martedì 8 febbraio 2022

Dopo anni: siamo autisti o piloti?

 


 

Strada Belvedere-Colle, 100km/h. E' una velocità ben oltre ogni umana immaginazione per questo tratto di strada. Con una manovra da scuola piloti federale, sorpasso un non meglio identificato oggetto lento, che viene inghiottito dal buio alle mie spalle.
E' la notte fonda di un giorno infrasettimanale di questo magico e limpido inverno.
No, non è una notte qualunque, questa.
L'Enterprise, per niente scombussolata da quello che è successo poco prima, si guadagna sul campo il titolo di Governante Tedesca, severissima, e cerca da sola di correggere tutte le mie indiscipline da pilota italiano, a colpi di suoni ed interventi di controlli elettronici, nel mio rientro a casa.
I fari a led fendono il buio, e ad ogni sconnessione dell'asfalto, per l'alta velocità, il beccheggio riduce il campo visivo, come a creare un infintesimo di blackout.
Phil Collins canta Sussudio nelle casse. Non è un caso, perché è uno dei cantanti che preferisco al mondo, e l'Enterprise conosce i gusti musicali del suo autista. O pilota.
C'è un profumo nuovo e strano nel mio naso che non riesco a decifrare, che ha preso il posto di un pesantissimo cuba libre, di un Long Island fatto con i piedi, e un Moscow Mule che non aveva visto l'alcool nemmeno col binocolo.
E' il profumo, forse, di uno shampoo di ottima fattura da parrucchieri e di un profumo leggero femminile di altissima qualità.
Erano posati su dei capelli di miele e su una pelle di seta, a cui sono riuscito a rubare un po' della loro essenza a colpi di baci proibiti, di risate che ufficialmente non sono mai avvenute, di un incrocio di mani che rimarrà custodito ed impresso a fuoco nei nostri ricordi, e mai ritratto in nessun telefono, fotocamera o altro. Poco importa, di questo. La memoria lascia tutto vivo, il viverlo di nuovo ne alimenta la fiamma.
Dietro i suoi occhioni solitamente tristi per motivi che mai chiederò, si nasconde una delle persone più belle che io abbia mai conosciuto. E non parlo solo dell'involucro esterno.
E' un universo fatto di fragilità, di stereotipi imposti dall'estrazione sociale, peraltro comune alla mia, che per me, al tempo, sono stati deleteri e che ho finora combattuto con tutto me stesso. Però ho vinto.  Non glielo dirò di persona, ci deve arrivare lei ad essere veramente felice.
Di tutto questo non mi importa. Il mio ego razionale probabilmente sa che si deve sempre e comunque rimanere coi piedi per terra nelle promesse di lungo periodo.E già, stasera sono morto tra le sue braccia, e per le comuni, umane convinzioni di questo orrido Paese non avrei dovuto. Ma nella mia evoluzione recente da bruco a farfalla sono diventato un attento osservatore, e un ascoltatore, e un ribelle travestito da conformista in abito scuro.
Due anni fa mai avrei pensato di poter arrivare a tanto, e sono orgoglioso di me stesso.
In effetti sono stato bravissimo a raccontarmi favole, come ho fatto in quest'ultimo anno. Mi sono raccontato che avevo trovato la persona giusta, che era giusto e doveroso andare avanti a diritto, quando la rinuncia alle emozioni è una cosa che non fa bene.
Ma le emozioni, che lo vogliamo o no, arrivano. E, come un terremoto, sconquassano quello che spesso ci autoimponiamo.
Mi domando cosa vogliamo, se non leggerezza, tranquillità, chiacchiere, e qualcosa di genuino che forse le nostre vite non ci hanno mai e poi mai regalato.
Sì, è proprio quello che vorrei: genuinità, spontaneità, poter dire le cose liberamente, anche quelle sbagliate senza paura di causare una reazione cattiva o eccessiva.
Vorrei gli sguardi che quella sera, e quelle successive, quella persona mi ha dato, carichi di un qualcosa che non mi era mai stato posto davanti agli occhi e che non sappiamo nessuno dei due spiegare.
Ce lo siamo domandati per anni: viviamo da autisti o da piloti?
Da chi ho avuto accanto per un anno tempo fa mi era stato detto che ero solito "etichettare e categorizzare" tutto quello che mi capitava davanti.
Forse, fino ad allora era vero, ma la goccia scava nella roccia e ci siamo arrivati, forse, a dirigere automaticamente i pensieri nella loro naturale sede, quella che fa meno male.
Stavolta però è diverso. La mia proverbiale ansia mi avrebbe portato a pensare di navigare a vista.
L'autostrada è da autisti, le curve da piloti.
Guardo sempre l'uscita a destra, l'itinerario alternativo. Da qualche tempo di più, ed è grazie a questo episodio.
E allora do a me stesso, di nuovo, il benvenuto tra i piloti e non tra gli autisti.


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