lunedì 22 febbraio 2021

Avere ragione e non farsene di nulla




Superstrada Firenze Siena, 120km/h costanti, grazie al Cruise Control. Un tempo non amavo le macchine tecnologiche, ma da quando la mia mamma mi contestava di guidare scostante, il cruise control mi ha dato nuova linfa, per dire, barando: "sono maturato". In realtà se non lo metto vado a scatti, direi più a fiammate.

In ogni caso, il febbraio del secondo anno pandemico mi porta a ragionare, ancora una volta.
Dopo la donna della mia vita, ho trovato una donna eccezionale, viva, interessante, sorridente, colta, disponibile e vicina. L’Enterprise, col suo silenzio imperturbabile, mi ricorda che devo fare teutonicamente quello che devo. Gli occhi di Virginia alla mia destra mi guardano come se fossi un oggetto strano, ancora legato al passato. Lei non lo sa, ma potrebbe abbracciarmi, sparigliare le carte dei 40 anni precedenti, ed indicarmi la strada. Non lo sa, ma forse è meglio così. Sarebbe lei l’unica persona in grado di dirmi che il mio futuro è altro, che la Maserati che guido ora non va bene.

Autostrada A1, 135 km/h. Dovevo telefonare e lo feci. Lui era l'ultima spiaggia per me. Ero solo in macchina e in quel momento tornavo da Firenze. Il vivavoce dell’Enterprise fece irrompere la voce di Benedetto nella mia macchina. “Ciao Collega”. Lui era il Collega di studio della donna della mia vita.  Avevo bisogno che mi facessero un pignoramento e sarebbero stati disponibili. La conversazione poi si spostò sul personale: era un aspetto non richiesto al Collega di Studio della donna della mia vita. Mi chiusi a riccio, ma lui mi disse: "Muoviti".

Appresi informazioni che non avrei mai voluto sentire. Lei era stata male, ecc....tutte informazioni del cavolo. No, non mi sarei mosso. O forse sì. O forse no. O forse non lo so.
La paura di dire le cose è sempre stata la sua sfortuna, la mamma e il lutto la stessa cosa.
Certe cose che sono venuto a sapere dopo mi hanno fatto arrabbiare, però te le perdonerei. Ti perdonerei tutto e accetterei qualunque verità. Ma tu non chiami.

AVEVO RAGIONE.

L'Enterprise viaggia, silenziosa come sempre. E' il suo lavoro, lo fa bene, benissimo.
Solo che ora il contachilometri segna 200km/h. Il mio piede è andato giù, nemmeno di tanto.
Tu non mi cerchi, e io sto prendendo un'altra via, col collo girato dall'altra parte, anche se chi c'è accanto nemmeno se ne accorge.
Ma tu non mi hai mai amato? Oppure mi ami ancora?
Virginia è la mia comfort zone. Verrebbe da me e disapproverebbe. Mi abbraccerebbe, mi bacerebbe forse se non fossimo bloccati dalle rispettive posizioni, e forse mi direbbe che sono uno stupido.
Ma tu, Avvocato elbano pieno di problemi, ma con una pelle fantastica e una sintonia nel parlare non comune, dove sei?
Ho scoperto ora, riesaminando tutto, che sei fragile. Troppo fragile. Ho scoperto ora che ero quello giusto per darti sicurezza.
E non ci sono riuscito.
Avevo comunque ragione.
Sono stato uno stupido. Ma non avrò mai la possibilità di fartelo capire.
Anche in questo avevo ragione.
Adesso, ci vorrebbe Virginia a sparigliare le carte, come fa lei con me sempre, con i suoi occhi nocciola, che ha la capacità di tranquillizzarmi e di farmi sentire me stesso come nessuno.
Ma devo camminare da solo. E forse lo farò.


mercoledì 17 febbraio 2021

Mano nella mano



Strada Comunale delle Lellere, 100 km/h.  Sabato sera, ore 20:30.
L’Enterprise è in modalità  Sport, con il cambio in modalità manuale. Queste impostazioni la rendono una bestia feroce che risponde subito a tutti i comandi, che ti fa sentire pure la rughetta microscopica dell’asfalto. Non è  più la comoda passista autostradale su cui io e Virginia andiamo in Tribunale o dai clienti, ma si è trasformata in Mr. Hyde, ovvero un oggetto velocissimo e brutale. Per una volta, fatemi giocare.

Comunque, sono uscito in ritardo bestiale dalla curva che immette sul rettilineo in salita e, nonostante la neve in terra, ho corretto la traiettoria dell’Enterprise, che altrimenti sarebbe finita su una fila di birilli posti nel mezzo della carreggiata, a proteggere il distributore di benzina posto alla mia destra. Sorrido, e penso che per me queste manovre siano ordinaria amministrazione: d’altronde, prima che Avvocato e imprenditore, sono sempre stato un pilota. Negli altoparlanti della mia astronave suona True Faith dei New Order, perché mi professo rocchettaro però adoro sempre più le canzoni del cavolo anni '80, con il loro ritmo sincopato e spensierato. Il periodo è così, e va così. Merita comunque cavalcare l’onda di tutto questo momento.

In un’ora tutto si è consumato.
Mi hai chiamato, con lo scetticismo che ti contraddistingue quando si tratta di chiedere aiuto, e di chi cancella il messaggio su whatsapp e che invece non avresti dovuto fare. Non lo fare più di farti problemi.
Mi hai chiamato e sono corso, con una bottiglia alla mano, che non fa mai male. Ti ho abbracciata. E il dolore è forse passato, anzi, si è convertito in rabbia. Hai santa ragione ad arrabbiarti.
I pianti non devono mai essere giudicati, solo capiti e smorzati. 

Ed eccomi qua, la mia mano nella tua mano. È una sensazione strana, un po’ come Dottor Jekyll e Mr. Hyde. Capo severo durante la settimana, nel fine settimana qualcosa di strano ma bello. E non voglio niente di diverso. Voglio continuare ad essere questo oggetto strano ma bello senza definizione, indefinito ed indefinibile. 

La tua mano è  nella mia anche il giorno dopo, che è un po’ come premere il tasto Sport dell’Enterprise, quando nel mondo siamo circondati da fave che si vestono da acchiappafantasmi e sembriamo nettamente superiori con uno sguardo. 

Da lunedì si rientra in modalità “Comfort”, ed è giusto e doveroso. 

Mi sono domandato molto spesso perché noi, che passiamo la giornata insieme, siamo così flessibili nei nostri modi di pensare e di vivere le cose. Alle volte penso che siamo due illuminati che sanno scindere gli ambiti, come le navi hanno i loro compartimenti stagni e non affondano. 

Altre volte penso che non ci sia niente di sbagliato ad essere amici/Colleghi/sostanzialmente complici in tantissime cose. Altre volte invece credo che nessuno di noi sbagli a esserci così, brutalmente l’uno per l’altra e l’una per l’altro. 

E non importa se la gente e gli altri non capiscono, e nel loro essere riduttivi e ridotti vivono di bianchi e di neri, senza assaporare tutti i grigi presenti nelle nostre vite. Il più bel grigio, cari amici che vivete di certezze, stereotipi, cose scontate, ve lo perdete e non sapete nemmeno com’è. Il grigio è per pochi fortunati. 

Non dirò mai che c’è qualcosa di sbagliato. La mia mano nella tua non lo è.

Noi siamo il verso di Rumi: “Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò  laggiù”.


lunedì 15 febbraio 2021

Dove non arrivano le rondini


Victoria Harbour, 09:20, Star Ferry (non so quale dei traghetti di preciso).

Un cielo insolitamente (per la stagione) grigio fa da sfondo alla commute mattutina (perché non c'è un'unica parola italiana con cui tradurre "commute"?). La musica è a medio volume, come sempre, cercando di non danneggiare l'udito ma pur sempre di sentire tutte le sfumature che le Sennheiser IE400 fanno emergere dalla musica raccolta negli anni e quasi mai più aggiornata.

Un giorno qualsiasi in cui ho sentito di non essere particolarmente in ritardo e allora ho continuato a bordo del rosso Dennis Enviro 500 KMB fino al ferry invece di scendere prima e prendere la metro come spesso faccio. Perché in fondo mi sento quasi sempre in ritardo.

Ma un po' alla volta il ritardo diventa altro, e non sai più veramente perché io mi senta in ritardo (a parte quando mi mettono una riunione alle 10); in ritardo su cosa? In ritardo verso che obiettivi?

Mancano gli obiettivi, manca la prospettiva, manca uno scopo.

Più e più volte negli ultimi mesi mi sono trovato a tu per tu con la sensazione di non avere più nulla per cui vivere, nulla da raggiungere; e la parte peggiore è che ho continuato a nascondere questo malessere, indossando ogni giorno una maschera sempre più spessa ed elaborata facendo finta che tutto vada bene; quando poco o nulla va veramente bene dentro.

Non ci sono più strade, non ci sono più curve, non ci sono più rettilinei.

Non sono più alla guida, ma assisto inerme, passeggero, ad una rocambolesca discesa, che non sembra mai finire; la sensazione è quella di essere sempre nella traiettoria sbagliata, rischiando di finire fuori ad ogni curva; e non c'è nulla che io possa fare, non ho il controllo del veicolo e non ho la forza di assumerlo.

Ho pensato più volte di rimuovere la costante principale, aprire la portiera, buttarmi giù e lasciare che la macchina si schianti finalmente ponendo fine a tutti i problemi; ma non so mai se sia la codardia oppure un barlume di speranza di riuscire un giorno a riprendere il controllo a tenermi lì, aggrappato, trattenendo le urla ad ogni tornante.

Il pilota è sceso un po' di tempo fa, si è seduto a bordo strada e guarda il vuoto.

Non ci sono più oceani, più tramonti; solo un gran rimorso; e la paura.

Paura che il sole un giorno non sorga più per lui.

sabato 13 febbraio 2021

Maserati Gransport e Panda battuta



Strada Statale 68, 100km/h. Il motore V8 Ferrari della Maserati Gransport Spyder del 2006 urla, tenuto a bada dai pochi controlli elettronici, e arriva squarciando il silenzio fino a 8000 giri. 

Come una donna che si lascia andare, non chiederebbe altro che “ancora”, finché il cambio robotizzato smorza l’urlo che quasi immediatamente riprende vigoroso. Si arriva a velocità altissime senza saperlo. Questa Maserati me la fanno provare, ma non la prenderò. Ho altri investimenti, altre spese da fare.

I suoi lati migliori non sono quelli che leggi nella scheda tecnica: non è il motore, che con 400cv è una bestia assoluta ma allo stesso tempo è guidabile: non è la linea senza tempo, no. Sono stupendi entrambi e di sicura rivalutazione nel tempo. Il bello di questa supercar è la comodità, che si concilia allo stesso tempo con le meravigliose prestazioni. Ecco, questa è l’essenza della Maserati, del vero Granturismo, il poter prendere la tua ragazza ed andare con stile e godimento sportivo in un Grand Hotel a Gardone Riviera e girare aperti, ma allo stesso tempo galoppare trionfalmente sui tornanti di Volterra.

Rettilineo prima di Castel San Gimignano: una Pandina si pianta davanti, ma basta dare un minimo di gas alla seconda e l’utilitaria sparisce negli specchietti, dietro le sinuosità della strada. Rimane giusto il tempo per me, pilota concentrato, di notare la botta che ha davanti. Pace, passerà. Non riesco, nemmeno nelle curve successive, a staccare gli occhi dagli specchietti retrovisori, che inquadrano quella Panda.

Ok, pare una prova di Quattroruote, ma non lo è.

Ho accanto una persona che mi dà tanto quanto la leggendaria Maserati Gransport Spyder. E allora perché, se la Panda mi aprisse lo sportello, ci salirei? Perché preferirei arrabbiarmi su una Panda che godere su una Maserati? Non sto più parlando di auto. Perché vorrei davvero che la Panda oggi mi aprisse lo sportello, mi promettesse ancora di andare più della Maserati e non lo mantenesse, per un attimo? Perché continuo a non volere realmente la Maserati, anche se con qualche anno di più della Panda, che potrebbe darmi tutto, e invece vorrei soffrire, come tutti i comuni mortali, sulla Panda? 

Sono strano, forse, a vivere in perenne attesa di un segnale che, forse, non arriverà mai, ma di cui mi ostino a pensare che sia fermo per fattori esterni alla mia volontà.

Vorrei davvero avere la forza di dare tutto l’acceleratore a questa Maserati. Non ce la faccio, adesso, nonostante la Maserati non chieda altro che di correre veloce su tutte le strade che conosco. E la Maserati la baratterei ancora una volta con la Panda.

mercoledì 10 febbraio 2021

Ritorni immaginati



E’ passato molto tempo da quando il mio sguardo e quello di quella che definivo, a torto o ragione, la donna della mia vita, non si sono più incrociati.

Entrambi siamo andati avanti, come è  giusto che sia. Personalmente, ho trovato chi, nella sua semplicità, tranquillità, cultura, bellezza e chi più ne ha più ne metta, mi fa sentire bene. È amore questo? Sì, lo è. Non ce lo vogliamo dire, ma almeno una forma di amore, indefinita, lo è. 

Tuttavia, la sensazione di incompiuto, di intentato, di non terminato, di qualcosa che è ancora lì a premere contro le pareti del mio vuoto cranio, non se ne va. Non se ne vanno le navi che abbiamo preso, non se ne vanno i gesti, i sogni, le promesse non mantenute, le litigate, i “dobbiamo parlare” che finivano in baci fortissimi, gli abbracci la notte, i piedi sotto il letto, le urla e forse anche i momenti piacevoli passati. 

E allora mi piace immaginare che lei torni, una mattina, senza preavviso come ha sempre fatto, qui da me. Immagino la sua lunga, lunghissima riflessione, i suoi occhi mentre fa l’amore con un’altra persona, puntati verso quello che eravamo, ovvero qualcosa di profondamente sbagliato ma allo stesso tempo anche giusto, perché l’amore non è mai e dico mai un errore. Immagino tutto, momento per momento, e non oso chiedere. 

Il campanello suona, e tu rispondi col tuo nome. La voce familiare, sin troppo, senza la quale avevo per mesi vissuto, rimbomba nel citofono, ma pare ieri l’ultimo giorno in cui l’avevo sentita. Mi guardo pensando che sia la collega di studio che è omonima e no, è nella sua stanza.

Mi giro, guardo Virginia, mia supporter principale e compagna di avventure che non possiamo raccontare, custode dei miei peggiori segreti: come tutti i miei tifosi da stadio nella Stazione, disapprova adesso, avendo approvato prima. Tutti disapprovano. Anche io, alle volte. 

Disapprovo il fatto di gettare in un secchio chi mi ama, anche se da poco, in modo vero e genuino. Disapprovo perché so che tra tre o quattro mesi saremo ancora a piangere, perché siamo forse incompatibili, oppure lo siamo troppo.

Disapprovo perché ti conosco, e so che i muri che il tuo ambiente tira su non sono sormontabili. C’è il mare, la nave, il lavoro, e la scusa dell’iscrizione a medicina e di essere presi a Siena è sfumata, e non puoi più dire a nessuno, nemmeno a te stessa, che vuoi stare qui. Disapprovo perché tu alle volte mi fai paura. 

Ma ti amo.

E allora getto tutto davanti, scendo le scale velocissimo. L’ingresso della stazione diventa teatro di un lunghissimo abbraccio, e la panca del 1885, che ha visto tanta gente seduta in attesa del treno e delle proprie amate, è l’unica spettatrice di quello che avviene. Lacrime nei miei due occhi. Lacrime nei tuoi due. Ora ho un grosso problema da affrontare. Anzi, ne abbiamo due. Saremo in grado di dire tutto e ripartire? Non lo so. 

La risposta del mio ego razionale sarebbe: no, non ora, ma solo se facessimo dei percorsi mirati sarebbe possibile. Oggi, no. È stata dura, in effetti.  Avrei voluto pensare che sia stata dura anche per te.

Tutto questo forse non avverrà o forse sì. Forse avrò la forza di contrastare questo ritorno pieno di amore e di genuinità, che probabilmente io e te ci stiamo costruendo nuovamente. Forse cederò come il peggiore miserabile, contro tutto e contro tutti, come fatto 10 anni fa. 

Forse cederò e abbandonerò chi non se lo merita per niente. Fatto sta che, alle volte, sarebbe bello un semplicissimo ritorno ai normali rapporti con chi ti ha dato tanto e ha ricevuto tanto da te.

Sogno? No, forse realtà. 

La morale è che troppo spesso ci facciamo fagocitare da stereotipi, dal contorno, e rinunciamo a quello che proviamo in nome di “immagini da tenere con noi stessi”.

Guardo avanti, ma a tratti guardo indietro. E questo non può che fare, ancora, molto male. 

lunedì 8 febbraio 2021

Ode a Virginia


Superstrada Firenze-Siena, 120km/h. L’Enterprise va forte col suo equipaggio classico, quello naturale. In effetti, sei arrivata quando l’Enterprise era nuova, quando avevo già fatto casino dall’altra parte del mare.

C’eri nei momenti peggiori, quando tutti gli altri fuggivano. C’eri nelle


drammatiche domeniche di dicembre, quando la nave affondava. C’eri quando qualcuno mi amava ad intermittenza, ma non vedevo che era una finta. C’eri quando dovevo dire a me stesso che era finito tutto e che dovevamo ripartire. C’eri quando in nave, dopo aver ribollito, ti ho detto: “Abbiamo fatto una cazzata” e tu, con l’innocenza dei 25 anni hai risposto al tuo capo “La stronzata l’hai fatta te”. Niente di più vero.

C’eri, con il tuo silenzio e, alle volte, con le tue battute, e questo mi bastava. 

La nostra nave ammiraglia viaggia, tranquilla, mentre Kim Wilde canta con la sua voce ultratrentennale “Hey Mister Heartache”, che appartiene ad un mio passato lontano, alle volte anche troppo presente. Sei arrivata ed ho insistito perché tu tornassi: credo in te, ma non te lo dico, perché lo dovresti scoprire da sola. In questo periodo di “forzata convivenza” ho imparato a conoscerti, perché in tante cose io e te siamo uguali e compatibili. I sentimenti di ogni natura sono la nostra forza, ma soprattutto abbiamo entrambi la brutta, bruttissima abitudine di tenere tutto dentro. Ricerchiamo la reciproca approvazione, perché nei nostri cuori sappiamo entrambi che, alle volte, le regole non sono ben definite, e che nel cuore, sin troppe volte, le cose non finiscono mai.

Ho lanciato sin troppe volte la mia mano destra in cerca della tua, poi sin troppo spesso ritirata pensando “Chissà cosa pensa”. 

Tu sei qui, e io sono tranquillo. Tu sei qui, e io sono felice perché non sono solo. Io sono qui e sai che qualcuno è con te. Ti lancerò nel mondo che meriti, che ti piace, e lo farò nella maniera più minuziosa.

Ho imparato che mandi giù sin troppe cose, che alle volte pretendi troppo da te stessa, che non hai un momento in cui ti siedi, piangi e riparti. Dovresti averlo, dovresti fidarti, dovresti alle volte lasciarti un attimo andare con chi non giudica niente e nessuno.

Dovrei farlo anche io. Se lo fai tu lo farò anche io.

Sarai accanto a me quando arriverà il “secondo round” dall’Isola d’Elba? Sarai accanto a me quando metterò le scelte sbagliate avanti a quelle giuste? Sarai accanto a me quando tutto sembrerà perduto ancora una volta, quando il secondo round finirà e avrò abbandonato la Maserati che sapevo guidare in favore della Panda? 

Ti prego, dimmi di sì. 

Senza te, in effetti, sarei perduto. E non professionalmente. Sarei perduto, punto.

domenica 7 febbraio 2021

Rifugi


Bretella A11-A12, 135km/h. L'Enterprise si arrampica senza la minima fatica silenzionsissima in salita, nella fila del rientro di una baracca di fiorentini che tornano a casa dopo la domenica passata in Versilia. Tra le "strade della mia vita", questa è la prima che ricordo, da bambinetto, trasportato dai miei genitori, allora molto più giovani di me adesso, sulla Rover SD1 2400 Turbodiesel


blu metallizzato in direzione Forte dei Marmi, verso la casa che avevamo all'epoca là.
Poi siamo passati all'Elba dal 1990, ma questa è cronaca.
Ricordo distintamente tante canzoni in quel periodo, le compilation Freeway di 105, "You Came" di Kim Wilde e "Out of the Blue" Di Debbie Gibson.
Sono passati più di 33 anni.
Tra qualche mese ne avrò 40, molti di più dei miei genitori quando mi portavano al Forte. Rabbrividisco al solo pensiero.
Adesso nell'Enterprise suonano i Killers, che urlano "Shot at the Night", che sembrano scandire una cavalcata trionfale, e la mia vecchia casa è ridotta ad un cantiere abbandonato. Ci siamo andati in mattinata, e abbiamo trovato questo stato brutto e pietoso.
A destra il tramonto del ritorno non è cambiato: si staglia prepotente attraverso il guard rail, si riflette sul lago di Massaciuccoli con la forza bruta di un elefante che abbatte gli alberi nella Savana.
Si vede addirittura l'isola di Gorgona, con la sua forma a parentesi graffa, a ricordarci che l'Arcipelago Toscano che un tempo avevo amato molto è ancora lì, a farsi vedere e a dire "io ci sono".
Accanto a me c'è una vecchia amica, con cui abbiamo diviso una giornata stupenda. Siamo entrambi gravemente feriti, in effetti. Non tanto dalle recenti separazioni di entrambi, quanto dagli atteggiamenti delle persone che avevamo accanto.
Poco importa, per me è tutto passato. Dopo la Missione tutto è svanito, come se avessi messo un paio di occhiali nuovi, di cui avrei peraltro bisogno.

O meglio, a tratti qualcuno mi bussa e la notte non dormo. Chissà come la passi questa domenica.

Noi, feriti, parliamo la stessa lingua, veniamo dagli stessi luoghi e forse dagli stessi percorsi. Veniamo dagli stessi errori, dalla stessa voglia di normalità, dalla stessa, stupenda, idea che vogliamo qualcosa di normale, in effetti. 
Tutti hanno bisogno di un rifugio, per un attimo. Lo sappiamo bene e ne abbiamo diritto. Siamo perfetti sulla carta, "teste occupate" a parte. Non ce lo vogliamo dire, ma ci siamo insegnati qualcosa in questi anni.
Ci siamo insegnati reciprocamente che quello che conta è nel cuore, non nell'abitudine, e l'abbiamo messo in pratica, con tempi diversi.  

Alla nostra destra il sole cala, mentre ci allontaniamo sempre più da quello che volevamo, in effetti. Ma noi, qui e ora, abbiamo bisogno di questo, di una persona che senza “se” e senza “ma” ci porti fuori da questo periodo della nostra vita, di quel “passante distratto” che diceva Ilaria 10 anni fa, che ti accompagna verso un’evoluzione della tua vita. Ecco, saremo forse questo l’uno per l’altro.

Ogni tanto, anche se non ce lo diciamo, sia io che lei, ci giriamo dall’altra parte, ci troviamo qualcosa che fa male, ci rivestiamo del sorriso, e ci guardiamo come a dirsi “tutto è passato”. Non importa, tutti hanno bisogno di un rifugio, che serve ad andare avanti. 

Autostrada A11, 140km/h. Mi tolgo gli occhiali modello Carrera Grand Prix del 1977. Erano di mio padre e a me piacciono da morire, con una luce meravigliosa. Tutti mi dicono che sono terribili, ma a me piacciono da impazzire, perché, semplicemente, mi avvolgono. Avevo detto che li avrei messi solo in occasione di gare di auto storiche, per sembrare adeguato. Mentivo: ora li metto tutti i giorni. Così devo fare: non avere più paura degli altri e del loro giudizio.

Non so che faccia farò quando ti incrocerò la prossima volta in Tribunale.

Ma ora non ci voglio pensare, e dal suo sguardo si vede che nemmeno lei vuole farlo con gli affari suoi. Per oggi, e forse per domani, meglio continuare a girarsi dall’altra parte e dirsi che, alla soglia dei nostri 40 anni siamo ancora in grado di piacere a qualcuno totalmente, seppur in modo momentaneo ed effimero, o forse.....chissà.

Colle. Casa. Il Telepass ha funzionato. I baci hanno fatto lo stesso. Almeno per oggi. 

Non so per quanto e per come, ma almeno c'è ancora speranza, in questo Mondo.

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