lunedì 4 luglio 2011

La musica del cambiamento - Trains

Trains, Porcupine Tree. Bellissima canzone che parla di un amore che finisce, che non sopravvive alla distanza che subentra alla fine dell'estate. Già. La fine dell'estate. Torno da un matrimonio in cui sono stato messo al "tavolo dei pinzi". "Pinzo", in colligiano, vuol dire "vecchio che ancora non si è sposato (acido)".
Vabbè, meno male che un paio di quei pinzi erano piloti professionisti con cui potevo tranquillamente chiacchierare di macchine.
Il matrimonio prosegue, a sottolineare davvero il mio essere inconcludente, in questo 2011, dopo aver parlato con Mattia, vecchio amico ritrovato del liceo, che ha avuto un destino totalmente inconcludente dopo "averci creduto davvero la prima volta".
E allora, per fare l'eroe: "Mattia, dovevi prendere quella cavolo di SLK e correre da lei, riprendertela".
"Boss te hai anche ragione ma non era aria".
"Proprio quando non è aria c'è più soddisfazione, sia a vincere che a perdere, insomma a lottare".
Dispenso queste perle di saggezza quando so che poi la realtà è diversa. O meglio, so di aver lottato. So di aver perso, a testa ALTISSIMA.
E il ritorno, con i miei ignari di tutto questo mio pensiero, ignari della mia vita reale di cui intuiscono una sbiadita fotocopia "parallela", metto "Trains" dei Porcupine Tree.
E come capita sempre in questi casi, una lieve, lievissima voglia di affondare il piede della frizione, scalare, sorpassare il pilota professionista che ho avanti che non sembra, stasera, essere granché cosciente della traiettoria da prendere su questa strada.
Della traiettoria da prendere, in questo preciso momento della mia vita, non sono cosciente nemmeno io. Non c'è niente di più distante, adesso, dall'avere una visione chiara dell'insieme e dell'universo che mi circonda.
Sempre col sottofondo della canzone che dicevo prima, in data 12 (o 13?) luglio 2008 si accesse un forte, potente, senso di rinascita, immediatamente dopo un addio. Lo ricordo come fosse ieri. Autostrada A13, 130km/h. I tutor appena installati evitavano morti sulle strade, e aggiungevao mezz'ora alla LUNGA percorrenza prima del mio Appennino. Evidentemente mi ero liberato, cinquanta minuti prima, da delle catene.
Iniziai a ricercarlo, quell'appennino, conscio che sarebbe stato l'ultima volta in cui ci sarei passato con la Ypsilon. Ed era qualcosa di vero, che permeava anche l'aria che entrava dal tettino apribile della mia macchina, così setosa, così particolare, così forte e frizzante.
Ero elettrizzato.
Così come lo ero ieri sera, quando quella canzone, la n.55 del CD da me etichettato col pennarello nero, "L'urlo di dolore", aveva iniziato a suonare.
I miei, ignari, che parlavano di quanto erano belli gli sposi. Verissimo.
Ignari di quanto, da 30 anni, risiede dentro questa testa. Immaturo. Forse.
Al bivio di Santa Giulia saluto i mensanesi piloti, e come fosse un rumore di sottofondo chiacchiero. Per un attimo, sulle mie Lellere, penso a dove sei, con chi sei. L'attimo dopo tento di fregarmene, anche se è difficile.
Tento di fare chiarezza, ma assecondo l'idea che, ancora, ci vorrà tempo prima che la tempesta passi, che queste nuvole se ne vadano.
C'era un tramonto che volevo dividere, che guardavo mentre scherzavo con Mattia.
C'era la complicità di due persone che si capivano con uno sguardo.
C'è, adesso, la ricerca di una destinazione. Ripenso a qualche momento e una sopita, smorzata, sensazione di pazzia mi prende. C'è un telefono che ha smesso di suonare ed ha perso il segnale. C'è un piccolo tremore della mano destra quando infilo la quinta marcia su per le Lellere, e subito dopo la sesta.
C'è un cuore con una cicatrice che si sta rimarginando, fortunatamente. C'è speranza. Tanta.
La speranza di chi sa che la destinazione, di questa lunga lunga strada, è quella mai presa per macanza di coraggio, per paura di star solo. La destinazione sono io.


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