giovedì 8 dicembre 2011

Canto del cigno e urla di dolore


Era la fine di ottobre del 2010. Era la penultima domenica di quel mese, che era tragicamente iniziato e ancor peggio proseguito per l'esattezza.
Non è passato poi così tanto tempo da quei giorni che assumevano anche risvolti magici, a dire il vero.
Chi non è stato protagonista di quei turbini di emozioni non può capire cosa si provava, che cosa erano quelle uscite tutte le sere senza sentire il sonno la mattina, quell'evoluzione che ho avuto grazie a chi era accanto, momentaneamente (adesso dico purtroppo), in quei 2 mesi e che era lì, nonostante la piena e totale coscienza che, forse, quelli sarebbero rimasti momenti precisi e isolati.
A inizio ottobre accadde un tracollo sentimentale. Fu il primo ma durò poco ed era, diciamocelo pure, anche fondato.
E allora mi rifugiai in un passato amico e vicino. In un passato stupendo, che doveva e avrebbe dovuto divenire futuro nel giro di poco.
Era un passato dotato di capelli biondi, di un profumo che ancora devo ritrovare, così particolare ed intenso, di un viso così bello e di una dolcezza che a questo mondo non esiste. Giulia era questo, e lo è ancora. E forse lo sarà sempre.
Lo dico adesso, è passato più di un anno: sarebbe stato sicuramente meglio se le cose fossero andate diversamente. Tutte le sere uscivamo, aiutati dalla vicinanza fisica.
Gettò benzina sul fuoco il 16 ottobre, di ritorno da Montecatini, sotto l'uragano, la rottura del cambio dell'Ammiraglia alle 4 di notte.
Ma c'era lei, e nonostante tutti i tentativi esterni il mondo non andava a rotoli come poteva sembrare.
E allora la domenica stessa salivamo sulla bianca e bellissima macchina sua e giravamo verso Livorno, con le nostre cene, le nostre mani intrecciate.
Il mio team di meccanici fece il miracolo. Rimise a posto quel cambio sequenziale (ampiamente rimaneggiato dal sottoscritto) e la Lancia ripartì, fiera come chi s'è rotto una gamba e si è riabilitato di colpo.
Era la penultima domenica di ottobre 2010, mi preme ricordarlo. La Ypsilon, Ammiraglia da 150.000km, aveva il destino segnato. Era stato segnato su un foglio di carta rosa, con cui avevo acquistato la Mito, poi Eroica.
Ma era bella l'Ammiraglia. Era elegante, come tutto il mondo che si è portata via con la sua partenza. Era elegante Giulia, era bellissima e lo è ancora, sempre più. E i nostri gusti musicali erano vicini.
E quella mattina alzai il telefono.
Chiesi se voleva fare una pazzia. Il Canto del Cigno, perché sarebbe stata l'ultima trasferta sulla Lancia. E così fu.
Mi piaceva da impazzire il fatto che lei, a differenza di chi avevo avuto accanto e avrei poi avuto dopo, non si ponesse problemi a uscire, ad andare, ad avere un rapporto alla pari. O che non gliene venissero posti da altri.
Già, il Cigno canta prima di morire. Sempre.
E così partimmo, per un tratto di Liguria che mi ha sempre rilassato. Lei si presentò con un bellissimo CD, fatto di Ben Harper, Queen, Alanis Morrisette, Roxette, tantissime altre canzoni belle, e l'idea di aver svoltato, di aver vinto, anche se era prestissimo. E quella data impressa sul CD sarà sempre lì, a ricordare che i momenti belli esistono indipendentemente da chi si ha accanto in modo ufficiale, da chi si vuole in quel momento.
La macchina correva verso la sua destinazione finale. Sorridevamo, correndo verso il ristorante migliore che conosco, velocissimi, nonostante i 110cv meno dell'Eroica.
Fu una serata spettacolare. Risate. La strada del ritorno che ci cullava.
Capii che valeva la pena di nuovo di vivere.
Ma i Led Zeppelin cantavano:
"...Yes, there are two paths you can go by
But in the long run
There's still time to change the road you're on.
..".
A quel punto avevo capito che ero protagonista di una storia a lunga percorrenza. E a fine novembre cambiai strada, distruggendo ogni illusione che avevo, pur sapendo che andavo ad affrontare un binario morto.
O meglio, alla fine mi rimisi su quella via che ritenevo naturale, che tanto naturale poi non era, visti i risultati. Tornai. Fui io che tornai, quella volta.
Ma sono stati giorni strani, magici e spensierati, fatti di fughe tecnicamente perfette, e lunghe, non momentanee, interruzioni di una attesa che fu più breve del previsto.
Il cigno cantò ancora per qualche giorno. Cantò come si deve, nel modo che si confà a chi perde a testa alta, a chi sa che è il momento di farsi da parte quando il passo è segnato.
Quel CD, il "Canto del Cigno", la cui bella calligrafia impressa col pennarello a punta fine verde con tanto di data rimarrà sempre impressa a fuoco nell'anima, è dentro il lettore dell'Eroica. E continua a suonare.
E non smetterà.
Adesso il vento è cambiato e posso solo dire grazie. Il vento soffia, sempre più forte e non c'è più bisogno di fuggire ma di rimettersi in gioco.
E lo faremo, a colpi di realtà e di sincerità. E' più semplice di quanto si pensi.

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