martedì 2 ottobre 2012

Freddo dentro


Inizia l'autunno con i suoi splendidi colori. Inizia nelle menti degli altri, perché nella mia è sempre estate, in quanto fatico a riprendermi da quelle che sono state vacanze durissime e ricche di tensione. Per il secondo giorno consecutivo vado a Firenze e mi avvicino ai binari. Faccio finta di nulla, qualcuno sale e scende dal treno ormai con la normalità che contraddistingue il pendolare distratto e sin troppo abitudinario. Mi ci rivedo, in quella studentessa universitaria che si crede affannata in tutto e per tutto: a 24 anni forse anche io ero così, da neolaureato che aveva tirato come una bestia negli anni precedenti e, in modo del tutto oggettivo, "...non se l'era goduta..." per tanti fattori.
Italo, tecnicamente denominato Automotrice a Gran Vitesse e acronimato AGV per i trenaioli più incalliti, unica ventata di modernità nel nichilismo ferroviario esistente in questo Paese, sferza l'aria con la sua linea elegante e il suo splendido rosso metallizzato, e giustamente non va dove devo andare, anzi ci va ma va troppo oltre, a testimonianza che l'amore tra me e i treni, di durata ultraventennale, è finito. Ma è una di quelle storie che si custodiscono nel cuore, che balza alla mente e ti ha dato un'impronta di conoscenza delle cose che magari oggi divengono inutili.
Il cielo minaccia di scatenarsi sopra Firenze e sopra di noi, riflette categoricamente anche l'umore che abbiamo dentro nonostante fuori diamo l'impressione che siamo solidi.
E invece così non è: la considerazione reciproca ha fatto una picchiata che nemmeno gli Spitfire della guerra mondiale erano in grado di fare.
Le risposte arrivano con un tono carico di tensione, le ovvietà tardano ad affiorare anche per spregio. Le distanze, un tempo invisibili e quasi nulle, iniziano a pesare.
E' la fine di cui non vogliamo renderci conto.
Non serve nemmeno guardarsi indietro: vecchie fotografie dentro di noi ingialliscono, certi visi non fanno più effetto.
"...One way ticket to the runaway train...", come la canzone, e forse davvero sarebbe la cosa migliore separarsi, non vedersi.
E' come prolungare l'agonia di un malato terminale.
Troppe distanze, troppe visibili incompatibilità.
Riparto. La mia mano abbraccia la leva del cambio, duretta nel mettere la prima marcia. Il passato è morto, e vive sotto forma di ricordi belli. Il presente non esiste.
Il futuro chissà come e dove prenderà forma. Almeno per me.
Esco dalla via della stazione e le prime gocce di pioggia si infrangono sul vetro. Tic. Tac. Plic. Ploc. L'uragano si scatena, la gente corre, dietro ai fari delle auto, dietro alle vetrine, al riparo sottoi balconi e i cornicioni che costituiscono una protezione effimera. I fari illuminano il nero delle gocce.
Il treno è ripartito con te dentro. Non so nemmeno se tornerai qui, 200km a sud rispetto a casa tua, dove le cose sono diverse, gli accenti
Ho freddo dentro, nonostante i 24 gradi Celisius che impattano contro il mio radiatore. Ho freddo perché, pur essendo stata qui finora, non ci sei più ormai.
Non ci sei più a scaldare l'inverno come a Bolzano. Sei una figura distante, sbiadita, burbera e intrattabile. Se ripenso a quella donna dolce, forte, intelligente di cui mi sono innamorato, non la rivedo nel tuo volto scavato dalle urla, dai continui strepiti soffocati nel nome del quieto vivere.
La tua felicità è lontana da quest'uomo così difficile, così particolare, così fragile. 
Sarà strano e faticoso ripartire di nuovo. 
Tuttavia, è un copione già visto, secondo il quale per i primi giorni dimostrerò la forza, l'ostentazione di quel che non sono mai stato, e mai sarò, quindi un pericolo per me e per tutti.
Tornano in mente fotogrammi di una situazione analoga ormai di tempo fa, già descritta. Penso a quegli occhi del colore identico a quello dei miei. Film già visto.
Un po' come Fantozzi per tutti noi, che ne conosciamo a memoria ogni scena. 
Rivoglio la felicità ma forse non riesco a conquistarmela.

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