“Sembrava durasse per
sempre, quell’amore assoluto e violento, quando è stato che è finito in niente?
Perché è stato che tutto si è spento. Non ha visto nemmeno settembre”
Mi ritrovo, così, a rispecchiarmi, più di quanto vorrei, in
questo brandello di canzone, che sembra, più di ogni altro, riassumere l’essenza
dell’intero testo musicato.
E ora mi domando, davvero, “Quando è stato che è finito in
niente?”
Perché sento di non sentire più niente, sento che tutto ci è
scivolato dalle mani come una saponetta troppo bagnata, in modo fugace, senza
darci il tempo di reagire. Ed è stata stare lontani la soluzione? Se così
poteva sembrare, adesso mi accorgo, con maggior coscienza, che è stata solo una
nuova consapevolezza, di esser soli; un processo di ridefinizione, da due a
uno.
E pensare a chi eri prima di tutto questo… la persona dalla
quale non mi sarei mai separata. La tua macchina sembrava così naturale davanti
alla mia casa, così come il tuo corpo accanto al mio, se non fosse che quest’ultima
cosa, naturale lo sembra ancora e forse mi trattiene.
Sembrava naturale il vedersi, il cercarsi, l’esserci, il
vedere ben chiaro avanti.
Adesso sono qua da sola che non riesco a ricordare quell’ultima
volta in cui siamo stati ancora noi. Ed ho in mente una scena, sulle scale
mobili di qualche metropolitana parigina. Mi voltai e, per quanto odi parlare
di romanticherie, tu mi baciasti, come quel bacio significasse il mondo in quel
momento. Lì ho capito che c’eri, o meglio, c’eravamo. Ed allora mi domando, non
quando, ma come… come è stato che è finito in niente?
Non trovo risposta ed è forse per questo che continuiamo a
ravvivare questa piccola fiamma ormai mesta e sbiadita. Lavora, riprova,
aggiusta, un giro di vite e siamo sempre più distanti.
Ho l’impressione di esserti accanto per l’amore che provo
verso quei ricordi, ancora così vivi. Vorrei con tutta me stessa ritrovare
quell’essenza di vita nascosta in uno sfregarsi di mani, in un vedersi da
lontano, in un salutarsi da un finestrino. E trovo il freddo, il ghiaccio: la
consapevolezza di non essere più.
E sì, il lasciarti forse è davvero come “sparare ad un uomo morto”, ma io
mi ritrovo qui, bloccata tra i miei istinti di fuggire dall’altra parte dell’oceano
ed un freno che mi trattiene, illudendomi di un futuro che rassomigli al
passato. Vorrei, vorrei, ma l’unica cosa che posso ottenere è forse quella che
interamente sta nelle mie mani, se non fosse che ciò talvolta mi sembra una codardia.
Ed altre volte ancora, mi dico che l’ho sempre saputo, come
pensai in quel parco di San Casciano, una notte d’estate: “prima o poi
ripenserò a questo giorno felice e mi domanderò come abbiamo fatto a perdere
tutto”. Così è successo. Sono sola in questa notte d’inverno, col tuo ricordo
che riaffiora e mi riscalda, ma con la speranza che un giorno arrivi la neve a
spegnere anche questa fiamma e medicare, riappacificare, coccolare ogni amara sofferenza
col suo manto assoluto e senza tempo.
Nessun commento:
Posta un commento