venerdì 9 novembre 2012

Colonne d'Ercole



Via Mazzini, Colle di Val d'Elsa. Novembre c'è e si fa sentire, arrivato prepotentemente col suo carico di splendide giornate limpidissime, per me le migliori di tutto l'anno, fredde e sempre più affascinanti.
Stamani le ho osservate bene, quelle colline verdi, immerse in questa luce che si sforza di sembrare quasi estiva ma non ci riesce per la natura degli eventi. Sole, sei eroico e ti ammiro. 
Le ho osservate quando ero diretto con tutto me stesso verso la quarta fila dal medico di questa settimana, alla ricerca di quel problema che nessuno sa cosa sia. 
Pare anche ci sia qualcosa di grave ma ci sorridiamo e via, veloci come il vento, a testa bassa tranquillizzando tutti. 
Forse sono io che mi ribello a me stesso, chissà.
Cammino, alla ricerca di un pezzo di pizzettina, o di un panino. Ho fame, mangio poco, pochissimo a pranzo, e adduco ridicole e stupide giustificazioni a tutto questo. E alle volte mi faccio pure ridere me stesso quando sprazzi di quella razionalità quasi terribile sopraggiungono dentro di me, a scacciare quei raggi di sole dovuti alle piccole convinzioni, alle eccessive giustificazioni di ogni comportamento.
Se c'è qualcuno che non riesco a giustificare è me stesso. Travolto da questa strana, brutta, orribile vicenda, il terreno frana.
Oh, che bello sarebbe un domani divenire il risultato di pensieri, di sguardi dentro se stessi. Non avverrà, o forse sì.
Sono sballottato da questa tempesta, sul molo. Arrivano gli spruzzi di acqua a chi, fermo ad attendere, sa che non è prudente tuffarsi.
E penso a quella nave che  andata via, da me, oltre le collone d'Ercole che avevo costruito, i paletti che avevo messo.
Paletti che sto togliendo adesso, da me stesso. Tanto qui è solo questione mia di sicurezza. Ed eccomi qua, finto spavaldo, a non saper cosa fare.
Vorrei chiamare, ridere e schierzare come facevamo un tempo: uscire da questo vortice profondo di lacrime rimandate a forza indietro, di un paradiso forzatamente costruito a mio uso e consumo. 
Nutro una paura forte ad alzare il telefono e chiamare quel numero, a scrivere anche solo un "ciao". 
Per rispetto evito. Credo che ognuno debba avere tempo per guardarsi dentro, per fare quella bella attività che è il pensiero stupendo.
Phil Collins canta uno dei suoi più grandi successi.
"...But to wait for you,
well that's all I can do and that's what I've got to face..."
.
Devo solo aspettare, non farmi illusorie e stupide speranze. Aspettare un segno, vivendolo per quel che è, senza interpretarlo. Ecco il mio più grande errore: ho sempre cercato di avere il controllo e mai pensato che chi sta con me, è lì perché vuole.
Ma almeno stavolta non faccio danni, non coinvolgo alcun essere innocente, nella fase di recupero di me stesso.
Bella prova di maturità, magari potevo accorgermene qualche anno fa quando combinavo casini a ripetizione.
Fiducia, imperativo categorico. Fiducia in me stesso, sicurezza. Fiducia nell'altra persona che non sa che le differenze si sentono di già adesso che sto perdendo tutto, e ho pensato e ripensato a quello che devo essere.
Sarebbe serenissima la nostra vita adesso.
Ho cambiato le cose. Sto cambiando le cose. Non è facile, ma è fattibile. Ora mi vedo in una bella, bellissima dirittura di arrivo. Però ancora lunga. 
Perché mai nessuno nella vita mi ha scritto, detto, fatto capire che sentiva il fatto che "...prima o poi quell abito bianco lo metto...". E io sarei stato contento di averla accanto, quella donna con l'abito bianco.
Di questo passo, la mia macchina ha 55.000km e tante storie da raccontare. Il problema è che nessuna di esse ha un cavolo di lieto fine.
E a chi, in modo amichevole mi dice "...so solo che quando una prende un uomo come te...deve essere in grado di stragli accanto, in tutti i sensi...ed è una cosa che si cpisce immediatamente...i tuoi limiti sono chiari come se li avessi scritti in fronte....", rispondo di esser conscio dei miei difetti e limiti.
E cerco di migliorarmi.
A Pordenone andrò solo, questo dicembre. Solo, come un cane, e pure poco voglioso di sorridere. Non faccio soste e pranzi altrove come l'altra volta.
Non è andata come avevo preventivato.
E non avrò sorprese nel viaggio di ritorno, come l'anno scorso. Eh già. Meglio tirar dritti verso casa e tentare di rinnovarsi. Lo sai tu, lo so io. Meglio tirar dritti verso un cielo blu che fa sempre più male, non volendosi intonare all'umore grigio del sottoscritto.
Come vorrei davvero riprendere quella strada, quella stessa strada, ritrovarci una sorpresa, quella sperata. Ritrovarci quegli occhi, quel cuore che mi ha dato tutto in maniera incondizionata nonostante fossi difettato come la Maserati Biturbo.
Non mi illudo, tutto può succedere e la vita, se uno ha, contrariamente a me, salute, è lunga.
Voglio solo sperare. E non ci riesco tanto bene, ora come ora.

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