lunedì 18 luglio 2011

Piccole conclusioni quotidiane - Prima parte


Non sono stata molto proficua in questo ultimo periodo, saranno gli impegni e l’agenda brulicante di note per le prossime settimane, che mi hanno tenuta lontana, eppure in ogni istante sento l’insistente esigenza di prendere in mano una penna ed iniziare a scrivere. Già, non sono una persona che ama digitare al computer qualche pensiero sconnesso, modestamente preferisco farlo personalmente e nel modo più intimo che conosca. Tecnologica sì, ma fino ad un certo punto.

Al contrario il qui presente rimane uno strumento assai prezioso per entrare in contatto con le emozioni dei miei compagni (e compagne, senza connotazione politica) di viaggio. È incredibile poter vedere dentro la testa delle persone che, per qualche uomo seduto su un treno, sono solo “alieni”, se non nel senso fisico, perlomeno in quello metaforico. Conosco così i pensieri di Chiara che dice di avere solo mal di testa e capisco il senso delle lacrime di Paola su un treno.
Ebbene oggi verrete a conoscenza delle MIE sensazioni.

Ho pensato diverse cose negli ultimi giorni, a partire dalla felicità, passando per le partenze e finendo, dulcis in fundo (ma mica tanto), con i sensi di colpa odierni.
Prima conclusione: parte solo chi non ha niente per cui restare.
Penso che l’uomo, così come anche la donna, tenda per natura a vagare, come un nomade per queste terre lasciate troppo spesso inesplorate. Questo pensavo leggendo i post della nostra passeggera petulante. Nella mia vita ho sempre voluto partire, ogni azione è stata volta a tal fine: lingue, risparmi, studi, esperienze. E per un certo periodo ce l’ho anche fatta, ma poi si torna a rimirare il recente passato ed a sognare un prossimo ed altrettanto improvviso viaggio. Nella vita si sogna sempre di andare lontano e non solo allegoricamente.
Ci si siede, si attende. Un treno, un aereo, a volte basta anche la semplice macchina, o moto, anche se operativa su tratte definitivamente più brevi. Ma è dopo esser partiti che ci si accorge di non avere argomenti per restare, neppure in quel nuovo luogo di esilio, volontario.

E si trascorre così: una vita in viaggio. Posso affermare con relativa certezza che è proprio vero: si parte quando siamo soli, con noi stessi principalmente. Il viaggio è una ricerca continua, una speranza di poter mettere radici, stavolta più forti e solide. Si passa una vita a sognare di arginarci in qualche secca all’interno del mare smisurato dei nostri anni, che pian piano si fa più prevedibile, più circoscritto. Ed ecco che ci si ferma, incagliati in una sabbia sporca e grigia di un color simil fanghiglia. Alla fine, non importa dove si arriva, ma non si hanno più i mezzi per andare avanti. L’acqua è vita, la vita non è perenne.

Ecco perché viaggiamo, per assicurarci di gettare l'ancora in un bel luogo prima che un, troppo spesso scomodo, destino ci releghi in un terreno spoglio e non nostro. E, al contrario di chi, almeno inizialmente, esorta a rimanere (ma tu che vai ma tu rimani, vedrai la neve se ne andrà domani, rifioriranno le gioie passate col vento caldo di un'altra estate) credo che partire faccia bene: rinvigorisce e dona nuovo spirito ad un corpo stanco di camminare.
Beato chi non sa fermarsi, chi non si accontenta! Fa bene vedere nuove città alla ricerca di una singola sensazione, pensiero, aroma di passione, anche se spesso le zone più inesplorate sono quelle che si estendono sotto ai nostri piedi, ciechi dinanzi ad esse. Ma non sempre l’oro sta nel luogo di partenza, quel che dovremmo fare è semplicemente assicurarsi di aver battuto il terreno prima di proseguire, come in ogni cosa.

E per quanto riguarda gli altri pensieri, temo che dovranno attendere o incorrerei nel rischio di tediarvi.

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