lunedì 4 luglio 2011

Coscienza conservativa


C'è qualcosa di strano in questo scorcio autunnale. Il caldo vaporoso dell'estate ha lasciato trasudare un momentaneo colpo di scena.
Come alla natura umana, anche a quella meteorologica è dato dubitare della propria essenza.
Così ci troviamo circondati da un cielo lievemente grigio, perlaceo, appena fresco.
Con un’innata disinvoltura godiamo di questa “curva a gomito” posta su di una scogliera, che, per un attimo, ci da’ l’inedita ed ancestrale sensazione di essere sospeso a picco sul mare, senza parapetti, senza più strade. Sensazione a cui pone fine la “conservativa” sterzata volta a farci rientrare nell'usuale ed occludente panorama di roccia granitica: sempre maestosa e terribilmente calda, se non al contatto, almeno alla vicinanza.

L'estate si è interrotta e quest'odierna giornata non può che ricordarmi il mio momento "a picco sul mare", dove si ha la contrastante sensazione di caduta libera e di volo stabile, da deltaplano.
La mia esperienza su quella curva a gomito è ormai terminata, così mi guardo attorno ed osservo, al mio fianco, la grande parete granitica lungo la quale scorro ormai da qualche mese.

Il volo l'ho fatto pure io, ma è stato un volo da uccello, non da deltaplano. Un volo instabile sorretto da molteplici battiti di ali che, fugaci, mi hanno riportato in alto mentre il mio corpo fendeva l'aria in cui, inconsciamente priva di appartenenza, mi libravo.
Voli irregolari composti da virate improvvise ed ascese virtuose, nonché convulse discese sospinte da una nota di leggerissimo abbandono.
Ma poi si plana, lo si fa per non infrangersi al suolo ed è ciò verso cui gli individui, dotati di un minimo di coscienza, tendono, guidati da un sano istinto di conservazione.
Così proseguiamo con andatura regolare, responsabile, da deltaplano, che, piano piano, mentre i contorni sfumano, tende ad identificarsi con l’usuale viaggio su gomma.
Il cielo riprende la sua originaria posizione altolocata e di nuovo la parete si materializza solida al nostro fianco.

Ed in questo risveglio trasognato non faccio che pensare a quel crocevia di vita osservato in volo, costituito da un’assenza di strade disegnate, da quella totale libertà che ti consegna la vita nelle mani e da quell’'incertezza del futuro, sempre così misterioso in attesa della "svolta"!
Ed eccola giunta: la svolta che tutti aspettano, di cui tutti parlano, da cui molti scappano.
Eccola quest'unica strada, tanto sola da non lasciar più nemmeno intravedere i comuni viottoli di campagna nei quali poter azzardare un'inversione.

Eppure si viaggia, perché il viaggio è l'unica salvezza, per quanto la strada possa essere ampia, dritta e lineare. Si viaggia con meno impeto, senza l'emozione dei colpi di scena, senza più valige da tenere sotto al letto, ma la coscienza cresce ad ogni metro più forte.
Le strade di montagna, sceniche e tortuose, ci guidano verso panorami mozzafiato, palcoscenici di qualche fine settimana in fuga da noi stessi, ma la loro bellezza si limita ad un breve lasso temporale, spesso si riducono a misere foto ricordo.
Le strade ampie e piatte (Cit. l’inconcludente), come le autostrade, sono meno emozionanti, ma ci portano lontano, verso un qualcosa di ben definito, di vivibile.
Si può senza dubbio vivere anche come monaci: alla ricerca della felicità nel silenzio che ci circonda, in quella bellezza troppo grande per essere capita, troppo grande per appartenerci e dove l'unico possibile possedimento non è che il nostro solitario corpo in fuga. Così si vive, fino a maturare l'amaro risentimento di chi osserva una tela incompleta, nata per sostenere un dipinto a malapena abbozzato.
Si può dunque vivere in esilio, incastonati in una cartolina ricordo, in un’altrui “mezza giornata”, ma sono le strade ampie e piatte a guidarci verso un luogo di cui non facciamo meramente parte, ma che ci appartiene. Sono le strade ampie e piatte a portarci verso noi stessi, verso la naturale e completa congiunzione di anima e corpo.

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