giovedì 2 maggio 2013

Amore amaro (metafora alcolica)

Se uno apre Facebook, specialmente in corrispondenza di giorni di festa, non può che constatare la presenza di foto di coppie, tutte perfette, in giro per il monto. La dolcezza fa da padrona. Bravi, ragazzi! 
La realtà appare diversa da quel che è. Secondo me, in questo periodo tanti vivono solo per pubblicare la loro attività del momento, e non ne godono la reale essenza senza vincoli.
Difetto che ho anche io, a dire il vero. Mi sto disintossicando. Intanto questa è la prima cosa che mi riesce, ancorché piccola.
Ma l'amore non è dolce come lo dipingono i quadri, le foto, le smancerie che in questo preciso momento ritengo terribilmente rivoltanti di tante persone che ostentano quella sicurezza e quella indistruttibilità che una coppia non ha, e magari il mese dopo sbaraccano anche. 
Per me l'amore è amaro. E ad esser del tutto sincero, gli amari come l'Averna e il Ramazzotti non li ho mai amati, mi sono sempre dato al limoncello.
Amore amaro. Un bel semianagramma che fa muovere la mente. E' una locuzione utile, in ogni caso. L'amore amaro aiuta molto a maturare, è il sapore che ti porta in bocca che vuoi scacciare di continuo (magari anche a colpi del summenzionato limoncello) e quindi sei costretto a muoverti per fare il possibile per riavere il dolce. 
Se non è amaro non è amore o se non è amore non è amaro? Bah, dilemmi strani, da risolvere davanti a una Ichnusa da 66 e con un tubo di Pringles davanti.
In ogni caso,  l'amore amaro insegna. 
E fu così che imparai, lezione dopo lezione, molte cose, ancorché in terribile ritardo rispetto alla media delle persone. 
Ci sono arrivato tardissimo. Nonostante le mega tirate per strada. E la proverbiale falsa puntualità, perché parto sempre in costante ritardo e premo come un disperato. Povere turbine sotto sforzo.

E infatti, ci sono pure ripassato: SS223, 110km/h.
Fu qui che iniziò l'amaro, e la prima lezione imparata e tesaurizzata. Ora come ora, do una importanza marginalissima a quel periodo.
Però era amaro, che si alternava con un momento dolce. Alternato a sua volta con una bottiglia intera di amaro. Poi con uno zuccherino, poi con una bottiglia da 5 litri di amaro. Poi con una damigiana di amaro. Seguita dal mi sono rotto i coglioni, frase tipica del toscano centrale che si è stufato di bere l'amaro, specialmente quando gli piace il limoncello.
Seguita a sua volta da ci siamo rotti i coglioni, frase tipica di due toscani centrali che si sono stufati di sopportarsi a vicenda.
Lezione imparata, ovvero: la gestione è problematica. Sono problematico, lo so da me.  
Cerco di trattenermi alla prossima volta dichiarai quando l'amaro era all'apice e coinvolgeva tutte le papille gustative posteriori della mia lingua. E in effetti fu così quando dovetti ripartire.

Ripartiamo per l'altra strada dell'amaro (no, non è una guida turistica per chi vuole sbronzarsi): travolgente, appagante, bellissima. 
Un amore con una forza indistruttibile ad oggi. 
Strada esaltante e conosciuta, ovvero il tratto appenninico dell'A1, poi A13. Poi boh. Ri-boh. Non si vede nulla dall'uscita dell'autostrada, ma credo ci sia una città, oltre la nebbia. Non ne sono sicuro, ma c'è.
Comunque, nonostante l'inclemente costante umidità, un tempo ci si sparava a velocità aeronautica come ciechi nel buio.
Tutto questo, lo facevo per bere la crema di Limoncello. Sciaguattavo la bottiglia, con troppa forza e cattiveria, e nonostante quello la crema era buona, ottima. 
La migliore che avessi mai assaggiato, oserei dire.
Poi la bottiglia si è rotta i coglioni di essere sciaguattata (termine toscano per dire agitata). 
E allora è arrivata l'autocisterna di amaro. Sì è parcheggiata lì, davanti al mio cancello, e non se ne andava via. E' un'autocisterna di quelle grandi, da distributore.
E di recente ho bevuto l'autocisterna intera di amaro, e credevo fosse finita lì, credevo mi fosse data di nuovo la bottiglia di crema di limoncello.
Invece no. Arrivano autocisterne ancora più grosse piene di amaro.
Non ce l'ho fatta a berle tutte. Troppa amarezza alla fine non la reggo nemmeno io, ancorché responsabile di dover ingoiare l'amaro fino in fondo. .
E quindi, arrivano i conseguenti, quasi automatici, ringraziamenti. Saluti. Baci. 130 co-di-ci-sti-ca-men-te ri-gi-dis-si-mi km/h. Ciao amore. Ciao scemo. Ciao fava. Ciao bischero. Scusa ho sbagliato mi riprendi? Sì ma forse no. No ma forse sì. No ma forse se cambi...Sì ma no ma dai ma su ma che importa. No. Secco. Irrevocabile.
Game over, ciccio. E non c'è niente da bere, se non una birretta a cena, pure di quelle piccine, caso mai una grande facesse male visto che i miei vent'anni sono solo uno sbiadito ricordo.
E qui viene il punto focale della nostra ipoteticamente alcolica narrazione.
Sono io che ho sbagliato a far diventare la bottiglia di crema di limoncello un'autocisterna di amaro.
Però ora imparo, mi rimetto in carreggiata. Non posso farcela da solo, per questo mi attrezzo.
Perché in fondo il dolce mi piace, solo che alle volte la bischera tentazione di bere l'amaro mi prende sin troppo, e devo imparare a contenere questo.
Non so perché ma dopo la Paella che mi sono cucinato (non Buitoni, non Coop, ma autoprodotta), ho un retrogusto speziato che non vuole andare via.
Ci vorrebbe giusto un po' di crema di limoncello, ecco. 
Perché alle volte un po' di amaro serve, aiuta a migliorarsi.
Un po', appunto, non troppo.
Ma sto imparando anche questa lezione, molto più dura della precedente, visto anche il valore che attribuisco alla persona, a me stesso, ad una cavolo di Chiesa ottagonale o ad una più piccina. L'unica volta che l'ho mai pensato. 
Con amarezza riesco ad essere incisivo e ad uscirne fuori.
Lo faccio affinché il prossimo amore esista, e sia vero, non come tante coppie fintissime che si vedono passare nelle strade con un sorriso contratto e sfinito.
E che non sia così amaro.
Ma dolce.

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