lunedì 13 febbraio 2012

Nuvole di ghiaccio


Il treno era in ritardo, come sempre. Quindi, non ci feci poi così caso.
Però notai in modo distinto la coppia di macchinisti giovani che aveva voglia di recuperarlo quel ritardo accumulato chissà dove nella lunga lunga percorrenza del grigio convoglio.
Infatti arrivò tardi ma ripartì pressoché subito, sicuramente ignorando le farraginose procedure di riaccensione e cambio del personale di bordo che contraddistinguono le nostre ferrovie.
Il treno non era il solito ETR 500 vecchissimo e malandato, ma un nuovo ETR 610 ex svizzero ben tenuto e con i sedili di prima classe quasi accettabili.
I macchinisti, per l'occasione trasformatisi in piloti, si scatenarono, andarono velocissimi verso Firenze, dove mi avrebbe aspettato, o forse avrei aspettato io, il bus n.36 per il parcheggio di Porta Romana, dove la piccola e ancora non troppo potente Eroica era accantonata dalla mattina.
Il treno si inclinava leggermente e gli Appennini sembravano passare veloci sopra di noi, nella galleria pressoché continua tra Firenze e Bologna.
La accelerazioni si susseguivano fortissime, e assecondavano il mio umore. Sembrava quasi che chi era ai comandi andasse veloce per farmi scappare da una fila di pensieri che mi rincorreva quel giorno, da quelle brutte telefonate inascoltabili fatte di bile a mille, di mezze parole pressoché incomprensibili, di congetture del tipo "...sei stato bravo e io non lo sarò...".
Ero stato bravo, in effetti, ma la mia vita si era trasformata, mentre quel treno correva a 250km/h sulla allora nuova linea appenninca, un traforone che inizia a Rifredi e risbuca a San Ruffillo, 55km più sopra, e che rende competitivo, non fosse per il prezzo da rapina a mano armata, il treno sulla tratta Firenze-Bologna, in un lunghissimo tunnel pieno di tornanti.
Era tutto in salita, come il toboga dopo il Polcevera dopo Genova, stretto e difficile e in quella guida figurata ero pressoché costretto andare avanti concentrato, teso, ed ero forzato a tenere le medie che si terrebbero sull'A1 quando le condizioni sono perfette e non c'è traffico.
E invece su quel Toboga, che da Autostrada s'era trasformato in tangenziale piena di buche, qualcuno m'aveva sorpassato in modo agevole.
Come conseguenza diretta, non mi fermavo, non facevo soste. Era una vita pesante, pesantissima, e dolorosa, costituita da un roboante susseguirsi di bianchi e di neri, senza intermezzi positivi, senza grigi, senza nessuna speranza.
Il rosso della carrozzeria dell'Alfa, sempre più arrabbiata compagna di un numero pressoché eccessivo di viaggi, contrastava con l'atmosfera nera che si respirava al suo interno, con le nuvole di ghiaccio che si stagliavano nel freddissimo inverno.
Alzavo gli occhi al cielo, nell'attesa di un momento di riposo che non sarebbe mai arrivato, e vedevo nuvole di ghiaccio, solo nuvole di ghiaccio.
Passa il tempo: la macchina è diversa, il treno sempre lo stesso, la linea è quella.
Le aspettative, le speranze, danno luce e calore a questa pianta che sta crescendo sempre più. Cresce quando, ogni volta, dico a me stesso meglio di così non esiste. E invece, non c'è mai limite al meglio, così come al peggio, in un range amplissimo che sta a noi scegliere.
L'ansia oggi c'è solo perché ho avuto paura di perdere le sgangherate coincidenze che il sistema di Trasporti ci impone di subire a caro prezzo.
Ma le nuvole di ghiaccio lasciano sempre spazio al cielo sereno, mentre la neve altissima di Bologna lascia spazio al metro di neve che il galleggiante ETR 610 affronta senza paura. Bravi, macchinisti. In fondo, ci sono numeri, strade e ferrovie che contraddistinguono la nostra vita.
Ci sto camminando con forza, con tutto quello che sento.
E la strada non è poi così lunga, la ferrovia è veloce anche se terribilmente costosa. Ma l'amore non ha prezzo, così come il sapere in modo del tutto sicuro che questa volta sono arrivato ad un punto di partenza diverso: un punto di partenza condiviso. Ogni minuto in cui incrociavo quello sguardo forse a tratti impaurito, quegli occhi nocciola sentivo qualcosa che percorreva la mia schiena alla velocità di questo treno.
Il Pendolino tricorrente esce dal tunnel in salita, e sembra quasi impennarsi nella fase di frenata dai poco convenzionali 250km/h a velocità più umane, mentre nei cavi elettrici sopra di noi inizia a scorrere l'ordinaria corrente continua a 3000Volts della rete ferroviaria tradizionale.
Il viaggio non è ancora finito: mi aspetta un autobus per casa. E la nostra pianta da coltivare.

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