E’ passato così tanto tempo dall’ultima volta che, da
protagonista, ho visitato la nostra long long road to, che qualsiasi cenno di
saluto mi pare inopportuno. “Heilà, sono tornata!” Urlerei a piloti già km e km
avanti a me, sulle loro strade, che non sono le mie. Che poi… chissà per quanto
tornerei ancora? La mia vita è un continuo ritornare, salutare e ripartire,
almeno mentalmente.
E’ passato così tanto tempo che non so nemmeno più se riesco
a scrivere… guardando lo stile mischiato ed evoluto degli storici piloti, ex
neofiti, mi pare di aver solo tanto da re-imparare. Ma, in fondo, dicono ch e
scrivere sia come andare in bicicletta e forse questo pensiero mi consola accendendo
una flebile fiamma di vecchio coraggio.
E’ passato troppo tempo e non so più da dove iniziare, se
dalle parole taciute ad altri, se da quelle taciute a me stessa o se dalle
consapevolezze pigiate a forza sotto un tappeto come polvere fastidiosa che non
riesci ad eliminare.
I sogni se ne sono andati, i piani futuri che mi davano
forza ai tempi dell’università, sembrano scomparsi, travolti e tramortiti da
una goffa routine, nemmeno poi tanto soddisfacente.
Nella scrivania disordinata e sempre mutevole della mia
vita, tutto è divenuto ordine; adesso
vedo solo due pile di eventi: due costanti. Strano pensare che una delle
costanti sia proprio la massima incostanza che mi portò, anni fa, ad iniziare a
scrivere e che, fino a poco tempo fa, mi tormentava, apparendo incerta, di
passaggio e mostrando alcuna stabilità.
L’altra costante, nella vita di tutti i giorni (delle
persone fortunate, ma neanche troppo) inutile dire quale sia. Lavoro, lavoro ed
ancora lavoro. Ricordo con piacere le parole di un ex collega che, parlando di come
la routine si comporti da tranquillante per le sofferenze della vita, mi recitò
una poesia ricevuta in dono da parte di una coppia di sposi: “la distrazione
migliore? Il lavoro”. E come se è vero!
Guardandomi alle spalle, non sono più la stessa, non c’è più
la forza di sognare un futuro lontano e migliore, di pensare a me stessa, di
riflettere e di scrivere. C’è solo un eterno silenzio ed un’ansia taciuta e
sconosciuta, che però non senti, che però dorme. Lavoratori, portatori sani di
ansia: ce l’hanno, ma non lo sanno! Ed è questo il rischio più grande, non
avere il tempo di riflettere, non avere il tempo di capirsi, di essere
irrazionali e seguire, di nuovo, i nostri sogni, le nostre necessità, fino al
momento in cui l’ansia si sveglia e ti pervade, senza che tu sappia chi è, cosa
vuole e soprattutto il perché.
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