martedì 1 novembre 2011

I miei Appennini - reprise.

Tangenziale di Bologna, 120km/h. Sono le 19 di un martedì primo novembre come tanti, per gli altri. Ma non per me. Il traffico scorre lento, ma in direzione nord è letteralmente bloccato. File multicolori di veicoli colorati mi impediscono di tenere le medie di velocità sperate e agognate. La mia macchina, con il nuovo assetto, sembra non temere niente, se non le buche della martoriata A1.
Stamani mi sono svegliato tremendamente sereno, di quella serenità che mi porto dentro da quanto il nuovo c'è ed è nettamente palpabile.
Mi sono alzato avvolto da una nebbietta, tipica del nordest. E inevitabilmente, a vedere quelle casette mi ritorna in mente il viaggio per gli Appennini, divenuto un must quando il ritorno era meglio dell'andata, quando si sapeva che tutto sarebbe finito e che quella strada, come la 223, si sarebbe trasformata in un tratto di via arida che conosco alla perfezione.
E in effetti, sfanalo come un pilota, di quelli veri, alla 24 ore di Nurburgring, nel traffico lento, con la sicurezza di chi sa che strada fare, adesso, dove girare, e dove andare.
Un pilota che ha vissuto 2 giorni indimenticabili, un pomeriggio inaspettato e piacevole, un rientro sorridente. E i pensieri che non prendono più così spesso quel bivio a Siena sud. Prendono un altra via, un'altra direzione ma questa è un'altra storia. E alle volte si fermano a razzolare proprio qui, da me, come polletti che vedono il proprio padrone. 6 ore di sonno in 2 giorni. Troppi caffè.
E ora, tratto appenninico dell'A1, 130km/h.
In un tempo che oggi sembra lontanissimo questo tratto stradale mi apparteneva. Apparteneva ai due complici, complicissimi, Andrea-Ypsilon rossa metallizzata, la famosa ammiraglia. Apparteneva a una vita precedente anni luce, ad un bagaglio di ricordi che gli ignari passeggeri non conoscono.
130km/h, mandrie di cretini che entrano nel mezzo senza guardare. Storie che finiscono e che ti angustiano la vita.
Falsità che poi scopri dopo. Messaggi che NON hanno un senso. No, dico no e faccio bene perché so che le strade si dividono ed è bene che lo facciano per davvero.
Ogni strada, ogni momento, visto da una prospettiva diversa dona un risultato diverso.
Ma tutta quella sofferenza, sia quella del tratto appenninico che quella della SS223, adesso appare così lontana. Sono sereno.
E so dove guardare.
Mesi fa mi chiedevo se ci sarebbe stato un "dopo". A tratti, credevo di sì.
Adesso so che nella mia mente c'è qualcosa di nuovo. Quel momento in cui la macchina corre, e sa dove portarmi e mi perdona i curvoni di Rioveggio a 140 senza scalare in quinta.
La retrospezione non esiste, adesso. Abbiamo un futuro da costruire e una scommessa da portare avanti, di cui non conosco l'esito ma forse vi ripongo una totale fiducia. La mia macchina vive, come me.
E mentre scendiamo, a 120km/h tra il traffico lento di questo itinerario così ben conosciuto, così figlio della solitudine nascosta degli anni passati, scopro che la vita esiste. Non è esistenza. E' vita.
Forse, quel "dopo", è adesso.
Ma non voglio ancora dirlo a me stesso. E allora, chissà che cosa mi aspetta. Ma in fondo, vorrei tutti i fine settimana così.
Con amici di prima e dopo, chiamate piacevoli di speranze coltivate, l'apprezzamento dell'introspezione e della musica giusta, sembra quasi che io rimanga nell'attesa di accogliere chi se lo merita. E forse è così. E non è detto che non sia qualcuno del passato, ma non è per niente probabile né sperato, adesso. E allora dico grazie a chi, in modo consapevole, mi ha sopportato e aiutato. Dico grazie a chi, senza saperlo, ha fatto una specie di miracolo e ha preso la sua via.
E grazie a chi prenderà la via del ritorno.

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