martedì 11 dicembre 2012

L'ultima volta


“Sembrava durasse per sempre, quell’amore assoluto e violento, quando è stato che è finito in niente? Perché è stato che tutto si è spento. Non ha visto nemmeno settembre”


Mi ritrovo, così, a rispecchiarmi, più di quanto vorrei, in questo brandello di canzone, che sembra, più di ogni altro, riassumere l’essenza dell’intero testo musicato.

E ora mi domando, davvero, “Quando è stato che è finito in niente?”

Perché sento di non sentire più niente, sento che tutto ci è scivolato dalle mani come una saponetta troppo bagnata, in modo fugace, senza darci il tempo di reagire. Ed è stata stare lontani la soluzione? Se così poteva sembrare, adesso mi accorgo, con maggior coscienza, che è stata solo una nuova consapevolezza, di esser soli; un processo di ridefinizione, da due a uno.

E pensare a chi eri prima di tutto questo… la persona dalla quale non mi sarei mai separata. La tua macchina sembrava così naturale davanti alla mia casa, così come il tuo corpo accanto al mio, se non fosse che quest’ultima cosa, naturale lo sembra ancora e forse mi trattiene.

Sembrava naturale il vedersi, il cercarsi, l’esserci, il vedere ben chiaro avanti.
Adesso sono qua da sola che non riesco a ricordare quell’ultima volta in cui siamo stati ancora noi. Ed ho in mente una scena, sulle scale mobili di qualche metropolitana parigina. Mi voltai e, per quanto odi parlare di romanticherie, tu mi baciasti, come quel bacio significasse il mondo in quel momento. Lì ho capito che c’eri, o meglio, c’eravamo. Ed allora mi domando, non quando, ma come… come è stato che è finito in niente?

Non trovo risposta ed è forse per questo che continuiamo a ravvivare questa piccola fiamma ormai mesta e sbiadita. Lavora, riprova, aggiusta, un giro di vite e siamo sempre più distanti.
Ho l’impressione di esserti accanto per l’amore che provo verso quei ricordi, ancora così vivi. Vorrei con tutta me stessa ritrovare quell’essenza di vita nascosta in uno sfregarsi di mani, in un vedersi da lontano, in un salutarsi da un finestrino. E trovo il freddo, il ghiaccio: la consapevolezza di non essere più.

E sì, il lasciarti forse è davvero come “sparare ad un uomo morto”, ma io mi ritrovo qui, bloccata tra i miei istinti di fuggire dall’altra parte dell’oceano ed un freno che mi trattiene, illudendomi di un futuro che rassomigli al passato. Vorrei, vorrei, ma l’unica cosa che posso ottenere è forse quella che interamente sta nelle mie mani, se non fosse che ciò talvolta mi sembra una codardia.
Ed altre volte ancora, mi dico che l’ho sempre saputo, come pensai in quel parco di San Casciano, una notte d’estate: “prima o poi ripenserò a questo giorno felice e mi domanderò come abbiamo fatto a perdere tutto”. Così è successo. Sono sola in questa notte d’inverno, col tuo ricordo che riaffiora e mi riscalda, ma con la speranza che un giorno arrivi la neve a spegnere anche questa fiamma e medicare, riappacificare, coccolare ogni amara sofferenza col suo manto assoluto e senza tempo.


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