non essere nostro.
Ma adesso siamo amici, davvero. Due persone che si stimano e si rispettano, che sono stati consci di star bene insieme.
Salita di Malamerenda, 120km/h di quinta, la spinta delle turbine è fortissima. So che sto vivendo una realtà cruda ma piacevole, e carica di speranze.
Il mio sangue ricircola, ho la capacità di vivere e di guardarmi intorno senza paure. Adesso, su questa strada, quella di casa, divento conscio che i sogni, senza un pizzico di realtà non si realizzano.
E a Francesco dico: vivi, smetti di esistere.

Il sognatore dannatamente concreto - Guest star

Pubblico, in qualità di Direttore, il contributo di un ospite d'eccezione: la Wild card in punta di piedi.
Mi fa molto piacere che tanti abbiano compreso lo spirito del blog, che è quello di dare a tutti una chance di scrivere. Con molta soddisfazione. Bravo!

Il mio volante, il mio abitacolo, la mia auto, una strada da percorrere, accordi di chitarra, linee di basso, giri di synth e tagli di batteria abilmente pressati nel sound sconosciuto e meraviglioso di un power-trio.


Ho sempre misurato il livello delle mie preoccupazioni dalla mia guida. Essere felice significa musica alta, mani ore 9:15 e traiettorie impostate con precisione.

Essere preoccupato, più preoccupato del solito, è invece fatto di guide svogliate, nessuna musica, postura rilassata sul sedile ed una pericolosa disattenzione verso il mondo esterno.

Questo abitacolo è uno dei miei rifugi, uno dei pochi posti in cui veramente i problemi e le gioie si sezionano, si analizzano e si mescolano gli uni con le altre; nessuno qui può contraddirmi per il semplice fatto che sono solo, sono io.


Oso ritenermi un sognatore ma ritengo anche che esserlo possa voler dire tante, troppe cose. Per un sillogismo potremmo pensare che un sognatore mastica ed ingurgita sogni, propri od altrui.

Secondo me, guidatore condizionabile dai propri sentimenti, chi sogna lo fa utilizzando un pizzico di coraggio.

Premetto che sono una persona inquieta, ho il costante bisogno di placare le mie ansie con qualche certezza, di avere dei programmi prestabiliti, di poter sapere come le cose tenderanno ad evolversi. Se ho imparato a dominare questi impulsi nelle preoccupazioni quotidiane è invece il mio cuore folle a ribellarsi alle regole che cerco di dargli.

Lo maledico, spesso mi chiedo perché la mia testa debba subirne così tanto gli sbalzi ma alla fine mi domando sempre cosa farei senza di lui; discontinuo e bizzoso ma pur sempre cuore, pulsante di emozioni e sentimenti miei ma soprattutto veri.


Perché un sognatore è coraggioso? Come fa ad esserlo?

Essenzialmente credo per due motivi.


Chi sogna lo fa perché, comunque sia, accetta delle sfide e si mette in gioco.

Tante volte mi sono chiesto se il gioco valesse la candela, se quei battiti strani fossero veri o solo indice di una smania di conquista, di un desiderio passeggero.

Nonostante tutto, ogni volta quel muscolo pulsante nel mio torace aveva la meglio, mi suggeriva di provarci e di essere folle. Tutto il resto si sarebbe sistemato, tutto sarebbe andato bene, avrei razionalizzato e senza alcuna paura avrei affrontato il dolore cacciandolo nel buco più profondo della mia anima così che i suoi echi non potessero giungere alle mie orecchie.

Come spesso accade questi pensieri si addensavano in qualche viaggio in macchina; in più di una occasione il mio lettore mp3, tra i brani casuali, interrompeva il mio godimento progressive per far partire “La dura legge del goal”. Potrei sembrare infantile nel dirlo ma in questo tipico esempio di musica pop in salsa italiana, legato oramai a quei giorni bui e lontani in cui un teen-ager affrontava una prova importante nella sua vita, contiene un testo per me veritiero. Non sono mai stato un giocatore d’attacco ma sempre un difensore delicato e tenace al tempo stesso. Ho subito, tante volte ho perso ma non ho mai mollato; sicuro vincitore del premio della critica.

Ecco cosa significa per me essere un sognatore che si mette in gioco: giocare bene, indipendentemente dal punteggio finale.


Chi sogna e corre però sa anche fermarsi.

Io sono però anomalo ma non sono l’unico pilota a prendere decisioni apparentemente strane. Il mio cuore è folle ed affamato ma sa anche volare perfettamente in orizzontale; con il variometro bloccato, quota e velocità costanti.

Questo non è coraggio di buttarsi, ma freddezza e razionalità. La dimostrazione che, quando serve, la testa ha il sopravvento sul cuore, lo doma, ne imbriglia la potenza ed il carattere ribelle come solo pochi sapevano fare con le moto della vecchia classe 500.

Riuscire ad avere il controllo, per quanto in determinati momenti possa dare dispiacere, è la meravigliosa espressione dell’essere padroni di qualcosa, di essere un gubernator attento a se stesso ed agli altri. Niente più inquietudine, niente sussulti inutili, niente sangue marcio.

In cabina passa di nuovo la musica che amo, fatta di tempi dispari e talento da vendere “… a spirit with a vision is a dream …” le ultime parole prima di uno dei soli di chitarra più belli che abbia mai sentito in un disco live mi ricordano che il connubio perfetto di testa e di cuore è raggiunto, che non devo avere più paura delle mie stesse emozioni; torno ad essere attento alla guida ed alla musica. L’alternativa di rinchiudere altri brutti ricordi nel fondo oscuro di me stesso è lontana, per fortuna.


Sono un pilota che magari non ha la macchina che vuole, che forse desidera il mezzo sbagliato, sono la dimostrazione dell’aver imparato ad essere attento ai miei desideri, a rispettare gli avversari in pista.

Il mio cuore impavido su questa strada è al mio servizio, il mio viso è sorridente, le mie traiettorie sono precise e concentrate; non brucio un filo di gomma derapando, gareggio non acclamato dal pubblico ma rispettato dagli altri piloti corretti come me.


Essere un sognatore è guidare lungo una linea retta, stabile tra la sottile follia dei propri desideri e la bellissima concretezza di saper correre con ciò che abbiamo e di sentirci fortunati nell’averlo.


Entro qui come ospite, lo faccio con discrezione.

Stavolta ho preso il numero di gara e messo le ruote su questa strada virtuale perché ispirato dal bisogno altrui di risposte.


Un pensiero per chi ha deciso di seguire questa traiettoria per guidare il suo futuro.

Un pensiero per chi mi onora della sua amicizia e mi fa domandare cosa possa avere io di così interessante.

Mi faranno arrivare lontano.

Gocce di sincerità

Percorro la A4 sotto una discreta pioggia, mentre la pur non proprio vellutata voce di Rod Stewart canta melodiosi pezzi d'annata; le frequenti pozze d'acqua nei tratti non dotati di asfalto drenante mi hanno fatto togliere per sicurezza il cruise control, tenendo il piede leggero sull'acceleratore e le mani salde sul volante; una particolarmente infida, nella corsia di sorpasso in carreggiata nord poco dopo la curva di Padova Est, mette a dura prova i grossi intagli delle fide Continental invernali che escono comunque vittoriose. Loro, non il pilota, che continua costante ed improduttivo sulla sua inutile e noiosa strada.

Tra un colpo del tergicristallo e l'altro, la mente corre ancora a quell'insolito pranzo di pochi giorni fa, dove mi trovavo circondato da persone a cui non dovevo nascondere nulla di me e della mia vita, del mio passato, del mio presente; ero semplicemente io, con le mie debolezze ed i miei difetti, ma ero io, ed ero felice di esserlo. Mi chiedo però se è giusto che questi momenti accadano raramente e (relativamente) lontano da casa; cosa succederebbe se accadessero più spesso? Sarei capace lo stesso di apprezzarli quanto quello di martedì? Per il momento mi accontento del sorriso e della temporanea sensazione di felicità che mi procura il solo ripensarci.


Per quanto qualche piccola risposta inizi ad arrivare, quel sedile alla mia destra, rimasto ad attendere con il rischio di perdere di vista, nell'errata interpretazione di silenzi non previsti, la strada, è ancora vuoto; e torna a farsi sentire la vecchia paura di non veder nessuno uscire dalla porta di quella casetta su un lago svedese, di restare da solo ad ammirare il lunghissimo tramonto di una tiepida giornata d'estate scandinava; la paura di aspettare tutta la sera da solo, seduto in smoking al tavolo di quel piano bar della mia fantasia, dove qualcuno canta le vecchie canzoni di cui parlavo all'inizio.

La pioggia continua a cadere, mentre Rod e la sua voce proseguono nell'arduo tentativo di convincermi a non smettere di sognare, anche se certi sogni fanno un po' male.

martedì 1 novembre 2011

I miei Appennini - reprise.

Tangenziale di Bologna, 120km/h. Sono le 19 di un martedì primo novembre come tanti, per gli altri. Ma non per me. Il traffico scorre lento, ma in direzione nord è letteralmente bloccato. File multicolori di veicoli colorati mi impediscono di tenere le medie di velocità sperate e agognate. La mia macchina, con il nuovo assetto, sembra non temere niente, se non le buche della martoriata A1.
Stamani mi sono svegliato tremendamente sereno, di quella serenità che mi porto dentro da quanto il nuovo c'è ed è nettamente palpabile.
Mi sono alzato avvolto da una nebbietta, tipica del nordest. E inevitabilmente, a vedere quelle casette mi ritorna in mente il viaggio per gli Appennini, divenuto un must quando il ritorno era meglio dell'andata, quando si sapeva che tutto sarebbe finito e che quella strada, come la 223, si sarebbe trasformata in un tratto di via arida che conosco alla perfezione.
E in effetti, sfanalo come un pilota, di quelli veri, alla 24 ore di Nurburgring, nel traffico lento, con la sicurezza di chi sa che strada fare, adesso, dove girare, e dove andare.
Un pilota che ha vissuto 2 giorni indimenticabili, un pomeriggio inaspettato e piacevole, un rientro sorridente. E i pensieri che non prendono più così spesso quel bivio a Siena sud. Prendono un altra via, un'altra direzione ma questa è un'altra storia. E alle volte si fermano a razzolare proprio qui, da me, come polletti che vedono il proprio padrone. 6 ore di sonno in 2 giorni. Troppi caffè.
E ora, tratto appenninico dell'A1, 130km/h.
In un tempo che oggi sembra lontanissimo questo tratto stradale mi apparteneva. Apparteneva ai due complici, complicissimi, Andrea-Ypsilon rossa metallizzata, la famosa ammiraglia. Apparteneva a una vita precedente anni luce, ad un bagaglio di ricordi che gli ignari passeggeri non conoscono.
130km/h, mandrie di cretini che entrano nel mezzo senza guardare. Storie che finiscono e che ti angustiano la vita.
Falsità che poi scopri dopo. Messaggi che NON hanno un senso. No, dico no e faccio bene perché so che le strade si dividono ed è bene che lo facciano per davvero.
Ogni strada, ogni momento, visto da una prospettiva diversa dona un risultato diverso.
Ma tutta quella sofferenza, sia quella del tratto appenninico che quella della SS223, adesso appare così lontana. Sono sereno.
E so dove guardare.
Mesi fa mi chiedevo se ci sarebbe stato un "dopo". A tratti, credevo di sì.
Adesso so che nella mia mente c'è qualcosa di nuovo. Quel momento in cui la macchina corre, e sa dove portarmi e mi perdona i curvoni di Rioveggio a 140 senza scalare in quinta.
La retrospezione non esiste, adesso. Abbiamo un futuro da costruire e una scommessa da portare avanti, di cui non conosco l'esito ma forse vi ripongo una totale fiducia. La mia macchina vive, come me.
E mentre scendiamo, a 120km/h tra il traffico lento di questo itinerario così ben conosciuto, così figlio della solitudine nascosta degli anni passati, scopro che la vita esiste. Non è esistenza. E' vita.
Forse, quel "dopo", è adesso.
Ma non voglio ancora dirlo a me stesso. E allora, chissà che cosa mi aspetta. Ma in fondo, vorrei tutti i fine settimana così.
Con amici di prima e dopo, chiamate piacevoli di speranze coltivate, l'apprezzamento dell'introspezione e della musica giusta, sembra quasi che io rimanga nell'attesa di accogliere chi se lo merita. E forse è così. E non è detto che non sia qualcuno del passato, ma non è per niente probabile né sperato, adesso. E allora dico grazie a chi, in modo consapevole, mi ha sopportato e aiutato. Dico grazie a chi, senza saperlo, ha fatto una specie di miracolo e ha preso la sua via.
E grazie a chi prenderà la via del ritorno.

Cento di questi giorni

Inizio a scrivere un po' di getto per sfruttare quel sorriso che ho stampato in faccia, reduce da 24 ore di grandissima amicizia in quel di Cento, ridente cittadina nella campagna dell'Emilia nord-orientale, in un clima che ricordava in tutto e per tutto quello di una mini-Multidistrettuale; ma pur avendo vissuto diversi eventi Leo negli ultimi anni, devo ammettere che questo ha avuto un sapore diverso, più dolce.

Diverso molto probabilmente sono io; leggermente diversa la composizione del gruppo; ma soprattutto diverso è il tipo di amicizia che mi unisce sempre più alle persone (Velocissimo ma inconcludente compreso) con cui ho condiviso queste ore, tanto da rendere ogni volta più difficile distaccarsene e pensare di dover tornare a casa alla vita di tutti i giorni, la solita vita di cruise control sulla noiosa A4 e di contorte code al casello di Mirano.


Cos'è cambiato? Cos'è che mi sta legando a queste fantastiche persone? Ogni volta per vederci maciniamo chilometri e chilometri, capaci di attraversare in lungo e in largo l'Italia, piloti, autisti e passeggeri, uniti dalla passione per la magnifica associazione che ci ha fatti conoscere; eppure ora c'è qualcosa di diverso, qualcosa in più, qualcosa che in loro compagnia mi fa sentire finalmente libero di essere me stesso, di parlare di me stesso e di non nascondere le mie debolezze e le mie vite separate.

E, questa volta, neppure il grigiore di una normalissima giornata della bassa val Padana, riesce a coprire la gioia di scoprire e riscoprire amicizie sincere, il doloroso piacere di un inevitabile commiato e la voglia di riunire il prima possibile questa pazza comitiva che mi ha fatto apprezzare sempre più, nella felicità di queste ore, quella parte di codice etico dell'associazione che recita:
Considerare l’amicizia come fine e non come mezzo, nella convinzione che la vera amicizia non esiste per i vantaggi che può offrire, ma per accettare nei benefici lo spirito che li anima.
 Grazie! Anche perché ora non mi vergogno di dirlo... vi voglio bene!
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