mercoledì 10 febbraio 2021

Ritorni immaginati



E’ passato molto tempo da quando il mio sguardo e quello di quella che definivo, a torto o ragione, la donna della mia vita, non si sono più incrociati.

Entrambi siamo andati avanti, come è  giusto che sia. Personalmente, ho trovato chi, nella sua semplicità, tranquillità, cultura, bellezza e chi più ne ha più ne metta, mi fa sentire bene. È amore questo? Sì, lo è. Non ce lo vogliamo dire, ma almeno una forma di amore, indefinita, lo è. 

Tuttavia, la sensazione di incompiuto, di intentato, di non terminato, di qualcosa che è ancora lì a premere contro le pareti del mio vuoto cranio, non se ne va. Non se ne vanno le navi che abbiamo preso, non se ne vanno i gesti, i sogni, le promesse non mantenute, le litigate, i “dobbiamo parlare” che finivano in baci fortissimi, gli abbracci la notte, i piedi sotto il letto, le urla e forse anche i momenti piacevoli passati. 

E allora mi piace immaginare che lei torni, una mattina, senza preavviso come ha sempre fatto, qui da me. Immagino la sua lunga, lunghissima riflessione, i suoi occhi mentre fa l’amore con un’altra persona, puntati verso quello che eravamo, ovvero qualcosa di profondamente sbagliato ma allo stesso tempo anche giusto, perché l’amore non è mai e dico mai un errore. Immagino tutto, momento per momento, e non oso chiedere. 

Il campanello suona, e tu rispondi col tuo nome. La voce familiare, sin troppo, senza la quale avevo per mesi vissuto, rimbomba nel citofono, ma pare ieri l’ultimo giorno in cui l’avevo sentita. Mi guardo pensando che sia la collega di studio che è omonima e no, è nella sua stanza.

Mi giro, guardo Virginia, mia supporter principale e compagna di avventure che non possiamo raccontare, custode dei miei peggiori segreti: come tutti i miei tifosi da stadio nella Stazione, disapprova adesso, avendo approvato prima. Tutti disapprovano. Anche io, alle volte. 

Disapprovo il fatto di gettare in un secchio chi mi ama, anche se da poco, in modo vero e genuino. Disapprovo perché so che tra tre o quattro mesi saremo ancora a piangere, perché siamo forse incompatibili, oppure lo siamo troppo.

Disapprovo perché ti conosco, e so che i muri che il tuo ambiente tira su non sono sormontabili. C’è il mare, la nave, il lavoro, e la scusa dell’iscrizione a medicina e di essere presi a Siena è sfumata, e non puoi più dire a nessuno, nemmeno a te stessa, che vuoi stare qui. Disapprovo perché tu alle volte mi fai paura. 

Ma ti amo.

E allora getto tutto davanti, scendo le scale velocissimo. L’ingresso della stazione diventa teatro di un lunghissimo abbraccio, e la panca del 1885, che ha visto tanta gente seduta in attesa del treno e delle proprie amate, è l’unica spettatrice di quello che avviene. Lacrime nei miei due occhi. Lacrime nei tuoi due. Ora ho un grosso problema da affrontare. Anzi, ne abbiamo due. Saremo in grado di dire tutto e ripartire? Non lo so. 

La risposta del mio ego razionale sarebbe: no, non ora, ma solo se facessimo dei percorsi mirati sarebbe possibile. Oggi, no. È stata dura, in effetti.  Avrei voluto pensare che sia stata dura anche per te.

Tutto questo forse non avverrà o forse sì. Forse avrò la forza di contrastare questo ritorno pieno di amore e di genuinità, che probabilmente io e te ci stiamo costruendo nuovamente. Forse cederò come il peggiore miserabile, contro tutto e contro tutti, come fatto 10 anni fa. 

Forse cederò e abbandonerò chi non se lo merita per niente. Fatto sta che, alle volte, sarebbe bello un semplicissimo ritorno ai normali rapporti con chi ti ha dato tanto e ha ricevuto tanto da te.

Sogno? No, forse realtà. 

La morale è che troppo spesso ci facciamo fagocitare da stereotipi, dal contorno, e rinunciamo a quello che proviamo in nome di “immagini da tenere con noi stessi”.

Guardo avanti, ma a tratti guardo indietro. E questo non può che fare, ancora, molto male. 

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