martedì 9 luglio 2013

Zahir


Non ho mai amato lo stile di Paulo Coelho. E' terribilmente "costruito" e tenta in ogni modo di sfruttare le proprie prerogative al consumo di massa. 
Quando un autore scrive, ci deve mettere del suo, e le parole devono essere intrise delle emozioni che lo stesso vive.
Anch'egli, tuttavia, qualche bella idea la tira fuori. Come Lo Zahir, suo romanzo del 2004 sul viaggio come percorso introspettivo. La moglie del protagonista sbaracca sparendo con chissà chi.
[Ironia ON] Lo stesso, invece di fare come le persone normali che si rassegnano all'idea di aver perso la moglie, andare da un Avvocato e fare le pratiche per la separazione, probabilmente perché è pieno di quattrini e non ha un cavolo da fare, spinto da quell'ossessione si fionda come un deficiente in giro per il mondo con tutti i mezzi possibili e immaginabili, arrivando da Parigi alle steppe dell'Asia, ritrovandola vestita non si sa da cosa, per di più incinta di non si sa che cavaliere di passaggio. Al posto suo l'avrei salutata e sarei montato sul primo volo intercontinentale contento di averla persa [Ironia OFF].
Si badi bene che quel romanzo mi è piaciuto, al di là dello stile troppo pomposo e terribilmente asettico di emozioni dell'autore. Il motivo sta nell'idea di seguire una ossessione che è lo Zahir. 
Wikipedia definisce lo Zahir come un pensiero fisso, da cui la mente non sa staccarsi. 
È la paura ossessiva per la perdita di una persona amata, il vuoto lasciato nel cuore della persona da un lutto improvviso, la spirale delle sensazioni, delle emozioni e del bagaglio dei ricordi che inevitabilmente le parole, i luoghi del vissuto comune e le esperienze condivise riportano ad ogni momento alla mente. Rievoca nell'individuo la sensazione di trovarsi in un vicolo cieco, di aver imboccato una strada senza uscita.
Lo Zahir si può risolvere solo con il raggiungimento della pace ritrovata in seguito alla ricongiunzione, ovvero, allo stato di quiete, dato dalla condizione di perenne consapevolezza di impossibilità di raggiungere il proprio fine, la soluzione del problema.
 
Lo ripeto: quando nel 2007 lessi per la prima volta quel libro mi piacque molto, non tanto lo stile, ma l'idea di andarsi a riprendere la persona amata che sbaracca (e forse un motivo ce l'aveva anche in effetti).
Ecco, il protagonista di quel libro è mosso da un misto di amore e di risentimento, e soprattutto di voglia di rivalsa contro se stesso, chiedendosi il perché se ne è andata
A 26 anni ero un giovane insicuro e ansioso, mosso dalla voglia di rovesciare le cose sulle persone, con alternativi impeti e stati di spavalderia. 
Su quel libro c'è una dedica stupenda e indimenticabile, per le sue parole. Il soggetto che me l'ha regalato è dimenticabilissimo e dimenticata.
Comunque il caro nostro protagonista, visto che non aveva appunto un cavolo da fare, parte. E fa questa Missione. E' pure bravo, la ritrova anche. 
All'epoca ammiravo quel fenomeno che partiva, credeva in un ideale e che si batteva per riprendersi l'amore della sua vita.
Ammirevole.
Così ho fatto mille volte, le famose Missioni per le quali l'Agip vicino casa e la Società Autostrade hanno ringraziato sentitamente il mio Conto Corrente. 
Ci credo e ci ho creduto nella Missione, ma il mio pensiero si è evoluto. sono dell'idea che vada fatta entro un certo termine. Decorsa tale scadenza, purtroppo, nessuna Missione rende recuperabile, o per lo meno non subito, il danno cagionato, se di danno si può parlare in effetti. 
A 32 anni si riesce facilmente a comprendere che, se qualcuno forma pregiudizi dentro di sé, puoi esser bravo quanto vuoi, puoi stare anni a dimostrare quello che sei diventato e come ti sei evoluto, non ce la farai mai. 
E non è rassegnazione, la derfinirei come un frutto dell'esperienza accumulata, chilometro dopo chilometro, lacrima dopo lacrima, sorriso dopo sorriso, speranza (vana) dopo speranza. .
Nel 2013 sono un po' meno ragazzo che nel 2007, ma soprattutto molto meno ansioso e ben più razionale. 
Non ho accantonato la componente emozionale nella vita a cui do priorità assoluta, ma forse oggi vengo sorretto dalla consapevolezza dei 32 anni, dalle esperienze di cui sopra.
Nel 2013 l'ho riletto quel libro. 
L'ho ritrovato intriso di sogni.C'ho rivisto l'Andrea della Mito, quello che nel 2013 è sparito.
La seconda volta si fa caso ai particolari che la prima non si vedono, quando si legge.
Alla seconda lettura, a sei anni di distanza e con un percorso alle spalle ben più lungo di quello del protagonista, so bene che quel viaggio è da non fare.
Semplicemente perché il protagonista ha perso tempo. Il termine di cui parlavo prima,  a mio parere, era già scaduto quando il protagonista è montato sul primo aereo. 
E allora quello che si impara da questo libro, nella prima lettura è quello di credere nell'amore e nelle ripartenze.
Alla seconda lettura si comprende che non si deve rincorrere questo fantasma all'infinito, ma trovare la pace dentro noi stessi. 
Ogni fermata è occasione di ripartenza. Ogni fine è occasione di un inizio, alle volte migliore. 
Non conta con chi o con cosa, conta ritrovare quello che siamo, e non nascondersi dietro maschere e spadaccinate varie contro i fantasmi. 
Tutto il resto viene naturale, le persone forse vincono i pregiudizi e si avvicinano col passare del tempo. 
Ne ho dimostrazione ogni giorno oggi.
Anche se, comunque, coltivare un pensiero è terribilmente emozionante e coinvolgente.

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