C'era qualcosa che rimbalzava nell'aria, in quello strano e, forse, piatto mese di febbraio. C'era qualcosa che mi picchiettava nella calotta cranica come quei simpatici uccellini che si fanno le tane sui tronchi. C'era qualcosa in quel piatto mese di febbraio che sarebbe cambiato di colpo.
Il pilota salì in macchina, girò svogliatamente la chiave, attese che la spia delle candelette si spegnesse (ahimé era un diesel) in quei pochi decimi, mise il cambio su "auto" e partì per un posto dove non aveva voglia di andare.
C'era, appunto, la svogliata percorrenza di una strada nuova. Una strada nuova che gli ricordava di nuovo, il periodo personale del "dorato esilio" in cui "si doveva fare" e non era libero, nemmeno di pensare.
Ma tutto attorno c'era quell'aria di cambiamento che quel pilota cercava, servita su un piatto d'argento.
Ma lui evitava il cameriere che gli serviva quella pietanza. Rumore di crociera e 100km di strada da fare, con l'idea "mi fermo mezz'ora e poi riparto".
Non c'era la "scalata sesta-quinta" con cui quel pilota richiamava il motore. C'era solo una apparentemente travolgente coppia da 1750giri in su che ti impediva di scalare perché lei c'era, il piccolo 1300 era sempre disponibile a darti quello che poteva.
E' vero: ripenso a quel viaggio di andata, verso quel posto dove NON dovevo essere, in teoria.
E mi viene da pensare, in un grigio quando impaurito sabato, che la vita ti riserva i cambiamenti quando meno te lo aspetti.
Come in quel mese di giugno 2011, del resto. Si è chiuso un ciclo. Lunghissimo ciclo, quasi sotto silenzio.
Il vento che lambisce la pelle della nostra pilota conservativa soffia anche qua, d'altronde non siamo poi così lontani.
Il sonno e la stanchezza di queste code estive mi prendono, vorrei stare a dormire tutto il giorno, a ridere con un amico, senza dovermi sentire, per un qualche giro mentale strano mio, inadempiente o obbligato a fare qualcosa che, adesso, non voglio.
Vorrei sentirmi di nuovo libero. Vorrei che il cambiamento si concretizzasse dentro di me come vorrebbero gli altri, in una corsa così forte e così travolgente, quando vorrei, per un attimo, fermarmi, tirare quel freno. E invece questa vita è come un treno che va, senza darmi la possibilità di scendere quando voglio. Non c'è ritorno ormai. E la colpa è solo mia che dico sempre "sì".
Sono una persona che affronta il cambiamento con riluttanza. E che odia l'insistenza, il "troppo".
Vi prego, fatemi scendere.
Il pilota salì in macchina, girò svogliatamente la chiave, attese che la spia delle candelette si spegnesse (ahimé era un diesel) in quei pochi decimi, mise il cambio su "auto" e partì per un posto dove non aveva voglia di andare.
C'era, appunto, la svogliata percorrenza di una strada nuova. Una strada nuova che gli ricordava di nuovo, il periodo personale del "dorato esilio" in cui "si doveva fare" e non era libero, nemmeno di pensare.
Ma tutto attorno c'era quell'aria di cambiamento che quel pilota cercava, servita su un piatto d'argento.
Ma lui evitava il cameriere che gli serviva quella pietanza. Rumore di crociera e 100km di strada da fare, con l'idea "mi fermo mezz'ora e poi riparto".
Non c'era la "scalata sesta-quinta" con cui quel pilota richiamava il motore. C'era solo una apparentemente travolgente coppia da 1750giri in su che ti impediva di scalare perché lei c'era, il piccolo 1300 era sempre disponibile a darti quello che poteva.
E' vero: ripenso a quel viaggio di andata, verso quel posto dove NON dovevo essere, in teoria.
E mi viene da pensare, in un grigio quando impaurito sabato, che la vita ti riserva i cambiamenti quando meno te lo aspetti.
Come in quel mese di giugno 2011, del resto. Si è chiuso un ciclo. Lunghissimo ciclo, quasi sotto silenzio.
Il vento che lambisce la pelle della nostra pilota conservativa soffia anche qua, d'altronde non siamo poi così lontani.
Il sonno e la stanchezza di queste code estive mi prendono, vorrei stare a dormire tutto il giorno, a ridere con un amico, senza dovermi sentire, per un qualche giro mentale strano mio, inadempiente o obbligato a fare qualcosa che, adesso, non voglio.
Vorrei sentirmi di nuovo libero. Vorrei che il cambiamento si concretizzasse dentro di me come vorrebbero gli altri, in una corsa così forte e così travolgente, quando vorrei, per un attimo, fermarmi, tirare quel freno. E invece questa vita è come un treno che va, senza darmi la possibilità di scendere quando voglio. Non c'è ritorno ormai. E la colpa è solo mia che dico sempre "sì".
Sono una persona che affronta il cambiamento con riluttanza. E che odia l'insistenza, il "troppo".
Vi prego, fatemi scendere.
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