martedì 13 settembre 2011

S.O.S. - L'esilio e le prime lezioni imparate

Correva l'estate 2005. Dalle parti di Follonica, o in attesa di una nave per l'Elba, c'era una macchinetta rossa (tanto per cambiare), occupata da un distratto pilota. La destinazione era il Puntone, lo ricordo benissimo come fosse ieri.
Era appena uscito l'album X & Y dei Coldplay, secondo album studio della band inglese, e al ritmo di "Speed of sound" mi lanciavo a velocità aeronautica verso la mia meta, per il rettilineo di Scarlino Scalo.
Non avevo nessuna voglia di proseguire la marcia verso quella bellissima casa, verso chi mi stava accanto, verso quel "dorato esilio" (definizione bellissima inventata nei numerosi introspettivi viaggi di ritorno), costruito da chi voleva in tutti i modi farmi sentire debitore di qualcosa, dettata dall'insicurezza di perdere quella persona molto più intelligente di lei che poteva da un momento all'altro scappare.
Si sentiva in bilico, chi avevo accanto all'epoca.
Ero uno studente universitario. Tanti direbbero "studente universitario innamorato". No, non è vero.
E' passato tanto tempo, da quando le gomme 185/65 - 14 su cerchio Toora bestialmente lucido, pesticciavano le allora affollate curve di Prata.
Era un rapporto basato sulla costrizione da una parte e sull'idea di quieto vivere dall'altra, che maturava il sottoscritto. Un mix mortale, se ci si pensa bene. Non lo vedeva, lei, che stavo malissimo. Avevo maturato una novevole immensa paura delle reazioni di chi c'era nella mia vita, delle conseguenze che il dire "addio" potevano generare nella mia vita.
Sbagliavo. Dovevo smettere di vivere in quella paura, in quella tensione mascherata così bene, accettando ogni scelta perché qualcuno era così bravo a farmi sentire debitore.
Lo dicevo, anche nei litigi che "se il recinto è stretto l'animale prova a saltare la staccionata". Era così. Avevo il cancello aperto ma avevo paura di scappare. Non per paura di star solo. Avevo amici vicini, gli stessi di ora.
Ero letteralmente terrorizzato dall'idea che quel rapporto morto potesse sfociare in conseguenze per la mia persona, non so come mai.
E fu così che continuai, che colsi le mie occasioni del cavolo, per scappare da questa costrizione e da quella gabbia dorata.
Ho imparato molte lezioni, in quel periodo, anche dai miei comportamenti.
Dovevo affrontare le conseguenze delle mie scelte, "notificare quella sentenza già esecutiva da anni dentro di me". E la strada scorreva. La vita passava in bianco e nero. L'esilio proseguiva. Le fughe, altrettanto.
24 anni, 180km/h in fuga, in primis da me stesso.
Una volta finito il tutto si imparano diverse lezioni. In primis, ad essere egoisti, in certi aspetti della vita. A pretenedere di più.
A parlare. Ad essere complici. E lì non c'era complicità.
Prime lezioni imparate. Acquisite, e da Prata non ci passo più.
Ci sono posti da cui non dovrei passare, c'è una strada che non dovrei percorrere. C'è una vita di qualcuno che saprebbe perfettamente dove andare....
C'era tanta ansia, all'innesto della 439, di non poter sentire musica pesante.
La morale di questa storia è che dobbiamo tutti imparare per noi stessi ad esser chiari e condividere quello che pensiamo, che una persona accanto non dovrebbe farti sentire in bilico.
Ho imparato? Forse no. Ma passi avanti li ho fatti.
Un'evoluzione continua. Una vita che adesso, quando passo dalla 439 sotto Massa Marittima, mi consente di non pensarci. Ma di evolvermi.

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