venerdì 7 ottobre 2011

Fuori, pioggia

Pioveva forte, quel giorno di fine novembre. C'era una strana, stranissima euforia nell'aria, di quelle euforie che mi hanno fatto, negli anni, o sbatacchiare le macchine o rompere le ossa. Roba pericolosa, insomma.
Una sensazione di apnea e di attesa pervadeva l'ambiente circostante, come se dovesse accadere qualcosa di speciale. E doveva accadere, in effetti. Avevo la sensazione di chi ricominciava a respirare dopo un'interminabile immersione.
Fuori dalla mia macchina, pioggia ininterrotta, freddo pungente. Dentro, sospiri, baci, un abbraccio strettissimo come mai ho provato, e un pianto all'unisono, rotto solo dalla voglia di stare insieme, nonostante tutto.
SS223, direzione Siena: pioggia torrenziale, 120km/h al ritorno e una colonna d'acqua altissima dietro la mia macchina, allora nuova davvero.
Avevo la sensazione interlocutoria tipica di chi ha vinto ma ancora non lo sa, del pilota di Rally che va dall'ultima Prova Speciale al riordino per vedere le classifiche.
La sensazione di attesa veniva ritmata dallo sbacchettare del tergicristallo, dal più o meno regolare sbattere delle gocce sulla vernice rossa e sul vetro, dallo scivolare delle gomme nelle pozze, in "All weather Mode", con cui l'autobloccante azzera l'aquaplaning, in teoria.
In teoria avevo vinto, in effetti. Avevo riportato, con uno strattone, all'interno della mia vita, la persona che amavo, costringendola con dimostrazioni eclatanti a tornare, forzando in modo bestiale la mano. Avevo vinto una battaglia. Dura, sofferta, con tante perdite. Di quelle che ti fanno ribattere il cuore dopo mesi e ti fanno sentire un duro, uno che ce l'ha fatta. Avevo spento la radio per godermi quel rientro che sembrava lento piovoso, accodato dietro ai maranza che vanno forte quando non posso permetterselo.
E invece no. Mesi dopo avevo perso la guerra dopo lungo tribolare. Sarebbe stata una trappola dove mi ero infilato, pur sapendolo bene. Ma lo sanno tutti i lettori.
E Alex Baroni, eroe del Giannino dei miei vent'anni così fugaci, quasi un anno dopo, canta, nella radio del pullman:
perchè non vivo più
perchè mi manchi tu

e questo cielo blu

non lo posso sopportare.

E mi fa sorridere. Perché adesso, la distanza non fa così male come le costole rotte, come le mille lacrime versate, come i mille muri che ho costruito e che ora voglio abbattere. Pioggia o non pioggia. Pioggia, arriva. Ridacci qualcosa che ci manca. Ci manca l'acqua, ci manca la vita.
Ma non la speranza di essere felici in futuro.
No, questo tardivissimo cielo blu di ottobre non lo posso sopportare.

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