martedì 15 novembre 2011

Roll the bones - Wild card in punta di piedi (ospite)

“Why are we here? Because we’re here. Roll the Bones”.
“Why does it happen? Because it happens, Roll the Bones”.

Tanto, tanto Prog per cercare un po’ di pace dalle domande che si fanno incalzanti.

Ho già detto di essere un pilota anomalo.
Sorrido e sono contento di ciò che la vita mi offre, cerco di mordere la strada, la mia strada fatta dal delicato equilibrio tra testa e cuore, l’uno al servizio dell’altra e viceversa.
La mia anomalia si concentra nella mia malsana curiosità per il mondo che mi circonda. Ho sempre visto questa dote come quella dei personaggi di Herman Hesse, mi sono sempre riconosciuto nella loro inquietudine convulsa ed esploratrice che si frammischia ai facili sussulti dell’anima in pena del Giovane Werther di Wolfgang Goethe.

Certi pensieri fanno male o quantomeno non fanno bene, indipendentemente dal tempo cui sono orientati, sia esso passato, presente o futuro.
Il mio essere curioso per fortuna tralascia il primo tempo e cerca quantomeno di concentrarsi sugli altri due; non pecco di tracotanza, so bene qual è il mio limite. Bastano già i tanti interrogativi volti all’oggi ed al domani mentre ieri, per quanto sia stato spiacevole, è sotterrato come consuetudine li dove non può più ripresentarsi.
Non posso e non voglio pensare alle occasioni sprecate, alle opportunità perse ed alle persone vicine e lontane oramai quasi dimenticate, so già che mi costringerebbero ad una analisi troppo ampia, troppo profonda: per il mio bene non posso domandarmi “dove ho sbagliato e perche”.
E’ il presente, assieme al futuro, a riservarmi degli interrogativi meritevoli di ottenere una risposta che, nel mio stile, sarà sempre e comunque razionale e ponderata fino alla morte; degno parto di una mente che sogna ma in maniera fin troppo concreta. Spesso penso sia meglio non farmi troppe domande, in fondo non sapere ed ignorare qualcosa vogliono dire esclusione di ogni possibile attività di raziocinio in merito ma puntualmente ogni volta ci ricasco; devo sapere, voglio sapere. Non sono un pettegolo ma soltanto un pilota che non solo è perennemente sfiorato dal dubbio ma con esso vive e di esso si nutre.
“Potevo far meglio?” recitava l’intestazione di un vecchio libro di filosofia; esiste forse una domanda così crudelmente bella?

In questi momenti, stranamente, cuore e cervello viaggiano sempre in sincronia verso la stessa risposta alla mia voglia di curiosità: “si, potevi far molto meglio”.
A questo punto la mia guida diviene poco concentrata, segno che qualcosa di maggiormente assillante è tornato a farsi strada tra i miei pensieri; la musica nell’abitacolo si dissolve e quelle canzoni che amo, nella loro casuale alternanza, sembrano quasi rivelarsi fastidiose. La mia musica ora è il suono ridondante di alternative, analisi, previsioni, supposizioni ed ogni altra considerazione una testa troppo piena possa sentir rimbalzare dentro se stessa.
La mia voglia di sapere, la mia curiosità, in questi momenti diventano crudeli e si spingono in pensieri al limite della paranoia profonda.
E’ in momenti del genere che mi dico: “L’ignoranza è una benedizione, in fondo non faccio altro che pensare e questo a cosa mi ha portato? Non certo a stare meglio”.

La conclusione, forzata dal dover giungere alla meta, è sempre la stessa, concretissima, scritta nella pietra: il pilota sa affrontare curve e chicane, sa tenere il piede sul gas finchè il suo mezzo glielo permette ma, purtroppo, il pilota non sa tramutare lo slancio della sua anima in azione.
Continuo a pensarci, razionalizzo, mi convinco che in fondo tutto andrà bene ma in realtà, come tante altre volte, inganno me stesso e cerco soltanto di sopire in maniera goffa quelle voci scoraggianti che mi dicono di stare dove sono, di non muovermi.
Tante volte la mia testa mi ha suggerito la cosa giusta, mi ha ricordato come ci fossero cose non sacrificabili, come fosse giusto accontentarsi di ciò che già si possiede o come certe sfide semplicemente fossero in partenza fuori dalla mia portata.
Qui la mente mostra anche il suo lato perverso, fatto di una negatività che ha gioco fin troppo facile anche nei confronti dell’anima impavida (ma evidentemente troppo debole) del mio cuore che rimane così confinato ad una mera e sterile teoria sul ciò che vorrei o potrei fare. Il mio muscolo pulsante altro non sembra che un laureato in Legge che si rinchiude a insegnare Diritto Privato alle scuole superiori solo perché ha paura di affrontare il mondo esterno, di entrare in un’aula di Tribunale.

Fattivamente ancora non riesco ad uscire da questa spirale così strana. Forzatamente quieto ma internamente agitato.
L’unica cosa che mi salva, anche se solo in maniera incompiuta, è un reprise orgoglioso delle parole con cui ho cominciato a scrivere queste righe che riescono a traghettare il momentaneo sollievo dato dall’affacciarsi dell’idea che, forse, sto guardando la prospettiva in maniera troppo negativa e che le cose non in fondo così gravi.
Non so come sono giunto a questo punto ma in qualche modo devo esserci arrivato, certe cose succedono perché devono succedere e allora “roll the bones”, lancia i dadi e corri i tuoi rischi, non può rosicare che non ha risicato.

Ancora una volta il mio amato power-trio canadese mi viene in soccorso con le sue note ed i suoi testi. Rischia se devi, “get out there and rock”.
Non mi fanno riprendere la guida decisa dei momenti più spensierati ma quantomeno mi danno quello scatto, quel barlume, quella “glimpse” di cui ho bisogno per non addormentarmi sul volante. Il mio abitacolo si riempie di buoni propositi ma io rimango comunque sulla terra, non mi sento invincibile, non mi dichiaro pronto a conquistare il mondo ma per lo meno posso abbozzare un sorriso e soprattutto mi ricordo che quello per cui vorrei buttarmi vale comunque la pena.

Si, questa è la volta buona, l’equilibrio tra testa (quella che pensa positivo) e cuore (quello impavido) sta per essere ritrovato ed io mi sento pronto a lanciare la mia inquietudine positiva, a trasformare i miei sussulti in energia, ad essere di nuovo cercatore.

Si, questa è la volta buona. Fino al prossimo momento in cui il mio raziocinio perverso mi suggerirà di stare al mio posto.

Si, questa è la volta buona. Finchè non mi accorgo di aver dato troppo ascolto alla mia malsana tendenza all’elaborazione, finchè non mi accorgo che ciò che voglio mi è scivolato via dalle mani.

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