SS14 Triestina, 110km/h, ore 2.07 (con l'ora solare ristabilita da 7 minuti, quindi come se fossero le 3.07); rientro da una serata Leo piacevole, tra buon cibo, buona musica, labari che continuano a sparire (stavolta in grande stile) e ottimi amici ...ma, al di fuori di lì, ancora attese.
Attese che sembro testardamente a continuare a cercarmi da solo, guidato sempre da quell'idea, che non voglio chiamare in altri modi (anche per paura di farlo), irrazionale ed un po' folle; pazza e curiosa idea che continua ad inseguirmi nonostante tutto, pur essendo ormai conscio della probabilità di trovare altri muri per strada, anche se forse oramai procedo in modo più guardingo e spero di riuscire ad attutire eventuali altre botte.
Attese autoinflitte, come un pugnale piantato, che finché sta fermo non fa male ma che, ad ogni movimento, mi ricorda che è lì e che prima o poi, in un modo o in un altro, dovrò riuscire a togliere; idealmente con l'aiuto di un medico che rimargini la ferita piuttosto che da solo, lasciando una ferita aperta che cicatrizzerebbe male e non a breve; ma in fondo sono solo, sempre, e ancora, sogni.
Attese dovute a speranze un po' dolorosamente rinate; speranze testarde ed incomplete. Sogni che vanno e vengono a metà tra il possibile e l'impossibile, ancora legati al desiderio di vedere quel sedile da passeggero occupato, di fare da autista ad un passeggero che è al di là del muro che non riesco ad abbattere; quel muro che continuo a non capire se ho costruito io o meno.
E intanto continuo a rientrare lungo strade dritte e buie a notte fonda, solo con i miei sogni e le mie testarde speranze.
Attese che sembro testardamente a continuare a cercarmi da solo, guidato sempre da quell'idea, che non voglio chiamare in altri modi (anche per paura di farlo), irrazionale ed un po' folle; pazza e curiosa idea che continua ad inseguirmi nonostante tutto, pur essendo ormai conscio della probabilità di trovare altri muri per strada, anche se forse oramai procedo in modo più guardingo e spero di riuscire ad attutire eventuali altre botte.
Attese autoinflitte, come un pugnale piantato, che finché sta fermo non fa male ma che, ad ogni movimento, mi ricorda che è lì e che prima o poi, in un modo o in un altro, dovrò riuscire a togliere; idealmente con l'aiuto di un medico che rimargini la ferita piuttosto che da solo, lasciando una ferita aperta che cicatrizzerebbe male e non a breve; ma in fondo sono solo, sempre, e ancora, sogni.
Attese dovute a speranze un po' dolorosamente rinate; speranze testarde ed incomplete. Sogni che vanno e vengono a metà tra il possibile e l'impossibile, ancora legati al desiderio di vedere quel sedile da passeggero occupato, di fare da autista ad un passeggero che è al di là del muro che non riesco ad abbattere; quel muro che continuo a non capire se ho costruito io o meno.
E intanto continuo a rientrare lungo strade dritte e buie a notte fonda, solo con i miei sogni e le mie testarde speranze.