mercoledì 12 giugno 2013

La forza della rabbia, in corsa 2 (reprise per chi lesse il primo)


Strada statale 68, 100km/h, verso Campiglia. Questa è la strada che come al solito porta a Volterra, in un giorno come tanti.
"Vado, Ciao".
"Ciao".
Eh già, ciao. Come ogni giorno e ogni pomeriggio che si rispetti, salgo sull'Eroica Mito, o meglio quella che un tempo era tale e oggi un po' meno, che come al solito si avvia col suo solito rombo quasi esplosivo. 
Il motore è freddino in effetti in conseguenza della temperatura bassa.
Quasi due anni fa, questa strada fu teatro di uno di quegli addii, quelli che avvengono dentro, quelli con cui sancisci la fine di qualcosa che c'è stato e che come al solito ha teso a non andarsene via. 
Respiro. 
Rispetto a quel periodo ho molta ma molta più ansia. Moltissima di più, tanto che troppe cose mi stavano scappando di mano prima dell'intervento della Dottoressa che sbroglia i nodi dentro questa testa.
Sono andato terribilmente a peggiorare, da quel periodo là, per carità.
Anche se obiettivamente l'amore è tornato, giusto o sbagliato che sia (ma per me è sempre giusto). Ci sono cose che non mi vanno giù negli altri. In primis, il loro anteporre la paura delle espressioni genitoriali e amichevoli e il non fare di testa loro.
Ci sono mille cose che non vanno in me: in primis questa ansia insana, gravissima, sbagliata, che mi ha fatto scappare le persone a cui tenevo: Diletta, Francesca, Jacopo, forse anche Gaia a suo tempo e che rischia di mettere a repentaglio chi è qui accanto.
Mi contengo.
L'imperativo categorico è non se ne parli più.
Ebbene, eccoci sulla strada sessantotto, a 100km/h, con il motore che è entrato in temperatura. L'Eroica Mito è sempre lei. Un tempo, qui ci si passava affidandosi a quattro gomme Pirelli Pzero Corsa con doppia spalla per mascherare le cretinate automobilistiche che uno fa. 
Di cretinate ne han viste poche, in effetti, quelle gomme. Sono durate 41.000km e han fatto il loro lavoro da passiste autostradali, insomma, tutto il contrario di quello per cui erano nate, così come la mia macchina ha fatto solo autostrade, salvo sfoderare qualche punta d'orgoglio su questa strada.
Ora se possibile sotto ci sono delle nuovissime Hankook non so che modello ma pure meglio delle Pirelli. 
Ansia. Ancora più forte. 
Campiglia transita pianissimo alla mia destra. Mi sento come quei trabiccoli delle Montagne Russe che ti portano su su su su lentissimamente.
E infatti inizia la discesa, su questo curvone a destra.
Con una freddezza paurosa che contraddistingue i miei momenti lucidi schiaccio e avvolgo le mie mani sul volante.
Giù. Seconda, 6500 giri, poi terza. Leggera curva a destra senza guardare chi c'è di là, ma la traiettoria tiene nonostante lo sporco su queste gomme.
La mano trema, tento di ignorarla nel pieno controllo fornito dall'eccesso di adrenalina continuo. 
Trema mentre si avvicina il tornante in discesa. 
Mi attacco ai freni con un pestone terribile, abituato come sono a quelli del vecchissimo Duetto che ho messo in garage di recente.
Mi impaurisco, mi attacco a tutto quello che posso. Stringo la curva, e la turbina piccola inizia subito a dare il massimo, schiacciando il mio povero collo disperato al poggiatesta.
Seconda marcia, 6700giri. Troppo, forse.
Appoggio metà delle gomme nuove sul ciglio senza uscire dall'asfalto, calcolando millimetricamente questa traiettoria intrisa dell'odore della paura. E non è paura di sbattere, anzi.
Di nuovo terza, ancora regime intermedio dove la coppia è massima e la spinta paurosa, dove il primo e l'ultimo pensiero adesso si azzerano tuffandosi in questo mare palpabile di sensazioni sbagliate.
E' venuto tutto fuori ora. Tutto. 
E' venuta fuori la paura di perdere gli amici, e quei pochi terreni consolidati su cui camminavo si sono sciolti pian piano.
Non riesco ancora a vivere, lo so.
Giù di nuovo per il secondo tornante, e lo taglio, oh se lo taglio, peraltro benissimo, per poi finire di nuovo sul rettilineo della Pieve.
Al terzo albero tolgo la sesta e butto dentro la quinta, ma sono quasi a 200km/h.
Freno. Mi rifermo in cima alla salita, alla fattoria di Mugnano, teatro di un pranzo di Natale con un fugone conseguente per andare via.
Lì non avevo ansia.
Ma la devo sciogliere in qualche modo. Giro. Mi riconfondo nel traffico come fossi una vettura normale, correndo nel mio quattrocentesco studio a subire gli effetti della incontenibile nomofobia facebookiana.
E sono pure conscio di dove sbaglio, ma la parte "irrazionale" vince sempre. 
Risalgo, lentamente, queste curve. La Mito sembra grata, per una volta, di esser stata portata a fare quello per cui era nata, un po' come una donna innamorata di un amante stronzissimo che vede poco a discrezione di lui, e che respira e trae una boccata d'ossigeno e di falsa speranza nel vederlo.
Non disperare, Eroica Mito. L'Appennino è sempre tuo, anche se si prosegue un po' più in su.
L'ansia non se n'è andata, e con essa il mio vivere a metà. Quanto vorrei che sparisse tutto questo vortice, ma una volta tirato fuori esso diviene di proporzioni colossali e ancora più forti.
Forse è un decorso naturale delle cose, così come le persone voltano pagina devo farlo anche io con questa malattia. 
Forse è un aggravamento. Forse è qualcosa che non so. Forse. 
Quel che so è che non ho più terreni consolidati tranne uno. E due macchine rosse sottoutilizzate.
Benvenuti nel mio mondo. Quello attuale.

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