giovedì 30 giugno 2011

Correva l'anno 2006


Correva l'anno 2006, era estate. La fine di agosto. La Lancia Ypsilon diceva la sua, in modo ultraegregio, nel percorso Colle-Rosia, con partenza ogni mattina alle 7:20, arrivo alle 7:50/7:55 a seconda del traffico che trovavo a Gracciano, poi una bella scatenata a cavalli e cambio per il Pian dell'Olmino, e via verso la megaditta in cui da neolaureato, ancora scevro dal mondo forense civilistico in cui adesso sguazzo da anni, prestavo servizio come impiegato. Alle 16:30 mi sbatacchiavano fuori, la Lancia esprimeva nuovamente la sua opinione da macchina quasi nuova per tutta la strada, a partire dai curvoni della Pia, dalla Colonna di Montarrenti.
C'era un ragazzo di 25 anni appena compiuti, in quel 2006, laureato a pieni voti e già ricercato dai professori vari e la cosa mi dava quel non so che di esaltazione. Avevo la speranza di essere felice. Quel lavoro, ancorché interinale, iniziava a darmi la speranza di potermi distaccare da un mondo che sapeva di marcio e vecchio, che non mi andava più a genio, e che forse mi stava veramente stretto. Volevo libertà, indipendenza, da sotto i miei abiti scuri giudicati troppo eleganti dalle colleghe e venivo redarguito spesso per questo. Volevo prendere la macchina e raggiungere gli amici veri, che ancora non avevo inteso come tali. Non conoscevo l'amicizia, quella vera, quelli che ci sono nonostante tutto, nonostante la distanza. Non avevo ancora imparato cosa volesse dire "amare". Lo avrei imparato quattro anni dopo, rendendomi conto di quanto fosse forte e di quello che avevo perso.
Avevo una voglia immensa di scappare, partire per uccidere quella routine, quelle persone ammuffite accanto, di salire su quella macchinetta rossa bella e fiammante con ancora pochi chilometri percorsi, prendere un traghetto/aereo e dire a tanti "non chiamatemi".
C'era la speranza di un neolaureato che coltivava, annaffiava, faceva vivere e rinverdire, forti sogni professionali, forse un po' confusi come era giusto che fosse, ma con una determinazione così indistruttibile nel rendersi conto di doversi spogliare delle sofferenze che aveva.
C'era una famiglia che aveva dei problemi, che in tutti i modi tentavo di tenere per me.
Ma soprattutto, iniziavo, in quel caldo 2006, ad ammirare ed assaporare l'idea che dal nulla non viene nulla, del doversi costruire e della soddisfazione che c'era nel farlo senza chiedere aiuto a nessuno.
Seguirono anni bui, umidicci e limacciosi. Poi gli anni bui furono seguiti tempi stupendi, da febbraio 2010. Una iniezione di giovniezza, forza, amore, mi prese, quando ti conobbi. La speranza che avevo nel 2006 aveva quindi coinvolto un settore più importante, dandomi la forza di aspettarmi e costruire qualcosa di duraturo. Ma non sempre i sogni si realizzano. O non si realizzano nei tempi che vuoi, che poi è la stessa cosa. Non sempre le persone si trovano nel momento opportuno a condividere le stesse cose. E allora si prendono altre vie, forse meno impegnative. Ma io non ci riesco, adesso, a prendere queste vie, né a vivere senza coltivare questa speranza. Lo faccio per me stesso, per non lasciarmi morire in questo mondo che mi sembra sempre più morente anch'esso.
Non ci riesco proprio a concepire che non ci sei. Dovrò farlo, prima o poi, se non ti deciderai a vedere quanto sto soffrendo e da lì a capire quale potrebbe essere la soluzione per ridarmi e infondermi nuovamente fiducia.
Avevo tutto. Non nel 2006, ma nel 2010/2011. Ora, pur essendo cambiata la situazione, essendo un libero professionista piuttosto speranzoso sul piano lavorativo, non avendo te accanto, non sono felice.
Qualche soldarello non fa la felicità. Ho sempre più voglia di stare a casa da solo e di non mettere il naso fuori. E forse sbaglio a non reagire e ad attenderti.
Dovrei recuperare lo stato d'animo, infelice anch'esso, ma conscio che di lì a poco sarebbe cambiato qualcosa, che avevo in quell'estate.
Oppure, recuperare una nuova sensazione sulla pelle, una nuova strada, una nuova vita. Senza te al mio fianco.

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