lunedì 27 giugno 2011

I miei Appennini


Inizia, con qualche giorno di anticipo sul programma, questa bella avventura "all together". Via, allora. Tra poco avremo anche il passeggero.
Autostrada A1, 130km/h: caldo, troppo caldo. Sulla destra il cartello "Inizio Tratto appenninico", che si ripete ciclicamente dall'altra parte delle montagne, dopo 65km di curvoni che negli anni '60 erano nati per unire l'Italia e ora, 50 anni dopo, sono fatti apposta per intasarla.
Il tratto appenninico mi apparteneva, qualche anno fa. Ci transitavo con ogni mezzo. Pullman (per Milano) e macchina (per Venezia) quando non si poteva prendere il treno.
Viaggiare, adesso, mi piace: ha un sapore diverso, ora che sono single e che non dovrei avere problemi a correre.
Non sono solo a percorrere questo Appennino, e, ancora una volta, sembro quasi conoscerlo a memoria, come fosse un percorso prefissato e obbligato della vita, ricorrente. E' uno strano viaggio di ritorno da Mantova. Sono stato Leo (giovane Lions) per 12 anni e questo è l'ultimo atto di una strana, bella, amata e odiata, vita sociale di quel tipo. Quantomeno c'è da chiacchierare, riprendere in mano una vita, tra Roncobilaccio e Barberino del Mugello, c'è da tentare di maturare, perché è tutto quello che mi manca. Amo la bella vita, penso ancora, mentre la Mito scorre silenziosa al ritmo di "This is the last time" tra un curvone e l'altro, e Chiara accanto, ottima compagna di viaggio che NON vuole guidare, passeggera petulante quando i suvvettoni se la prendono per i perentori sorpassi di una Mito. Fotografie: ne rimarranno tante, come a suggellare un preciso istante della vita. Un tramonto sul Mincio che qui si allarga, l'alba, vecchia e contestata, sulla SS223, che adesso è diventata un'immagine in bianco e nero, la terza corsia dell'A1 sotto Bologna. Strade: dobbiamo percorrerne di nuove.
Ricordo di aver detto ad un Andrea tante bugie. Sul fatto che stavo bene, che volevo qualcosa, che non dovevo maturare e che mi andavo bene così com'ero.
No, non è così. La più grande bugia l'ho detta a me stesso quando credevo e FACEVO credere di essere perfetto e invincibile, mai fragile, mai una defaillance. E allora tutto e tutti si allontanavano da quel guscio vuoto.
Ho imparato, allora, che devo evolvermi. C'è la sensazione di preludio della fine di un gioco durato tanto. Un gioco con me stesso, un relax che non provavo da tempo, uno strano e velato appagamento dei sensi. La mia macchina, silenziosa, cerca di non farmi paura nel silenzio. Cerco di contenere, andando piano, ogni reazione di scarto brusco che lei, donna sbagliata, avrebbe sicuramente fatto usando la mia distrazione momentanea contro di me.
E' tipico delle donne sbagliate abbandonarti quando hai bisogno.
Nessuna lacrima, adesso, eppure su questa strada qualcuna ne ho versata. Nessun sorriso, solo il sole che batte e filtra attraverso il vetro colpendo la macchina, col suo carico di valigie (3 solo mie, non male!) che tenta di guadagnare la meta, la Firenze dove sono nato, l'odiata Santa Maria Novella.
Nelle uscite, silenziose, del parcheggio sotterraneo, cerco di capire cosa mi manca, cosa devo essere, dove devo sensibilizzarmi e rendere migliore la mia vita.
La mia compagna di viaggio non ha minimamente idea dei pensieri in evoluzione che ho nella testa in questo momento, nel momento in cui il curvone di Rioveggio preso a 130km/h ci fa sentire la forza d'inerzia.
La mia compagna di viaggio non ha idea del rivolgimento e della rivoluzione che c'è stata in me, adesso. Scende alla stazione, prende il suo treno per Roma.
E io proseguo dopo aver percorso il MIO Appennino, ancora una volta.
Per 50km ancora sarò un Leo. E ora, non voglio smettere di sognare. Per un altro minuto ancora, non toglietemi questa sensazione di solitudine inebriante, che solo gli spettatori di un gioco giunto al termine provano. Vorrei che questi 50 km non finissero mai. Superstrada Firenze-Siena, ci passo e ci sono passato una vita intera. Nei brutti viaggi da nord conditi di ricatti sembrava la porta di casa, e mi consentiva di tirare un sospirone di sollievo. Fiscamente, invece sono sempre lontano. Lontano da casa, ma in Toscana, dove si parla il mio accento. C'è il preludio della fine di un gioco. Preludio. Fine. Umidiccio ma allo stesso tempo affascinante limbo tra il "non più" e il "non ancora".

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