martedì 30 luglio 2013

Progressi, regressi, e giustificazioni


E così avvenne quello che avviene sempre. Compro una macchina, all'inizio ci litigo bestialmemte. Mi ci capisco poco all'inizio e a tratti odio i loro comportamenti.
Così come avvenne per la Mito, adesso l'Ignara Spider Veloce ha avuto lo stesso destino. Ora ci capiamo, sorprendentemente, in solo 1500km, tanto che sto pressoché usando solo lei. Si iscrive in curva in un modo fantastico che solo le trazioni posteriori sanno fare.
Incattivisce con l'acceleratore, ed ha una progressione infinita fino a 200km/h. Infinita. Come l'epoca delle spider vere, che è terminata con l'uscita di scena del Duetto.
E ora, proprio perché iniziamo a volerci bene davvero con questa vecchia signora Ignara, do fondo ai piccoli lavori di perfezionamento per renderla davvero come se fosse uscita ieri dalla fabbrica.
Non è passato molto tempo da quando la presi, il giorno del mio trentaduesimo compleanno.
Ora lei, sempre Ignara (perché non vuole sapere), inanella le curve nella maniera migliore, e mi conferisce un piacere mai provato nella guida.
Pure chi ho accanto se n'è accorta, con un secco quanto ti piace guidare sta macchina.
Pure noi all'inizio non ci capivamo. Quasi per niente. Ogni battuta stonava. Poi col tempo, e soprattutto con la voglia (te la rubo, perdonami), si diventa qualcosa di importante l'uno per l'altra. Aggiungiamoci dei sentimenti, della mancanza quando i chilometri ti separano e un terreno nuovo inaspettato.
Perché all'inizio abbiamo fatto a pugni (anche piuttosto forte, ndr) fino a volerci bene. 
E mentre guido l' Ignara Spider Veloce ho modo di soffermarmi a guardare gli altri, dal basso della seduta della macchina.
Non posso fare a meno di pensare a qualcosa di duraturo, di vero, con chi ho accanto adesso.
Non posso fare a meno di notare che gli altri, ma non tutti chiaramente, sono pervasi dall'abitudine e dalle poche emozioni.
Dal canto mio mi emoziono sin troppo, per carità.
Vedo e percepisco tante giustificazioni che la gente dà a se stessa per negare la realtà.
A partire dal lavoro: quando sento chi dice non si trova e magari a 30 anni è ancora lì a non fare un cavolo facendo le 4 tutte le sere, imbestialisco, perché sono scuse per se stessi, per poi finire in amore, grazie a sopravvalutazioni eccessive. 
Quante volte ci siamo giustificati o abbiamo dato giustificazione terribile ad un comportamento altrui che mai tollererermmo? Tante. Me compreso.
Ho giustificato cattiverie subite per mesi, i comportamenti sbagliati, solo perché, alla fine, avevo paura di perdere qualcosa.  Non qualcuno. Ma qualcosa. E' naturale, per carità. Fatelo voi, io non transigo col mio cuore.
C'è chi lo fa sistematicamente e non si racconta la verità. Pare una cosa stressante, in effetti, fare i conti con quello che vorrebbero gli altri e quello che uno vorrebbe realmente essere e vivere.
C'è chi ad ogni costo cerca di ostentarla quella felicità, con parole come stupendo, bellissimo, superlativi inutili perché la felicità è dentro di noi e se la si sbandiera è segno dell'opposto. Inevitabilmente si mette in mostra qualcosa che si ha paura di perdere. E allora non è felicità, ma una pantomima stupida. 
E quelli che la portano avanti sono solo degli idioti.
Ho sbagliato pure io a giustificare l'eccessivo impeto che ho messo nel tentare di disinfettare una ferita marcia, che andava eliminata, sperando che si rimarginasse.
E come cantano gli Eurythmics, The miracle of love will take away our pain.

Ormai ci siamo capiti. In ogni modo e senso. E non parlo della Spider. E' qualcosa che cresce ogni giorno e che prende una forma sempre più bella, perché a noi di quel che dicono gli altri non importa, guardiamo in faccia la realtà e la viviamo.
E chi l'avrebbe mai pensato che avremmo preso la nave dei becchi?
Comunque sia, ad oggi, non giustifico più nessuno, anzi, stavolta sono troppo critico anche per le bischerate. E me ne scuso. Correggo pure sto difettino, tanto ne ho corretti mille.
Star bene non è facile, è una strada in salita. 
I vincenti trovano il modo, i perdenti sempre una scusa.
Noi, senza scuse, il modo l'abbiamo trovato in modo naturale.
Per la proprietà transitiva, abbiamo vinto. E continueremo a farlo.

lunedì 29 luglio 2013

Ahead to the future


SS223, 140km/h oppure 88 miglia orarie. Cockpit dell'Ammiraglia rossa.
Stessa velocità, che i nati nei primi anni '80 sanno benissimo cosa faceva viaggiare nel tempo.
I nati dal 1985 in poi non possono dare lo stesso valore che noi diamo a quel film, perché sono piccini e peraltro sempre più bimbiminkia regrediti, da quel che vedo.
Comunque, per chi fosse atterrato su un disco volante su questa Terra solo nei tardi anni '80/primi '90, beh, a 88 miglia orarie, racconto la banalità del giorno. A 140km/h la Delorean DMC-12 nella trilogia di film Ritorno al futuro viaggiava nel tempo.
Era una velocità che magari per noi appare normale, ma che per gli statunitensi del 1985 risultava del tutto impossibile da raggiungere su strada, perché gli stessi sono annichiliti da terribili limiti di velocità da 80km/h in autostrada e ferrei controlli radar pressoché incontestabile.
La SS223 nell'ultimo tratto li consente anche in crociera, nonostante il limite sia 110km/h.
Ma non si viaggia nel tempo a questa velocità, solo in certi posti si chiappano le multe in zona ritiro patente.
In ogni caso, le 88 miglia orarie proiettano indietro nel tempo la riproduzione casuale della chiavina USB legnosa, peraltro bellina, recante il marchio Leo Club innominabile al punto tale che probabilmente l'Ammiraglia, colpita da quelle macumbe, arresterebbe la sua corsa.
Di accidenti me ne arrivano tantissimi. A partire dallo sbarramento di nebbia proprio là, quando dissi a Diletta non me ne frega un cavolo, si prosegue a 130 anche se non si vede niente, per poi finire al treno che, proprio là (ripetizione voluta), si inchiodava accumulando i suoi sei irrecuperabili minuti di ritardo.
E mi viene da ridere, perché a me pare di aver pagato quel conto lassù più volte e pure salato e di essermi rifatto completamente una vita, con chi si merita obiettivamente il meglio dopo avermi cacciato indietro più volte.
Comunque, come dicevo, proprio a causa delle 88 miglia orarie, la musica dovuta alla strana riproduzione casuale torna a fine anni '90, come quando avevo la Punto Cabrio 18 anni e un carico di ansie immenso, ma una felicità di fondo. E parte Run to You di Bryan Adams, e Always di Bon Jovi subito dopo. Erano i due colossi del CD da acchiappo, quello che suonava nelle occasioni giuste, nella Punto Cabrio in quei fintamente ruggenti anni, per cui sono ancora oggetto di prese (fondate) per i fondelli dagli amici veri.
E' proprio vero che a 32 si sta meglio che a 20 anni.
Semplicemente perché sto guadagnando passo passo la spensieratezza che non ho mai avuto, proprio adesso. E il motivo lo so, perché in fondo c'ho messo sin troppo a pagare quei conti con me stesso, facendo finta di essere agganciato a chissà cosa.
Comunque, quel giorno in cui tornavo da Pordenone, e in cui trovai lo sbarramento di nebbia, beh, conobbi il mio futuro.
Non fu un bell'impatto, in effetti. La credevo persa dietro ad un bello e dannato che niente aveva a che fare con uno come me, ed in effetti era così.
Dal canto mio, il giorno prima mi ero fermato in un posto strano.
Avevo tirato 150km/h su una pista di pattinaggio su ghiaccio con accanto un'altra persona ignobilmente sparita dalla mia vita dopo avervi giocato un paio di ruoli di primo piano.
Un paio, appunto.
Comunque, in ogni caso si fa a cazzotti con le proprie convinzioni. Ci vogliono mesi, e i bruchi diventano farfalle, i pensieri lasciano lo spazio alla concretezza, ai tratti appenninici, alle settimane insieme, alla voglia di svegliarsi uno accanto all'altro ogni giorno ad orari decenti.
Si vince per bene e si viene pervasi, conoscendosi l'un l'altro, dalla voglia di prendere una casa, di dire "passo a prenderti", di prendere un paio di biciclette e spararsela tutta quella ciclabile sterrata, di costruire qualcosa, di avere un abbraccio ogni mattina, della colazione in giardino, della spider Veloce aperta che non vuoi guidare.
Perché il futuro ce lo costruiamo ogni giorno, contro ogni difficoltà, spigolo del carattere, angolo vivo da smussare.
E vedo che la benzina c'è, la velocità e la sintonia idem.
Cerco casa, non tanto disperatamente, casomai ma spero di non abitarci ogni giorno da solo, e che qualcuno prenda la sua macchina o il suo treno e venga davvero a godersela con me.
Cerco casa per costruire qualcosa.
Pensieri, parole. Devono diventare fatti, come noi siamo ormai un fatto consolidato e, spero, duraturo.
SS223, 140km/h. O meglio 88 miglia orarie. L'Alfa Mito, da mia personale Ammiraglia si trasforma in De Lorean e per un attimo prosegue. E nessuno la ferma, nemmeno lo scorrere del tempo.
Io proseguo. E non ritornerò mai indietro. Semplicemente andrò avanti, contando i giorni che mi separano dal prossimo abbraccio.

domenica 28 luglio 2013

Try

Siena, notte: il motore dell'Ammiraglia prende vita con la sua voce borbottante. Sembra quasi dirmi che è tardi e che ha sonno. Ma di sonno ne ha poco, come il suo pilota.
Vuole correre, ma come un cavallo impazzito ne tengo le briglie. 
Superstrada Siena-Firenze, 110km/h costanti. L'Ammiraglia, la Mito rossa, sfoggia il suo passo autostradale classico, nel fresco della notte. Classico, appunto.
La vettura procede, imperterrita, con il suo fare di ammiraglia accalorata da questa strana estate che si prennuncia bella.
E Virgin Radio, stranamente, tira fuori un pezzo di Pink che non credevo mi piacesse. Try.
Try. Vuol dire provare. Bisogna sempre provare. 
L'Ammiraglia Mito si ricorda, in uscita di curva, che per i 72.000km precedenti non ha fatto altro che vivere da vettura guidata da un autista per le autostrade a rincorrere chissà cosa, chissà chi.
E allora, in uscita di curva, il sonnolento "Turbo grande" inizia a soffiare. Il piede del pilota affonda. Sopra 3000 giri. 4000 giri. 5000 giri. La Ypsilon che avevamo davanti viene inghiottita dal vuoto buio che c'è dietro. Prolungo oltre ogni limite del buon senso la fase della pestatura dell'acceleratore.6000. 6500 giri.
Cambio. Freno. Rientro nelle zone a basso consumo.
L'Ammiraglia, che si è ritrovata per un attimo nel suo terreno migliore, sembra ringraziare, come qualcuno che chiede "ancora".
La morale è che devo provare.
Che dal bel terreno in cui mi trovo non mi sento più di dover assumere, ancora una volta, una maschera che non mi compete. Ed  è fantastico e strano allo stesso tempo.
Non mi sento costretto a dover apparire indistruttibile, ad "organizzare" per andar dietro alle paturnie altrui, a "fare" quando vorrei star fermo.
Non ho idea.
Forse è la stanchezza fortissima di anni che NESSUNO ha avuto sinora la minima voglia di comprendere. Nessuno. Tranne chi c'è ora.
Inizio ad aver meno voglia di capire, di far finta che tutto vada bene, di non poter dire "stasera sono stanco, stiamo a casa per favore", di dover sembrare quell'essere indistruttibile che non sono. Anche io ho pecche. E ne ho tante, in primis la poca resistenza.
Inizio ad aver voglia di dire che sono felice.  Di concretezza.
Perché chi alle volte sbandiera le cose per me sbaglia e lo vedo adesso, in questa nuova vita che mi sono costruito, chi mente sulla propria felicità. E io non ho bisogno di farlo, ora.
Bisogna provare. Provare ad avere una dimensione, altrimenti nella vita non si fa strada. E non si ama.

mercoledì 24 luglio 2013

Introversi ed estroversi

In questi giorni gira molto in rete la vignetta dal titolo How to live with introverts. Pare un manuale di istruzioni per maneggiare con cura chi è introverso e non si apre.
Ho un amico fraterno (mannaggia a te che te ne vai, ora mi tocca pure comprare un Falcon 900EX per richiapparti laggiù in fondo al mondo) in particolare che si ritiene molto introverso, ma col tempo si è aperto e secondo me, a dire il vero, a modo suo dice tutto.
Anzi, dirò di più: non è introverso, ma è semplicemente un genio che ancora non si è accorto di avere qualità e sensibilità superiori alla media, che semplicemente sa che vanno condivise con pochi. Ma lui è il migliore in assoluto e manco vuol sentirselo dire.
Ce ne fossero di persone come lui. Il fratello che non ho mai avuto. E' un prego la sua sopportazione.
A differenza sua io sono un estroverso cronico, o meglio uno che lo fa, e che ti mette davanti il suo mondo.
E da estroverso dirò che io amo l'Elba, anche se non ci vado mai. 
E che potrebbe anche venirci.
Me ne innamorai da piccino, di ogni anfratto, spiaggina, montagna (perché c'è anche quella), animale, sorgente, fondale ecc.
Come gli amori infantili, questo è rimasto dentro di me.
C'è chi la ama come me quest'isola. C'è anche chi la odia, senza apparente motivo, e potrei fare nomi e cognomi, ma tant'è che non importa. Probabilmente la odiano per motivi personali, ma tiriamo oltre.
Ogni estate scovo punti molto positivi da mostrare a me stesso e dividere con gli altri.
Vorrei avere un po' di tempo per andarci. Ci andrò, per carità.
Lo direi al mondo di venire, pure all'amico introverso. Qui si sono consumati amori, finiti sulla nave del ritorno. Amicizie vere sono nate e rimaste. 
Solo perché sono estroverso e faccio amicizia. Alle volte sono eccessivo io. Chiacchiero troppo e terrorizzo chi recepise quella brutta e lamentosa parte di me.

Il problema sono quelli che si fingono introversi e che in realtà ti studiano. Studiano come fare a fregarti.  Subdoli. 
Viscidi.
Brutti e cattivi. 
Ma qui la chiudo, perché tanto contro di loro è così. Ho un paio di nomi ben precisi in mente.
Voi non siete niente, e c'è pure chi vi rincorre, stupidamente.

L'amico introverso, quello buono, quello fraterno, è vero, è lì che capisce ogni mio anfratto, pubblicabile e impubblicabile.
Conosce la verità, quella che non sa nessuno. 
Pure dai suoi silenzi capisco che devo smetterla di dire certe cose, certi eccessi che si prolungano sin troppo dentro di me.
E allora come dire grazie alla tua introspezione, amico mio, che in silenzio insegni, con tutti i tuoi "amen", tutti i tuoi ripetuti e allo stesso tempo irripetibili. 
Ecco, in questi anni mi hai dato tanto, come quando a Bologna, il 6 novembre 2010, in un periodo un po' strano fatto di, tanto per cambiare, rincorse inutili, hai portato un attimo di luce ascoltando questo chiacchierone mentre il presidente internazionale Lions era a dirci qualcosa di biascicato.
Qui sta la differenza degli introversi: quelli che ti fanno capire lo stesso, e quelli che lo fanno perché vogliono solo esser rincorsi.
E' un peccato che la vincano quelli sbagliati, la battaglia per le cose giuste. 
Parola di eccessivo chiacchierone.

martedì 23 luglio 2013

Crossing borders

Crossing Borders: pare quasi il titolo di un film. E viene voglia di passarli quei confini, qualche volta. Non parlo di confini fisici, o forse non solo di quelli che uniscono e dividono Stati, Paesi, Regioni vere o immaginarie (come il ponte sul Po dell'A13). 
Mi riferisco ai confini che ho nella mente, al voler spezzare, ora che ne vale la pena per davvero. 
Mi è presa la voglia di viaggiare, di attraversare confini. Soprattutto quelli della mia mente. Soprattutto nelle cose rispetto alle quali ho detto mai più. Già, confini. Viaggi. Macchine. Aerei. No, non sono solo patito del mezzo meccanico.
Vorrei guadagnarmi sul campo la cultura dei luoghi, degli aerei, del muoversi.
Voglio ritrovare in me questa passione perduta, per la quale vengo preso per i fondelli.
La mia professione mi piace, e pure tanto. Se c'è una pecca che le trovo, tuttavia,  è l'eccessiva territorialità, che ho saputo crearmi ed è un bene, forse.
Ma non so cosa posso aver fatto per stare sempre in questo Paesetto di provincia, dove non ci sono mercati coperti e dove la gente ha una mentalità molto chiusa. 
Non ho idea di come fare a sbloccare questo loop.
Ho voglia di viaggiare, e anche molto. E so anche con chi. 
Perché attraversare confini apre la mente, le volte che l'ho fatto ho davvero trovato una cultura diversa. C'è chi ne sa mille volte di più, è ovvio.
L'Italia la conosco benissimo, ora vorrei esplorare dei luoghi dove non sono stato.
Metto la bandierina su Trieste, quest'estate.
La metto anche su altre città europee. Ma manca Parigi all'appello, pure Londra. Eppure sono oppresso dagli impegni e dalle catene della mia mente.
Vorrei un aiuto a spezzarle. E ad attraversare questi confini.


domenica 21 luglio 2013

Mercato coperto

Via Nova in salita, 50km/h. L'Ignara Spider Veloce sta dietro ad una serie del tutto infinita di Apini, l'amato punto di riferimento della camminata mattutina, ovvero il pullman che va a Volterra, e una teoria altrettanto lunga di vetture accodate con poca voglia di sorpassare. 
Minaccia piogga, la solita delle 18:30 che qui da una settimana si presenta puntuale come una cartella di Equitalia. 
Stiamo dietro. Non importa, la strada è poca e forse ce la farò a rintanare la preziosa decappottabile dentro il garage prima che le gocce si presentino. 
Seconda marcia. Non so quanti giri perché il trimmer del contagiri è scassato e fondamentalmente irreperibile sul mercato e va cambiato. Lo farò a settembre.
Ma a questa velocità la Spider, col suo fare da persona che non sa e che non ne vuole sapere di niente, mi tira su degli inaspettati ricordi recenti.
Modena. Ecco, Modena. 
Un giro al mercato coperto di sabato mattina, in cui mi sentivo come rinato. Non ne ho idea del motivo, o forse sì e lo spiegherò più avanti. 
Siamo andati a fare questo giro là dentro, in quella bellissima struttura in stile liberty che credo si chiami Albinelli. C'era del pane, della frutta, dei fiori, odori e rumori, persone che nella loro giornata si affannavano a comprare le cose per la settimana. Due cuori.
Forse perché non c'è il mercato coperto a Colle, mi piaceva troppo stare là dentro. Osservare chi ho accanto comprare i pomodori, chiedermi cosa volevo e prendere tutt'altro e ridere sotto i miei inesistentissimi baffetti di quanto lei sia brava a fare la spese e non se ne renda nemmeno conto.
Per carità, io avrei comprato tutt'altro, però de gustibus non disputandum est. 
Eppure lei era così bella in quei momenti, in cui mascheravo il sentirmi bambino portato al mercato, lì presente tutti i giorni, e così assente nella mia piccola ma stupenda città con tutte quelle torrette.
Ma la realtà  è che tu, donna adulta, hai vinto. Hai combattuto senza mostrarlo contro le paure, le tue e le mie, i fantasmi, i dubbi che inevitabilmente si palesavano.
Sarà che adoro quella città lassù piena di Ferrari e Maserati, di gente aperta e non chiusa e burbera, di accenti carini e simpatici, di persone che ti accolgono e non ti giudicano, di gente spontanea.
Sarà che adoro chi me l'ha fatta conoscere quella città con i pullman gialli e blu e che mi sopporta ogni giorno.
Sarà che davvero le emozioni devono esserci, ma se dopo i primi tempi non trovi il verso di giocarti le carte della normalità e della complicità, la spontaneità e il non dover lottare.
Ho voglia di alzarmi la mattina ed andare al mercato coperto a comprare le cose da mangiare, i cetrioli e il pane.
Ho voglia di sentire l'odore dei fiori e sentirmi bambino senza dover mettere filtri a quello che dico e senti.
Ho voglia di gustarmi il silenzio e di venire ripreso perché sto zitto. 
A tratti questo paese mi sta stretto.
Ho voglia di vivere a pieno questa stupenda normalità.
Forse sono vecchio, ma se lo sono, ne vado orgoglioso. La vita è adesso.

giovedì 18 luglio 2013

Eterna lotta tra stronzi e principi azzurri


Non so perché ma mi ci va di riportare un post vecchio (con considerazioni allegate) divenuto tematica di un qualcosa che non si doveva vedere, però sempre bello ed è una tematica vittoriosa (per altri) e ironica per me. Correva qualche tempo fa. Ed è bello rileggersi, riscriversi e riadattarsi, alle volte. Ci ho messo qualche Add on, per chi lo lesse nel posto segreto tempo fa.
"...Ricomincia la lotta tra scuole di pensiero, e tra i vari modus agendi.
Principi azzurri contro stronzi. E' una eterna battaglia in amore. Che vede alternarsi le varie categorie in testa. Manco a dirlo, cerco di appartenere alla prima: addirittura qualche mese fa credevo che vi fosse una vittoria semplice del sindacato che rappresento in modo amplissimo e degno.
Missioni Eroiche, fiori, scenari romantici. Tutto bello davvero. 
Potenzialmente, il meglio che una donna possa avere(...). Sotto i miei pressoché inesistenti baffetti, sotto la pelle del viso resa velluata dalla crema antirughe e antistress, si nasconde una profonda insicurezza di fondo sul da farsi, sulla potenziale adesione alla seconda scuola di pensiero.
"...Ci si deve stronzire, non c'è verso..." - tuonavo stamani coniando il neologismo alle 8:25 al telefono al povero Francesco, mentre la giornata nasceva e iniziava a manifestare i primi segni di giramento. La risposta, di nuovo reitera una domanda, con l'innocenza tipica di chi, esattamente come me, non sa che pesci pigliare. "...Sì, ma come?...".
Principescamente parto. Inanello mosse da record i primi mesi. Divento colui che fa sperare di nuovo che ci sia un dopo.
Ma puntualmente inizio a perdere pezzi e arrivo malconcio a destinazione.
Come me, tanti altri.
Perché viene a noia il principe, in effetti. Posso montare su cavalli bianchi, rossi, neri, su aerei, pullman e treni, ma lo stronzo che "ogni tanto" si fa sentire e che casca nella vita quando gli pare, si prende agevolmente tutto quanto noi ci sudiamo.
Tutto il nostro lavoro, concretizzatosi con immensa difficoltà in mesi a colpi di Missioni Eroiche (e ho anche un adepto in tal senso, forse 2, visto che la Missione di Pericciuolo a Grosseto a settembre scorso era da considerarsi tale), di serietà ostentata e internamente patita, si vanifica non appena colui che sa di aver terreno facile arriva, e vince.
Lo stronzo deve essere ricercato, il principe ricerca.
Lo stronzo bombardato di messaggi se ne frega, e fa ciò che vuole, cosicché i momenti (pochi) vissuti insieme alla bella sono inevitabilmente magici.
Il principe rincorre, affronta Appennini, Alpi, marciapiedi di stazione (io li odio, ma qualcuno a me molto amico ci ha fatto qualche missione seria in stazione), vie romane in discesa sotto l'acqua, nebbie la mattina sull'A1. Lo stronzo arriva, colpisce e scappa, magari per settimane.
Lo stronzo viene terribilmente sopravvalutato. 
E allora la domanda che diviene ricorrente è quella del fratello acquisito: "...sì, ma come?...". Come si fa? Chi ha esperienza ci aiuta per cortesia?
Rimarrò comunque principe, mi sa. Un principe malconcio e bastonato, ma sempre tale...". 
Mi rileggo e rido. Rido di quella che è una verità e della nostra perseveranza, della felicità che arriva quando meno te lo aspetti. 
L'Ignara Spider Veloce, che non sa di tutte queste riflessioni, peraltro effettuate mentre eravamo entrambi a piedi, mi ha preso in un periodo in cui amo essere principe e in cui ho maturato l'idea che essere stronzi serve solo per pochi momenti.
I nodi arrivano al pettine, prima o poi. E due diventano compagni con le mani intrecciate, valutandosi e dandosi tutto senza diversità.
Non sono teorie, ma pratica da applicare.


mercoledì 17 luglio 2013

Giudicare

Superstrada Firenze-Siena, 110km/h. L'Ignara Spider Veloce, da questa velocità in poi, possiede una progressione inarrestabile, inesorabile, che la caratterizzava tanto tempo fa e la caratterizza ancora. E' veloce, velocissima, ma vuotissima in basso.
E' vuota anche di emozioni vissute, lei. Per lo meno con me. Di storie ne può raccontare pochissime, ma è tipica delle macchine nuove che ho. Se le guadagnano sul campo, come sempre.
Si riempirà, col tempo. E' quello che mi dico sempre. Col tempo le emozioni arrivano. Arrivano eccome, anche quando sali sul treno  e quello accumula ritardo dove non deve.
La Cassia se l'è fatta, l'Appennino non ancora. Tutte in modo Ignaro.
In modo Ignaro di quel che nasce, cresce e si sviluppa, lei procede tra le mani esperte del pilota.
Nella sua inarrestabile progressione sorpassa. Sempre.
Non lo sa, ma si mette dietro tante cose. Si mette dietro tante cose che il pilota dal suo sedile osserva.
Si mette dietro tante coppie finte che si credono vere, in cui uno rincorre l'altro.
Si mette dietro tante persone che ostentano il proprio amore sui social network, che altro non è che la paura di perdere l'altro, e la comodità che ne deriva.
Si mette dietro persone che predicano bene (adesso) e razzolavano totalmente al contrario.
Si mette dietro coloro che vivono attendendo un segno e sbagliano a non muoverso.
Si mette dietro persone che non ascoltano e che vorrebbero solo sentirsi dire che sono bravi, ma che non hanno mai fatto i conti con la sopravvalutazione oggettiva di chi non se lo merita.
Si mette dietro chi dà valore immenso ai piccoli gesti, quando non comprende  che i grandi gesti sono altri, e forse sono bilaterali.
Si mette dietro chi si suda ogni "goccia" dell'amore altrui e ne è contento.
Si mette dietro chi cerca capri espiatori per dirlo a se stesso prima che agli altri.
Si mette dietro, ad ogni livello, chi ancora non ha fatto i conti con se stesso. E chi non li ha ancora pagati, pur avendo la presunzione di averlo fatto e di non ascoltare.
Ma l'Ignara Spider Veloce non sa che porta dentro un pilota e un navigatore. Porta dentro chi sa che il cambio alla guida arriva e sa di poter cedere nelle proprie certezze.
Porta dentro chi sa che le cose nascono crescono e si sviluppano, nonostante le gomme forate in un posto e i treni che non arrivano mai. 
Porta dentro persone che hanno fatto i conti con loro stesse e che si trovano fortunatamente a dirsi "io ci sono" e non si pongono problemi di sorta.

Sembra di tagliare un traguardo con la testa altrove.
Chi ha corso sa a cosa mi riferisco.
Ma non è così. Al traguardo ci siamo pure arrivati. Vittoriosi. Insieme. Spontanei. Ma senza saperlo.
E senza la necessità di dire: "Torno tra un momento, cerco un argomento, recitare la mia parte". 
Che è quello che conta in effetti.  

lunedì 15 luglio 2013

Fermate


Sono arrivato.
Con un mal di collo bestiale, che si porta dietro il grappolone di dolori alla testa fortissimi. Colpa dell'aria condizionata che di questi tempi ci viene propinata in ogni ambiente, a partire da macchine/treni/autobus, per poi finire in ogni ristorante e locale pubblico.
L'aria condizionata mi uccide, e l'accendo di rado pure nella mia fidissima Ammiraglia.
Comunque ciò che conta è che sono arrivato.
Con l'umore di chi sa bene cosa vuole.
E l'umore di chi si è stufato di decenni di corse in salita, del dovermi sudare ogni "goccia" d'amore che mi veniva gentilmente concessa.
Comunque sono arrivato.
E non respiro più aria condizionata ma aria pura, quella che consente di distendere il collo, di non prendere la pasticca per il mal di testa, di cacciare quell'umoraccio che mi contraddistingue.
Sono arrivato, dunque.
Sensazione nuova, perché proprio non ho mai avuto quella pace che ho ora dentro di me. Non l'ho avuta in 32 anni, nonostante da ogni parte si tenti di negarlo e di non vederlo.
Sono arrivato.
E sarei arrivato con ogni mezzo. Pure con una due cavalli scarrettata (cosa che non avverrà mai, ché le macchine d'epoca belle sono potenti).
Perché ne vale la pena di viaggiare, anche in modo figurato oltre che reale, se la meta è quella giusta, quella che poi ti fornisce il sorriso al ritorno, quella che ti fa custodire nel cuore ogni preciso istante vissuto.
Sono arrivato dove sto bene. Sono arrivato dove, nonostante la stanchezza e qualche parola brutta di troppo che mi esce, mi sento di non dovermi muovere.
Sono arrivato dove non ho bisogno di tante parole.
Sono arrivato dove il silenzio non fa male e a tratti mi piace anche.

Sono arrivato dove la semplicità è di casa. Sono arrivato dove non ho bisogno di fare tante pantomime né di apparire, solo di essere quello pieno di difetti che inevitabilmente non andranno via.
Sono arrivato dove sono accettato per quello che sono.
Mi spiace per chi in 32 anni non c'ha capito un cavolo.
Sono arrivato. Punto.
Ed ogni arrivo è una ripartenza. Per migliorare sempre. Ma siamo veramente a buon punto.
La razionalità eccessiva ti porta da un punto A a un punto B. I sogni ti portano ovunque. 

giovedì 11 luglio 2013

Chasing


In amore vince chi fugge, tuona telefonando a chissà chi il ragazzo di 20 anni circa sul pullman accanto a me, verso il Tribunale. Dietro gli occhiali Ray Ban (che si sono moltiplicati come funghi, peraltro, di recente), accenno uno sguardo interrogativo che il mio compagno di viaggio, ignaro come la Spider Veloce recentemente acquistata sui fatti miei. Sembra non recepirlo: saranno le lenti scure che mi porto sempre dietro.
In amore vince chi fugge.  Posso dissentire, vero? Mi pare una favata colossale. Ne sono fuggite diverse di persone da me, e probabilmente hanno pure vinto.
Sono fuggito diverse volte, per carità.
Sono fuggito da me stesso principalmente e forse dalla mia insicurezza. Lasciando gente a piedi a metà del percorso quando nemmeno se lo meritava.
Ma in quei casi non so mai se ho vinto o perso. Credo più la seconda. Credo che abbiamo perso in due, credo di aver perso a fare muro, e a farmi pensare chissà cosa.
Non so, forse sono vecchio.
Ho maturato la concezione che in amore vince chi concretizza senza paura. Ne ho la sensazione, perché vedo tante coppie finte che stanno insieme solo per paura di star soli, tante persone che hanno paura di quel che dicono loro gli altri e non sanno pronunciarsi né imporre la propria volontà.
Mi sento diverso da queste persone. Mi sento diverso quantomeno nei pensieri e nelle elaborazioni di
Ho smesso di fuggire da mesi ormai, da quando mi preparavo a diventare l'Andrea del Duetto, con quel cambiamento ignorato da tanti, e alcuni nello specifico che l'avrebbero dovuto vedere.
Per converso, d'improvviso, in un periodo particolarmente piovoso, quando la Spider Veloce era un pensiero lontano e ancora doveva arrivare,  capitò che quel cambiamento fu visto. E apprezzato.
Alla fine, in questa vita c'è chi rincorre e viene rincorso. Alle volte si rincorre qualcosa o qualcuno, magari avendo a disposizione . Alle volte si viene rincorsi. Personalmente difetto in modo totale della conoscenza del secondo stato: non sono mai stato rincorso.
Mi sono sempre impegnato a rincorrere, in tutti i modi, modellandomi come non dovevo per le persone che avevo accanto, non anteponendo le mie esigenze né tantomeno . Ne conseguiva un notevole disagio,
Se l'amore fosse una scelta razionale, davvero non ci sarebbero dubbi. Si sceglierebbe la persona che ci fa star meglio in assoluto.
C'è chi va a finre tra le braccia di chi è peggio di coloro che rincorrono,  ed è anche una cosa piuttosto frequente.
Molto spesso si attuano metri di paragoni diversi tra persona e persona, sbagliando, pentendosi.
Forse troppo spesso rincorriamo le illusioni, in una apparente fuga.
Quello che posso dire è che nella mia modesta esperienza, le cose debbono venire naturali. E senza paura di soffrire, né degli altri.
La naturalezza senza limiti né vincoli vince, senza rincorrere. alcuno o alcuna che non se lo merità.
Naturale, diviene l'aggettivo da pronunciare con priorità assoluta.
E da vivere. 

martedì 9 luglio 2013

Last train home


La metro gialla si avvicinava regolarmente alla stazione nel profondo tunnel sotto Piazza del Duomo, poco più di venti minuti dopo la mezzanotte; c'erano le note dei Toto che risuonavano ancora nelle orecchie, con l'aria leggermente inumidita dalle poche gocce di pioggia che avevano imperlato e rinfrescato la serata. Sono riuscito a prenderla, quella corsa, probabilmente la penultima della giornata, nonostante la lunga attesa della rossa a Lotto, mentre uno "yeaaaaaah" scritto nell'etere accompagnava piacevolmente la salita su quell'ultimo treno verso casa della serata.

Poco più di un'ora prima ero ancora di fronte a quel palco da cui si propagava la solita serie incredibile di note e di canzoni che hanno fatto grande quella band che, seppur rimaneggiata in più parti nel tempo, unisce da trentacinque anni più e più generazioni di appassionati di Musica, quella vera, quella dei musicisti. Una scaletta che ha spazzato l'intera storia della band, dagli esordi del 1978 alla sempre carichissima e mai banale Falling In Between, ultimo sforzo creativo della metà dello scorso decennio.

L'ultimo treno... quanti ultimi treni sto prendendo, o perdendo, ora, in questi sempre meno giorni rimanenti di permanenza nella mia Milano, quella Milano che mi ha indubbiamente regalato impareggiabili emozioni e profondissime amicizie? Quante altre sorprese dovrò aspettarmi e quanti altri saluti dovrò fare?

Ho guardato a lungo il Duomo al tramonto, pochi giorni fa, aspettando due aprioristicamente improbabili amici di due diverse realtà che non si conoscevano; l'ho guardato, il Duomo, come simbolo di questa città che ha unito, uno dopo l'altro, i miei mondi separati; l'ho guardato con la nostalgia di chi lascia un luogo che ama per seguire una strada lunga ed in salita; l'ho riguardato, poche ore dopo, illuminato nella notte, al fianco di quegli stessi due amici che hanno compreso la mia nostalgia, sull'onda di azzardate similitudini cromatiche con le Dolomiti.

No, non sto scappando, ed è strano; è bello ma fa un po' male; è bello per la soddisfazione di aver costruito qualcosa; fa male per quelle tensioni che si accumulano e che vorrei provare a scaricare in lunghi e silenziosi abbracci e che invece restano, ancora, dentro.

Zahir


Non ho mai amato lo stile di Paulo Coelho. E' terribilmente "costruito" e tenta in ogni modo di sfruttare le proprie prerogative al consumo di massa. 
Quando un autore scrive, ci deve mettere del suo, e le parole devono essere intrise delle emozioni che lo stesso vive.
Anch'egli, tuttavia, qualche bella idea la tira fuori. Come Lo Zahir, suo romanzo del 2004 sul viaggio come percorso introspettivo. La moglie del protagonista sbaracca sparendo con chissà chi.
[Ironia ON] Lo stesso, invece di fare come le persone normali che si rassegnano all'idea di aver perso la moglie, andare da un Avvocato e fare le pratiche per la separazione, probabilmente perché è pieno di quattrini e non ha un cavolo da fare, spinto da quell'ossessione si fionda come un deficiente in giro per il mondo con tutti i mezzi possibili e immaginabili, arrivando da Parigi alle steppe dell'Asia, ritrovandola vestita non si sa da cosa, per di più incinta di non si sa che cavaliere di passaggio. Al posto suo l'avrei salutata e sarei montato sul primo volo intercontinentale contento di averla persa [Ironia OFF].
Si badi bene che quel romanzo mi è piaciuto, al di là dello stile troppo pomposo e terribilmente asettico di emozioni dell'autore. Il motivo sta nell'idea di seguire una ossessione che è lo Zahir. 
Wikipedia definisce lo Zahir come un pensiero fisso, da cui la mente non sa staccarsi. 
È la paura ossessiva per la perdita di una persona amata, il vuoto lasciato nel cuore della persona da un lutto improvviso, la spirale delle sensazioni, delle emozioni e del bagaglio dei ricordi che inevitabilmente le parole, i luoghi del vissuto comune e le esperienze condivise riportano ad ogni momento alla mente. Rievoca nell'individuo la sensazione di trovarsi in un vicolo cieco, di aver imboccato una strada senza uscita.
Lo Zahir si può risolvere solo con il raggiungimento della pace ritrovata in seguito alla ricongiunzione, ovvero, allo stato di quiete, dato dalla condizione di perenne consapevolezza di impossibilità di raggiungere il proprio fine, la soluzione del problema.
 
Lo ripeto: quando nel 2007 lessi per la prima volta quel libro mi piacque molto, non tanto lo stile, ma l'idea di andarsi a riprendere la persona amata che sbaracca (e forse un motivo ce l'aveva anche in effetti).
Ecco, il protagonista di quel libro è mosso da un misto di amore e di risentimento, e soprattutto di voglia di rivalsa contro se stesso, chiedendosi il perché se ne è andata
A 26 anni ero un giovane insicuro e ansioso, mosso dalla voglia di rovesciare le cose sulle persone, con alternativi impeti e stati di spavalderia. 
Su quel libro c'è una dedica stupenda e indimenticabile, per le sue parole. Il soggetto che me l'ha regalato è dimenticabilissimo e dimenticata.
Comunque il caro nostro protagonista, visto che non aveva appunto un cavolo da fare, parte. E fa questa Missione. E' pure bravo, la ritrova anche. 
All'epoca ammiravo quel fenomeno che partiva, credeva in un ideale e che si batteva per riprendersi l'amore della sua vita.
Ammirevole.
Così ho fatto mille volte, le famose Missioni per le quali l'Agip vicino casa e la Società Autostrade hanno ringraziato sentitamente il mio Conto Corrente. 
Ci credo e ci ho creduto nella Missione, ma il mio pensiero si è evoluto. sono dell'idea che vada fatta entro un certo termine. Decorsa tale scadenza, purtroppo, nessuna Missione rende recuperabile, o per lo meno non subito, il danno cagionato, se di danno si può parlare in effetti. 
A 32 anni si riesce facilmente a comprendere che, se qualcuno forma pregiudizi dentro di sé, puoi esser bravo quanto vuoi, puoi stare anni a dimostrare quello che sei diventato e come ti sei evoluto, non ce la farai mai. 
E non è rassegnazione, la derfinirei come un frutto dell'esperienza accumulata, chilometro dopo chilometro, lacrima dopo lacrima, sorriso dopo sorriso, speranza (vana) dopo speranza. .
Nel 2013 sono un po' meno ragazzo che nel 2007, ma soprattutto molto meno ansioso e ben più razionale. 
Non ho accantonato la componente emozionale nella vita a cui do priorità assoluta, ma forse oggi vengo sorretto dalla consapevolezza dei 32 anni, dalle esperienze di cui sopra.
Nel 2013 l'ho riletto quel libro. 
L'ho ritrovato intriso di sogni.C'ho rivisto l'Andrea della Mito, quello che nel 2013 è sparito.
La seconda volta si fa caso ai particolari che la prima non si vedono, quando si legge.
Alla seconda lettura, a sei anni di distanza e con un percorso alle spalle ben più lungo di quello del protagonista, so bene che quel viaggio è da non fare.
Semplicemente perché il protagonista ha perso tempo. Il termine di cui parlavo prima,  a mio parere, era già scaduto quando il protagonista è montato sul primo aereo. 
E allora quello che si impara da questo libro, nella prima lettura è quello di credere nell'amore e nelle ripartenze.
Alla seconda lettura si comprende che non si deve rincorrere questo fantasma all'infinito, ma trovare la pace dentro noi stessi. 
Ogni fermata è occasione di ripartenza. Ogni fine è occasione di un inizio, alle volte migliore. 
Non conta con chi o con cosa, conta ritrovare quello che siamo, e non nascondersi dietro maschere e spadaccinate varie contro i fantasmi. 
Tutto il resto viene naturale, le persone forse vincono i pregiudizi e si avvicinano col passare del tempo. 
Ne ho dimostrazione ogni giorno oggi.
Anche se, comunque, coltivare un pensiero è terribilmente emozionante e coinvolgente.

lunedì 8 luglio 2013

Le ragioni del tempo

Superstrada Siena-Bettolle, 110km/h. Notte fonda. Il telefono suona nelle casse ed interrompe un capolavoro della musica che è il concerto Frampton comes Alive. 
Interrompe le mie ritrovate velleità rocchettare, accantonate solo momentaneamente, ma rientrate con il massimo stile in questa vita. 
A partire da chi le ascolta senza protestare questa roba da trentenni
La telefonata interrompe anche il silenzio. Un silenzio in cui sto troppo bene, consapevole di ogni conseguenza, consapevole che a quest'ora ci vuole la musica e qualche messaggio dolce, chiarificatore, oppure di rottura.
Niente di tutto questo. 
L'Ammiraglia procede col suo fare imperturbabile, dotata di un preciso senso della traiettoria arricchito dall'esperienza dei miei trentadue anni, così come è avvenuto in tutto.
Col passare del tempo, le percorrenze diminuiscono, le traiettorie si fanno fini ed eleganti.
La telefonata di mera cortesia, ricevuta in modo estremamente gentile, chiude una splendida serata. Andrea avevi ragione, dice chi è all'altro lato del telefono. Chiudo. 
Frampton riparte con la sua chitarra a spingere la rossa e il pilota in direzione di Siena Firenze Grosseto. 
Chiaramente a Siena si gira verso Firenze.  Verso casa. 
Un tempo dicevo che ero a casa a Grosseto, figuratevi voi cari lettori. E la cenere ricopre quei fuoco effimero, di paglia. 
Pareva tutto ma era una piacevole ossessione, al sapore di gasolio (all'epoca), sudore, lacrime, sangue, contatti e altre cose che non sto a dire perché altrimenti scadrei nello scurrile.
Così la gente si illude, si lascia andare a chi non se lo merita. 
E matura pregiudizi.
Ecco, io li odio. Odio i pregiudizi.
Si fa presto a prendersi ragioni che non si hanno, nella vita. Si fa ancora prima a non ricordarsi delle cose belle e buone, perché è bello l'inizio ma è dopo che ci si scontra con la realtà. 
Si fa ancora prima a stare tranquilli come lo sono io adesso e in silenzio. 
La via è tracciata, come questa superstrada fatta di musica rock seria, di un colore nero persistente e di un profumo di asfalto troppo presente.
Non è la mia via, non lo è più. 
La mia via ora è quella dei fatti, del voler sconfiggere i pregiudizi che ancora affollano le menti quando non dovrebbero.
La mia vita deve correre nel vento, adesso.
E la felicità arriva solo se la si vuole dentro di noi. Esperienza accumulata.
Non so se il tempo mi darà ragione, ne sono del tutto convinto comunque.
Ogni parola è inutile adesso. La parola d'ordine è vivere.

sabato 6 luglio 2013

Trains (reprise)


Ho sempre amato i treni, sin da piccino. In uno scatolone ci sono stazioni, un abbozzo di plastico, una fila di locomotive che tirerebbe un parco per un piccolo Stato, tanti carri e carrozze specialmente italiani. 
Tante idee mai concluse in effetti.
Amavo una variopinta ferrovia, quella de beige-arancio-viola, del rosso vagone dei carri, dell'azzurro e blu dei Caimani e delle Tartarughe, dei Rapidi e degli sparuti Pendolini che iniziavano, nel loro colore biancorosso, ad effettuare treni di livello.
Amavo i merci con le locomotive marroni e lo sferragliare notturno all'impazzata la domenica dopo cena, dopo che la nonna mi aveva fatto le uova al pomodoro. 
Ero un bambino sopra la stazione di Campo di Marte, innamorato come pochi di quei movimenti, perso nel chiedermi perché la littorina per Borgo San Lorenzo passasse così spesso e fosse sempre così vuota.
Era la fine degli stupidissimi ma esaltanti anni ottanta, i miei nonni erano ancora vivi e innamorati come il primo giorno, la prima Alfa Romeo rossa con tanto di quadrifoglio verde era arrivata nei nostri garage con il suo zero a cento in nove secondi. 
Crebbi. Tutto questo finì e i treni finirono nello scatolone.
Nell'era dell'ETR 500 (ancora non si chiamava frecciarossa) l'avevo ripreso qualche treno per andare a farmi prendere per i fondelli.
Nonostante le mie dichiarazioni essenzialmente macchinare, qualche volta ho pure amato l'idea di andare col treno nei posti, per la piacevole sensazione di averla lasciata a casa, quella macchina rossa (indistintamente dal modello, tanto sono tutte di quel colore).

Nel mio umore altalenante, le mie macchine rosse le amo e le odio, paio Catullo. Amo accantonarle, vedere quei rossi relativi nel garage. Ho spostato il piacere del possesso dalla persona accanto alla vettura d'epoca. Mi pare un passetto avanti.

Tornando ai treni, quell'amore di lunga data, come quelli travagliati, non sopisce mai. Di norma.
Ma da quando correva l'anno 2012, 1 luglio, San Marziale, c'era la finale degli europei di calcio e soprattutto con l'America's Cup world Series in corso, sono rimasto inchiodato a Bologna, litigando come un deficiente con Trenitalia, prendendo insulti perché lui è un cliente premium e lo mettiamo dentro la Freccia che viene da Bolzano in prima classe, facendo lo spadaccino telefonico per la mia proverbiale cattiveria insultereccia, insomma, ho detto basta.
Alle volte, i grandi amori come quello mio per i treni, finiscono. Durati 31 anni e finiti per un cavolo di disagio e una serie di catastrofi che questo spadaccino ha dovuto subire.
Da quel momento, le mie fide macchine rosse mi hanno sempre portato a giro, solo saltuariamente tradite da qualche pullman a lunga percorrenza, da qualche autobus urbano, forse anche dal tram di Firenze.
Ma come nei grandi amori finiti, qualcosa rimane.
E' come quando uno incrocia l'ex moglie alla stazione, un vortice di sensazioni prende. Uno forse si sente pure tradito, ma la cosa bella è che una parte di me rimarrà sempre affascinata da quello sferragliare, dai ricordi che hanno preso forma su questo mezzo che dovrebbe costituire l'ossatura di un Paese.
Lasciatemi guardar fuori, allora, la prossima volta che ci salirò. E fatemi sperare ancora.

mercoledì 3 luglio 2013

Atomi e pregiudizi


Via Nova discendente, 70km/h. L'andatura della Spider Veloce, con le sue goffe movenze da vettura sportivissima dei tempi andati, inizia a prendere forma (cit. di ieri) tra le mani esperte (cit.del 2010 targata Maremma, 7 gomme forate a causa dei suoi accidenti) del pilota.
E' vuota in basso, incredibilmente cattiva in alto.
Le mie mani risultano essere esperte in tante cose, in tantissimi campi, senza scomodare le zone un po' osé che vanno tanto di moda di recente. 
Sono mani esperte nella tenuta del volante coi guanti, quelli da spiderista che tanto negli anni '90 mi piacevano e che nel 1999 mi comprai. 
E allora, prendiamo forma dai. Prendiamola nel curvone che scende e che in tanti ricordano, su cui l'Ammiraglia, prima del cambio gomme e delle HankookVentus V12 Evo (nome altisonante, ma ottime veramente, pure meglio delle Pzero Corsa),  scodava vistosamente e io mi sentivo il pilota di un tempo, quello che andava come le mine. 
Ma ora è diverso. 
La Mito non scoda più, non c'è verso. E' un'ammiraglietta sottosterzante. Veloce come al solito, anzi di più,  ma sottosterzante.
La Mito si fa l'autostrada. 
Questa vettura storica invece con le gomme norvegesi e la trazione posteriore fa dei traversi allucinanti. Non per mano mia, ancora inesperta in questo argomento. 
Il ritorno alle competizioni in zona vecchi è vicino. Pur sempre gare sono, e di un livello più elevato delle moderne. I piloti sono esperti, i navigatori di più. 
Eh già, ma io il navigatore che ho devo istruirlo. 
E allora prendiamo forma.  Prendiamo forma nella vita, come entità pilota-navigatore.
Come persone che si stanno accanto. Prendiamo forma, dai. 
Tra le prove che si affrontano nelle competizioni di regolarità ci sono numerosi cambi di direzione. 
Boh, vedremo.
Intanto io e te prendiamo forma.
Si parte. Piano. Ma il ritardo si accumula. Coda: 130 cavalli e non so quanti Nm di coppia sono fermi al nastro di partenza che girano al minimo, e io che tento di enfatizzare la partenza fissando la mia mano nell'atto di mettere dentro la prima marcia di questo cambio da veri uomini, da veri alfisti, che mi fa pure male alle mani, che chiede la terza spinta "di palmo".
Se ricomincio a correre, stavolta parto per vincere. Non c'è verso. Niente piazzamenti in classi inferiori.
Un tempo ci si accontentava del piazzamento, quello buono, dell'eroica rimonta e del divertimento.
Ora no, non mi accontento delle medaglie d'argento.
Mi spiace. In gara poi è esattamente come in amore.
Soprattutto in amore, ora che so cosa è l'oro. In gara non si vince tanto più facilmente.  Niente più argenti.
C'è chi lo fa, con tutto se stesso, si infatua dell'arte dell'accontentarsi e di una pia illusione, scambia oro per immondizia ed immondizia per oro (peraltro il sudicio produrrebbe anche energia, quindi....chissà cosa è meglio).

Non lo faccio più. Non mi accontento stavolta.
E poi arriva il momento in cui ti rendi conto che qualcosa è andato oltre, è cambiato.
Capita che passi per la Via Emilia SS9, dove c'è Vinicio e la concessionaria Motor, guardi i capannoni chiusi e ti rendi conto che il livello di discussione era rivolto in altissimo, sulla crisi economica, sulle cose serie.
Mi sono fatto quasi paura da solo, ci siamo fatti quasi paura da soli.
Mi sono sentito troppo grande, troppo a mio agio in queste zone serie, la mano intrecciata alla mia. 
L'amore fa paura. Quando arriva, anche di più. Quando se ne va, anche. 
Se ne va sospinto dai pregiudizi: E Einstein diceva che spezzare un pregiudizio è più difficile che spezzare l'atomo.
Certo è che vorrei essere in grado di sconfiggerli questi pregiudizi. Come fare? Non ho risposte. 
Eh già. Tutto si delinea. Il menefreghismo dissimulato dagli altri diventa amore, e la paura di lasciarsi andare sbaracca lentamente.


E tu dove vai adesso, pilota? Non so. O meglio lo so. Oltre.
Sai cosa, caro pilota? Ci sono momenti in cui le macchine avanti a te vanno oltre, e vanno lasciate andare. Tu fai la tua gara, pilota. Poi le riprendi senza esagerare, con naturalezza, quelle macchine scappate.
Non servono cose eclatanti, serve un passo condiviso nell'equipaggio.
Prima o poi quelle vetturette le riprendi, senza farti prendere dall'ansia, dall'idea che i primi stanno scappando anche se non se lo meritano e tu sei il migliore. 
No, i primi non scappano. Prima o poi sguazzeranno anche loro nel gruppone. Prima o poi. 



Eccomi qua, dismetto i panni del pilota professionista e mi rivesto da Avvocato e da persona che ha amato molto e che probabilmente ama ancora: vado a prendermi la mia medaglia d'oro. Semplicemente e naturalmente. In fondo, sono un Gentleman Driver. E pure felice.

martedì 2 luglio 2013

Happiness


La telefonata arriva rapida e inaspettata. E' Gianni, amico di sempre, uno dei quattro della foto della Sardegna che ha campeggiato per anni sul mio Fb, una vita vissuta tra Zurigo e New York, ora tornato a casa. 
Si fissa, come un tempo non lontano nei nostri cuori, ma che forse è decorso e ci ha fatto bene.
Dieciemezzo a casa tua.
Vai Boss a dopo. 
Salgo sull'Ammiraglia e mi faccio accompagnare dalla mia musica, ovvero il grande Peter Frampton, nei 3km tra casa mia e casa sua.
Come ai vecchi tempi. Mi sento rinato, non so come mai. I pensieri che di solito vanno dove non devono andare non partono nemmeno, fanno come i treni di Trenitalia, vengono soppressi perché nessuno, lassù in cima, ce li porta.
Non ci ero più abituato a tutti noi insieme così spesso, ma se ci si siete voi, amici miei, la vita è bella, bellissima.
Nel frattempo si parte, si esce, risiamo tutti noi come a 20 anni quando avevo mille pensieri inutili e ora, scevro di ogni ansia del tutto superflua cammino, verso i fuochi di San Marziale con Gianni Federico Matteo ecc.
Ho sofferto la solitudine, perché non c'erano loro. 
Ne ho patita molta ostentando una maschera orribile e inguardabile. 
Ho sofferto come un cane, rovesciando addosso a chi avevo accanto, anche ora, questo bisogno di socialtà che le circostanze della vita mi hanno negato fortemente, gli altri in grado di rifarsela quella vita, ma io povero disperato nella cittadina di campagna,  inchiodato a un palo e seduto su un divano in attesa di macinar chilometri il fine settimana per non star solo. 
Ecco uno dei miei limiti. Uno dei limiti dell'Andrea della Mito.
Che ora non esiste.  Più.
Ci ho messo molto a passare quella sottile linea tracciata con il gessetto, che mi impediva di essere me stesso.
Non rovescio più niente addosso a chi ho accanto. 
Non limito né mi limito. 
Anzi, probabilmente ho prospettive di avvicinare chi recalcitra, di costruire finalmente qualcosa con chi se lo meriterà. Basterebbe guardare davvero chi si ha davanti.
Non so quanto starete ancora nella Colle dove siete nati, ma finché ci sarete accanto a me, cari amici miei. 
Se devo fare un pronostico, so che non durerà molto, ma per ora me la godo.
Fuochi. Viaggio di ritorno di 3km come le persone normali. 
Bon Jovi a palla e un sorriso che non se ne vuole andare.
Eh sì: ora sono felice. Speriamo duri e che non sia una cosa relativa, ma sono certo che non finirà.
Non ora.

lunedì 1 luglio 2013

Ciò che è mio


"...Prendi quella cavolo di Spider rossa e vai a riprenderti quello che è tuo...", tuonò su Whatsapp un neo amico, ex rivale figurato, col cui fantasma avevo fatto a spadate per un bel periodo: a scanso di equivoci non avevo né vinto né perso, ma semplicemente non c'era competizione su questi piani. 
Era un suggerimento non richiesto, chiaramente, alla luce delle novità che pervadono il periodo attuale.
"...Non è un cavolo di Spider, ma una vettura storica serissima, che ne vuoi sapere te che ai tempi avevi una Atos gialla...", risposi io, nel tentativo di deviare il ragionamento da quella che doveva essere la via degli obblighi morali che avrei dovuto intraprendere (tratto Appenninico dell'A1 compreso, tanto per cambiare). 
Obblighi? Morali? Ma stiamo scherzando?
Non c'è niente a cui ottemperare.
E ricordo a coloro che mi incitano a fare sti blitz simpaticissimi (e ormai un tantino desueti) che di mio ho solo i beni intestati, parco macchine incluso.
E quelle non rompono gli zebedei. A parte le microperdite dal cambio, quelle sì ma non sono gravi.
Ma lascio perdere. Non ora, almeno.
Nelle casse dell'Ammiraglia, ancora più specialista nel suo snaturato compito di pesce fuor d'acqua, ovvero quello prendere la scia in autostrada, romba oggi Billie Jean di Michal Jackson.
Dovevo ripartire stamani e non l'ho fatto, in memoria delle alzatacce dei vecchi tempi.
Eppure qualcosa succede di imprevisto e si riparte prima di cena, si affronta l'Appennino con la forza delle vetture in rimonta a Le Mans, la solita che ci metto sempre.
Tu, pilota ed ex pestatore scoordinato di acceleratori, hai  lo sguardo fisso negli specchi retrovisori, tocchi la punta di 180 di cui nemmeno ti accorgi nel curvone più stretto della strada che ti riporta, come ogni volta, a casa, sulla quale maturi la convinzione che probabilmente ce la faresti a tenere quella velocità per tutta la strada se non ci fossero le altre fastidiose macchine a dare noia. Medie da Gran Premio di Monza (che ho la sensazione venga abolito nel 2014, tanto la 1000km di Endurance l'hanno già fatta fuori).
Sto scommettendo su qualcosa che dovrebbe venir fuori e lo fa a rilento. Prenderà velocità, ne sono certo.Non sono abituato alle accelerazioni lente, però. Sono abituato a buttarmi a fittone nelle cose belle, e tenere le briglie tirate non è da me.
E ora devo appellarmi alle mia capacità di contenimento di tutte le emozioni, che son troppo mieloso e pesantone. Grazie a tutti, Leo ed ex Leo, neo Lions, di avermi infilato in questo casino, sempre in mezzo all'autostrada.
Stavolta il New Jersey si è avvicinato sin troppo allo specchio sinistro della mia rossa titolare dei viaggi lunghi, regina indiscussa dell'Appennino.
Stavolta la sto rischiando terribilmente grossa. 
Mi sa che stiamo lottando per la stessa cosa: creare la convinzione che il passato è brutto, chiudere gli specchi retrovisori e dimenticare ogni bene.
E crearsi un futuro.
In questa lotta si prendono spadate, non figurate, vere. Ma le ferite si rimarginano.
Proseguo a testa alta, sempre.
Ma le cose nel cuore restano, qualunque siano le circostanze che ci sono intorno. Qui non lo si vuole capire o si fa finta di non comprenderlo. Bah. 
In fondo, sono l'Andrea del Duetto e non più l'Andrea della Mito.
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