mercoledì 20 luglio 2011

Titoli di coda che prendono una piega imprevista...


L'aria era umida stasera, dopo una bella giornata di mare, un gelato con le amiche, di ritorno a casa pensavo solo a continuare con quella spensieratezza. Qualche minuto di angoscia, dovuto ad una brutta notizia che però era rientrata, il conforto di una persona, e il confortare, il prepararsi per una serata tra amici, mi avevano messo il buonumore. Raccontarsi con le amiche, anche se ancora non riesco a raccontare tutto il mio malessere, davanti ad un panino ed una birra, scherzare e fare un'pò di taglio e cucito, e vedevo lontane le mi angosce.
Il compleanno di una persona speciale, che d'improvviso per orgoglio non avevo voluto più nella mia vita, persona che prepotentemente, per fortuna, si è ripresa quello che ci spettava. Quel sorriso semplice, di animo sensibile e nobile come pochi, che ha voluto restare al mio fianco, anche quando l'ho tagliato fuori. Avevo sofferto il mio capriccio all'epoca, ma ne andavo fiera, l'avevo trattato come meritava, e mai quanto in questi giorni avevo capito quanto fosse importante avere una persona che ti ripete quanto tu sia speciale, e lo fa senza volere nulla in cambio, solo la tua amicizia. E l'aprirsi diventa facile, un abbraccio diventa rasserenante, e uno sguardo complice ti fa sentire importante. Oggi volevo essere io a regalargli un sorriso...
La musica al locale è alta, non è pienissimo ma si balla, e anche se l'umido non aiuta, qualche passettino lo faccio. Così giusto per scaricare, accenniamo piccoli balletti. Forse colpa delle bollicine, della musica, dei sorrisi sinceri dei miei amici più cari, e della tua allegria mascherata, mi lascio andare. Libero quel peso e decido di lasciar fare a chi lo merita, io forse no. Ma non ci penso, accendo la prima sigaretta della serata più per darmi un tono che per esigenza/dipendenza, stasera finalmente godo nel vedere sorrisi, la prima volta da quando ho lasciato Roma.
Ma proprio in quel momento, mi giro e i miei occhi diventano fessure, riconosco quella figura che riconoscerei tra miliardi. Sono passati tre anni...
Mi giro rigida verso Stefania, le dico chi ho visto, e lei si allarma vedendo il mio viso. L'ultima volta l'avevo visto per una sua "autocelebrazione", come sempre del resto. Amavo vederlo lì su quel piedistallo, anche se io ero il quinto piede di quel piedistallo, pronta a sorreggerlo anche dove non ce n'era di bisogno. Quel quinto piede che non serviva a portarlo in alto, e che anzi poteva farlo traballare, e per questo fu rimosso, con un colpo secchissimo. Un minuto e ritorno quella di tanti anni fa, indifesa, insicura, brutta dentro e fuori. Spengo la sigaretta e ne accendo subito un'altra, un altro bicchiere di bollicine sparisce in 2 secondi.
Se dovessi seguire l'istinto dovrei salutarlo, anzicchè ritrovarmi nascosta in un divanetto che adesso sembra troppo piccolo. Dovrei andare fiera sui miei tacchi e sorridere mostrandomi al meglio, poi magari dovrei sferrare un colpo...
Mi guardo intorno e penso però che non avrà mai quello che ho io, e non avrà mai me.
Non riesco ad odiarlo, a provare rancore, servirebbe? No, servirebbe solo a farmi stare male come un tempo e ad avere comunque, un sentimento che in qualche modo mi legherebbe a lui. Mi giro con indifferenza, vedo che guarda nella mia direzione, ho la certezza che mi abbia visto, e che giocoforza, sono rientrata nella sua vita per qualche secondo. Pochi minuti e andiamo via, chiedo a Stefania di farmi da scudo, ed esco dal locale. Le ginocchia tremano, se questo è un segno mi piacerebbe saperne il significato, ma angosciarmi a cosa mi porterebbe? Ad essere ancora stesa su quel campo di battaglia, col cuore sanguinante, straziato, dove neanche la morte arriva a portare sollievo, per usarla con le parole della nostra Ilaria.
Lascio Stefania a casa, si è messo a piovere da qualche minuto, goccioloni estivi che non lavano via nulla, e non servono a portare via il caldo, ma solo a far si che l'umidità salga. Insieme a quei goccioloni piango anche io,non poche lacrime ma profondi singhiozzi. Quanto tempo non piangevo così per te? Forse 5 anni o poco meno, all'epoca della grande umiliazione.
Mentre sto scrivendo arriva mia madre, in camera mia, sono rientrata da 10 minuti, e scrivo su questo blog. Mia madre dice "Papà sta male, andiamo al Pronto Soccorso". Mio padre è di un pallore spettrale, gli allaccio le scarpe e gli metto una polo. Ha mal di testa fortissimo, che gli arriva a comprimere lo stomaco. Svegliamo mio fratello ma lo convinciamo a restare in casa. Guido verso l'ospedale che per fortuna dista davvero poco da casa mia, 5 minuti in cui mi sento stupida.
Stupida perchè ho pensato che la mia fobia più grande fosse lui, ed invece è un'altra. Guido veloce ma molto attenta, mia madre mi dice" piano", mio padre mi dice" no vai veloce". Che paura folle, ma tocca a me restare calma. Sudo ma non lo do a vedere, mentre aspetto quel dannatissimo semaforo, tengo la gamba di mio padre, la stringo forte e lui mette una mano sulla mia. Quante volte ho desiderato da lui questi piccoli gesti che non sono mai arrivati? Un nodo alla gola che non posso sfogare, non devo. Arrivo dentro il Pronto Soccorso e li faccio scendere, esco dalla zona ambulanze e parcheggio nel parcheggio disabili, ma sono le due di notte, e non c'è nessuno, e decido di essere incivile. I tacchetti delle mie ballerine messe di fretta e furia, fanno eco nel lungo corridoio pedonale, il mio cuore penso abbia smesso di battere, i miei sono fermi in sala di aspetto. Mio padre per la prima volta dimostra tutti i suoi anni. Ho sempre visto mio padre come un trentenne, e anche se brizzolato, l'ho sempre visto più giovane di certi miei coetani. Adesso vedo tutti i suoi anni, non sono moltissimi ma stanotte li dimostra tutti. Ha la testa tra le mani e mi dice, "Chiara mi sento meglio", rispondo che l'ho notato. Ha ripreso colore ed una volta entrati in astanteria, tutti i valori sono buoni, "colpa dell'aria condizionata", esordisce il medico di guardia, "si che ha preso qui qualche ora fa" dico io con la mia aria da saccente, mia madre mi fulmina con lo sguardo. Un infermiere lo riconosce, e pensa sia di nuovo con mia nonna, l'antidolorifico fa effetto, e ritorniamo a casa. Sta meglio, ma io non mi sono calmata. Come ho fatto a pensare che la mia felicità potesse dipendere da qualcuno che mi ha disprezzato? Ci sei stato non ci sei più! Come faccio ancora oggi a rattristarmi se ho una delusione sentimentale?
Nella vita abbiamo bisogno di amare, e di essere amati, io ne ho un bisogno viscerale. Un mio ex mi disse, "mi hai insegnato che si ama col cuore prima di tutto, ma non devono mancare le parole, i gesti e le dimostrazioni, si ama anche con le parole". Io ho questo bisogno, il mio stare sola per tanto tempo è arrivato al capolinea, ma stanotte ho imparato che troppe cose cambiano in pochi minuti per stare lì a meditare troppo sul passato, il passato ci insegna a comportarci nel futuro, ma non ci governa. Dopo 14 lunghi anni so che mai più cambierai il mio umore... Quello di te che mi resta è il ricordo di un bambino grassoccio, con un completino da calcio, quella sera di fine giugno... Nessun uomo cambierà più il mio stato d'animo, vivrà con me se lo vorrà ma non vivrà di me...
ps la foto è volutamente sfocata...

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