venerdì 15 luglio 2011

Dream on


Un tempo sognavo. Sono anni che sogno, ma adesso quei desideri non sono che cristalli di sale amaro nella mia bocca, levigati di tanto in tanto dalla lingua, ma che non si sciolgono: permangono ricordandoti quanto è ingiusta la vita e quanto sia difficile, ma necessario, accettare dei compromessi. Eppure tante scatole regalo mai aperte vanno messe da parte, rassegnandoci all’idea di non scoprire mai il loro misterioso ed allettante nucleo che urla il proprio desiderio di essere liberato, oppure sei tu a farlo, senza accorgertene, al fine di allontanare il dolore della rinuncia.

Sognavo e vi assicuro che non c’era una sognatrice più grande, forse è per questo che, nel bene o nel male, in questi anni ho fatto molto, senza freni, con l’impazienza di scalare la vetta ed arrivare a cogliere quell’unico fiore che tanto bramavo. Forse non tutti i sogni sono stati realizzati, ma hanno alimentato la mia vita, dato nuovo impulso a questo sangue che ancora scorre veloce nelle mie vene.

Non sono una persona straordinaria, modestamente ho sbagliato molto, ma sono uscita dagli schemi, mi sono liberata delle catene costituite dal buon senso comune, dall’utilità, dall’omologazione. Sono stata là, nel luogo dove vivono i miei sogni e me lo ricordo come un’antica città dotata di nuova verve, piena di gente, dove ti senti talmente piccolo da stare bene, immerso nella grandezza e numerosità delle stelle che splendono intorno. Ti senti vivo, alla guida della tua stessa vita, in potere di decidere da che parte andare, come se tutto ad un tratto una strada potesse dispiegarsi al tuo cospetto, totalmente soggetta al tuo volere. Ecco come mi ricordo quel luogo, dove nessuno parla la tua lingua, dove devi essere tu a tradurre i tuoi impulsi vitali e scegliere i compagni di viaggio da imprimere nella memoria, per quanto possano essere lontani un oceano.

Quel luogo esiste, ma per ognuno di noi può essere diverso. Come ogni città eterna che si rispetti, anch’esso è ancora raggiungibile, ma a che pro tornare? I miei sogni sono andati, come sono andati quelli della mia pubertà, in cui ogni centesimo veniva messo da parte per finanziare quella famosa fuga in un paese che sentivo, e ancora sento, mio. Volevo vivere nella sua terra, parlare la sua lingua, così espressiva, tanto da temere che ogni mio sentimento possa essere risvegliato semplicemente parlandola. E’ così forte quell’emozione. Provo tuttora un urto irrefrenabile, come se fosse la felicità stessa a chiamarmi. Ma ci sono amori che devono rimanere platonici: sai che ci sono, ma non puoi averli, è la vita che te li toglie, o te li somministra a piccole dosi.

Posso avere tutti i dubbi del mondo sull’amore, su cosa si provi, su se sia reale o meno, ma mai e poi mai metterei in dubbio di aver amato una terra. Forse è proprio il mio smisurato amore per l’inanimato a distanziarmi dagli esseri umani: così imprevedibili, lunatici, ipocriti. O sarà che una terra, in quanto tale, non è dotata della capacità di tradire il proprio abitante. Ma è quella forza, di una potenza tale che riesce a spingerti fuori dal letto la mattina, di darti una meta, che giustifica questo amore al di là di ogni ragionevole dubbio. Al di là di questo, non ci rimane che vivere.

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