venerdì 16 dicembre 2011

Bus n.6

Superstrada Firenze-Siena, 130km/h. Il motore 1900 tira come sempre col suo modo prepotente, al ritmo di Little Lies dei Fleetwood Mac, in questo giorno di dicembre che sembra eccessivamente caldo.
Ci sono 13 gradi fuori, ben al di sopra nella media stagionale mentre la gloriosa macchina rossa corre verso casa, portando il guidatore stanco verso la meta. Questa ha il "rumore di crociera" a 130km/h, che forse è tipico del tanto aborrito diesel, ma è confortante a tratti, perché ti trasmette quelle sensazioni di velocità costante, di rientro, di ripartenza. Erano emozioni che, un tempo, correlavo ad un tratto di strada ben preciso, che va verso sudovest rispetto a me, da cui si poteva ammirare, nelle freddissime giornate limpide e vittoriose dei primi di dicembre dell'anno scorso, un rossissimo tramonto su Montecristo incredibilmente vicina, e di lontano sulla mia Elba.
Il pilota coltivava e coltiva speranze, come sempre. Speranze diverse, e per un tratto della vita molto più sgomente e assenti.
Mi dico, come quasi tutti i giorni, mentre guido questa rossa macchina, che da domani ci sarà un nuovo corso ma alla fine rimane tutto com'è, come non deve essere.
Ma stavolta ho davvero il proposito di rinascere, visto anche il recente nuovo corso.
Tuttavia si rimane, a tratti, legati a dei ricordi d'infanzia, che spesso si aggiornano, e che ti accorgi essere presenti, anche se tu li ritenevi essere passati sotto silenzio.
Ci sono ricordi che non svaniscono.
Ad esempio, un inaspettato ricordo che riaffiora, con la prepotenza di chi vuole stare in cima alla lista, è quello dell'autobus che passava vicino a casa della nonna e che molte domeniche prendevamo per andare a mangiare non svanirà dalla mia mente.
Ero un bambino piccolo, ma ricordo chiaramente che nel Viale Mazzini il Menarini 201 arancione (che aveva 4 porte invece di 3, come quelli che facevano servizio a Colle) ci prelevava alla fermata, e con il suo rumore forte del motore Fiat tirato allo spasimo dal cambio ZF a quattro marce, ci lasciava in Piazza San Marco al Circolo Ufficiali dove si mangiava da Dio, dove facevo il Signorino con la cravatta, insieme ai nonni.
Il 6 è una linea d'ossatura, di quelle che passano spesso anche se il servizio generale dell'azienda dei pullman fa schifo. E' una di quelle linee che ha solo i bus più nuovi, che anonimamente ogni 7 minuti muove una città grande.
Al 6 associo anche ricordi, molto più recenti, di un ventinovenne che andava a costruirsi una vita: un ventinovenne innamorato, che si infilava nell'Ade di certe prove e di certi scogli da cui non riusciva a disincagliarsi.
Non solo professionalmente: erano prove a cui la vita tentava inevitabilmente di sottopormi e in cui rimanevo inevitabilmente intrappolato, senza avere possibilità di uscire, se non con esiti disastrosi, in un parallelo di vortici di paura di non farcela in tutti i sensi.
C'era il bus n.6 a fare da contorno, nel suo sinuoso percorso da Via Lungo l'Affrico a Piazza Indipendenza, attraverso Piazza Oberdan, Piazza San Marco, e via San Zanobi, ad un messaggio con scritto "sono innamorata". Messaggio poco credibile, in effetti, alla luce di fatti concludenti diversi.
Il pullman, in tempi recenti non più verniciato di arancio ministeriale, ma di bianco e rosso, accelerava verso il punto di destinazione, portando un ragazzo, non più tale, sorridente per la vita a cui, ciecamente, andava incontro. Le fermate sono elettroniche e dicono in quanti minuti passerà il bus. E' l'evoluzione dei tempi, che forse toglie tanto fascino alle cose rendendole tecnicamente perfette, impedendo a chi le vive di sognare...
Mi sono sentito, di fatto, un Eurostar a tutto gas su un binario morto, forse conscio che prima o poi l'impatto sul respingente ci sarebbe stato.
E' passato del tempo in effetti, e il 6 per molto tempo l'ho solo visto passare con le sue tabelle "Torregalli via T1 Federiga".
A Firenze trovavo il modo solo di prendere il C1 dal parcheggio del Parterre al centro. E' un bus piccolo, bianco e rosso, che ti porta in modo velocissimo fino a Piazza della Repubblica. Ma lo prendo sporadicamente: vorrei avere di nuovo la possibilità di andare col mezzo pubblico.
Non ha il fascino del 6.
E il 6 si muove, da Viale Mazzini a Via della Mattonaia, con un senso della traiettoria tipico del goffo elefante che però sa correre, che non rolla per le sospensioni elettroniche. Una bella bestia, in effetti, per gli esaltati del gommato pesante. Attraversa la bellissima Piazza d'Azeglio con i suoi palazzi settecenteschi e il bel parco. Si invola verso la Santissima Annunziata, quasi a divincolarsi tra le autovetture del traffico fiorentino.
Il percorso è pressoché lo stesso di quando ero piccino, salvo deviazioni della nuova Amministrazione, che gli hanno precluso l'accesso al duomo.
E rivoglio il 6. Rivoglio la novità che esso porta, nella sua banalità di autobus urbano, che ti fa scendere a destinazione senza sapere che hai la macchina da parcheggiare, senza il patema d'animo di doverla ricercare, riprendere, ritrovare sbeccata da qualche parte.
Rivoglio l'atmosfera spensierata che ci ho respirato sopra.
E' tempo di cambiare, adesso. Tempo di ripartire. E ci sto riuscendo con tutto me stesso.


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